E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.
Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.
Si chiama COVID19
Ha cambiato le nostri abitudini sociali
E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.
Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.
Si chiama COVID19
Ha cambiato le nostri abitudini sociali
Sveva Modignani e Andrea Vitali sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.
Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due autori nemmeno tanto giovani. E invece sono due belle penne della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera davvero accattivante.
Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.
L’asilo bianco era un luogo dove Sabina Spielrein mise in pratica i suoi semplici quanto rivoluzionari principi pedagogici durante i terribili anni del nazismo stalinista.
Erano principi che si ispiravano all’educare nell’insegna dell’essere libero, libero di fare, libero di sperimentare, libero di scegliere, libero di scoprire tutte le diverse meraviglie della vita, non escluse quelle sessuali legate alla elementare conoscenza del corpo umano.
I suoi orientamenti di pensiero si legavano a Freud e Jung, con cui ebbe anche una travagliata relazione affettiva, legando il suo credo pedagogico all’importanza della psicanalisi.
Lei stessa ex malata, lei stessa futuro medico, lei stessa perdutamente innamorata dell’amore e della sua incommensurabile forza trasformativa.
Accanto alla psicanalisi riteneva fondamentale la capacità di curare e l’amore per la musica. Le sue lezioni erano una mescolanza di giochi, canti e poesie, dove attraverso la leggerezza si arrivava a toccare gli spiriti profondi dei comportamenti complessi.
Tra i suoi alunni ebbe il privilegio di crescere e formarsi un bambino tra i tanti con problemi di relazione, chiuso in un ostinato mutismo, che divenuto adulto e ottuagenario, all’età di ottantaquattro anni avrà modo di testimoniare al mondo civile e moderno quegli anni oscuri, quei giorni lontani, quegli indimenticabili momenti conservati nel cuore.
Sabina era una donna speciale, geniale, profondamente intelligente, e purtroppo per lei anche ebrea.
Finì fucilata dall’armata del regime in una sinagoga , insieme alle sue due figlie e a molti altri ebrei che invano avevano cercato la fuga.
Prima di venire trucidata, solo per non avere voluto abiurare al suo pensiero, nascose un suo libro pieno di sue poesie dentro gli scaffali di un inginocchiatoio, per sottrarlo alla inevitabile dispersione.
Sapeva perfettamente che il suo principio educativo sarebbe sopravvissuto al suo sacrificio.
Quello che ancora non immaginava nel momento della fine era che sarebbe stata celebrata come insegnante nei posteri, proprio e soprattutto grazie all’amore e alla riconoscenza di questo suo piccolo allievo che lei aveva saputo strappare al buio della solitudine e del silenzio.
Si chiamava Ivan Ionov la cui scena di toccante umanità è stata oscurata sui video che erano presenti sulla rete per diritti d’autore.
E’ di questi giorni la storica apertura degli Stati Uniti al pensiero gender.
E’ solo questione di tempo e tutto il mondo occidentale accetterà di fatto una idea nuova di famiglia, di figli, di paternità e di maternità. Ossia di società. Ossia di economia (perchè dove si parla di diritti si parla anche di soldi). Ossia di antropologia.
Davanti alla storia che chiede cambiamenti il pensiero dei singoli ha poca rilevanza, ed i singoli sono chiamati ad adeguarsi a quello che sembra una volontà ferrea di una intera società in mutazione.
Solo il tempo racconterà le implicazioni, le novità, le complicazioni, le difficoltà e gli errori che ogni Cambiamento significativo porta con sè, un cambiamento che oggi non è più possibile fermare, credo non sia più nemmeno corretto ostacolare.
Ma allora come si può conciliare tutto questo con quello che sembra presentarsi e rimanere come un essere fuori tempo, fuori moda, fuori tutto?
Personalmente continuo a credere che la famiglia normale debba essere costituita da un padre, una madre e via discorrendo; come anche credo che anche le famiglie non normali debbano avere i loro diritti garantiti, nel nome di un amore che si vuole dichiarare senza sesso e dunque senza imposizioni di sorta.
A causa di questa uguaglianza di diritti da tutelarsi, le famiglie non possono essere classificate però (come io non riesco a fare e credo non ci riuscirò mai, essendo questo un mio limite) tra l’essere nella norma e l’esser fuori della norma, e dunque la società e le leggi procederanno affinchè questa distinzione di parte che viene tacciata di omofobia, non possa avere la meglio e causare discrimini, come è sempre accaduto nel passato.
Nelle scuole si insegnerà per decreto, ossia per programma ministeriale, il pensiero gender e ci saranno notevoli conseguenze e modifiche nell’educazione e nello sviluppo della pedagogia condivisa, da come è stata ad oggi intesa e progettata.
Questo comporterà tutto un ciclo di formazione rivolta ai docenti ed in parte anche alle famiglie che dovranno prepararsi a questa importante esigenza collettiva.
Non solo, questo mutamento comporterà decine e decine d’anni di assestamento, durante i quali accadranno cose nuove e non prevedibili, ovviamente del tutto legittime.
Coloro che si rifiuteranno di accettare questa presunta ideologia, dovranno in qualche modo adattarsi pena il loro allontanamento dalla scuola pubblica, oppure in alternativa rifugiarsi nelle scuole private e cosiddette confessionali.
Di sicuro si va anche ad ingrandire il gap che già esiste tra la laicissima cultura occidentale e la lontanissima cultura orientale araba, che rimane nelle sue maglie più incontrollate ed oscure profondamente teocratica, e visto il già dilagante terrorismo islamico, i folli della jiadh aggiungeranno anche questo tassello alla loro violenza (è il normale prezzo richiesto a chi si ritiene essere avanti nello sviluppo e nel progresso).
Per concludere, credo che ogni paese dovrebbe proporre un referendum al suo popolo, chiamato a rispondere nelle urne con un parere favorevole o sfavorevole.
Favorevole non all’amore libero (retaggio degli anni della contestazione) ma alla parità di genere (sostanza del mondo che si è totalmente emancipato dalla tradizione, dalla storia, dalla letteratura religiosa e da un certo modo di intendere la ragione).
Solo questo referendum giustificherebbe e permetterebbe agli occhi di tutti l’accettazione e l’effettivo normamento di questa nuova prassi familiare. Così come si fece per il divorzio e per l’aborto (ma con la differenza che l’aborto ed il divorzio non si chiedeva di imporli ma solo di legittimarli).
Potrebbe sembrare un passaggio forzato o discriminatorio, ma visto che la materia è imponente e profonda, quale procedura migliore di detto trasparente e democratico agire politico?
Visto che la verità sulla questione non può essere dettata con leggerezza nè da una minoranza che si vorrebbe imporre, nè da una presunta e forse non esistente maggioranza che chiederebbe l’immobilismo di fatto, che referendum sia.
Maria e Mario
La Maria di cui parlo è Maria Montessori; Mario sarebbe suo figlio, che la nostra più importante pedagogista di fama mondiale è costretta a partorire nel segreto per evitare scandali (non essendo sposata) e per evitare di rischiare di perdere il diritto a continuare a vedere la sua creatura (in un tempo in cui l’essere donna non era protetto da nessuna legge)
Leggi ferree ed ipocrite severissime, che probabilmente hanno portato il mondo oggi ad essere quasi l’opposto di quello che era allora.
La fiction su questa drammatica e sfortunata vicenda personale probabilmente ci dà degli spunti romanzati, che possono lasciare il tempo che trovano.
Non è la vicenda romanzata che mi interessa riflettere.
Almeno tre cose emergono chiare dalla vicenda storica (e dunque non romanzata):
1. la complessa personalità della Montessori, una mescolanza di coraggio e di incoscienza, di saggezza e di slancio pressochè infantile, di ambizione e di dedizione al sacrificio, di ferma determinazione e di capacità di analisi obiettiva, che ce la consegnano in tutta la sua normalità e vicinanza
2. il suo essere nata in un tempo storico dove i bambini orfani venivano destinati al manicomio, ad essere etichettati come bambini con problemi mentali, solo perchè di loro nessuno se ne voleva occupare e se ne era mai preso il carico, non in maniera scientifica, non in maniera politica e non in maniera umanitaria
3. il suo incrociarsi con persone autorevoli che a lei diedero tanto il peggio di sè come anche grandi occasioni di sviluppo e di insperata provvidenziale salvezza
Ecco, volevo solo concludere con il giudizio finale: semplicemente un esempio di insegnante e di madre ok.
Io la trovo una donna straordinariamente moderna, giovane, vitale, incoraggiante, e non mi stancherò mai di ripeterlo.
Conoscere, scoprire, scrivere, rinascere
Ad auspicio di un mondo più coerente, dove l’onestà possa avere la meglio sulla furbizia e dove buoni segnali di ripresa ci aiutino a non vomitare tutta la rabbia che ci teniamo dentro, compresa una certa vergogna d’essere quello che siamo diventati, come sistema paese
Chi appartiene al mondo della scuola e vuole conoscere la realtà legislativa inerente questo lavoro non può mancare all’incontro di martedì prossimo a Monza presso l’Ipsia di via Montegrappa, dove persone competenti e preparate esporranno con praticità e realismo le numerose problematiche e possibili soluzioni…
Ti aspettiamo, per conoscere anche le tue proposte e riflessioni…
Cercavo un articolo speciale da ribloggare ed ho trovato questa meraviglia!
Ve la regalo… 🙂
Ha vinto Grillo, sul piano nazionale.
Ma la partita ora si fa delicatissima.
Ci sono due soliti noti che non si filano, chi più chi meno; e c’è il terzo incomodo, che vuole fare e farsi avanti, senza scendere a patti.
Ma si sa che in parlamento i patti si devono fare, e ci vuole una maggioranza.
Riusciranno questi tre ibridi a fare in qualche modo squadra?
Riuscirà a vincere il buonsenso ed il senso di responsabilità?
Saranno i tanti grillini capaci di interpretare il bisogno reale del paese coniugandolo con gli strumenti del mestiere?
Forse lo sapranno fare meglio di quanto non abbiano saputo concludere e produrre i grandi mestieranti, ma con i forse non si salva l’economia.
E si parla di economia vera e non di fanta finanza.
Certo, alla peggio si tornerà a votare di nuovo, ma non per ripetere la stessa situazione
( e questo gli italiani lo dovrebbero capire).
E cosa sarà accaduto nel frattempo dentro le maglie già molto pericolanti del nostro paese?
Come si può concludere, le domande sono tantissime e le certezze inesistenti.
Non mi resta che augurare ai distruttori del sistema di essere capaci di costruire dopo che hanno saputo sfasciare.
Dovrei dire, dopo che abbiamo saputo sfasciare, visto che uno su tre abbiamo votato Grillo e quello che rappresenta.
Largo ai lavori, dunque.
Del resto, Mai dire mai.
L’importante è adesso essere seri, perchè non è più tempo di facile comicità…
(leggere anche il fatto quotidiano)
Testimonianze dirette di chi l’ha frequentata
Sono i giovani di Barbiana stessi che definiscono in cinque punti la scuola nel 1963, quattro anni prima della morte di don Milani:
1.Barbiana
« …Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi… In tutto ci sono rimaste 39 anime… In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l’acqua. La strada non c’era. L’abbiamo adattata un po’ noi perché ci passi una strada. »
2.La scuola
« La nostra è una scuola privata… D’inverno stiamo un po’ stretti, ma da aprile ad ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca… Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane… Qualcuno viene da molto lontano, per esempio Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni il più grande 18… l’orario è dalle otto del mattino alle sette e mezzo di sera… Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco… i giorni di scuola sono 365 all’anno, 366 negli anni bisestili… abbiamo ventitré maestri, escluso i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli minori di loro… »
3.Perché i suoi ragazzi andavano a scuola “sul principio”
« Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori… »
4.Perché andavano a scuola “dopo”
« A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere.Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre. »
5.Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare
« …Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell’altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s’è voluto iscrivere a elettrotecnica. Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città. E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz’ora… Pressione dei nostri genitori e del mondo a nostra difesa, però c’è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo. Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt’altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola. »
Riflessioni brevi personali
La scuola di Barbiana, oggi, non è più un luogo fisico dove si possa andare e decidere di rimanervi.
Essa è rimasta un luogo non luogo, un tempo non tempo, che solo continua a vivere nelle persone che l’hanno frequentata, e più che frequentata, vissuta e portata nel cuore. E dopo di loro continua a vivere nelle persone che l’hanno studiata, approcciata, incrociata nella propria formazione pedagogica.
La scuola del prete più discusso d’Italia (se non il più discusso, uno dei più chiacchierati) è praticamente la storia di questo stesso religioso ed educatore; perseguito per la sua eccessiva originalità e per il suo temperamento eccessivo, don Lorenzo viene mandato a Barbiana per punizione, affinchè gli venga inflitto una specie di confino, di isolamento.
Invece a Barbiana il nostro speciale investito religioso mette floride e felici radici. A dispetto di ogni più funerea e malvagia previsione.
Don Lorenzo l’intemperante, Don Lorenzo il cattocomunista, Don Lorenzo l’eretico, Don Lorenzo il disubbidiente, Don Lorenzo il folle…
Invece Don Lorenzo è solo un prete fuori da ogni schema e fuori da ogni ortodossia, ed è un educatore che concepisce quindi la scuola soprattutto per quei poveri che nella scuola normale verrebbero e sono di fatto “scartati” perchè ritenuti inadeguati e non dotati.
Certo, molti studenti smidollati di oggi non so se metteremmo con coraggio mai un piede dentro questa concezione di formazione scolastica. Qui non c’è un solo giorno di vacanza, non c’è il momento del gioco, non ci sono distrazioni di sorta.
Lo studio è per ogni suo partecipante come la vanga per il contadino; come l’adulto deve lavorare, il bambino/ragazzo deve studiare. Almeno fino a che non deciderà d’essere pronto per il lavoro. E magari deve anche lavorare, per aiutare la famiglia…
E non si studia per il voto, perchè qui i voti non esistono. Esiste il capire, il saper fare, il progettare, l’ingegnarsi…
Lo studio è una cosa assolutamente seria e faticosa, e don Lorenzo lo sa.
Ma grazie ad esso i giovani formati ed educati alla vita saranno uomini adulti capaci d’affrontare ogni genere di difficoltà, capaci di scegliere, capaci di conoscere, evolvere e comprendere.
Questo è il fascino di questo maestro mai tramontato, un insegnante che non pensa a bocciare nessuno, ma che pensa a salvare tutti, a dare a tutti la propria possibilità.
BARBIANA COME SCUOLA DELL’AUTONOMIA (aveva il suo regolamento) , DELLA COOPERAZIONE (i più grandi devono insegnare ai più piccoli e si studiano i metodi di scuola utilizzati dagli altri paesi), DELLA FLESSIBILITA’ ( ci sono programmi plurimi, personalizzati e contestualizzati) E DEL TALENTO ( occorre portare ognuno alla realizzazione personale e sociale)
Ma non sono forse le caratteristiche che la scuola dello Stato cerca di perseguire ancora oggi più di ieri, come mete e propositi di non facile realizzazione?
Domanda legittima: come può in insegnante che si riconosce in questo modello, stare bene e trovare il proprio posto nella scuola reale?
Insegno ispirandomi nel mio piccolo a tre grandi maestri del recente passato. Li chiamo le mie tre emme, emme come Montessori, come Milani e come Maieutica.
I corsi di formazione continua, moderni e supertecnologici, non sono stati in grado di sostituirli. Questi mi rendono informata e formata, ma quelli danno il senso e tracciano la via del mio vagabondare lavorativo.
Ho annoverato l’antico Socrate tra i pedagogisti recentemente passati, come se fosse contemporaneo degli altri due studiosi ed educatori; e non è stato un lapsus o una svista; Socrate è assolutamente senza tempo.
Ecco quindi un brano classico di insegnamento maieutico, giusto per darne una rispolverata e nell’attesa di potere quanto prima riportare i miei…
Chiese il maestro ai suoi scolari: “Voi ragazzi, non avete mai confuso il vostro compagno Paolo con questa tavola o con questo albero? Giusto?”
“O no…”
“Perchè?”
“Perchè questa tavola è inanimata e insensibile; invece Paolo vive e sente!”
“Bene, se voi battete la tavola non sente nulla e voi non le fate del male; ma avete voi diritto di distruggerla?”
“No, si distruggerebbe la cosa altrui” “
“Che cosa dunque rispettate nella tavola?” il legno inanimato e insensibile, ovvero la proprietà di colui cui essa appartiene?”
“La proprietà di colui cui essa appartiene”
“Avete voi il diritto di battere Paolo?”
“No, perché gli faremmo male e patirebbe”
“Che cosa rispettate in lui?, la proprietà di un altro o Paolo stesso?”
“Paolo stesso”
“Voi non potete dunque né batterlo, né rinchiuderlo, né privarlo di cibo?”
“No, i carabinieri ci arresterebbero”
“Ah ,la paura del carabiniere…ma è solo per questo che non fareste del male a Paolo?”
“No, signore, perché noi amiamo Paolo e non vogliamo farlo soffrire, perché non ne abbiamo il diritto”
“ Credete dunque che bisogna rispettare Paolo nella vita e nella sua sensibilità, perché la vita e la sensibilità sono da rispettare?”
“Sì, signore”
“Vi è dunque solo questo da rispettare in Paolo? Esaminiamo, cercate bene”
“I suoi libri, il suo abito, la sua cartella, la colazione che vi è dentro…”
“ Sia, che volete dire?”
“Noi non possiamo stracciare i suoi libri, macchiare il suo abito, distruggere la sua cartella, mangiare la sua colazione”
“E perché?”
“Perché queste cose sono sue e non è permesso prendere le cose altrui”
“Come si chiama l’atto che proibisce di prendere le cose altrui?”
“Furto”
“ Perché il furto è proibito?”
“Perché si va in prigione”
“Sempre la paura del carabiniere….Ma è soprattutto per questo che non si può rubare?”
“No signore, perché la roba altrui deve essere rispettata, come la persona altrui”
“Benissimo, la proprietà è il prolungamento della persona umana e si deve rispettare come quella, ma è qui tutto? Non vi è altro da rispettare in Paolo che il corpo, i libri e i quaderni? Non vedete altra cosa? Non trovate più nulla?…vi metterò sulla via io: Paolo è uno scolaro studioso, un compagno franco e servizievole; voi tutti lo amate come si merita. Come si chiama la stima che noi abbiamo per lui? La buona opinione che noi abbiamo di lui?”
“L’onore, la reputazione…”
“Orbene, questo onore, questa reputazione Paolo si acquistò con la buona condotta e i buoni costumi. Sono cose che gli appartengono “
“Sì signore, noi non abbiamo il diritto di rubargliele”
“Benissimo, ma come si chiama questo furto, cioè il furto dell’onore? E prima di tutto, come si può rubarglieli?” sono forse essi che si possono prendere e mettere in tasca? “
“No, ma si può parlare male di lui”
“Come?”
“Si può dire che egli ha fatto del male a un compagno…che ha rubato delle mele nel vicino frutteto…che ha sparlato di un altro…”
“Sia, ma come così parlando voi gli rubereste l’onore e la reputazione?”
“Signore, non gli si crederà più, si avrà cattiva opinione di lui, si batterà, rimprovererà , e si lascerà in disparte…”
“Dunque, se voi dite male di Paolo, allorchè questo male è falso, gli farete piacere?”
“No, signore , gli si recherà dolore, gli si farà torto, il che sarebbe assai brutto e cattivo”
“Sì, miei ragazzi, questa menzogna con l’intenzione di nuocere sarebbe assai brutta e cattiva e si chiama calunnia. Io vi spigherò più tardi che si chiama maldicenza, il male che si dice di una persona, quando questo male è vero, e vi mostrerò le funeste conseguenze della calunnia e della maldicenza.
Riassumiamo dunque quel che dicemmo: Paolo è un essere vivente e sensibile. Non dobbiamo procurargli sofferenze, né derubarlo, né calunniarlo; dobbiamo rispettarlo. Si chiamano diritti queste cose rispettabili che sono in Paolo e lo rendono una persona morale” L’obbligazione che noi abbiamo di rispettare questi diritti si chiama dovere. Si chiama poi giustizia l’obbligo o il dovere di rispettare i diritti altrui. Giustizia deriva da due parole latine ( in iure stare ) che significano: “mantenersi nel diritto”.
I doveri di giustizia da noi numerati si riassumono così: Non ferire…non far soffrire…non rubare…non calunniare…” Riflettete alle parole che dite sempre: “Non” con un verbo infinito imperativo…che significa questo?…”
“Un obbligo, un comando…un divieto”
“Via, spiegate”
“L’obbligo del rispetto, il comando di rispettare i diritti…il divieto di rubare…”
“In che cosa dunque si riassumono essi? Nel non fare del male”
Brano tratto da “L’autoeducazione” di Maria Montessori Edizioni Garzanti
Ciao amici, oggi si parla di giustizia.
Ma quale giustizia? Quella dei tribunali?, quella processuale? O quella più generalmente intesa come senso positivo della vita? La mia attenzione riguarda quest’ultima.
Io non auguro al mondo felicità o ricchezza o potere o successo…tutte cose estremamente soggettive che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni generali ; io auguro al mondo che possa avere la sua giustizia, semplicemente.
Già la premessa fa comprendere che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.
Il fatto che questa emergenza o necessità prioritaria non si sia mai placata nella storia e nel tempo non è una buona ragione per ritenere archiviabile o secondario il tema di discussione.
La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.
Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare, mentre il successo è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto visibile e concreto, per cui su di esso, sulla sua oggettività si è tutti generalmente d’accordo, la giustizia è un cammino, è un sentiero, è un percorso che solca tracciati impervi e spesso sconosciuti alla grande notorietà, senza per questo rimanere mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.
Cercano giustizia tutti gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia tutti gli esseri privi di parola, privi di capacità di difesa, privi di autonomia che per difendersi dalle offese devono ricorrere alla parola di chi sa e deve spendere voci per loro.
Cercano giustizia i carcerati nelle carceri, che si trovano a scontare una giusta pena in condizioni incivili ed ingiuste; cercano giustizia i perseguitati, gli scherniti, gli esclusi, i diversi, che per le più varie ragioni non si sono trovati garantiti i diritti più elementari e prioritari, sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti i loro diritti anche dopo lunghe lotte e battaglie.
Cercano giustizia i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi per la giusta via di mezzo, ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo negazioni, scorrettezze, squilibri; cercano giustizia.
Cercano giustizia gli incompresi e i calunniati, quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati di avere agito male, quelli che hanno gito per l’interesse comune ma si sono trovati tacciati di avere agito per interessi personali; cercano giustizia gli infermi obbligati a condizioni di vita disumane e ben oltre il limite della sopportazione.
Cercano giustizia gli sfortunati che sono nati nella parte sbagliata del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato; cercano giustizia gli sfruttati, i raggirati, quelli che sono stati usati come oggetti e poi buttati via come pezzi di ricambio; cercano giustizia gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie che a causa di leggi ingiuste o non perfette si sono trovati a pagare le colpe degli altri, della cattiva politica, della cattiva amministrazione.
Cercano giustizia quelli che non capiscono, quelli che devono fare appello a tutta la loro buona volontà per far tornare i conti che non tornano, quelli che non hanno mezzi adeguati per farsene una ragione e tuttavia se la inventano, se la sanno improvvisare.
Cercano giustizia quelli che stanno al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo, e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento del salto, dello scatto, dell’involata.
Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta, però continuano lo stesso a dare quello che sanno fare e costruire, perché le loro ragioni superano ogni forma di soddisfazione apparente.
E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera, si ha solo da sperare che non ci si stanchi mai di farlo.
Tra l’inizio di questa ricerca e la sua risoluzione il tempo che può intervenire nessuno può calcolarlo e prevederlo; vuoi perché i tempi stessi della sua realizzazione sono assai contorti, vuoi perché non è affatto garantita nessuna dirittura d’arrivo.
Nella ricerca di questa benedetta benedizione, corre la vita.
La vita di quegli stessi corridori che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.
Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è intervallo, che non sia quello contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze, di riorganizzare il tempo.
Alla fine della corsa uno saprà la verità.
Qualcuno però non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia, perché non hanno potuto avere le loro occasioni.
Non crediamo a chi vuol scoraggiarci ; non crediamo a chi vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo a chi sembra già avere il paradiso nelle mani mentre ha solo palta e fango.
C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso della vita.
Tutto qui.
La giustizia insomma è solo una questione di volontà, che supera l’oggi, che supera lo ieri, che supera la paura del fallimento e della solitudine.
Etica del lavoro, prega per noi. Mai litania fu più ben detta di questa…
Tale riflessione parte dal concetto che noi siamo molto bravi a riconoscere le nostre personali necessità ed i nostri sacrosanti diritti, ma non siamo altrettanto bravi a riconoscere le necessità ed i diritti, anche quelli più palesi, di chi ci sta accanto.
Quante volte ci capita di farlo, anche inconsapevolmente, anche senza metterci particolare perfidia, anche senza essere detti palesemente parlando, degli stronzi?
Succede nella frenesia del nostro quotidiano che non ci suggerisce più il buonsenso di riflettere, di prenderci un piccolo spazio, indispensabile e salutare, per riuscire ad essere noi e solo noi a governare la nostra giornata e non il nostro capoufficio, o il nostro dirigente, o il collega con cui lavoriamo e che avrebbe la pretesa di dominarci o di contare un pezzo di più…
Come riuscire a trovare il nostro sacrosanto e doveroso equilibrio? Come riuscire ad esercitarlo anche nei momenti più difficili, più critici, dove può facilmente accadere una scivolata di stile, una caduta di tono, una perdita del centro?
Innanzitutto sapendo sempre fare un passo in retromarcia; quando ci accorgiamo che non è giornata, non tira l’aria giusta e si può solo peggiorare la situazione, è sempre meglio desistere, è sempre meglio tirarsi indietro.
Una volta fatto questo, si può rivedere la dinamica dei fatti, degli eventi.
Ci accorgeremmo senz’altro di avere commesso degli errori; potrebbero essere errori di impostazione, di approccio, di premesse, di interpretazione o di forma, l’importante è che non siano errori di sostanza, perché se fossero tali allora noi saremmo inequivocabilmente senza possibilità d’appello dalla parte del torto.
Non che gli sbagli non si possano commettere, ma chi commette errori deve essere pronto a riconoscerli e a rimediarli tutti e subito.
Se non lo dovesse fare, se non lo dovessimo fare, allora potrebbe essere qualcun altro a venirci a chiedere spiegazioni e noi ci troveremmo nel difetto di avere voluto fare i furbi.
Già, i furbi, come se il mondo non ne fosse abbondantissimamente pieno…
Perché il problema è proprio questo, l’etica del rispetto ha lasciato dominio quasi assoluto alla logica del più disonesto.
I genitori lo insegnano ai figli, i figli lo insegnano ai compagni, gli insegnanti lo confermano come regola che non può essere fermata od ostacolata, tutto il sistema sociale lo conferma come un morbo dal quale si può solo sperare di non esserne travolti…
E poi c’è l’equivoco, c’è sempre l’insidia ancora più sibillina e contorta dell’equivoco; ci sono persone che non hanno per carattere la capacità di dare fiducia al prossimo.
Queste persone instaurano intorno a loro, per un loro bisogno prioritario, un regime di controllo e di sorveglianza ossessiva e costante; trasmettono questa forma mentis ai propri collaboratori, ai propri sottoposti, ai propri colleghi, alla famiglia, agli amici, agli amici degli amici…fino a che tutto viene stritolato e travolto da una sorte di malcontento generale, dove le cose solo in apparenza sembrano funzionare in maniera ineccepibile, ma in verità è solo che tutto rimane taciuto e segreto perché bloccato nella libera espressione.
Questo è un cancro sociale che vige negli ambienti lavorativi in genere, in tutte le grandi aziende, nelle istituzioni, nei grandi palazzi, ma anche nelle piccole realtà di paese, dove le comunità ristrette rendono tutto più ingigantito, tutto più drasticamente amplificato.
Personalmente credo che questo cancro sociale può essere fermato o comunque pilotato dalle volontà dei singoli.
E’ straordinaria la forza che può avere una persona all’interno di una comunità.
Se questa persona decide di non lasciarsi assorbire da queste dinamiche perverse e distruttive, può facilmente trovare all’interno dell’ambiente lavorativo che pratica un valido alleato con cui confrontarsi.
Possiamo pensare che le azioni di ostruzionismo alla esaltazione dei disvalori siano già diventate due.
Ma non si esclude che potrebbero diventare tre, e se una persona può lanciare il primo sasso, due possono fare una bella coppia, cosa potrebbero mai fare tre persone aperte, dinamiche e non preconfezionate in meccanismi chiusi, che la pensano alla stessa maniera, ossia che viene sempre prima il rispetto della persona e della sua dignità, a qualunque altra esigenza?
Credetemi, possono fare moltissimo.
E’ per questo che io rimango fiduciosa.
Plaudo le meravigliose persone che so esistere, che so albergare nelle nostre quotidianità, che so resistere nonostante le fatiche e le difficoltà sempre in crescita, di cui conosco il valore profondo e meritevole.
E’ questa la banale meritocrazia che ogni reticolato di persone dovrebbe auspicarsi e incrementare; credetemi, non sono baggianate, non sono vuote parole, sono le condizioni di vita di tutti noi che ogni giorno dobbiamo affrontare l’onda nera dell’impersonalità, l’ipocrisia del borghese e dell’invidioso che ci vorrebbe vedere schiacciato, e solo per goderne in maniera perversa…
Dico personalmente grazie a tutti quegli speciali individui del tutto comuni e del tutto ordinari che non si lasciano annullare, che non si lasciano succhiare dalle logiche del più forte e del più frustrato, ma che semplicemente sanno rimanere se stessi dentro il marasma del sospetto, della discriminazione, del pregiudizio e dell’assenza d’amore.
Del resto ricordiamoci che chi non sa amare, ossia avere rispetto delle persone, è solo qualcuno che non si è mai sentito amato.
E ricordiamoci che rispettare un lavoratore significa rispettare il lavoro stesso, evitare ogni genere di malcontento inutile, prevenire le lamentele e le denunce che possono sfociare in dolorosi e complessi quanto spesso inutili iter giudiziari; vuol dire dunque voler bene all’economia, volere bene al Paese, voler bene al nostro prossimo tutto, sapendo immaginare, dentro questo nostro traballante circuito che si chiama per noi civiltà tecnologica, i nostri stessi figli che un giorno diventeranno adulti.
E poi se ancora non dovessero bastare tutte queste premesse, allora ragazzi, ricordiamoci anche che ci sono strumenti senz’altro più diretti ed efficaci attraverso i quali far valere i propri diritti…se non vogliamo fare la fine di quell’idiota che scelse di morire a soli trentatre anni…
adescamento via internet per rapina
Ma sarebbe lunghissima la lista che potremmo inserire sulle varie forme di adescamento via rete che poi si trasformano in una sorta di tortura psicologica o di veri e propri delitti contro minori indifesi.
Aiutiamoli, proteggiamoli, difendiamoli.
Noi facciamo sesso sicuro!!!
Non perdere mai la tua lucidità, non farti rubare la vita, e se hai bevuto troppo, non metterti mai al volante; potrebbe essere l’ultima volta che lo fai…
Questi video sono per tutti i nostri ragazzi che vanno a scuola senza alcun interesse, buttando via il tempo, senza rendersi conto dell’ enorme fortuna che hanno avuto nella vita e di quanto essa venga molto molto stupidamente buttata via. Voi siete farfalle nate per volare; non rinunciate ai vostri sogni…
E’ stato tolto il video sponsorizzato dalla polizia postale
credo rimanga visibile sul web…
C’è chi ce l’ha, chi ne è sprovvisto, chi la usa male, chi la usa bene, chi vorrebbe imparare ad usarla, chi ne intuisce le potenzialità e chi le mette in pratica.
Ecco come usarla, come i docenti la stanno usando, come si potrebbe pensare di progettarla…
Solo alcune idee, naturalmente, per gli addetti ai lavori, presenti, di passaggio e futuri.
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Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
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There is always something to be thankful for in your life. Being alive is absolutely one of them!
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