Il piccolo Charlie

Lui è il piccolo Charlie. Tutto il mondo ne parla, per l’attenzione che è stata creata su caso.  Chi potrebbe rimanere indifferente davanti a un cucciolo di uomo che è nato sfortunato, afflitto da un male incurabile che ne impedisce il normale sviluppo muscolare,    e che sarebbe destinato a morire senza speranza?

C’è già una sentenza della suprema Corte inglese   che ne avrebbe disposto la fine, ordinando la sospensione dell’accanimento terapeutico.

Ma Charlie è così piccolo, così indifeso, così assurdamente  senza speranze, e allora sia il Vaticano che il presidente degli Stati Uniti si sono mossi per fare qualcosa per lui.

Lo vorrebbero entrambi nelle loro cliniche mediche all’avanguardia   dove si  tenterebbe una serie di  esperimenti  nella speranza di trovare una cura miracolosa contro questo male incurabile.

Detto così potrebbe risuonare come una specie di esperimento  laboratoriale    dove Charlie potrebbe diventarne la cavia.  E in effetti un poco è quello che si andrebbe a  tentare. E’ probabile che la vita  artificiale  di questo bimbo di   un anno e  poco più  verrà inutilmente prolungata di un certo periodo che non porterà a nulla,  ma sappiamo quanto sia  difficile staccare la spina a un  figlio che abbiamo messo al mondo volendogli regalare  la promessa di una lunga vita, mentre lui fatica a tenere gli occhi aperti.

E alla fine    Charlie nella disgrazia  è persino privilegiato. Per lui si proverà tutto.

Anche che la suprema corte inglese riveda la sua decisione, e così Charlie potrà arrivare   nelle mura vaticane, dove si predica la salvaguardia della vita  nella misura in cui   non diventi accanimento terapeutico.  Tutto per rispondere alla richiesta dei suoi genitori  che non si rassegnano all’idea  di  vederlo spegnere.

E allora forza Charlie,  Charlie, sei tutti noi, e facci capire   fino a quando Tu  e proprio  Tu  avrai  voglia di combattere.

Dietro la notorietà di questo infante    rimane il destino di morte di migliaia  di altri bambini  di cui però nessuno sa nulla.  Del resto  non si è in grado di salvare tutti, di impedire  tragedie, di……essere presenti  ai problemi ovunque, di avere tutti i riflettori  sistematici puntati addosso…

Anche la  politica globale  è afflitta da un male, questa volta   curabilissimo,   che però nessuno sembra avere la forza   di risolvere.

La Monaca di Monza

 

Apre la mostra  monzese dedicata alla Monaca di Monza,  un personaggio tristemente noto e realmente esistito  che fu protagonista di un fatto  terribile e scandaloso  risalente al  principio del 1600.

A questo personaggio Manzoni si è ispirato per la sua Gertrude, che nel celeberrimo romanzo riprende le vesti   della Signora che abitava nel Monastero ai tempi dei fatti accaduti a Renzo e Lucia.

Nella Mostra  si possono osservare quadri d’epoca, raffigurazioni della religiosa (quella vera)  prima e dopo la sua clausura, raffigurazioni della monaca che la ritraggono in alcuni dei più significativi episodi  narrati anche nel celebre racconto   dei Promessi Sposi, infine  incisioni del tempo ed oggetti storici.

Ci sono stampe del tempo, persino un diario  che fu  posseduto dalla stessa Monaca, e infine   dei  video che raccontano le fasi   del processo  ricostruite con sapienza,  che portò all’incriminazione della religiosa e alla condanna di venire murata viva dentro una stanza fino al giorno della sua morte (ci rimase di fatto per tredici anni e poi fu liberata)

Uniche  fessure  concesse: quella per fare entrare l’aria  e quella per fare entrare il cibo.

Conosciamo tutti, se siamo stati studenti italiani, la vicenda della poveretta: lei apparteneva ad una famiglia nobile, ma caduta in difficoltà. Per ragioni economiche e di calcolo  fu  stata destinata a prendere i voti, pur non avendo la vocazione e pur potendosi in qualche modo opporre prima di ridursi al  definitivo  internamento.

Finisce a far la reclusione, ma poi anche se reclusa, ha modo di fare conoscenza con un certo  personaggio maschile che  frequenta di tanto in tanto le mura del luogo religioso.

Da cosa nasce cosa, lei viene sedotta e messa in gravidanza per ben due volte: la prima volta partorisce un putto morto, ma la seconda  volta una bella bambina perfettamente sana, che viene portata a casa dallo stesso padre e lì fatta crescere.

Tutto potrebbe rimanere  nell’accettabile,  nonostante la violazione del voto di castità; se non fosse che le cose precipitano.

Ci si mette di mezzo una novizia che scoprendo la tresca tra la monaca ed il suo amante minaccia di far voce all’arcivescovo Federico  Borromeo. La novizia viene uccisa da chi possiamo immaginare, il suo cadavere viene portato via dal convento e poi fatto sparire sembrerebbe tagliato in tanti pezzi e sparsi in ogni dove.

Dopo il delitto della suora malcapitata, segue quello delle due pericolose testimoni dei fatti fin qui descritti: le due fedelissime di Gertrude, il nome di fantasia dato dal Manzoni alla più famosa Monaca malmonacata  della nostra letteratura.  Nella realtà  la suora di clausura si chiamava Virginia Maria.

Delle due povere consorelle,  la prima viene effettivamente   ferita in modo serio, e poi indotta a morte.

Alla seconda  riesce soltanto di  essere  gettata  in un pozzo, dove viene rinvenuta l’indomani da  passanti che di là traghettando ne sentono le urla di richiamo e la traggono in salvo.

Ormai dei terribili fatti non si può più conservare il segreto, che ben presto finisce sulla bocca di tutti  fino ad arrivare nelle mani della Magistratura del tempo.

La Monaca viene processata e come già detto condannata.

Marianna, il vero nome della Monaca storica,  cercherà fino alla fine di proclamarsi innocente, pur ammettendo tutti i fatti, giustificandoli col dire che all’epoca dei  eventi   fosse stata posseduta dal demonio e non in grado di intendere e di volere.

Gettata viva dentro la stanza della sua espiazione, di fatto vi  rimane fino a che riceverà dal  Borromeo  l’inaspettata   grazia.

Tornata libera, l’infelice  rinsavita o  acquistata a comportamenti più equilibrati,    continuerà a rimanere in vita per quasi trent’anni,  e  condurrà    questo suo secondo periodo di esistenza in maniera esemplare e devota.

Il fenomeno delle monache obbligate a prendere i voti purtroppo in passato non era un evento raro; sembrava che la Chiesa cercasse di ostacolarlo, non avendo bisogno di false devozioni e non necessitando di  vocazioni false   che entrassero   in convento solo per obbedire  ai voleri della famiglia.

Queste disgraziate  venivano  di fatto  obbligate  a consacrarsi a Dio, pur non avendo nessuna propensione  mistica; per loro il convento diventava un supplizio, una  vera e proprio condanna all’infelicità,  private di  tutti i loro naturali desideri, come potere innamorarsi, sposarsi, fare figli…

La Marianna  de Leyva, alla quale è stata dedicata l’intera mostra,    allestita  in uno spazio  della reggia reale monzese adiacente al giardino delle rose,  nelle stanze del Serrone,  è da considerarsi lei stessa vittima della sua condizione familiare, e vittima della propria debolezza ed incapacità a ribellarsi ad una  imposizione  inaccettabile.

Fu poi   il suo diabolico compagno a determinarne  i delitti.

La mostra ha appena aperto i battenti: chiuderà a febbraio prossimo,  è suggestiva e interessante anche  per le classi che volessero visitarla;  l’ unico difetto effettivo sarebbe la cattiva illuminazione di  alcune opere che si fa davvero fatica a vedere  anche a distanza ravvicinata. Hanno voluto   ricostruire un ambiente oscuro e  mediovaleggiante, ma forse hanno esagerato…

Magari sarebbe da dirlo agli organizzatori, che devono dare più luce…

Qui tutte le informazioni utili  Reggiarealemonza- la monaca di Monza

 

Vescovo gay esce allo scoperto

Notizia che non può passare sotto silenzio.

E’ il primo vescovo e oltretutto teologo  che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.

Di sentirsi cioè parte della Chiesa.

Immediata la risposta del  Vaticano che  lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.

Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.

E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.

E  questo è un altro spinosissimo  capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità?  e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo  che decisamente  complica enormemente la questione.

Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”,  ci mette un poco più in difficoltà.

Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.

Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere   di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora  il giudizio non può che diventare irremovibile.

Di sicuro diventa più complesso.

Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua  in parte  felice omosessualità?  Lo stravolgimento che gli cadrà addosso  lo porterà verso quale via di risoluzione?  E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza  rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.

Io credo che non c’è molto di scandaloso in  un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…

Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla  che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…

Di fronte  invece  a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo,  piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo  per riflettere.  E vorrei che ogni  vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.

Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa.  Aiuterebbero  il sommo  Vescovo  a  cercare e trovare risposte difficili  alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione  spirituale  nel mondo temporale.

Non so se sono riuscita a farmi capire.

Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato  in tutte le sue più importanti  componenti  ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.

Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario  che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.

La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.

Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza;  è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere.  Siamo sempre noi a dovere possedere loro.  Possedere nel senso di  governarle, ma anche nel senso  di lasciarsene governare.

Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso  della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte),  è il progetto che in quanto uomo come tutti noi  lo obbliga a delle  scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.

Ritorneremo  sul tema  con  calma.

 

 

 

lui è depresso, 150 persone muoiono

COPILITA SUICIDA AIRBUS-2154-kpwC-U10402584283423hyC-700x394@LaStampa.it   E’ la notizia di cui tutti i i giornali   oggi parlano. Un giovane pilota, ottima famiglia, ottimi studi, ottimo percorso  professionale,  sembra che a causa di motivi personali  fosse caduto in depressione. I test attitudinali  previsti per ottenere l’idoneità al volo erano stati tutti superati. Eppure lui probabilmente era ancora sofferente, visto che ha deciso di fare quello che ha fatto. Mi sorgono spontanee almeno due riflessioni:

  1. la prima è che  ci vorrebbe una scuola che insegni     come essere felici,  e non solo a conseguire un titolo di studio specifico e tecnico.
  2. la seconda è che i test a cui è stato sottoposto questo pilota di volo  sono  evidentemente   assolutamente inadeguati a rilevare un disagio che risiede nel profondo, nell’animo, e che a quanto pare può essere facilmente  tenuto “mascherato”.

Bene, o meglio, malissimo. Il disagio psichico e mentale di una persona ha deciso del destino di altre  149 persone innocenti, portandosi via 149 vite, 149 famiglie, 149 futuri che in un secondo non sono più stati tali.

No, per essere precisi  149 + 1,  forse l’anello più importante che non va cestinato come un dettaglio,  perchè è il dettaglio che ha fatto la differenza.

Adesso sembra che i dispositivi antiterrorismo verranno rivisti; la porta blindata della cabina di pilotaggio e non apribile dall’esterno  verrà prevista  nella sua necessaria apertura di emergenza;  le revisioni dei mezzi  continueranno ad essere (ce lo si augura)  sempre severe e rigorose (perchè dai commenti degli addetti ai lavori, loro davano per certo che questo iter di controllo spesso sui voli low  cost  gioca la ribasso);  i test di controllo sanitario sui piloti addetti al volo probabilmente diventeranno ancora più selettivi ed accurati. Dulcis in fundo,   sembra che la Compagnia aerea non intenda risarcire nulla perchè il disastro   è stato causato da un gesto volontario e folle del copilota (certo, ma il copilota era alle dipendenze di chi?  chi doveva garantire per le sue certificazioni  e qualificazioni?) Aggiungiamo anche  che se io fossi il datore di lavoro di chichessia,  non intenderei pagare a mie spese  per gli squilibri di un mio dipendente, il cui disagio, sfido qualunque genere di visita psichiatrica,  evidentemente riesce a rimanere nascosto  e non decifrabile… Qui  le notizie dettagliate riportate dalla Stampa. E noi cittadini che un giorno decidiamo di prendere un volo?  Forse sarebbe  meglio  portarci  in borsa   anche  un portafortuna, non si sa mai,  perchè davvero per certe questioni   non c’è certezza di nulla…

10 gennaio 2015

Cari musulmani

Il mondo non parla d’altro; ossia tutti stiamo riflettendo su quello che è appena accaduto a Parigi ( 12 cronisti uccisi per avere pubblicato vignette irriverenti contro la figura di Maometto) nella patria della rivoluzione francese che è stata poi la nostra stessa comune porta aperta sulla libertà che noi chiamiamo democrazia.

Dunque tutto sarebbe nato da un sentimento di offesa.

Ma offendere qualcuno o qualcosa non equivale a uccidere qualcuno o qualcosa.

Offendere qualcuno con la satira significa potere mancargli di rispetto in maniera intellettualmente possibile; e non si mette in dubbio che dal punto di vista musulmano le vignette in questione offendono la religione.
Ma c’è di peggio dell’offesa data che non toglie la vita; c’è l’offesa ricevuta di musulmani che intervistati sulla questione ti ridono in faccia quando si parla delle disgrazie che ci stanno capitando, quasi a dirci “E’ anche colpa vostra”.

Il vero punto centrale è che ad una vignetta satirica si potrebbe solo equamente rispondere con un’altra vignetta satirica.
Se il popolo musulmano o qualcuno di esso avesse ritenuto offensive tali vignette, avrebbe dovuto rispondere a detta offesa con un’ altrettanta capacità satirica, cioè con la stessa arma.

Invece il mondo islamico radicale passa subito alle spicce e se ne esce con proclami di minacce di morte.
Esecuzioni che arrivano nel tempo per opera di due poveri dementi che si sono resi disponibili a questo sfacelo.

Il fatto è che il mondo islamico non possiede l’arte della satira. E non possiede l’arte della satira perchè non conosce dentro i suoi stati, da molto e molto tempo, quello che il mondo occidentale pratica da molto con grande sudore e fatica, e non senza inciampi: la democrazia.

E democrazia significa anche sapere ridere di se stessi; sapere che si vive anche ANZI SOPRATTUTTO di debolezze e di ordinarietà, nonostante Dio ci vorrebbe sempre tutti belli e santi.
Non solo il mondo musulmano non possiede la satira ma non possiede nemmeno il principio del laicismo, essendo una teocrazia. Ossia un arabo non è libero di essere intellettualmente  se stesso.

Bene. Cari musulmani che venite nei nostri paesi dove siete democraticamente accolti ed integrati , ci sembra di constatare che la nostra democrazia vi piace assai, nonostante tutte le sue pecche, visto che vi permette di fare quello che fate nei nostri territori, ossia di avere la vostra seconda vita che venite a cercare da noi fuggendo dalle vostre realtà.

E ci ringraziate in questo modo? E’ questo il vostro modo di dimostrarci la vostra gratitudine?

Passi che da sempre a noi non è permesso venire da voi pensando di potere stare tranquilli così come a voi noi permettiamo di essere. Passi che c’è chi nasce con qualche carta migliore e chi invece si trova a giocare con carte ridotte, quindi deve farsi ragione da sè di queste disparità che fanno parte di tutto il globo da che il mondo esiste e respira.

Ma che il mondo musulmano taccia di fronte a questi atti criminali dei loro connazionali, o che il mondo musulmano non si metta in movimento con iniziative significative contro tutti questi suoi figli fuori controllo, noi occidentali non possiamo più accettarlo.

Aiutateci a capire e a trovare soluzioni per tutti.
Ce lo dovete.

oggi si parla di…

orrore dal Pakistan la dolce morte o la morte amara?

fabiola gianotti

Analisi di un salvatore…

Torno sul mio argomento preferito: la personalità di Gesù.

Dalla lettura molto accattivante di Alberto Maggi  sto rispolverando  un Cristo  che praticamente era:

  • irriverente ( non su cura dell’autorità, delle convenzioni, della tradizione, mettendosi a dire e fare cose assolutamente sconvenienti)
  • scomodo ( parlando nel nome del Padre suo, ossia nostro, mette in ridicolo la stessa autorità che aveva la presunzione di detenere  la verità assoluta  e andando predicando tutto il contrario di quello che i sacerdoti del Tempio  sostenevano)
  • rivoluzionario ( glorifica gli ultimi, la feccia della società, e anzichè circondarsi di dotti e religiosi, si circonda di miserabili pescatori, dopo avere  riscattato i pastori  e i ladri; parla  alle donne,  che era noto, non avevano diritto di occupare un posto di rilievo nella gerarchia sociale; addirittura perdona l’adultera,  compromettendo un equilibrio politico e giudiziario che si reggeva sulla condanna assoluta verso i peccatori e soprattutto verso certi generi di peccato; si accosta toccandoli ai lebbrosi, che per antonomasia erano intoccabili, senza volto e senza nome, chiamati ad espiare le colpe dei loro padri o le loro stesse colpe, indesiderati dal mondo e dallo stesso Dio; guarisce nel giorno del sabato, giorno assolutamente dedicato al Signore e dunque non profanabile; compie miracoli a costo zero, senza chiedere sacrifici alcuni da parte dei beneficiari, mentre i sacerdoti vanno avanti a suon di riti sacrificali che richiedono dei precisi tributi…
  • incomprensibile,     perchè parlava  di un regno che era giunto, che portava la salvezza,  e tuttavia  la stessa vita di Gesù,  cioè del suo stesso profeta, viene messa dai suoi comportamenti   in grave pericolo, e dunque quale doveva essere la salvezza che questo giovane un pò folle  andava  predicando?
  • blasfemo   perchè  si esprime con l’autorità stessa del Padre,  e non come un qualsiasi  profeta,  pretende l’identità padre-figlio, aggiunge il servizio dello spirito santo, andando a suggellare il mistero della Trinità in un contesto  culturale  profondamente  Teocentrico e monocentrico, dove l’umano era l’umano e il divino era il divino, assolutamente distinti e diversi, praticamente inconciliabili

Che altro aggiungere?

Io davvero non conosco rivoluzionario  storico che possa competere con questo profilo.

Di tutti i grandi rivoluzionari, ed ognuno potrebbe aggiungere e pensare al proprio o ai propri,  io non  individuo alcuno vagamente simile.

Mi si potrebbe replicare che come rivoluzionario, Gesù ha miseramente fallito.

Perchè,  conosciamo forse rivoluzioni che abbiano sconfitto concretamente   la povertà? le malattie? l’ingiustizia? la corruzione? infine la tortura e la stessa morte?

Forse qualcuna qualcosa ha fatto di buono; occorre valutare con parsimonia ed equilibrio, obiettività e giudizio.

A testimonianza del fatto che gli uomini quando si impegnano seriamente,  riescono, possono riuscire.

Magari non fanno miracoli, ma nessuno pretende miracoli da un uomo.

La  differenza tra le rivoluzioni umane e le rivoluzioni divine,  è che  il divino  sarebbe capace dell’impossibile.

Gesù può piacere solo ad inguaribili sognatori. A chi o vuole tutto, o non si accontenta.

“rio bo” e le altre…

  

Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però…
c’è sempre disopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso…
occhieggia con la punta del cipresso
di rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l’ha
una grande città.

Aldo Palazzeschi 

Mangia prega ama

Mangia prega ama non è la regola da applicarsi nella ricerca della felicità: è la storia di una donna e del suo complicato rapporto con l’eros. Una donna esigente che ama abitare la verità, e dirla sempre, a qualunque prezzo.

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Si chiama FRANCESCO

La fumata bianca

Fratelli e sorelle, buonasera

Si è affacciato al balcone per mostrarsi ai suoi innamorati; ci ha colto tutti con stupore, nessuno aveva pensato a lui, a questo nome, Jorge Mario  Bergoglio.

Timido, modesto, umile, spiazzante.

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Musica maestro

Vivere è innamorarsi

  

 

 

 

 

 

del mondo che ci contiene, delle cose  che ci rappresentano, degli amici  che ci raccontano,  delle case per quello che racchiudono, della natura  che ci alimenta,  di noi stessi perchè lottiamo quotidianamente   e di chi ci ama  perchè  ci illumina.

 

DONNE PROTAGONISTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

QUASI AMICI

 

 

Due  vite si incontrano e i loro destini si incrociano.

Uno è un giovane  di colore che ha bisogno del sussidio di disoccupazione; l’altro è un maneger ultra ricco  che per un incidente di percorso si ritrova su una sedia a rotelle, paralizzato dal collo in giù.

L’unica parte del corpo rimasta sensibile  è il volto,…e il cuore.

Il giovane disoccupato dal passato turbolento  si presenta  al colloquio perché Philippe è alla ricerca di un badante personale, ma sa già  che non sarà assunto, perché non ha credenziali, non ha titolo, e sinceramente  nemmeno gliene importa più di tanto…

Il colloquio  sembra invece catturare la curiosità  dell’invalido,  che vede in quel ragazzotto tutto muscoli e simpatia  una persona autentica, vera, genuina, piena di vita, proprio quello che lui ha perso o rischia di perdere per sempre, seppellito dentro quella  poltrona  completamente strappato alla gioia di sapersi vivo.

Gli lancia una sfida; gli propone l’incarico in prova per un mese , ed aggiunge “Secondo me non resisterai nemmeno due settimane…”

Driss accetta, tanto non ha niente da perdere; fuori c’è solo la strada ad attenderlo, ed una famiglia in bilico,  piena di problemi, dove la madre lavora dalla mattina alla sera per potere guadagnare per tutti  il necessario  per andare avanti.

Inizia così un periodo  di  convivenza, dove hanno modo di conoscersi.

Da un lato  il  giovane  ormai  ex disoccupato  che diventa giorno dopo giorno un bravo  assistente specializzato, ma solo perché ha carta bianca, solo perché Philippe lo lascia libero di esprimersi in tutto e per tutto, trattandolo da subito come uno della famiglia e non come l’ultimo intruso; dall’altro lato, l’invalido  che si trova improvvisamente catapultato in una serie di situazioni  dove non esiste più la regola, l’etichetta, la forma, il già detto e risaputo,  ma  l’imprevisto, la novità, l’improvvisazione, la proposta  di nuovi esperimenti,  di nuove esperienze,  trattato non più come un handicappato e basta, ma come una persona che nonostante il suo handicap ha bisogno di fare una vita assolutamente  normale,  dove ci si alza al mattino   con la contentezza d’essere vivo, con la speranza di cose belle e   positive, dove  si cerca  di combattere  la noia,  la solitudine, l’ipocrisia…

Nasce  tra i due, senza nessun calcolo,  un’amicizia spontanea, nonostante il legame professionale e specifico.

Philippe si diverte con Driss, come non si divertiva più da un’infinità di tempo. Non solo si diverte Philippe, ma si diverte chiunque viene a contatto  con la sua presenza, perché la sua bellezza  umana  è semplicemente  contagiosa…

A sua volta  Driss    ha trovato una vita normale e  positiva con Philippe,  e non è più sotto i ponti…

Certo,  questo può accadere perché  il giovane   è  fondamentalmente  una persona  onesta, e valida,  nonostante  tutta la sfortuna  che  l’ha perseguitato fino  a quel momento…e Philippe  non è un coglione ricco pieno di sé  e privo di attenzioni umane, che un giorno sfigato  si è trovato privo  dell’uso delle gambe;  prima di diventare invalido era stato  un uomo normale; aveva amato profondamente sua moglie, ormai morta; ed ora nel presente,   non soffre tanto per la sua immobilità fisica,  quanto per la sua solitudine  affettiva…

Non a caso cerca di trovare una nuova compagna, che probabilmente troverebbe senza problemi,  nonostante  il suo stato…, ma lui non vuole una donna  qualunque, non si accontenta.

Inizia pieno di aspettative  una relazione  epistolare  che Driss finisce per seguire passo a passo…

Philippe  desidera al suo fianco  una donna   innamorata, capace d’affetto  almeno quanto lui potrebbe di sicuro  essere   con la sua eventuale  compagna…

Ma c’è un ma, c’è un ostacolo oscuro  che sembra vincere  sul desiderio  di tornare a vivere;  l’ostacolo è la paura di sentirsi rifiutato, di sentirsi  giudicato, soppesato, messo a nudo  nella propria  fragilità…la paura di non potere essere all’altezza…

E Philippe allora scappa, si sottrae all’ultimo momento   alla prova, all’incontro,  all’impresa…

Continuerà a sottrarsi  fino a che l’amico, e non certo il badante,  l’obbligherà  a farvi fronte.

E’  lui che deciderà, è lui che li farà incontrare, è lui che organizzerà   a sua insaputa  la frittata.

E vince,  tutto va come  doveva andare,  come  la squisita  umanità dei due protagonisti  permette  che venga ad  accadere.

E la vita per Philppe riprenderà alla grande; un nuovo matrimonio, nuovi figli, una nuova vita.

E la vita per Driss    comincerà a girare;  un lavoro vero, una compagna, una famiglia tutta sua.

E se pensiamo che questo film si ispira  ad  una storia  vera,  c’è veramente da sorridere, da essere contenti…

E’  stato campione d’incassi in Francia, e nonostante questo, merita sul serio.

S.O.S. GIUSTIZIA CERCASI

 

 

 

Ciao amici,  oggi si parla di giustizia.

Ma quale  giustizia?  Quella  dei tribunali?, quella processuale? O quella più  generalmente intesa  come senso  positivo  della vita?  La mia attenzione riguarda quest’ultima.

Io non auguro    al mondo  felicità  o ricchezza o potere  o successo…tutte cose  estremamente  soggettive  che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni  generali  ;  io auguro  al mondo che possa avere  la sua giustizia, semplicemente.

Già la premessa  fa comprendere    che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.

Il fatto  che questa  emergenza o necessità prioritaria  non si sia mai placata nella storia e nel tempo  non è una buona ragione  per  ritenere  archiviabile o secondario il  tema di discussione.

La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.

Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare,  mentre  il  successo  è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto  visibile e concreto,  per cui su di esso, sulla sua  oggettività  si è tutti generalmente  d’accordo,  la giustizia  è un cammino, è un sentiero, è un percorso  che  solca  tracciati  impervi  e spesso sconosciuti alla grande  notorietà, senza per questo rimanere    mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.

Cercano  giustizia  tutti  gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia  tutti  gli esseri privi di parola, privi di capacità di  difesa, privi di autonomia  che per difendersi  dalle offese   devono ricorrere alla parola di chi sa e deve  spendere voci per loro.

Cercano  giustizia  i carcerati nelle carceri,  che si trovano a scontare una giusta pena  in condizioni incivili  ed ingiuste;   cercano giustizia i  perseguitati, gli scherniti,  gli esclusi, i diversi,  che per le più varie ragioni  non si sono trovati garantiti  i diritti  più elementari e prioritari,  sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti  i loro diritti  anche dopo lunghe lotte  e battaglie.

Cercano giustizia  i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi  per  la giusta via di mezzo,  ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo  negazioni, scorrettezze, squilibri;  cercano giustizia.

Cercano giustizia  gli incompresi e i calunniati,  quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati  di avere agito male, quelli  che hanno gito per l’interesse comune  ma si sono trovati tacciati  di avere agito  per interessi personali;  cercano giustizia  gli infermi  obbligati  a condizioni di vita  disumane   e  ben oltre il  limite della sopportazione.

Cercano giustizia  gli sfortunati  che sono nati nella parte sbagliata  del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato;  cercano giustizia gli sfruttati,  i raggirati,  quelli che sono stati usati come oggetti  e poi buttati via   come pezzi di ricambio;  cercano giustizia  gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie  che a causa di leggi ingiuste o non perfette  si sono trovati a pagare le colpe  degli altri, della cattiva politica,  della cattiva  amministrazione.

Cercano giustizia  quelli che non capiscono,  quelli  che  devono fare appello a tutta la loro  buona volontà    per  far tornare i conti che non tornano,  quelli che non hanno mezzi adeguati  per  farsene una ragione  e tuttavia  se la inventano, se la sanno  improvvisare.

Cercano giustizia quelli che stanno  al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo,  e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento  del salto, dello scatto, dell’involata.

Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta,  però continuano lo stesso a dare quello che  sanno  fare e costruire, perché le loro   ragioni superano ogni forma  di  soddisfazione apparente.

E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera,  si ha solo da sperare  che non ci si stanchi mai di farlo.

Tra  l’inizio di questa ricerca e la sua  risoluzione il tempo che può intervenire  nessuno può calcolarlo e prevederlo;  vuoi perché i tempi stessi  della  sua   realizzazione sono assai contorti, vuoi perché   non è affatto garantita nessuna  dirittura d’arrivo.

Nella ricerca  di questa benedetta  benedizione,   corre la vita.

La vita di quegli stessi corridori  che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.

Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è  intervallo, che non sia quello  contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze,  di riorganizzare  il tempo.

Alla fine della corsa  uno saprà la verità.

Qualcuno però  non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia,  perché  non hanno potuto  avere le loro occasioni.

Non crediamo  a chi vuol scoraggiarci ;  non crediamo   a chi  vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo  a chi  sembra già avere il paradiso  nelle mani  mentre ha solo palta e fango.

C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone  che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso   della vita.

Tutto qui.

La giustizia insomma è solo una questione  di  volontà,  che supera  l’oggi, che supera lo ieri,  che  supera  la paura del fallimento e della solitudine.

 

Mondo (in) piccolo

I  bambini a scuola  sono come  un mondo in  piccolo, nel senso che sono un mondo in miniatura;  tra di loro  governano sentimenti, difetti, intelligenze, eccedenze ed attitudini,  esattamente   così come accade nel mondo degli adulti.

Noi abbiamo cose che ci piacciono di più e cose che ci piacciono   di meno; per loro è lo stesso;

abbiamo   a volte   scatti d’ira;

invidie e gelosie;

momenti di debolezza;

amici e nemici;

momenti di coraggio;

desideri e speranze;

abbiamo  una certa idea propria   del bene e del male;

bisogno di tenerci occupati;

di riposare quando siamo stanchi;

di sentirci sempre  nel centro  di qualcosa;

di comunicare e sentirci  utili;

di prenderci  in  cura quando  siamo malati;

di  andare in vacanza, di sentirci amati, di voler bene, di esprimerci, di fare stupidaggini…;

e per loro è lo stesso.

La    sostanziale  differenza è che  i nostri bambini  sono ancora  incoscienti di se stessi,  mentre noi ne  abbiamo piena consapevolezza, e grazie a questa consapevolezza,  possiamo essere in grado, senza diventare   protagonisti al posto loro,  di  guidarli    sul lungo  sentiero  delle  scoperte che fanno crescere.

Il rapporto insegnante discente non è un legame  paritario, per via della coscienza che il primo possiede ed  il secondo non conosce.

L’insegnante è come un direttore d’orchestra, solo che la musica da suonare non la decide lui, la decide il gruppo classe.

E’ come  un guardiano  di beni preziosi,  solo che i beni preziosi sono esseri sconosciuti  e con libera  capacità  di decidere e disporre di sè.

E’ come  un giocoliere capace di particolari     esercizi  di bravura, solo  che  i burattini di questo  teatro non hanno fili,  sono  autonomi,  sono i signori  del palco, loro stessi   decidono il contenuto  dello spettacolo.

L’insegnante che entra in classe non saprà fino alla fine della giornata   se  quel  che dovrà fare  e avrà fatto,   otterrà  successo  oppure no.

Troppe le variabili non previste e non prevedibili.

Non solo troppo imprevedibili, ma addirittura  quello che potrebbe  sembrare  al momento  riuscito,  potrebbe nel tempo rivelarsi  insufficiente, come  anche  quello che potrebbe  essere risultato inadeguato, nel tempo potrebbe risultare centrato.

Insomma,  insegnare è un fatto di relazione; c’è un insegnante e un minore ( fino a che non diventerà maggiorenne);  c’è un gruppo di insegnanti e un gruppo di minori più o meno numeroso, più o meno rumoroso,  più o meno forte  o  complicato;  c’è un insegnante e un  ennesimo  gruppo di minori  chiamati  a fare  qualcosa, ad occuparsi di un determinato compito.

Dentro questa relazione sta l’apprendimento, sta il beneficio, sta il vantaggio, sta la crescita, sta lo sviluppo, l’evoluzione di un paese.

Un’insegnante   scrupoloso  e capace  può avvicinare ai bambini, in un solo giorno,    più mondi di quanto un genitore distratto  non sappia fare in dieci anni e più  di convivenza con il proprio figlio;  può  toccare con mano, negli anni,    i cambiamenti  della  crescita  dei suoi ragazzi,  almeno  quanto  se non di più   di due genitori  assenti  o inadeguati.

Un insegnante  indifferente e non motivato  può solo perdere    e far perdere tempo prezioso. Purtroppo può anche far danni, al pari di un genitore inadeguato.

Inutile dire  che la collaborazione dei genitori con chi si prende cura della formazione  scolastica,  rimane sempre un momento  chiave    per la buona riuscita  delle  tappe  evolutive.

Non sempre questa collaborazione accade, non sempre è possibile.

Mentre i genitori non si scelgono, e nemmeno  i fratelli  e tutti i parenti,  in un certo senso l’insegnante  si  può scegliere. Lo fa soprattutto  chi ne dispone ampiamente i mezzi,  ma anche chi può fare nel suo piccolo, piccole scelte.

Poi  c’è la bella storia  di chi non si è scelto, ma  si trova lo stesso magnificamente bene, insieme  all’insegnante  di passaggio.

Solo una piccola  precisazione. Se il genitore  può scegliere  il maestro (possibilità permettendo),  il maestro  non  potrebbe arrivare a  scegliere  i propri  alunni.

Se così accadesse,  potrebbero rimanere molti  discenti  senza  insegnanti, e questo non è auspicabile, perché tutti abbiamo il diritto/dovere   di imparare,  nonostante il nostro impulso   inconfessabile   di rimanere  ignoranti come    di voler avere solo  alunni  perfetti.

Questo è lo spirito democratico, sommo  ed universale della scuola in quanto scuola.

UNA DONNA DI CARATTERE E COLORE

Istantanea iPhone 1     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

     

 

 

 

 

UNA DONNA DI CARATTERE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notte di san Lorenzo

Ognuno  scelga  il suo cielo  e  se lo tenga  stretto.

Non di solo pane o di sole debolezze vivrai…

Baciami ancora

paraolimpiadi L amore al tempo dei disabili