E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.
Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.
Si chiama COVID19
Ha cambiato le nostri abitudini sociali
E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.
Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.
Si chiama COVID19
Ha cambiato le nostri abitudini sociali
Ho finito di leggerlo.
La prima cosa che mi viene da commentare è che il libro meritava, naturalmente. Non solo per come scrive la Fallaci, che comunque lo sappiamo, è stata un genio della scrittura. Non solo perchè il suo stile ora leggero, ora canzonatorio, ora storico, ora giornalistico…non ci permette mai d’annoiarci. Ma più che altro per quello che ci racconta, di questo suo viaggio che fece in America a studiare gli astronauti che vanno sulla luna.
Lui era Giulio Regeni, un giovane ricercatore universitario che stava portando avanti la sua ricerca di dottorato per conto degli inglesi Al Cairo, in Egitto.
Un anno fa proprio oggi, il 25 gennaio 2016, il suo corpo martoriato veniva ritrovato senza vita, torturato in ogni sua parte, tanto che la madre disse, nel vederlo “Aveva intatta solo la punta del naso”
Su questa morte il governo egiziano ha cercato di raccontare le più varie versioni, tutte del resto inverosimili.
Prima ci fu detto che Regeni aveva subito un incidente automobilistico.
Poi ci fu detto che il giovane Regeni era finito in uno strano giro di omosessuali.
Quindi che era finito in uno strano giro di droga.
Quindi che era stato rapito da una gruppo di sbandati malavitosi che ne volevano chiedere il riscatto.
Dopo questa ennesima versione assurda e poco credibile, che ci ha fatto molto incazzare per il fatto di venire presi in giro da un paese straniero che ritenevamo amico, ecco l’ultima apparente verità. Regeni andava in giro a fare domande poco opportune, assoldato dai suoi capi inglesi dell’Università, e quindi è stato denunciato per patriottismo alla polizia egiziana dal capo del sindacato autonomo degli ambulanti, accusato di essere una pericolosa spia che andava eliminata.
Esiste un video che ritrae Giulio nove giorni prima di venire fatto sparire.
In questo video il sindacalista gli chiedeva del denaro, ma lui risponde che non può dare denaro per una ricerca universitaria i cui finanziamenti non dipendono da lui, di cui lui certo non ha nessun interesse privato e personale.
Allora come sarebbe andata a finire? Il sindacalista lo vende alle forze dell’ordine perchè non avrebbe ottenuto il compenso desiderato?
E perchè questo video compare solo oggi? E chi manovrava dietro questo video?
Il sindacato o i servizi segreti? O entrambi? Regeni era già stato avvistato da tempo come una persona indesiderata che andava in giro a fare troppo domande scomode?
Ma perchè l’Università inglese che gioca un ruolo di primo piano in questa vicenda non fa sentire la sua chiara versione? Che non l’abbiano voluto fare i servizi segreti egiziani è abbastanza comprensibile. Ma gli inglesi?
Regeni era consapevole di quanto stava rischiando in questa vicenda? Era consapevole di stare in una paese per nulla democratico che certo avrebbe mal digerito il suo andare in giro a fare domande pericolose? In che modo la stessa Università inglese è in parte responsabile di mandare suoi accademici dentro situazioni certamente scomode e troppo a rischio?
Al Cairo ogni giorno spariscono di media tre giovani sotto tortura e sotto repressione.
Giulio Regeni per questo governo era solo ed è stato solo un personaggio che andava eliminato e che poi andava scaricato nella maniera più opportuna e più indegna.
Per esempio, cercando di infangarne la memoria ed il merito, memoria e merito che non è stata in nulla scalfita da tutti questi 365 giorni che ci dividono da quel tragico evento.
Credo che presto la totale verità verrà fuori. E credo che in questa storia gli inglesi giocano un ruolo non minore. Non si vuole sminuire la gravissima responsabilità del governo egiziano, un governo dittatoriale e violento, che non poteva venire in alcun modo sottovalutato.
Di certo c’è solo che un giovane italiano brillante e coraggioso (forse fin troppo) è stato eliminato tra le peggiori sevizie nel compimento del suo lavoro, nel compimento del suo dovere, nel compimento della sua missione universitaria.
La sua famiglia ne porterà il dolore per sempre.
Noi possiamo solo prenderne atto. E riflettere sull’immediato futuro. Anche con scelte internazionali mirate e accorte. Nel nome di questo nostro meritevole italiano.
Erano famiglie normali che si erano concesse un fine settimana sulla neve e tra il relax di un confortevole bagno caldo invernale.
Insomma, pensavano di andare a stare bene, a stare tranquilli, cullati per qualche giorno dal piacere del dolce far nulla.
E invece succede che viene a nevicare, in quei luoghi di alta montagna, nell’Abruzzo del Gran Sasso, una nevicata straordinaria, e poi il terremoto che fa tremare il monte a ridosso di questo Hotel a Rigopiano.
Il terremoto causa una terribile slavina che cade a valle e sotterra totalmente la struttura alberghiera con dentro 37 persone tra ospiti e personale di lavoro.
Come se non bastasse il tutto succede nell’oscurità della sera, ed i primi soccorsi arrivano solo dopo oltre 20 ore dal primo lanciato allarme.
I mezzi antineve vicini e disponibili (che comunque avrebbero potuto fare ben poco, visto la gravità dell’evento) sembrano non essere funzionanti, e la macchina della protezione civile e del soccorso alpino arriva sul posto con notevole ritardo.
Vuoi che la gravità della situazione viene sottovalutata, vuoi che nessuno si prende la responsabilità di prendere decisioni, vuoi che si vuole andare a risparmio a discapito di vite umane, vuoi che non si è mai preparati a gestire le emergenze…e così nessuno arriva quando sarebbe stato utile arrivare.
Polemiche a parte, adesso c’è mezza Italia su quel cumulo di ghiaccio tra uomini addestrati al salvataggio e volontari generosi, ma per ogni ora che passa sta diventando sempre più pesante e perenne il rischio di trovare ormai solo cadaveri.
Si lotta contro il tempo, ed insperatamente vengono salvati quattro bambini, e poi una madre che lancia l’allarme per gli altri, e poi altre sei persone. In tutto undici superstiti.
Si trovano anche cinque morti. All’appello mancano ancora 23 sfortunati. Forse sono di più.
Qualche bambino salvato è rimasto senza i genitori. All’uscita dal tunnel della morte dove gli angeli della montagna hanno scavato con ogni mezzo e con la necessaria maestria, un piccolo sopravvissuto trova solo lo zio, che deve dare lui quel che è possibile dare a un infante che ha perso nel giro di un attimo le due persone a lui più care.
Gli adulti ritrovati raccontano che i piccoli sono stati bravissimi, che non hanno mai pianto, che si sono stupiti di potere mangiare solo nutella e sempre nutella, visto che avevano imparato che la troppa nutella fa male…
Ci si chiede perchè. Ci si chiede come. Ci si chiede se si poteva fare di meglio. E ci si chiede cosa sia ancora possibile fare. Ci saranno ancora persone vive là sotto? E se ci sono, dove saranno, perchè non si sentono più suoni riconoscibili?
Certo, se sono ancora vivi staranno conservando il respiro, staranno conservando il fiato, staranno raccogliendo tutte le loro forze per farsi coraggio, per non mollare, per resistere.
L’hotel di Rigopiano di certo non c’è più. E’ finito sotto centinaia di centinaia di metri cubi di ghiaccio.
Come nella tragedia del Vajont che si portò via in pochi attimi interi paesi (là per colpa dell’operato stesso degli uomini), qui abbiamo avuto e stiamo avendo per un evento del tutto naturale la sparizione di un borgo, anzi, di un insieme di borghi ormai dichiarati non più sicuri, comprese le fattorie del luogo che ospitavano famiglie di semplici montanari abituati a fare fatica, abituati ad arrangiarsi, con i loro animali, anch’essi condannati senza pietà alla morte per freddo e mancanza di cibo.
Le pecore con i loro agnelli, le mucche con i loro piccoli, e tutto il bestiame dei luoghi, là dove non più soccorsi e sostenuti, si sono trasformati tra l’impotenza dei loro padroni, da animali mansueti e docili a carcasse irrigidite per i rapaci.
Ma si può morire di freddo e di abbandono nel 2017 in un paese civile come l’Italia?
Perchè non si è saputo ascoltare la richiesta di aiuto e non sono stati forniti i mezzi da chi i mezzi li ha e li avrebbe potuti garantire in emergenza?
Evidentemente qualcosa di doveroso non è stato fatto. Siamo davanti a un tentato omicidio, questa è la conclusione.
La ricerca di Yann Arthus Bertrand
perchè si può e si deve essere cinici, severi, critici, taglienti, obiettivi, razionalisti, storici, e tutto quello che si vuole, ma alla fine è solo quello che sentiremo primordiale dentro di noi che farà di noi noi stessi.
Anche quest’anno è tempo di Natale, tempo di feste, di auguri, di ….voglia di famiglia.
Auguri a tutte le famiglie allora, a chi la famiglia non ce l’ha o ce l’ha lontana, a chi la cerca, a chi l’ha persa, a chi la ritrova, a chi se la sceglie a propria misura, a chi si dedica a lei tutti i giorni chiedendo poco in cambio, a chi riconosce e sa che le famiglie sono preziose, a chi le famiglie le supporta e le sostiene, …e a chi ha avuto il coraggio di rinnegarla, la propria famiglia sbagliata… in cambio di una giusta.
BUON NATALE A TUTTI, BUONE FESTE AL MONDO…
Per lui c’era prima la persona e poi la malattia. Perchè siamo un tutt’uno.
Laico, coraggioso, rivoluzionario, sensibile, intelligente, ricercatore, affascinante, innamorato della vita, idealista… guaritore della più terribile malattia…
E’ morto Dario Fò, un gigantee, un genio, un… adorabile Giullare del pensiero.
Era un casinista, un sovvertitore, imprevedibile, intelligente, colto, irriverente, provocatore, uomo libero del nostro tempo, giovane nello spirito, rivoluzionario, eclettico, …come lui nessuno.
Ciao Dario, rideremo per molto molto tempo ancora con te….garantito, e spero anche non solo ridere. Perchè è il momento di essere seri.
l’opera completa
Utero in affitto no, adozioni per tutti sì.
Diritti civili sì, omologazione no.
Un Diritto è un dovere, non un assurdo.
Per maggiori chiarimenti:
Testo di legge in Parlamento: ddl Cirinnà
Tu cosa ne pensi?
Il cambiamento del mondo è una questione di carte?
Da poco tempo nella scuola le schede dei genitori che devono compilare all’atto dell’iscrizione di loro figlio non portano più la voce genitore 1 e genitore 2, ma la voce Tutore 1 e Tutore 2.
Questo per non urtare la sensibilità delle coppie omosessuali che portano il loro bambino a scuola senza per questo esserne stati obbligatoriamente generatori.
L’idea di una nuova maternità e di una nuova paternità ha sempre affascinato il mio intelletto e il mio cuore; credo profondamente nella famiglia, che è il luogo dove si forma all’umanesimo, ma che si sarebbe arrivati un giorno a concepire una società dove tra la normalità familiare venisse inclusa l’avere due padri o due madri, senza con questo passare da una rivoluzione di pensiero collettiva, da una collegialità di discussioni, da una serie di passaggi formativi che si appellassero alla sapienza dei saggi, dei filosofi, degli antropologi e dei religiosi, non me lo sarei mai aspettato.
Il mondo della scuola, imponendo questa nuova modulistica, ha deciso per tutti, e anche sotto silenzio, perchè la società di fatto non ne parla, non fa cenno di questo pensiero Gender che in due parole sostiene l’annullamento della propria sessualità fisica, nel nome di una libertà assoluta di comportamento sessuale.
Libertà intesa come identità transgenere, ossia che tu sia maschio o che tu sia femmina, potrai decidere quando vorrai chi essere, come essere, cosa fare, quale famiglia costruire.
Dunque le famiglie con due maschi o con due femmine diventeranno sempre più la normalità.
Il fenomeno delle madri in affitto diventerà una pratica legalizzata e sempre più praticata.
L’inseminazione artificiale a confronto è diventata come bere un bicchiere d’acqua, perchè non c’è neanche da parlarne.
Si diffonderà sempre più una letteratura già per altro in utilizzo in certe realtà estere ma anche nella nostra comunità italiana dove si parla appunto in termini di favolette di due pinguini maschi che si vogliono bene e che vanno a prendersi l’uovo di una simpatica amica pinguino che lo cede loro per senso di altruismo e per dare a tutti, nessuno escluso, la possibilità ed il diritto d’essere felice.
Favolette dove due orsette si amano alla follia e decidono di farsi fecondare, una delle due su decisione condivisa, grazie ad un semino fertile che un simpatico amico orso rende loro disponibile, ovviamente per un sentimento di generosità, in modo che tutte, nessuna esclusa, abbia la possibilità d’essere felice.
Sembra che oltre alle favolette si arriverà ad un vero e proprio indottrinamento infantile dove si ricorrerà alla manipolazione del pensiero che in quella fascia di tempo che è la prescolarità, è come un pongo che può assorbire di tutto (indottrinamento già in corso all’estero).
Insomma, tutto questo per garantire il diritto di tutti alla felicità.
Siamo tutti uguali, tutti abbiamo il diritto d’essere amati e di diventare padri o madri di una nostra creatura, concepita per questo scopo, per questo fine, per questo progetto.
Che poi venga fabbricata su commissione, o che venga costruita grazie all’uso di una provetta, e non grazie all’incontro di due esseri che si incontrano e si accoppiano come madre natura avrebbe pensato e architettato, è diventato solo un dettaglio di nessuna rilevanza, perchè il trionfo dell’amore non ha prezzo, non ha limite, non ha freno, non ha giustificazione contraria accettabile.
Insomma, la natura fisica non è più ciò che detta legge, come accadeva fino a ieri; per oltre duemila anni siamo stati educati al pensiero che la natura del corpo avesse la sua importanza, avesse la sua fondamentalità, addirittura la sua sacralità templare, avesse la sua ragion d’essere. Oggi ci si dice che il corpo è solo un dettaglio, perchè domina la mente e il cuore.
Ok, non mi dispiace l’idea di questa superiorità del cuore e della mente.
Nessuno più di me abbraccerebbe l’idea dello scavalcamento puramente fisico della persona, per permettere la liberazione e la realizzazione di progetti spirituali e metafisici.
Messa in questo modo chi non sarebbe favorevole alla felicità di ogni essere?
C’è solo un dubbio che mi rimane da districare, e non si può non concedermelo, se vogliamo essere onesti e intellettualmente corretti.
Voglio meglio conoscere il fenomeno delle madri in affitto.
Voglio capire le vere ragioni del loro gesto.
Voglio meglio capire se lo fanno per pura generosità.
Voglio meglio capire se rimangono indenni nel corpo e nella mente dopo avere fatto un bambino che poi cedono ad altri senza più vederlo.
Voglio meglio capire se lo farebbero lo stesso senza dovere percepire un solo centesimo.
Voglio meglio capire se hanno la libertà fino all’ultimo di cambiare idea e di retrocedere dal loro immagino contratto di compravendita.
Voglio meglio capire se le coppie omosessuali che si commissionano un figlio, se lo farebbero commissionare da donne di cui non conoscono la sanità fisica e mentale e dunque saprebbero accettare l’eventualità di un figlio che dovesse nascere invece diverso da come se lo siano immaginato (realtà che puntualmente può accadere nelle coppie etero).
Voglio capire come reagirà questa società quando cominceranno i primi divorzi tra coppie omosessuali detentrici di figli (possibilità del tutto legittima visto che accade normalmente nelle coppie etero).
Voglio capire come saranno i figli di queste nuove famiglie tra vent’anni o anche meno, quale opportunità di vita e realizzazione troveranno nella società che dovrà essere capace di accoglierli come figli assolutamente uguali a quelli di tutti (nei fatti e non solo nelle parole).
Voglio capire come sarà il loro modo di pensare, di amare, di volere, di progettare le loro famiglie.
Voglio che la stessa famiglia tradizionale si sappia mettere da subito in discussione, e sappia tirare fuori il proprio relativo fallimento, ragionando sulla violenza sulle donne, ragionando sulla libertà di abortire, ragionando sulla libertà di divorziare, ragionando sulla libertà di cambiare se stessa, perchè o la famiglia è una sola e uguale, aldilà delle differenze, o avremo famiglie di serie A e famiglie di serie B, e questo non può essere accettabile.
Voglio che la famiglia della normalità si metta al tavolo con la famiglia della diversità, e cominci a parlarsi e confrontarsi in una agorà che finirà nella notte dei tempi.
E voglio una società che cominci a fare discussione pubblica a 360 gradi su tutte queste grandi perplessità.
Che faccia vedere al mondo islamico così profondamente lontano e così profondamente vicino, che non siamo dei folli, che non siamo privi di valori, che siamo oltre le conflittualità semplicemente la culla del ragionare e dell’incontrare, che proteggiamo e amiamo quanto loro e forse più di loro una certa idea di vita, di onestà, di purezza, di solidarietà (senza nemmeno avere bisogno di dimostrarlo).
Certo Chiediamo loro (alla società civile) scusa se senza renderci conto li abbiamo offesi, abbiamo urtato il loro sentimento di rispetto. E senza dubbio lo abbiamo fatto.
Vogliamo dire loro (alla società civile) che aldilà dei nostri errori noi simo fieri d’essere liberi, liberi anche di cadere, liberi anche di fare confusione, di stravolgere noi stessi.
E vogliano dire loro (alla società civile) che se non sapranno da oggi portarci rispetto per quello che abbiamo dato e diamo e daremo, allora noi il rispetto da oggi ce lo prenderemo.
Ce lo prenderemo, perchè troppo abbiamo dato e non solo molto abbiamo preso.
(capitoletto del libro in programmazione Un paese, una scuola)
(Dedicato ai giovani uccisi a Parigi dagli assassini che si fanno chiamare terroristi dell’Isis ma sono solo animali da abbattere.)
Ci sono medici veri che curano facendosi mille domande,
e altri che le domande le rifuggono, pensano solo a pararsi il culo quando il malato presenta un problema che vedono per se stessi solo come una possibile complicazione, fregandosene di quel benedetto giuramento che hanno pronunciato nel nome della medicina e dei diritti del malato.
Di questi secondi i nostri ospedali ed ambulatori sono pieni zeppi.
Io lancio un urlo di sconcerto: “Cercasi medico vero disperatamente”
E intanto nel mondo scopriamo che la medicina non è mai una sola…
Sto andando a farmi la solita terapia giornaliera, o quasi; nulla di preoccupante, solo un fastidiosissimo catarro che mi ha occluso l’orecchio sinistro con tutte le debite conseguenze (colpa di questa influenza devastante).
Mi siedo in metropolitana, che alle sette del mattino è ancora molto scorrevole, per lo meno da dove la devo prendere io.
Ce ne sono di fermate e quindi mi metto tranquilla a guardarmi in giro i miei compagni di viaggio.
Nulla di particolare attira la mia attenzione, fino a che non sale sul vagone un giovane di colore, forse proveniente dall’Africa centrale, a giudicare dalla pelle molto scura.
E’ normalmente vestito, direi all’occidentale, potrebbe sembrare uno dei nostri studenti come ce ne sono centinaia, che vediamo tutti i giorni, e fin qui tutto ok; ma appena si sistema nell’angolo che si sceglie per il suo tragitto, estrae dallo zaino un piccolo libretto rivestito di pelle di cuoio marrone, con davanti incastrata come una stella, o qualcosa del genere.
Capisco subito che deve essere il suo libro delle preghiere.
Dunque è un giovane musulmano che sta per adempiere al dovere della preghiera quotidiana, rito che ogni islamico ripete per cinque volte durante la sua giornata.
Se a fare quel gesto fosse un giovane dei nostri, non ci si potrebbe credere, ovviamente; subito penseremmo a uno squilibrato, a un pervertito, o quanto meno a uno che vive fuori dal mondo, con qualche problema di socializzazione.
Ma siccome sappiamo che per loro è un dovere, e sappiamo che per loro è una abitudine, e sappiamo che per loro è una cosa del tutto ordinaria, allora nessuno dei presenti si stupisce più di tanto.
Mi viene però da osservarlo; lui non sa che lo sto guardando, o sembra non volerlo sapere, perchè nonostante sta davanti a me, non alza lo sguardo dal suo libretto dove con lo sguardo fa scorrere le pagine, una dopo l’altra.
Mentre che legge le sue labbra si muovono alla recita dei versi, come facevano le nostre nonne che recitavano il rosario a bassa voce, senza disturbare il silenzio delle stanze che le avvolgeva e le custodiva.
Lui invece sta pregando in mezzo a un mare di estranei, in pieno giorno, anzi, di mattina appena inoltrata, senza preoccuparsi di nulla, nè di chi lo guarda, nè di chi gli sta accanto.
Ad un certo punto si libera un posto, allora smette un attimo di pregare, si allontana per sedersi, il tempo di risistemarsi e riprendere la recita della sue preghiere.
Mi rendo conto della sua fortuna, o meglio, del suo privilegio condiviso e concesso, ossia di potere manifestare il proprio credo religioso senza preoccupazione, cosa che noi non possiamo fare nei loro paesi, non senza qualche complicazione.
Accanto a lui sta una giovane donna che probabilmente sta per recarsi al lavoro; lei non sta leggendo nessuna preghiera, ma naturalmente il giornale, quello appena ricevuto o ritirato all’ingresso della metro. Ne approfitto per fotografarlo, in modo da non essere notata, perchè non vorrei che poi lui se ne abbia a male, visto che non ho cattive intenzioni su come utilizzerò la sua immagine (una volta feci lo stesso in Giordania ma con conseguenze non esattamente pacifiche).
A questo punto mi viene spontaneo fare questa riflessione: ma noi siamo mai stati in un tempo remoto, quando la modernità non era ancora imperante come ora, in qualcosa simili a questa gente, che nonostante la modernità dominante si occupa normalmente delle faccende di Dio tra gli obblighi e le necessità quotidiane?
Certo, abbiamo subìto un periodo in cui ci veniva imposto di essere credenti, e di essere osservanti, e di essere come una certa etichetta ben pensante ci obbligava a mascherarci.
Non voglio nemmeno entrare nel triste ed obsoleto capitolo della Chiesa che addirittura ha commesso delitti orribili nel nome della stessa fede, o infangando la tonaca che in modo indegno certi preti hanno indossato e a volte continuano ad indossare.
Non è di questo che ora vorrei discutere con voi.
Quello che io mi chiedo, e vi chiedo, cari amici che mi leggete, è perchè abbiamo smesso di pregare.
Certo, mi si risponderà che non è vero che abbiamo smesso di farlo; che lo facciamo quando nessuno ci vede e nel privato della nostra vita. Che andiamo in Chiesa solo quando ne sentiamo il bisogno e che comunque anche se non lo facciamo vedere, noi sappiamo che dentro di noi un pò di fede c’è, un pò di fede è rimasta (ma quanto un pò? cosa vuol dire che ci è rimasta un pò di fede? forse che la fede si può misurare in grammi? facciamo ricette del tipo “Mi dia un etto di misericordia e due etti di coraggio, mescolati a centocinquanta grammi di speranza, per favore…)
E mi si risponderebbe che loro sono antiquati a continuare a fare quello che noi abbiamo capito non essere più necessario (ma che cosa non sarebbe più necessario? pregare o pregare in quel modo?? ma poi che ognuno preghi pure come meglio crede, magari anche bestemmiando, se è la sola preghiera che la vita gli ha dato di conoscere)
Qualcuno potrebbe osservare: ” Abbiamo visto quanto serve questo rito ripetuto e ostentato a conservare queste persone migliori di noi, visto che l’unica vera preoccupante paura terroristica attuale proviene proprio da questa religione.”
Ma ne siamo proprio sicuri?
Premesso che loro non stanno ostentando nulla, ma solo ricordando a se stessi quello che sono, mentre noi ce lo siamo dimenticato, non è forse proprio l’esercito terroristico islamico che tutto ampiamente mostra di sè, armi e terrore, ben guardandosi dal mostrarsi inerme ed intento alla preghiera?
E’ solo la sua bocca piena di farneticanti esclamazioni ad evocare la figura di Dio, mentre che non si cura di conservare nulla di umano, e di conseguenza nulla di divino (ed infatti questo presunto esercito jihadistico non ha nulla a che spartire con l’Islam).
Nulla da paragonare con quanto sto vedendo: davanti ai miei occhi c’è solo un giovane uomo, del tutto pacifico, del tutto perfettamente inserito nel contesto che lo circonda.
Nulla di lui mi fa pensare ad una presenza pericolosa, o ad un individuo fuori dal mondo, o ad un giovane che potrebbe andare ad arruolarsi domani con quei folli che si mascherano di nero, kalashnikov in spalla.
Sono certa che se mi mettessi a ragionare con lui, potrei scoprire una bella persona, con le sue credenze e le sue aspirazioni del tutto simili alle mie.
Allora mi chiedo dove stiamo sbagliando, nessuno escluso, in questa faccenda dello scontro tra civiltà, che invece il terrore vuole farci temere.
Io credo piuttosto che qualche cosa abbiamo perso che invece merita d’essere recuperato; e credo che c’è qualcosa in questa gente che merita d’essere condiviso, a condizione che si possa incontrare in essa quella stessa curiosità verso l’altro che fa abbattere ogni diversità.
Vuote e retoriche parole? Non credo proprio. Non sto parlando di come meglio apparire o di come aumentare il nostro giro d’affari (pratiche oltremodo nobili se ben finalizzate); sto banalmente dicendo di come dovremmo preoccuparci di tenere il cervello acceso, ed insieme al cervello, anche il cuore.
e la luce fu
In una stanza silenziosa c’erano quattro candele accese. La prima si lamentava: “Io sono la pace. Ma gli Uomini preferiscono la guerra: non mi resta che lasciarmi spegnere” e cosi accadde. La seconda disse: “Io sono la Fede. Ma gli Uomini preferiscono le favole. Non mi resta che lasciarmi spegnere” e cosi accadde. La terza candela confessò: “Io sono l’amore. Ma gli Uomini sono cattivi e incapaci di amare. Non mi resta che lasciarmi spegnere“. All’ improvviso nella stanza comparve un bambino che, piangendo, disse: “Ho paura del buio“. Allora la quarta candela disse: “Non piangere. Io resterò accesa e ti permetterò di riaccendere con la mia luce le altre candele. Io sono la speranza“
che fa la differenza
Cercavo un articolo speciale da ribloggare ed ho trovato questa meraviglia!
Ve la regalo… 🙂
Oggi niente cose tristi e strazianti; solo pensieri positivi.
Come una casa nuova appena finita e tutta da riempire di cose nuove e pimpanti, allegre.
Vediamo cosa ci può essere di allegro, a cui pensare.
La compra di piccole cose che non costano nulla ma che, come si suol dire, arredano.
Oggi ho visto una mia parente acquisita, morire.
Aveva ottant’anni ed era una specie di zia che però da anni non frequentavo più, per vecchie storie come ne esistono spesso in molte famiglie.
Voi mi direte: e allora, era vecchia, non ci eri affezionata, non era quasi niente per te, e dunque? dove sta il dolore? dove sta la notizia degna di riflessione?
La notizia degna di riflessione è che la conoscevo, e per diversi anni l’avevo frequentata, del tipo Natale insieme, le domeniche ogni tanto, ed era una brava donna.
Cari amici, cerchiamo di fare il punto.
Il Pd guidato dal suo fallimentare capobastone non ha saputo trovare la via della riuscita verso il governo, eppure i segnali della disfatta c’erano tutti e belli evidenti, considerando che si trova ad essere solo il numero uno di un numero tre…
Il Pdl chiede dall’inizio di potere fare il governissimo, ma non è stato minimamente preso in considerazione come se fosse la peste fatta persona, mentre ha preso i suoi terzi di voto come tutti gli altri.
Testimonianze dirette di chi l’ha frequentata
Sono i giovani di Barbiana stessi che definiscono in cinque punti la scuola nel 1963, quattro anni prima della morte di don Milani:
1.Barbiana
« …Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi… In tutto ci sono rimaste 39 anime… In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l’acqua. La strada non c’era. L’abbiamo adattata un po’ noi perché ci passi una strada. »
2.La scuola
« La nostra è una scuola privata… D’inverno stiamo un po’ stretti, ma da aprile ad ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca… Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane… Qualcuno viene da molto lontano, per esempio Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni il più grande 18… l’orario è dalle otto del mattino alle sette e mezzo di sera… Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco… i giorni di scuola sono 365 all’anno, 366 negli anni bisestili… abbiamo ventitré maestri, escluso i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli minori di loro… »
3.Perché i suoi ragazzi andavano a scuola “sul principio”
« Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori… »
4.Perché andavano a scuola “dopo”
« A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere.Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre. »
5.Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare
« …Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell’altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s’è voluto iscrivere a elettrotecnica. Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città. E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz’ora… Pressione dei nostri genitori e del mondo a nostra difesa, però c’è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo. Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt’altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola. »
Riflessioni brevi personali
La scuola di Barbiana, oggi, non è più un luogo fisico dove si possa andare e decidere di rimanervi.
Essa è rimasta un luogo non luogo, un tempo non tempo, che solo continua a vivere nelle persone che l’hanno frequentata, e più che frequentata, vissuta e portata nel cuore. E dopo di loro continua a vivere nelle persone che l’hanno studiata, approcciata, incrociata nella propria formazione pedagogica.
La scuola del prete più discusso d’Italia (se non il più discusso, uno dei più chiacchierati) è praticamente la storia di questo stesso religioso ed educatore; perseguito per la sua eccessiva originalità e per il suo temperamento eccessivo, don Lorenzo viene mandato a Barbiana per punizione, affinchè gli venga inflitto una specie di confino, di isolamento.
Invece a Barbiana il nostro speciale investito religioso mette floride e felici radici. A dispetto di ogni più funerea e malvagia previsione.
Don Lorenzo l’intemperante, Don Lorenzo il cattocomunista, Don Lorenzo l’eretico, Don Lorenzo il disubbidiente, Don Lorenzo il folle…
Invece Don Lorenzo è solo un prete fuori da ogni schema e fuori da ogni ortodossia, ed è un educatore che concepisce quindi la scuola soprattutto per quei poveri che nella scuola normale verrebbero e sono di fatto “scartati” perchè ritenuti inadeguati e non dotati.
Certo, molti studenti smidollati di oggi non so se metteremmo con coraggio mai un piede dentro questa concezione di formazione scolastica. Qui non c’è un solo giorno di vacanza, non c’è il momento del gioco, non ci sono distrazioni di sorta.
Lo studio è per ogni suo partecipante come la vanga per il contadino; come l’adulto deve lavorare, il bambino/ragazzo deve studiare. Almeno fino a che non deciderà d’essere pronto per il lavoro. E magari deve anche lavorare, per aiutare la famiglia…
E non si studia per il voto, perchè qui i voti non esistono. Esiste il capire, il saper fare, il progettare, l’ingegnarsi…
Lo studio è una cosa assolutamente seria e faticosa, e don Lorenzo lo sa.
Ma grazie ad esso i giovani formati ed educati alla vita saranno uomini adulti capaci d’affrontare ogni genere di difficoltà, capaci di scegliere, capaci di conoscere, evolvere e comprendere.
Questo è il fascino di questo maestro mai tramontato, un insegnante che non pensa a bocciare nessuno, ma che pensa a salvare tutti, a dare a tutti la propria possibilità.
BARBIANA COME SCUOLA DELL’AUTONOMIA (aveva il suo regolamento) , DELLA COOPERAZIONE (i più grandi devono insegnare ai più piccoli e si studiano i metodi di scuola utilizzati dagli altri paesi), DELLA FLESSIBILITA’ ( ci sono programmi plurimi, personalizzati e contestualizzati) E DEL TALENTO ( occorre portare ognuno alla realizzazione personale e sociale)
Ma non sono forse le caratteristiche che la scuola dello Stato cerca di perseguire ancora oggi più di ieri, come mete e propositi di non facile realizzazione?
Domanda legittima: come può in insegnante che si riconosce in questo modello, stare bene e trovare il proprio posto nella scuola reale?
Insegno ispirandomi nel mio piccolo a tre grandi maestri del recente passato. Li chiamo le mie tre emme, emme come Montessori, come Milani e come Maieutica.
I corsi di formazione continua, moderni e supertecnologici, non sono stati in grado di sostituirli. Questi mi rendono informata e formata, ma quelli danno il senso e tracciano la via del mio vagabondare lavorativo.
Ho annoverato l’antico Socrate tra i pedagogisti recentemente passati, come se fosse contemporaneo degli altri due studiosi ed educatori; e non è stato un lapsus o una svista; Socrate è assolutamente senza tempo.
Ecco quindi un brano classico di insegnamento maieutico, giusto per darne una rispolverata e nell’attesa di potere quanto prima riportare i miei…
Chiese il maestro ai suoi scolari: “Voi ragazzi, non avete mai confuso il vostro compagno Paolo con questa tavola o con questo albero? Giusto?”
“O no…”
“Perchè?”
“Perchè questa tavola è inanimata e insensibile; invece Paolo vive e sente!”
“Bene, se voi battete la tavola non sente nulla e voi non le fate del male; ma avete voi diritto di distruggerla?”
“No, si distruggerebbe la cosa altrui” “
“Che cosa dunque rispettate nella tavola?” il legno inanimato e insensibile, ovvero la proprietà di colui cui essa appartiene?”
“La proprietà di colui cui essa appartiene”
“Avete voi il diritto di battere Paolo?”
“No, perché gli faremmo male e patirebbe”
“Che cosa rispettate in lui?, la proprietà di un altro o Paolo stesso?”
“Paolo stesso”
“Voi non potete dunque né batterlo, né rinchiuderlo, né privarlo di cibo?”
“No, i carabinieri ci arresterebbero”
“Ah ,la paura del carabiniere…ma è solo per questo che non fareste del male a Paolo?”
“No, signore, perché noi amiamo Paolo e non vogliamo farlo soffrire, perché non ne abbiamo il diritto”
“ Credete dunque che bisogna rispettare Paolo nella vita e nella sua sensibilità, perché la vita e la sensibilità sono da rispettare?”
“Sì, signore”
“Vi è dunque solo questo da rispettare in Paolo? Esaminiamo, cercate bene”
“I suoi libri, il suo abito, la sua cartella, la colazione che vi è dentro…”
“ Sia, che volete dire?”
“Noi non possiamo stracciare i suoi libri, macchiare il suo abito, distruggere la sua cartella, mangiare la sua colazione”
“E perché?”
“Perché queste cose sono sue e non è permesso prendere le cose altrui”
“Come si chiama l’atto che proibisce di prendere le cose altrui?”
“Furto”
“ Perché il furto è proibito?”
“Perché si va in prigione”
“Sempre la paura del carabiniere….Ma è soprattutto per questo che non si può rubare?”
“No signore, perché la roba altrui deve essere rispettata, come la persona altrui”
“Benissimo, la proprietà è il prolungamento della persona umana e si deve rispettare come quella, ma è qui tutto? Non vi è altro da rispettare in Paolo che il corpo, i libri e i quaderni? Non vedete altra cosa? Non trovate più nulla?…vi metterò sulla via io: Paolo è uno scolaro studioso, un compagno franco e servizievole; voi tutti lo amate come si merita. Come si chiama la stima che noi abbiamo per lui? La buona opinione che noi abbiamo di lui?”
“L’onore, la reputazione…”
“Orbene, questo onore, questa reputazione Paolo si acquistò con la buona condotta e i buoni costumi. Sono cose che gli appartengono “
“Sì signore, noi non abbiamo il diritto di rubargliele”
“Benissimo, ma come si chiama questo furto, cioè il furto dell’onore? E prima di tutto, come si può rubarglieli?” sono forse essi che si possono prendere e mettere in tasca? “
“No, ma si può parlare male di lui”
“Come?”
“Si può dire che egli ha fatto del male a un compagno…che ha rubato delle mele nel vicino frutteto…che ha sparlato di un altro…”
“Sia, ma come così parlando voi gli rubereste l’onore e la reputazione?”
“Signore, non gli si crederà più, si avrà cattiva opinione di lui, si batterà, rimprovererà , e si lascerà in disparte…”
“Dunque, se voi dite male di Paolo, allorchè questo male è falso, gli farete piacere?”
“No, signore , gli si recherà dolore, gli si farà torto, il che sarebbe assai brutto e cattivo”
“Sì, miei ragazzi, questa menzogna con l’intenzione di nuocere sarebbe assai brutta e cattiva e si chiama calunnia. Io vi spigherò più tardi che si chiama maldicenza, il male che si dice di una persona, quando questo male è vero, e vi mostrerò le funeste conseguenze della calunnia e della maldicenza.
Riassumiamo dunque quel che dicemmo: Paolo è un essere vivente e sensibile. Non dobbiamo procurargli sofferenze, né derubarlo, né calunniarlo; dobbiamo rispettarlo. Si chiamano diritti queste cose rispettabili che sono in Paolo e lo rendono una persona morale” L’obbligazione che noi abbiamo di rispettare questi diritti si chiama dovere. Si chiama poi giustizia l’obbligo o il dovere di rispettare i diritti altrui. Giustizia deriva da due parole latine ( in iure stare ) che significano: “mantenersi nel diritto”.
I doveri di giustizia da noi numerati si riassumono così: Non ferire…non far soffrire…non rubare…non calunniare…” Riflettete alle parole che dite sempre: “Non” con un verbo infinito imperativo…che significa questo?…”
“Un obbligo, un comando…un divieto”
“Via, spiegate”
“L’obbligo del rispetto, il comando di rispettare i diritti…il divieto di rubare…”
“In che cosa dunque si riassumono essi? Nel non fare del male”
Brano tratto da “L’autoeducazione” di Maria Montessori Edizioni Garzanti
Ciao amici, oggi si parla di giustizia.
Ma quale giustizia? Quella dei tribunali?, quella processuale? O quella più generalmente intesa come senso positivo della vita? La mia attenzione riguarda quest’ultima.
Io non auguro al mondo felicità o ricchezza o potere o successo…tutte cose estremamente soggettive che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni generali ; io auguro al mondo che possa avere la sua giustizia, semplicemente.
Già la premessa fa comprendere che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.
Il fatto che questa emergenza o necessità prioritaria non si sia mai placata nella storia e nel tempo non è una buona ragione per ritenere archiviabile o secondario il tema di discussione.
La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.
Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare, mentre il successo è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto visibile e concreto, per cui su di esso, sulla sua oggettività si è tutti generalmente d’accordo, la giustizia è un cammino, è un sentiero, è un percorso che solca tracciati impervi e spesso sconosciuti alla grande notorietà, senza per questo rimanere mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.
Cercano giustizia tutti gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia tutti gli esseri privi di parola, privi di capacità di difesa, privi di autonomia che per difendersi dalle offese devono ricorrere alla parola di chi sa e deve spendere voci per loro.
Cercano giustizia i carcerati nelle carceri, che si trovano a scontare una giusta pena in condizioni incivili ed ingiuste; cercano giustizia i perseguitati, gli scherniti, gli esclusi, i diversi, che per le più varie ragioni non si sono trovati garantiti i diritti più elementari e prioritari, sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti i loro diritti anche dopo lunghe lotte e battaglie.
Cercano giustizia i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi per la giusta via di mezzo, ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo negazioni, scorrettezze, squilibri; cercano giustizia.
Cercano giustizia gli incompresi e i calunniati, quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati di avere agito male, quelli che hanno gito per l’interesse comune ma si sono trovati tacciati di avere agito per interessi personali; cercano giustizia gli infermi obbligati a condizioni di vita disumane e ben oltre il limite della sopportazione.
Cercano giustizia gli sfortunati che sono nati nella parte sbagliata del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato; cercano giustizia gli sfruttati, i raggirati, quelli che sono stati usati come oggetti e poi buttati via come pezzi di ricambio; cercano giustizia gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie che a causa di leggi ingiuste o non perfette si sono trovati a pagare le colpe degli altri, della cattiva politica, della cattiva amministrazione.
Cercano giustizia quelli che non capiscono, quelli che devono fare appello a tutta la loro buona volontà per far tornare i conti che non tornano, quelli che non hanno mezzi adeguati per farsene una ragione e tuttavia se la inventano, se la sanno improvvisare.
Cercano giustizia quelli che stanno al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo, e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento del salto, dello scatto, dell’involata.
Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta, però continuano lo stesso a dare quello che sanno fare e costruire, perché le loro ragioni superano ogni forma di soddisfazione apparente.
E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera, si ha solo da sperare che non ci si stanchi mai di farlo.
Tra l’inizio di questa ricerca e la sua risoluzione il tempo che può intervenire nessuno può calcolarlo e prevederlo; vuoi perché i tempi stessi della sua realizzazione sono assai contorti, vuoi perché non è affatto garantita nessuna dirittura d’arrivo.
Nella ricerca di questa benedetta benedizione, corre la vita.
La vita di quegli stessi corridori che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.
Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è intervallo, che non sia quello contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze, di riorganizzare il tempo.
Alla fine della corsa uno saprà la verità.
Qualcuno però non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia, perché non hanno potuto avere le loro occasioni.
Non crediamo a chi vuol scoraggiarci ; non crediamo a chi vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo a chi sembra già avere il paradiso nelle mani mentre ha solo palta e fango.
C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso della vita.
Tutto qui.
La giustizia insomma è solo una questione di volontà, che supera l’oggi, che supera lo ieri, che supera la paura del fallimento e della solitudine.
Dopo la famiglia aperta ha vinto la società spalancata.
Andiamo verso la società CONDIVISA, questo è il messaggio chiaro ed inequivocabile che arriva dal tribunale europeo.
Non a caso ho scelto il termine spalancata piuttosto che nuova; divenire un sistema di paesi dove la legge che deve regolamentare il matrimonio diviene unica e sottoscritta, significa aprire le frontiere che prima bloccavano la valdità di una legge all’ingresso di una nuova comunità, ma non significa divenire un sistema di paesi che comincia a pensarla effettivamente nella stessa maniera.
Questo è solo un segno di progresso pilotato, di invito al bisogno di dialogo.
Ognuno rimanga della propria convinzione religiosa od etica che sia, ma quando si tratta di regolamentare sotto il profilo legislativo e quindi comunitario le leggi che disciplinano una realtà imperitura e principe come quella della famiglia, allora occorre, per il bene stesso della distensione sociale, arrivare ad un punto di incontro.
Io ho interpretato in questo modo lo spirito di questo diktat.
Quali potrebbero essere altrimenti le conseguenze di eventuali irrigidimenti nei confronti di queste realtà diffuse?
Purtroppo le possiamo immaginare: discriminazioni, ghettizzazioni e persecuzioni nei confronti dei diversi di turno.
Oggi sono i gay sotto il mirino della censura e dell’odio, ieri lo sono stati gli ebrei, gli zingari, i malati di mente e i neri…
Rimane il fatto che l’Europa non è il mondo; fuori di questo pugno di terra c’è il pensiero musulmano che di certo ha ben altre attenzioni e direttive comunitarie, e questo significa semplicemente che siamo ben lontani dall’avere risolto un tabù, un pregiudizio, o qualcosa di simile, che credo mai verrà completamente divelto.
Siamo davanti ad un ostacolo veramente ostico.
Fino a che si diceva che i neri e i bianchi dovevano avere gli stessi diritti, si proclamava qualcosa di molto ovvio.
Fino a che si è detto che mai più bisognerà toccare il capo di un ebreo, si è detto qualcosa di molto sacrosanto…
Ma quando si viene fuori a dire “Io omosessuale ho diritto a sposarmi e a formare una famiglia con gli stessi diritti di un eterosessuale”, allora si viene asserendo qualcosa che va contro la natura stessa, che non è più tanto ovvia.
Mi spiego meglio: non è ovvio dire che l’uomo e la donna sono la stessa cosa, nel senso che è solo una questione di attitudine scegliere di essere una cosa piuttosto che un’altra, perchè si nasce già con una certa predisposizione, e la natura non è quello che si vede fuori ma è quello che esiste di dentro.
Come spiegare ad una persona normale, e sottolineo normale, che il sesso di una persona non è quello che ha o non ha , ma è quello che è o non è?
Siamo ancora abbastanza lontani dal poterlo comprendere.
Inutile fare il finto progressista, inutile fare lo snob che in pubblico finge d’essere equipaggiato a gestire certe realtà, ma poi nel privato può solo dire “In casa mia, non lo accetterò mai…”
Da che mondo è mondo noi diciamo “Il cielo è blu e la merda puzza…” perchè vediamo che il cielo è di quel colore e che di fatto i nostri escrementi non emanano un buon profumo.
Poi ci dicevano anche “La mamma fa i bambini ma il papà no”
E noi zitti perchè vedevamo che era proprio così, perchè sapevamo che così andava il mondo.
Ora qualcuno ci viene a dire che “Tu sei quello che provi e non quello per come sei fatto”.
STRAORDINARIO, RAGAZZI.
Ma allora questo è il Paradiso, dove finalmente viene riconosciuto il primato dell’invisibile sul visibile, del vero sul falso, dell’interno sull’esterno, e se questo è il Paradiso, perchè tutte le altre cose che andrebbero messe a posto ancora non funzionano?
Perchè questa antica discriminazione comincia a girare bene e tutte le altre rimangono sotto uno strato di letame che forse altri duemila anni potranno bastare a creare cambiamenti?
Cos’ha l’evidenza del sesso da smuovere le montagne che altre questioni assai urgenti e necessarie non hanno?
Forse è perchè nel sesso sta il nostro istinto alla vita?. O forse è perchè parlando di questo non si parlerà di altro? O forse è perchè “di con chi va a letto il mio vicino è una questione privata” e dunque non si deve invadere le volontà dei singoli?
E la vita non è mamma che fa bambini mentre papà deve fare altro, ma è un essere con un altro essere, di qualunque apparato sessuale siano, che si promettono amore eterno. Punto.
Tergiversiamo pure sull’amore eterno, che ad andare bene potrà essere solo più o meno duraturo, ma non si tergiversi su questo assoluto: l’amore non ha sesso, come non ha età, come non ha limiti.
Ce lo ha detto il Parlamento europeo, ed è bene che si cominci a riflettere seriamente la questione.
A me piacciono i confetti, da qualunque parte essi arrivino.
Io amo mio padre
lui è paziente
dona tutto senza chiedere nulla
non si addormenta la sera
se non vede i suoi figli al sicuro;
quando sono ancora bambini
li immagina già uomini fatti
che affronteranno la vita,
non si risparmia nelle ore della fatica
indomabile come un guerriero
progetta ogni singolo spazio
del suo breve giorno.
Io amo mio padre
perchè è buono
e sa tutto di me
e non vuole vedermi infelice
è pronto a togliersi la sua mano sinistra
pur di sapere che io non perderò la mia destra
mi accompagna con lo sgaurdo
sulla via che conduce nel tempo
ed io cammino spedito
non ho nessun timore di cadere
lui ha già asciugato tutte le mie lacrime
come un albero sempre verde
ha nutrito tutti i miei appetiti
come uno stupendo arcobaleno
ha colorato tutte le mie candide vesti
tra me e lui c’è un canto soave che ci tiene uniti
indissolubilmente
oltre le rovine degli uomini.
Io amo mio padre
che sa
che io non sono il mio lavoro
che io non sono quello che faccio vedere
che io non sono il mio presente
ma che sono solo quello che
il giorno giusto
deciderò di essere.
Possa il tuo cuore
essere degno del suo
possa la tua vista
divenire capace quanto la sua
possa il tuo tempo
accompagnarmi tra i sentieri
oscuri del mondo
che renderemo insieme pieni di luce.
VIVA
VIVA
Cari amici, cari lettori, caro mondo del web, in questi giorni si è avviato un nuovo sito che si chiama Paperblog; è nato con lo scopo di dare la caccia agli articoli di noi bloggers per segnalarli all’attenzione del grande pubblico affinchè abbiano una pubblicità che da soli nella giungla dei nativi o non nativi digitali, senz’altro difficilmente riuscirebbero a raggiungere…
Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
Non amo che le rose che non coglietti
There is always something to be thankful for in your life. Being alive is absolutely one of them!
MultaPaucis - Blog di Viaggi on The Road
Narrativa Autore Blogger
Da un'Emozione nasce un Disegno da un Disegno un'EMOZIONE
Appunti d'arte di Teresa Pergamo
Giuseppina D'Amato Libri DA Me
Un bambino che legge è un adulto che pensa
Tempo riposato tempo guadagnato
"L'attualità tra virgolette"
Vivir con amor
Educare all'apprendimento
Versi essenziali per cuori semplici
C'è poco da spiegare...basta leggere.
«Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena» (Michel de Montaigne)
"Anche nei tempi bui si canterà? Anche si canterà. Dei tempi bui" B.Brecht
BLOG DIDATTICO_PROF.SSA CRISTINA GALIZIA . Didattica, scrittura creativa, letteratura, attualità nella scuola secondaria di I° grado
Tutte le mie recensioni
MUSICA&PAROLE by Cresy
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.