
Mi considero una persona molto ignorante.
Potessi scegliermi la vita così come si mi sono scelta, nel limite del possibile, le persone che mi vivono accanto, vorrei poter leggere dalla mattina alla sera e poi naturalmente scrivere e dipingere e parlare con gli amici e stare con chi mi vuole bene…poi vorrei potere utilizzare queste abilità al servizio degli altri. Insomma, non ho grandi ambizioni.
Ecco, sono una persona molto limitata, come tutti; cerco di convivere con quello che non so fare o meglio, ho imparato a conviverci, tenendo le difficoltà sotto controllo.
Ai miei limiti preferisco le mie virtù. Non per farne bella mostra, ma perché sono le doti a farci procedere e a far progredire dunque tutto il gruppo con cui ci si trova ad operare…
Potendo oggi scegliermi il lavoro, tra i vari possibili ho messo l’insegnamento, perché lavorare con i piccoli o con i ragazzi è un privilegio che ho imparato ad apprezzare anch’esso con il tempo.
Purtroppo gli insegnanti trovano sul campo, e già lo sappiamo, una complessa cerchia di difficoltà. Si potrebbe replicare “Come in tutti i lavori”, è vero, ma questo non è un mestiere qualunque, e pur non essendolo, non viene riconosciuto dallo Stato e dalla società come quanto dovrebbe e merita.
Vuoi che gli errori politici del presente ne hanno compromesso la reputazione, vuoi che le mancanze formative storiche ne hanno inficiato l’efficienza , vuoi tante altre scusanti, il punto conclusivo è che fare il maestro o il docente che dir si voglia, oggi, non è affatto un’impresa facile.
Potrei raccontare seduta stante due fatti delicati ed incresciosi che mi sono giunti all’orecchio con grande preoccupazione per le persone che li stanno vivendo.
Ecco la Prima storia.
Lui è un maestro di una certa esperienza; laureato, si trova ad insegnare su un posto comune l’area di italiano ad una quarta classe del ciclo primario, e tutto sembrerebbe procedere nella normalità.
L’insegnante in questione è appassionato di materie civili e sociali, quindi cerca di trasmettere ai propri alunni l’importanza dell’onestà, della correttezza e dell’impegno. I suoi alunni sembrano seguirlo tutti, senza particolari difficoltà, fino a che emerge improvviso il problema. In verità il problema magari era già latente nel tempo, però non sempre si è in grado di accorgercene, e non sempre ci sappiamo relazionare nello specifico con tutti con la medesima efficienza e consapevolezza.
Accade dunque che uno dei genitori della classe in questione va a lamentarsi dalla Preside per questo tipo di lavoro tenuto dall’insegnante; il dirigente richiama la docente senza minimamente preoccuparsi delle motivazioni del titolare e senza entrare nel merito della competenza didattica e disciplinare.
Quello che disturba ovviamente è il semplice fastidio di doversi prendere cura di un problema di troppo…
Il docente a sua volta si rivolge a un sindacato per avere consigli e pareri.
Il sindacato non tranquillizza affatto il professore che viene informato di una ben triste realtà generale; mai come in questo periodo il mondo della scuola è subissato ed aggravato di denunce di vario genere. Genitori che denunciano gli insegnanti ed insegnanti che denunciano l’amministrazione.
I motivi possono essere i più vari; da quelli meno gravosi a quelli ovviamente più seri, ma per lo più si tratta di piccole incomprensioni che una buona dirigenza dovrebbe sapere assolutamente prevenire e contenere.
Del resto un dirigente è dirigente a far che cosa? Il suo principale ruolo, credo, dovrebbe essere quello di imparziale coordinatore e supervisore tra le parti in causa.
Da un lato ci stanno i genitori che da esclusi sono diventati un’importante e pericolosa presenza del sistema scolastico; dall’altro i docenti che da assoluti protagonisti sono diventati emeriti nessuno nelle mani di una dirigenza che in pratica si ritrova un potere assoluto sulle questioni. Dalle più ordinarie alle più straordinarie.
La nascita dell’autonomia scolastica ha segnato questa svolta, che se da un lato ha portato un vento di rinnovamento ed apertura, dall’altro ha gettato i singoli istituti nello sbando assoluto di direttori non all’altezza del loro compito.
Nello specifico della nostra storia, l’insegnante viene scoraggiato a procedere per via legale.
Alla fine il tutto si ridurrebbe a una ben misera cosa: sarebbe la sua parola contro quella di un sistema che non lo sorregge.
Dieci anni di lavoro ritenibile onorato e oneroso, vengono cancellati in un istante. Quanto meno messi in dubbio o assolutamente non considerati.
Preso da sconforto e dal timore di un peggioramento, l’insegnante decide di stare al gioco, ed ammette davanti al suo capo d’essere effettivamente un poco stressato, e quindi ammettendo delle colpe di comunicazione e di consegna (ma quali???) chiederebbe per l’anno nuovo uno spostamento su di un incarico più leggero, meno impegnativo, magari un ruolo di sostegno.
La verità è che questo si rivela essere il solo modo per sottrarsi ad un disagio che è già stato sentenziato senza possibilità d’appello.
Davanti al mea culpa del povero maestro, davanti alla sua abiura mal digerita ma imposta da necessità esterne e contingenti, la dirigente si fa docile e ben disposta.
Tutto viene così in un battito risolto a quattr’occhi dentro il silenzio di una stanza.
Il maestro ne esce risollevato ma abbattuto. E’ stata messa in discussione da non si sa bene chi e da non si sa bene che cosa la sua efficienza lavorativa, il suo fino a prova contraria buon operato di lungo corso.
La preside ha esercitato nella totale autarchia il suo compito di direzione, senza contraddittorio concesso alle parti interessate, senza le dovute precauzioni ed i dovuti provvedimenti che dovrebbero tutelare sempre tutte le componenti chiamate in causa.
Passo alla Seconda storia.
Questa volta è una giovane docente già al quarto anno di mandato.
Anch’essa laureata, ha scelto d’ insegnare negli istituti comprensivi giusto per cominciare a fare punteggio.
E’ una simpatica ragazza, piena di entusiasmo e di capacità comunicative, molto afferrata nella sua materia. Dopo tre anni non proprio brillanti e fortunati ma comunque utili a fare esperienza, le capita l’ennesimo incarico su sostegno.
Due soggetti, una ragazzo senza particolari problemi, una ragazzina con difficoltà di comunicazione abbastanza serie.
Tutto sembra andare nella norma fino a che un giorno la sprovveduta docente all’interno della lezione scolastica improvvisa una breve conversazione a sfondo sessuale; siamo in una terza media, gli alunni sono attenti e curiosi, l’insegnante pensa che sia una cosa buona parlare di certe cose a puro titolo formativo.
Succede invece che la ragazzina con problemi di comportamento torna a casa a lamentarsi con i genitori i quali chissà cosa capiscono, o fraintendono, e dunque si rivolgono alla preside a loro volta lamentandosi.
Forse la faccenda potrebbe facilmente riprendersi e chiarirsi se non fosse che proprio in quegli stessi giorni viene arrestato nel paese un giovane accusato di pedofilia; contro di lui ci sono prove schiaccianti.
Tra le scuole interessate dove il delinquente si recava a molestare i ragazzini c’è anche quella in cui sta lavorando la nostra sprovveduta collega.
Tutto assume in questo contesto delle sfumature oscure e assai preoccupanti.
Il dirigente teme forse che lo scandalo possa danneggiare la scuola, possa venire in qualche maniera aggiunto a questo episodio interno del tutto estraneo, del tutto in sé irrilevante, del tutto slegato da implicazioni così pesanti e gravi, ma pur sempre antipatico e che suona in quel frangente come un campanello d’allarme.
Preso da un’eccessiva ansia fa convocare immediatamente il consiglio di classe, che in assenza della docente interessata in quanto non presente per malattia la fa sospendere dal suo preciso incarico, relegandola a mansioni del tutto subordinate alle altre docenti della classe.
La nostra improvvida collega si trova al suo rientro, senza nemmeno essere stata convocata, demansionata, umiliata, accusata senza prova alcuna non dico di pedofilia ma quantomeno d’essere poco equilibrata e comunque non affidabile.
Le si crea intorno un clima sottile quanto spietato di sospetto, le insegnanti spargono la voce agli alunni che con quella docente non possono uscire da soli in cortile.
E andare tutti i giorni in classe diventa un inferno.
Questo sì un vero inferno senza immediata possibilità di ripresa. Vada che si viene nominati su contenuti che non ci riguardano e non ci appartengono, che non sappiamo padroneggiare e su cui dobbiamo farci le ossa, ma trovarsi dal giorno alla notte in una situazione così di sfascio e di insidiosissima china, è tutt’altra faccenda.
La sola nota positiva è che il preside non le fa nessun richiamo scritto, le dice solo che davanti a un nuovo episodio non corretto provvederebbe di conseguenza.
In altre parole le dà un’altra possibilità ma la tiene in ostaggio, psicologicamente e professionalmente.
Le dice anche che se dovesse decidere di lasciare l’incarico, comprenderebbe, e non la depennerebbe dalla graduatoria.
Ma questa giovane ha un contratto fino all’avente diritto e potrebbe in teoria arrivare fino alla fine dell’anno.
E poi licenziarsi significa rimanere senza stipendio.
Una ben complicata situazione da gestire. Lei è qui potremmo dire in trasferta, appartiene a quell’esercito d’umanità che tutti gli anni a settembre si mette in marcia dal sud verso il nord, alla forsennata ricerca di alloggi, di sistemazioni, di accomodamenti più o meno di fortuna.
E alla sua situazione di precarietà si aggiunge questa situazione di rifiuto e di sospetto. Che fare? Andare da un avvocato per farsi difendere? Andare da un sindacato? Sentire il parere degli amici? Dei colleghi? ma quali colleghi?
PRIMA COSA DA FARE è riordinare bene le idee: non agire precipitosamente, capire bene quello che sta accadendo, affrontarlo in maniera che la questione non ci travolga.
Chiedere scusa per la mancanza di prudenza dimostrata, questo senz’altro, ed è la prima cosa che la maestra si precipita a fare, ma poi c’è tutto il resto che va tenuto sotto controllo.
Occorre non demoralizzarsi, occorre pensare positivo, occorre cambiare strategia con gli alunni, soprattutto con quello specifico alunno che ci ha creato il problema.
Non conta nemmeno tanto il fatto che questa studentessa abbia pubblicamente dimostrato d’essere non attendibile. Infatti il giorno dopo l’accaduto raccontato, l’alunna accusa davanti a tutti l’insegnante malcapitata di averle rubato la sua giacca, la stessa giacca che l’insegnante sta indossando.
La maestra replica che non è la sua, che non potrebbe nemmeno esserlo perché lei porta una 46 e non certo una taglia da teenager; l’invita dunque ad andare in classe dove senz’altro troverà la propria.
L’alunna va in classe dove infatti si trova il suo indumento, lì dove l’aveva lasciato.
E se invece per una circostanza casuale non ci fosse stato? Per fortuna che c’è, e la nostra simpatica amica ne esce, almeno qui, indenne.
Non l’aiuta nemmeno tanto il fatto di parlarne con il sindacalista interno della scuola, il quale la comprende, la sostiene, ma non si può esporre più di tanto, in quanto lui stesso dipendente di quella stessa dirigenza.
Come vedete, amici cari, insegnare è una faccenda davvero molto delicata, molto complessa, molto impegnativa.
Mi si dirà di nuovo come molti altri lavori.
Questo però senz’altro in modo particolare.
Chiedo alla giovane collega che si è sfogata con me cosa la preoccupa più di tutto e lei mi risponde con gli occhi persi: “ E’ che mi sono sentita una pedofila” che voleva dire “Mi hanno fatto sentire una pedofila, e nessun collega mi ha saputo tendere concretamente una mano”
Questo io intendo dire quando parlo della nostra indifferenza verso il sociale. E della nostra ipocrisia verso i legami familiari. Se sul lavoro sapessimo meglio fare squadra, se sapessimo avere una formazione lavorativa impostata sempre alla collaborazione, e se in famiglia fossimo meno ipocriti e più sinceri, forse questo episodio potremmo rigirarlo alla moviola con una sceneggiatura completamente diversa.
“Tornare ad educare” per tornare a essere una società che miete cose buone e non scorie radioattive. Ma io vorrei piuttosto dire “Cominciare là da dove ci siamo persi il filo di Arianna…”
Dove ho insegnato l’anno scorso in sala docenti stava affisso alla porta un motto che recitava: “Essere folli non è sufficiente per lavorare in questo posto, però aiuta…”
Recitava il vero…
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