Il viaggio surreale del COVID19

E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.

Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.

Si chiama COVID19

 

 

Ha cambiato le nostri abitudini sociali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sveva e Andrea in città

Sveva Modignani e Andrea Vitali  sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.

Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due  autori nemmeno tanto giovani.    E invece sono due belle penne  della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera  davvero  accattivante.

Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.

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L’asilo bianco

L’asilo bianco era un luogo dove Sabina Spielrein mise in pratica i suoi semplici quanto  rivoluzionari principi pedagogici durante i terribili anni del nazismo stalinista.

Erano principi che si ispiravano all’educare nell’insegna dell’essere libero, libero di fare, libero di sperimentare, libero di scegliere, libero di scoprire tutte le  diverse meraviglie della vita, non escluse quelle sessuali legate alla  elementare conoscenza del corpo umano.

I suoi  orientamenti  di pensiero si legavano a Freud  e Jung,  con cui ebbe anche una travagliata  relazione affettiva,  legando il suo credo pedagogico  all’importanza della  psicanalisi.

Lei stessa ex malata, lei stessa futuro medico, lei stessa perdutamente   innamorata dell’amore e della sua incommensurabile forza trasformativa.

Accanto alla psicanalisi riteneva fondamentale la capacità di curare e l’amore per la musica. Le sue lezioni erano una mescolanza di giochi, canti e poesie, dove attraverso la leggerezza si arrivava a toccare  gli spiriti profondi dei comportamenti complessi.

Tra i suoi alunni ebbe il privilegio di crescere e formarsi un  bambino tra i tanti  con problemi di relazione, chiuso in un ostinato mutismo,   che divenuto adulto e ottuagenario,  all’età di ottantaquattro anni avrà modo di testimoniare al mondo civile e moderno quegli anni oscuri, quei  giorni  lontani, quegli indimenticabili momenti   conservati nel cuore.

Sabina era una donna speciale, geniale, profondamente intelligente, e purtroppo per lei anche ebrea.

Finì fucilata dall’armata del regime in una sinagoga , insieme alle sue due figlie  e a molti altri ebrei che invano avevano cercato la fuga.

Prima di venire trucidata,  solo per non avere voluto abiurare al suo pensiero, nascose un  suo libro pieno di sue poesie dentro gli scaffali di un  inginocchiatoio, per sottrarlo  alla inevitabile dispersione.

Sapeva perfettamente  che il suo principio educativo sarebbe sopravvissuto al suo sacrificio.

Quello che ancora  non immaginava  nel momento della fine    era che sarebbe stata celebrata   come insegnante  nei posteri,  proprio  e soprattutto    grazie all’amore e alla riconoscenza  di questo  suo piccolo allievo  che lei aveva saputo strappare al buio della solitudine e del silenzio.

Si chiamava   Ivan Ionov  la cui scena di toccante umanità è stata oscurata sui video che erano presenti sulla rete  per diritti d’autore.

 

 

 

 

Gli USA aprono al pensiero gender

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E’ di questi giorni la storica apertura degli Stati Uniti  al pensiero gender.

E’ solo questione di tempo e tutto il mondo occidentale accetterà di fatto una idea nuova di famiglia, di figli, di paternità e di maternità. Ossia di società. Ossia di economia (perchè dove si parla di diritti si parla anche di soldi). Ossia di antropologia.

Davanti alla storia che chiede cambiamenti  il pensiero dei singoli ha poca rilevanza, ed i singoli sono chiamati ad adeguarsi  a quello che sembra una volontà ferrea di una intera società in mutazione.

Solo il tempo racconterà le implicazioni, le novità, le complicazioni, le difficoltà e gli errori  che ogni Cambiamento significativo porta con sè, un cambiamento che oggi non è più possibile fermare, credo non sia più nemmeno corretto  ostacolare.

Ma allora  come  si può  conciliare tutto questo  con quello che  sembra  presentarsi e rimanere  come un essere fuori tempo, fuori moda, fuori tutto?

Personalmente continuo a credere che la famiglia normale debba essere costituita da un padre, una madre e via discorrendo; come  anche  credo che anche le famiglie non normali debbano avere i loro diritti garantiti, nel nome di un amore che si vuole dichiarare senza sesso e dunque senza  imposizioni di sorta.

A causa di questa uguaglianza di diritti da tutelarsi,  le famiglie non possono essere classificate però (come io non riesco a fare e credo non ci riuscirò mai, essendo questo un mio limite)  tra  l’essere  nella norma e l’esser  fuori della norma, e dunque la società e le leggi procederanno affinchè questa distinzione  di parte  che viene tacciata di omofobia,  non possa avere la meglio  e causare discrimini, come è sempre accaduto nel passato.

Nelle scuole si insegnerà per decreto, ossia per programma ministeriale,  il pensiero gender  e ci saranno notevoli conseguenze e modifiche  nell’educazione e nello sviluppo della pedagogia  condivisa, da come è stata ad oggi intesa e progettata.

Questo comporterà tutto un ciclo di formazione rivolta ai docenti  ed in parte anche alle famiglie  che dovranno prepararsi a questa importante  esigenza  collettiva.

Non solo, questo mutamento comporterà decine e decine d’anni di assestamento, durante i quali accadranno cose nuove e non prevedibili, ovviamente  del tutto legittime.

Coloro che si  rifiuteranno di accettare questa presunta  ideologia, dovranno in qualche modo  adattarsi pena il loro allontanamento dalla scuola  pubblica, oppure in alternativa    rifugiarsi nelle scuole private e cosiddette confessionali.

Di sicuro si va anche ad ingrandire il gap  che già esiste tra la laicissima  cultura occidentale e la lontanissima cultura orientale araba, che rimane nelle sue maglie più incontrollate ed oscure profondamente teocratica, e visto il già dilagante terrorismo islamico, i folli della jiadh  aggiungeranno anche questo tassello alla loro violenza (è il normale  prezzo richiesto a chi si ritiene essere  avanti nello sviluppo e nel progresso).

Per concludere, credo che ogni paese dovrebbe proporre un referendum  al suo popolo, chiamato a rispondere nelle urne con un parere favorevole o sfavorevole.

Favorevole non all’amore  libero  (retaggio degli anni della contestazione) ma alla parità di genere (sostanza del mondo che si è totalmente emancipato dalla tradizione, dalla storia, dalla letteratura  religiosa  e da un certo modo di intendere la ragione).

Solo questo referendum giustificherebbe e permetterebbe   agli occhi di tutti  l’accettazione e l’effettivo normamento  di questa   nuova prassi  familiare. Così come si fece per il divorzio e per l’aborto (ma con la differenza che l’aborto ed il divorzio non si chiedeva di imporli ma solo di legittimarli).

Potrebbe sembrare un passaggio forzato o discriminatorio,  ma visto che la materia è imponente  e profonda,  quale procedura migliore di detto trasparente e democratico  agire politico?

Visto che la verità sulla questione non può essere dettata con leggerezza nè da una minoranza che si vorrebbe    imporre, nè da una presunta  e forse non esistente  maggioranza che chiederebbe l’immobilismo di fatto,   che referendum sia.

 

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4 gennaio 2015

Maria e Mario

La Maria di cui parlo è Maria Montessori; Mario sarebbe suo figlio, che la nostra più importante pedagogista di fama mondiale è costretta a partorire nel segreto per evitare scandali (non essendo sposata) e per evitare di rischiare di perdere il diritto a continuare a vedere la sua creatura (in un tempo in cui l’essere donna non era protetto da nessuna legge)
Leggi ferree ed ipocrite severissime, che probabilmente hanno portato il mondo oggi ad essere quasi l’opposto di quello che era allora.
La fiction su questa drammatica e sfortunata vicenda personale probabilmente ci dà degli spunti romanzati, che possono lasciare il tempo che trovano.
Non è la vicenda romanzata che mi interessa riflettere.
Almeno tre cose emergono chiare dalla vicenda storica (e dunque non romanzata):
1. la complessa personalità della Montessori, una mescolanza di coraggio e di incoscienza, di saggezza e di slancio pressochè infantile, di ambizione e di dedizione al sacrificio, di ferma determinazione e di capacità di analisi obiettiva, che ce la consegnano in tutta la sua normalità e vicinanza
2. il suo essere nata in un tempo storico dove i bambini orfani venivano destinati al manicomio, ad essere etichettati come bambini con problemi mentali, solo perchè di loro nessuno se ne voleva occupare e se ne era mai preso il carico, non in maniera scientifica, non in maniera politica e non in maniera umanitaria
3. il suo incrociarsi con persone autorevoli che a lei diedero tanto il peggio di sè come anche grandi occasioni di sviluppo e di insperata provvidenziale salvezza

Ecco, volevo solo concludere con il giudizio finale: semplicemente un esempio di insegnante e di madre ok.

Io la trovo una donna  straordinariamente moderna, giovane, vitale, incoraggiante, e non mi stancherò mai di ripeterlo.

2 gennaio 2015

Conoscere, scoprire, scrivere, rinascere

Ad auspicio di un mondo più coerente, dove l’onestà possa avere la meglio sulla furbizia e dove buoni segnali di ripresa ci aiutino a non vomitare tutta la rabbia che ci teniamo dentro, compresa una certa vergogna d’essere quello che siamo diventati, come sistema paese

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21 OTTOBRE A MONZA

Chi appartiene al mondo della scuola e vuole conoscere la realtà legislativa inerente questo lavoro non può mancare all’incontro di martedì prossimo a Monza presso l’Ipsia di via Montegrappa, dove persone competenti e preparate esporranno con praticità e realismo le numerose problematiche e possibili soluzioni…
Ti aspettiamo, per conoscere anche le tue proposte e riflessioni…

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DISCORSO AGLI STUDENTI

DISCORSO AGLI STUDENTI – George Saunders

Nel corso degli anni si è andata affermando una tradizione per questo tipo di discorsi, che potremmo sintetizzare come segue: un vecchio noioso e antiquato, con i migliori anni ormai alle spalle, che nel corso della sua vita ha commesso una serie di errori madornali (che sarei io), dà consigli dal profondo del cuore a un gruppo di giovani brillanti e pieni di energie che hanno davanti a sé i loro anni migliori (che sareste voi). E io intendo rispettare questa tradizione.

per una scuola nuova

Ci sono solo due cose durature che possiamo sperare di lasciare in eredità ai nostri figli: una sono le radici, l’altra le ali” (Hodding Carter).
La scuola rappresenta a pieno titolo per una comunità le ali e le radici da lasciare in eredità ai propri figli.
La scuola rinsalda le radici, perché incardina una vita al territorio, ne fa assimilare la linfa, fa sorgere legami forti, scava pozzi profondi da riempire con ricordi.
La scuola fa spiegare le ali, perché spinge a vedere le cose dall’alto, fa inebriare il respiro della mente con l’aria pura del sapere, conduce verso orizzonti di consapevolezza e panorami di libertà.
Con la parola “scuola”, noi ragioniamo di muri ma anche di pensiero, intendiamo uno spazio fisico ma anche un magistero, scandiamo il tempo fisso della frequenza con quello variabile della conoscenza.
In questa scuola, tanti e tanti docenti consacrano la loro fatica  dedicando gli anni migliori della loro vita, donano conoscenze e disponibilità dando nutrimento alle radici e forza alle ali delle generazioni di ragazze e ragazzi accompagnati in quest’avventura unica e personale.
Creatura  viva e preziosa, anno dopo anno, la scuola assorbe l’odore di chi ci vive e ci lavora; si colora della patina dei pensieri di chi vi trascorre il tempo intenso della crescita; si impregna delle parole e dei suoni, delle risa e dei pianti di chi si attende cura e attenzione ma anche di chi le chiede asilo e protezione.
E, giorno dopo giorno, come una casa abitata, questa scuola avrà sempre più il volto che è il nostro volto, avrà il profumo della nostra fatica e del nostro impegno, avrà il colore che ciascuno di noi porta nella propria tavolozza, avrà la luce che proviene dagli occhi delle donne e degli uomini che la abiteranno da oggi e per tanti anni ancora.
6 ottobre 2012
Francesco Callegari
Dirigente Scolastico

José Pepe Mujica – Discorso agli intellettuali

Cercavo un articolo speciale da ribloggare ed ho trovato questa meraviglia!

Ve la regalo…  🙂

Rivoluzione o catastrofe?

Ha vinto Grillo, sul piano nazionale.

Ma  la partita ora si fa delicatissima.

Ci sono due soliti noti che non si filano, chi più chi meno; e c’è il terzo incomodo, che vuole fare e farsi avanti, senza scendere a patti.

Ma si sa che in parlamento i patti si devono fare, e ci vuole una maggioranza.

Riusciranno questi tre ibridi a fare in qualche modo squadra?

Riuscirà a vincere il buonsenso ed il senso di responsabilità?

Saranno i tanti grillini capaci di interpretare il bisogno reale del paese coniugandolo con gli strumenti del mestiere?

Forse lo sapranno fare meglio di quanto  non abbiano saputo concludere e produrre i grandi mestieranti, ma con i forse non si salva l’economia.

E si parla di economia vera e non di fanta finanza.

Certo, alla peggio  si tornerà a votare di nuovo,  ma non per ripetere la stessa situazione

( e questo gli italiani lo dovrebbero capire).

E cosa sarà accaduto nel frattempo dentro le maglie già molto pericolanti  del nostro paese?

Come si può concludere, le domande sono tantissime e le certezze inesistenti.

Non mi resta che augurare ai  distruttori  del sistema  di essere capaci di costruire dopo che hanno saputo  sfasciare.

Dovrei dire, dopo che abbiamo saputo sfasciare, visto che uno su tre abbiamo   votato Grillo e quello che rappresenta.

Largo ai lavori, dunque.

Del resto,  Mai dire mai.

L’importante è adesso essere seri, perchè non è più tempo di facile comicità…

(leggere anche il fatto quotidiano)

I CARE

Testimonianze dirette di chi l’ha frequentata

Sono i giovani di Barbiana stessi che definiscono in cinque punti la scuola nel 1963, quattro anni prima della morte di don Milani:

1.Barbiana 
« …Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi… In tutto ci sono rimaste 39 anime… In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l’acqua. La strada non c’era. L’abbiamo adattata un po’ noi perché ci passi una strada. »

2.La  scuola 

« La nostra è una scuola privata… D’inverno stiamo un po’ stretti, ma da aprile ad ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca… Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane… Qualcuno viene da molto lontano, per esempio Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni il più grande 18… l’orario è dalle otto del mattino alle sette e mezzo di sera… Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco… i giorni di scuola sono 365 all’anno, 366 negli anni bisestili… abbiamo ventitré maestri, escluso i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli minori di loro… »

3.Perché i  suoi ragazzi  andavano  a scuola    “sul principio”
« Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori… »

4.Perché andavano  a scuola    “dopo”
« A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere.Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre. »

5.Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare 
« …Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell’altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s’è voluto iscrivere a elettrotecnica. Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città. E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz’ora… Pressione dei nostri genitori e del mondo a nostra difesa, però c’è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo. Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt’altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola. »

Riflessioni brevi personali

La scuola di Barbiana,  oggi,   non è più   un luogo fisico   dove si possa andare e decidere di rimanervi.

Essa è rimasta  un  luogo non luogo,  un tempo non tempo,  che solo  continua a vivere nelle persone che l’hanno frequentata, e più che frequentata, vissuta e portata  nel cuore. E dopo di loro continua a vivere nelle persone che l’hanno studiata, approcciata, incrociata  nella propria  formazione pedagogica.

La scuola del prete più discusso d’Italia (se non il più discusso, uno dei più  chiacchierati) è praticamente  la storia di questo stesso  religioso  ed educatore; perseguito per la sua eccessiva   originalità e per il suo temperamento eccessivo, don  Lorenzo  viene mandato a Barbiana per    punizione,  affinchè   gli venga inflitto  una specie di confino, di isolamento.

Invece a Barbiana  il nostro speciale investito  religioso    mette floride e felici radici. A dispetto di ogni più  funerea  e malvagia   previsione.

Don Lorenzo l’intemperante, Don Lorenzo il cattocomunista, Don Lorenzo  l’eretico, Don Lorenzo il  disubbidiente, Don Lorenzo  il folle…

Invece Don Lorenzo è solo un prete fuori da ogni schema  e fuori da ogni ortodossia, ed è un educatore  che concepisce quindi la scuola soprattutto  per quei  poveri  che nella scuola normale verrebbero e sono di fatto   “scartati”  perchè ritenuti   inadeguati e non dotati.

Certo, molti studenti smidollati  di  oggi   non so se metteremmo con coraggio   mai un piede dentro questa concezione di  formazione scolastica.  Qui  non c’è un solo giorno di vacanza, non c’è il momento del gioco, non ci sono distrazioni di sorta.

Lo studio è per ogni suo partecipante come la vanga per il contadino; come l’adulto deve lavorare, il bambino/ragazzo deve studiare. Almeno fino a che non deciderà d’essere pronto per il lavoro. E magari    deve anche lavorare, per aiutare la famiglia…

E non si studia  per il voto, perchè qui i voti non esistono. Esiste  il capire, il saper fare, il progettare, l’ingegnarsi…

Lo studio è una cosa assolutamente seria e faticosa, e don Lorenzo  lo sa.

Ma grazie ad esso  i giovani formati ed educati  alla vita  saranno uomini  adulti capaci d’affrontare ogni genere di difficoltà, capaci di scegliere, capaci di conoscere, evolvere  e comprendere.

Questo è il fascino di questo maestro mai tramontato, un insegnante  che non pensa a bocciare  nessuno, ma che pensa a salvare tutti, a dare a tutti la propria possibilità.

BARBIANA COME SCUOLA DELL’AUTONOMIA (aveva il suo regolamento) , DELLA COOPERAZIONE (i più grandi devono insegnare ai più piccoli e si studiano i metodi di scuola utilizzati dagli altri paesi),  DELLA FLESSIBILITA’ ( ci sono programmi plurimi, personalizzati e  contestualizzati) E DEL TALENTO ( occorre portare ognuno alla realizzazione personale e sociale)

Ma non sono forse le  caratteristiche  che la scuola dello Stato  cerca di perseguire ancora oggi più di ieri,  come  mete e propositi di non facile realizzazione?

Domanda  legittima:  come può in insegnante che si riconosce   in questo modello, stare bene e trovare il proprio posto nella scuola reale?

Le tre emme della mia didattica

Insegno ispirandomi nel mio piccolo a tre  grandi  maestri del recente passato. Li chiamo le mie tre emme, emme come Montessori, come Milani e come Maieutica.

I corsi di formazione continua, moderni e supertecnologici,   non sono stati in grado di sostituirli.  Questi   mi rendono   informata e formata,  ma quelli   danno il senso e tracciano la via  del mio vagabondare lavorativo.

Ho annoverato l’antico  Socrate  tra i  pedagogisti recentemente passati, come se fosse contemporaneo degli altri due studiosi ed educatori; e non è stato un lapsus o una svista; Socrate è assolutamente senza tempo.

Ecco quindi un brano classico di insegnamento maieutico, giusto per darne una rispolverata e  nell’attesa di potere quanto prima riportare i miei…

Chiese il maestro    ai suoi scolari: “Voi ragazzi,  non avete mai confuso  il vostro compagno Paolo  con questa tavola o con questo albero? Giusto?”

“O no…”

“Perchè?”

“Perchè  questa tavola  è inanimata  e insensibile;   invece Paolo vive e sente!”

“Bene,  se voi battete la tavola  non  sente nulla e voi non le fate del male;  ma avete voi diritto di distruggerla?”

“No,  si distruggerebbe   la cosa altrui”  “

“Che cosa dunque rispettate  nella tavola?”  il legno inanimato e insensibile, ovvero la proprietà di colui cui essa appartiene?”

“La proprietà di colui cui essa appartiene”

“Avete voi il diritto di battere Paolo?”

“No, perché gli faremmo male e patirebbe”

“Che cosa rispettate in lui?, la proprietà di un altro o Paolo stesso?”

“Paolo stesso”

“Voi non potete dunque    né batterlo, né rinchiuderlo, né privarlo di cibo?”

“No, i carabinieri ci arresterebbero”

“Ah ,la paura del carabiniere…ma è solo per questo che non fareste del male a Paolo?”

“No,  signore, perché noi amiamo Paolo  e non vogliamo farlo soffrire,  perché non ne abbiamo il diritto”

“ Credete  dunque  che bisogna  rispettare  Paolo  nella vita  e nella sua sensibilità, perché la vita e la sensibilità  sono da rispettare?”

“Sì, signore”

“Vi è dunque solo questo da rispettare in Paolo? Esaminiamo,  cercate bene”

“I suoi libri, il suo abito, la sua cartella, la colazione che vi è dentro…”

“ Sia,  che volete dire?”

“Noi non possiamo stracciare i suoi libri, macchiare il suo abito, distruggere la sua cartella, mangiare la sua colazione”

“E perché?”

“Perché queste cose sono sue e non è permesso prendere le cose altrui”

“Come si chiama l’atto che proibisce di prendere le cose altrui?”

“Furto”

“ Perché  il furto è proibito?”

“Perché si  va in prigione”

“Sempre la paura del carabiniere….Ma  è soprattutto per questo che non si può rubare?”

“No   signore, perché la roba altrui deve essere rispettata, come la persona altrui”

“Benissimo,  la proprietà è il prolungamento della persona umana e si deve rispettare come quella,   ma è qui tutto?  Non vi è altro da rispettare in Paolo che il corpo, i libri e i quaderni? Non vedete altra cosa?  Non  trovate più nulla?…vi metterò sulla via io: Paolo  è uno   scolaro studioso,  un compagno franco e servizievole; voi tutti lo amate come si merita.  Come si chiama  la stima che noi abbiamo per lui? La buona opinione che noi abbiamo di lui?”

“L’onore,   la reputazione…”

“Orbene, questo onore, questa reputazione  Paolo si acquistò con la buona condotta e i buoni costumi.  Sono cose che gli appartengono  “

“Sì signore, noi non abbiamo il diritto di rubargliele”

“Benissimo,  ma come si chiama questo furto, cioè il furto dell’onore? E prima di tutto, come si può rubarglieli?”  sono forse essi che si possono  prendere  e mettere  in tasca? “

“No, ma si può parlare male di lui”

“Come?”

“Si può dire che egli ha fatto del male a un compagno…che ha rubato delle mele nel vicino frutteto…che ha sparlato di un altro…”

“Sia,  ma come così parlando voi gli rubereste  l’onore e la reputazione?”

“Signore, non gli si crederà più, si avrà cattiva opinione di lui,  si batterà, rimprovererà ,  e si lascerà in disparte…”

“Dunque, se voi dite male di Paolo, allorchè questo male è falso,  gli farete piacere?”

“No, signore , gli si recherà dolore, gli si farà torto,  il che sarebbe assai brutto e cattivo”

“Sì, miei ragazzi, questa menzogna con l’intenzione di nuocere sarebbe assai brutta e cattiva e si chiama calunnia.   Io vi spigherò più tardi  che si chiama maldicenza,  il male che si dice di una persona,  quando questo male è vero,  e vi mostrerò le funeste conseguenze della calunnia e della maldicenza.

Riassumiamo dunque quel che dicemmo: Paolo  è un essere vivente e sensibile.  Non dobbiamo procurargli  sofferenze,  né derubarlo,  né calunniarlo; dobbiamo rispettarlo.    Si chiamano diritti queste cose rispettabili che sono in Paolo e lo rendono una persona morale”  L’obbligazione  che  noi  abbiamo  di rispettare  questi diritti si chiama dovere.  Si chiama  poi giustizia  l’obbligo o il dovere  di rispettare  i diritti altrui.  Giustizia deriva  da due parole  latine  (  in iure stare  )   che significano:  “mantenersi nel diritto”.

I doveri  di giustizia  da noi  numerati  si riassumono così: Non  ferire…non far soffrire…non rubare…non calunniare…”  Riflettete alle parole  che dite sempre:  “Non”    con  un verbo infinito  imperativo…che significa questo?…”

“Un  obbligo, un comando…un divieto”

“Via, spiegate”

“L’obbligo del rispetto, il comando  di rispettare  i diritti…il divieto di rubare…”

“In che cosa dunque si riassumono essi?  Nel non fare del male

Brano tratto    da   “L’autoeducazione”  di Maria Montessori  Edizioni  Garzanti

 

S.O.S. GIUSTIZIA CERCASI

 

 

 

Ciao amici,  oggi si parla di giustizia.

Ma quale  giustizia?  Quella  dei tribunali?, quella processuale? O quella più  generalmente intesa  come senso  positivo  della vita?  La mia attenzione riguarda quest’ultima.

Io non auguro    al mondo  felicità  o ricchezza o potere  o successo…tutte cose  estremamente  soggettive  che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni  generali  ;  io auguro  al mondo che possa avere  la sua giustizia, semplicemente.

Già la premessa  fa comprendere    che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.

Il fatto  che questa  emergenza o necessità prioritaria  non si sia mai placata nella storia e nel tempo  non è una buona ragione  per  ritenere  archiviabile o secondario il  tema di discussione.

La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.

Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare,  mentre  il  successo  è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto  visibile e concreto,  per cui su di esso, sulla sua  oggettività  si è tutti generalmente  d’accordo,  la giustizia  è un cammino, è un sentiero, è un percorso  che  solca  tracciati  impervi  e spesso sconosciuti alla grande  notorietà, senza per questo rimanere    mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.

Cercano  giustizia  tutti  gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia  tutti  gli esseri privi di parola, privi di capacità di  difesa, privi di autonomia  che per difendersi  dalle offese   devono ricorrere alla parola di chi sa e deve  spendere voci per loro.

Cercano  giustizia  i carcerati nelle carceri,  che si trovano a scontare una giusta pena  in condizioni incivili  ed ingiuste;   cercano giustizia i  perseguitati, gli scherniti,  gli esclusi, i diversi,  che per le più varie ragioni  non si sono trovati garantiti  i diritti  più elementari e prioritari,  sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti  i loro diritti  anche dopo lunghe lotte  e battaglie.

Cercano giustizia  i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi  per  la giusta via di mezzo,  ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo  negazioni, scorrettezze, squilibri;  cercano giustizia.

Cercano giustizia  gli incompresi e i calunniati,  quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati  di avere agito male, quelli  che hanno gito per l’interesse comune  ma si sono trovati tacciati  di avere agito  per interessi personali;  cercano giustizia  gli infermi  obbligati  a condizioni di vita  disumane   e  ben oltre il  limite della sopportazione.

Cercano giustizia  gli sfortunati  che sono nati nella parte sbagliata  del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato;  cercano giustizia gli sfruttati,  i raggirati,  quelli che sono stati usati come oggetti  e poi buttati via   come pezzi di ricambio;  cercano giustizia  gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie  che a causa di leggi ingiuste o non perfette  si sono trovati a pagare le colpe  degli altri, della cattiva politica,  della cattiva  amministrazione.

Cercano giustizia  quelli che non capiscono,  quelli  che  devono fare appello a tutta la loro  buona volontà    per  far tornare i conti che non tornano,  quelli che non hanno mezzi adeguati  per  farsene una ragione  e tuttavia  se la inventano, se la sanno  improvvisare.

Cercano giustizia quelli che stanno  al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo,  e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento  del salto, dello scatto, dell’involata.

Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta,  però continuano lo stesso a dare quello che  sanno  fare e costruire, perché le loro   ragioni superano ogni forma  di  soddisfazione apparente.

E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera,  si ha solo da sperare  che non ci si stanchi mai di farlo.

Tra  l’inizio di questa ricerca e la sua  risoluzione il tempo che può intervenire  nessuno può calcolarlo e prevederlo;  vuoi perché i tempi stessi  della  sua   realizzazione sono assai contorti, vuoi perché   non è affatto garantita nessuna  dirittura d’arrivo.

Nella ricerca  di questa benedetta  benedizione,   corre la vita.

La vita di quegli stessi corridori  che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.

Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è  intervallo, che non sia quello  contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze,  di riorganizzare  il tempo.

Alla fine della corsa  uno saprà la verità.

Qualcuno però  non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia,  perché  non hanno potuto  avere le loro occasioni.

Non crediamo  a chi vuol scoraggiarci ;  non crediamo   a chi  vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo  a chi  sembra già avere il paradiso  nelle mani  mentre ha solo palta e fango.

C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone  che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso   della vita.

Tutto qui.

La giustizia insomma è solo una questione  di  volontà,  che supera  l’oggi, che supera lo ieri,  che  supera  la paura del fallimento e della solitudine.

 

5 ottobre: Giornata mondiale dell’insegnante

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PEDAGOGIA GENERALE settembre 2011

PEDAGOGIA E DIDATTICA

Etica del lavoro, prega per noi

Etica del lavoro, prega per noi. Mai  litania fu più ben detta di questa…

Tale   riflessione parte dal concetto che noi siamo molto bravi a riconoscere le nostre personali necessità ed i nostri sacrosanti diritti, ma non siamo altrettanto bravi a riconoscere le necessità ed i diritti, anche quelli più palesi, di chi ci sta accanto.

Quante volte ci capita di  farlo, anche inconsapevolmente, anche senza metterci particolare perfidia, anche senza essere detti  palesemente  parlando,  degli  stronzi?

Succede nella frenesia del nostro quotidiano  che non ci suggerisce   più il buonsenso  di riflettere, di prenderci un piccolo spazio, indispensabile e salutare,  per riuscire ad essere noi e solo noi  a governare  la nostra giornata  e non  il nostro capoufficio, o il nostro dirigente, o il collega  con cui lavoriamo e che avrebbe la pretesa di dominarci o di contare un pezzo di più…

Come riuscire a trovare il nostro sacrosanto e doveroso equilibrio? Come riuscire ad esercitarlo anche nei momenti più difficili, più critici, dove può facilmente accadere   una   scivolata di stile, una caduta di tono, una perdita del centro?

Innanzitutto sapendo sempre fare un passo in retromarcia; quando ci accorgiamo che non è giornata, non tira l’aria giusta   e si può solo peggiorare la situazione, è sempre meglio desistere, è sempre meglio tirarsi indietro.

Una volta fatto questo,  si può rivedere la dinamica dei fatti, degli eventi.

Ci accorgeremmo senz’altro di avere commesso degli errori; potrebbero essere errori di impostazione, di approccio, di premesse,  di interpretazione o di forma, l’importante è che non siano errori di sostanza, perché se fossero tali  allora noi saremmo inequivocabilmente senza possibilità d’appello dalla parte  del torto.

Non che gli sbagli non si possano commettere, ma chi commette  errori deve essere pronto a riconoscerli e a rimediarli tutti e subito.

Se non lo dovesse fare, se non lo dovessimo fare,  allora potrebbe  essere    qualcun altro a  venirci  a chiedere spiegazioni e noi ci troveremmo nel difetto  di avere voluto  fare i furbi.

Già, i furbi, come se il mondo non ne fosse abbondantissimamente pieno…

Perché il problema è proprio questo,  l’etica  del rispetto ha lasciato dominio quasi assoluto alla logica del più  disonesto.

I genitori lo insegnano ai figli, i figli lo insegnano ai compagni, gli insegnanti  lo confermano come regola che non può essere fermata od ostacolata, tutto il sistema sociale  lo conferma come un morbo dal quale si può solo sperare di non esserne  travolti…

E poi  c’è l’equivoco,   c’è sempre l’insidia  ancora più sibillina e contorta  dell’equivoco; ci sono persone che non hanno per carattere la capacità di dare fiducia al prossimo.

Queste persone  instaurano intorno a loro, per un loro bisogno prioritario,   un  regime  di  controllo e di sorveglianza  ossessiva e costante; trasmettono questa forma  mentis ai propri collaboratori, ai propri sottoposti, ai propri colleghi, alla famiglia, agli amici, agli amici degli amici…fino a che tutto  viene stritolato e travolto da una sorte di  malcontento generale, dove le cose solo in apparenza sembrano funzionare in maniera ineccepibile, ma in verità  è solo che tutto rimane  taciuto e segreto  perché bloccato nella libera espressione.

Questo è un cancro  sociale che vige negli ambienti lavorativi in genere, in tutte le grandi aziende, nelle istituzioni,  nei grandi palazzi, ma anche nelle piccole realtà di paese,  dove le comunità  ristrette  rendono  tutto più ingigantito, tutto più  drasticamente   amplificato.

Personalmente     credo che questo cancro sociale può essere fermato o comunque pilotato dalle volontà  dei singoli.

E’ straordinaria la forza che può avere una persona all’interno di una comunità.

Se questa persona decide di non lasciarsi assorbire da queste dinamiche perverse  e distruttive,  può  facilmente trovare all’interno dell’ambiente lavorativo che pratica  un valido alleato con cui confrontarsi.

Possiamo pensare che le  azioni di ostruzionismo  alla esaltazione dei disvalori  siano già diventate due.

Ma non si esclude  che potrebbero diventare tre, e se una   persona può lanciare il primo sasso, due possono fare una bella coppia, cosa potrebbero mai fare tre persone aperte, dinamiche e non  preconfezionate in meccanismi  chiusi,  che la pensano alla stessa maniera, ossia  che viene sempre prima il rispetto della persona e della sua dignità, a qualunque altra esigenza?

Credetemi, possono fare moltissimo.

E’ per questo che io rimango fiduciosa.

Plaudo  le meravigliose persone che  so esistere,  che so  albergare nelle nostre quotidianità,  che so  resistere nonostante le fatiche e le difficoltà  sempre in crescita,  di cui conosco il valore  profondo e meritevole.

E’ questa la banale meritocrazia  che ogni  reticolato di persone  dovrebbe auspicarsi e incrementare;  credetemi, non sono baggianate, non sono vuote parole, sono  le condizioni di vita  di tutti   noi che ogni giorno dobbiamo affrontare l’onda nera  dell’impersonalità,  l’ipocrisia  del borghese e dell’invidioso  che ci vorrebbe vedere  schiacciato,  e solo per goderne in maniera  perversa…

Dico  personalmente grazie a tutti quegli speciali  individui  del tutto comuni e del tutto ordinari   che  non si lasciano annullare, che non si lasciano succhiare dalle logiche del più forte e del più frustrato,  ma che semplicemente sanno rimanere se stessi dentro il marasma  del sospetto, della discriminazione,  del pregiudizio  e dell’assenza d’amore.

Del resto ricordiamoci  che  chi non sa amare, ossia avere rispetto delle persone,    è solo qualcuno che non si è mai sentito  amato.

E ricordiamoci  che rispettare un lavoratore significa rispettare   il lavoro stesso, evitare  ogni genere  di  malcontento inutile,  prevenire le lamentele e le denunce  che possono sfociare in dolorosi e complessi  quanto spesso   inutili   iter giudiziari;    vuol dire dunque voler bene all’economia, volere bene al Paese, voler bene al  nostro prossimo tutto,   sapendo immaginare, dentro questo  nostro  traballante  circuito   che si chiama  per noi    civiltà  tecnologica,   i nostri stessi   figli   che un giorno diventeranno adulti.

E poi se ancora non dovessero bastare tutte queste premesse, allora ragazzi, ricordiamoci anche che ci sono strumenti senz’altro più diretti ed efficaci attraverso i quali far valere i propri diritti…se non vogliamo fare la fine di quell’idiota che  scelse di  morire a soli trentatre anni…

Sempre un Occhio critico sul web

davide bennato

QUANDO CHATTI O VAI IN RETE, DEVI SAPERE CHI C’E’ DALL’ALTRA PARTE!!!

adescamento via internet per rapina

ANNUNCI DI LAVORO FALSI

FENOMENO GROOMING

Ma sarebbe lunghissima la lista che potremmo inserire  sulle varie forme di adescamento via rete  che poi si trasformano in una sorta di tortura psicologica o di  veri e propri delitti contro minori indifesi.

Aiutiamoli, proteggiamoli, difendiamoli.

SPOT ANTI AIDS, PER NON ABBASSARE LA GUARDIA

Noi   facciamo  sesso sicuro!!!

RAGAZZI, VOI SIETE IL SALE DEL MONDO

Non perdere mai la tua lucidità,  non farti rubare la vita,  e se hai bevuto troppo,  non metterti mai al volante; potrebbe essere l’ultima volta che lo fai…

RAGAZZI, STUDIATE, CHE E’ MEGLIO

Questi video sono per tutti i nostri ragazzi  che vanno a scuola  senza alcun interesse, buttando via il tempo,  senza rendersi conto     dell’ enorme fortuna  che hanno avuto nella vita  e di quanto  essa venga molto molto stupidamente     buttata via. Voi siete  farfalle nate per volare;  non rinunciate ai vostri sogni…

http://www.youtube.com/watch?v=tAnsLmrBnCI&feature=related

RAGAZZI, IMPARIAMO A STUDIARE

STUDIARE E’ BELLO

GESTIONE TEMPO

QUESTIONARIO SULLA AUTOVALUTAZIONE DELLO STUDIO

LE REGOLE DELLA BUONA SCRITTURA

GLOTTODIDATTICA METACOGNITIVA : UNA MERAVIGLIA

PIETER BRUEGHEL, La grande Torre di Babele, 1563 (Wien, Kunsthistorisches Museum)

INSEGNARE LE LINGUE – la lingua madre CON LE ICT

LO STUDIO DELLE LINGUE

L’ANALISI DELL’ERRORE

VIDEO ANTIPEDOFILIA

E’  stato tolto il video sponsorizzato dalla polizia postale

credo rimanga visibile sul web…

I PERICOLI DEL WEB

microsoft-mar11[1]

onap-marzo2011[1]

web-cattera-pol-stato[1]

LA LIM IN CLASSE

Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Interactive_whiteboard_at_CeBIT_2007.jpg

C’è chi ce l’ha, chi ne è sprovvisto, chi la usa male, chi la usa bene, chi vorrebbe imparare ad usarla, chi ne intuisce le potenzialità  e chi le mette in pratica.

Ecco come usarla, come i docenti la stanno usando, come si potrebbe  pensare di  progettarla…

Solo alcune idee, naturalmente, per gli addetti ai lavori, presenti, di passaggio e futuri.

LIM L’UNITA’ D’ITALIA

ESCURSIONE CON LA LIM

L’esperienza meravigliosa (tra le infinite esistenti) del collega

MAPPA DELLA LIM COMPLETA

Aule virtuali – aule reali e metacognizione come pensiero partecipato

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LAVORARE CON IL PODCASTING

GUIDA AL PODCASTING

Informatica&Scuola_Podcasting_Pian.doc”.pdf

PodcastProducer

LA DIDATTICA METACOGNITIVA

INTRODUZIONE

LA DIDATTICA METACOGNITIVA

LA SCUOLA DEL SUCCESSO E LA METACOGNIZIONE

IL SISTEMA ADVP A SCUOLA

 

ADVP

Croce_Cosa_può_rendere_felice_società_italiano

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