
La stanza del figlio è la riflessione di un regista e di un intelletuale sul tema della morte. Non una morte qualunque, ma la più terribile che possa capitare ad un padre, ossia la morte del proprio figlio.
Nanni Moretti sceglie uno scenario familiare d’elite, come credo sia nel suo stile; tanto di sinistra, almeno nelle parole, quanto ricercatore di un’espressione di vita medio alta borghese, dove non esistono problemi economici, conflitti sociali, scontri di piazza ecc…
Mi sto limitando all’analisi di questo film, non degli altri che devo ancora visualizzare; quindi potrebbe essere che la visione di altre pellicole mi farà ricredere su certi aspetti; lo metto obbligatoriamente per inciso.
Come dicevo, il padre è uno psicanalista, ha una bellissima moglie che è il ritratto della madre perfetta, ha un meraviglioso figlio che sta frequentando la scuola superiore, e ha anche una meravigliosa figlia forse più grande di qualche anno iscritta al classico.
Un giorno viene convocato dal preside del figlio perchè sembrerebbe che Andrea abbia rubato dalla stanza dei fossili un pezzo di sasso pregiato, accusato da un compagno che lo denuncia. Il padre cerca di capire se è vero, se è possibile che suo figlio, intelligente e benestante quanto basta, si fosse ridotto a rubare un pezzo di sasso dall’aula di scienze. Si fa l’idea che deve essere tutto uno sbaglio, come lo stesso figlio sostiene, cioè d’essere vittima di un dispetto.
Lo stesso figlio che di fronte al padre nega d’avere fatto una simile cretinata, riesce a confidarsi con la madre, ammettendo d’aderlo fatto, sì, ma solo per gioco, e poi avrebbero voluto riposizionarlo là da dove l’avevano preso, ma nel frattempo s’era rotto, facendo una misera fine…
Insomma, è solo per fare capire che tutti i ragazzi del mondo dopotutto sono solo dei ragazzi, può starci qualche cavolata, che sono cazzate che poi nemmeno ci si ricorda più d’averle fatte.
La vita procede ordinaria, tra scorribande in auto dove emerge un quadro familiare tranquillo e affettuoso, ed episodi di vita quotidiana dove si comprende che nulla potrebbe guastare questa armonia e questo idillio casalingo.
Nulla, tranne l’imponderabile, quando durante un’immersione subacquea il povero Andrea si trova senza ossigeno e commette un’imprudenza che gli causa il decesso per embolia fulminante.
Ecco che in un solo istante la vita di tre persone serene e felici viene stravolta e irrimediabilmente modificata. Altro che sasso rotto e sospensione di una settimana dalla scuola. Andrea è finito solo e senza possibilità di chiedere aiuto dentro una bolla d’acqua marina che non ha avuto nessuna considerazione della sua vita e della sua voglia di vivere. Perchè Andrea era giovane, aveva tutta la vita davanti, era bello, dolce, solare, speciale, come tutti i figli lo sono per i loro genitori. Ma Andreao lo era per davvero, anche quando giocava a tennis senza convinzione e senza la voglia di vincere, anche quando giocava con la sorella a prendersi in giro come si fa tra fratelli, anche quando andava a correre con il padre sentendosi un poco il figlio che doveva ancora crescere e farsi uomo…
La vita di ora diventa un ricordo ossessivo del figlio scomparso. La stanza del figlio diventa il luogo in cui la madre si reca alla ricerca del suo sorriso, del suo odore, della sua voce; la stanza del figlio diventa il luogo che Matteo aveva più a lungo vissuto e fatto proprio, prima della sua sparizione.
Ma dove finisce un figlio quando muore? Dove finisce un figlio quando ci viene tolto per sempre e senza una ragione accettabile? Questo è il punto. Se solo si potesse pensare che questo nostro ragazzo possa essersi trasferito in un luogo di pace, dove potere continuare la sua vita anche sotto altre vesti, o altre condizioni, allora sarebbe più facile accettare che oggi siamo qui tra chi amiamo e domani potremmo non esserci più.
Ma il padre psicanalista non è credente, non frequenta la chiesa, non crede nella resurrezione, non crede che suo figlio possa avere avuto una seconda occasione o rinascita. Quando si muore si muore e basta. E la morte è così assurda, almeno quanto sono assurde le prediche dei preti che cercano di convincerci che si muore perchè Dio ha deciso così per noi, dentro un suo disegno che rimane per noi misterioso.
La stanza del figlio oggi è vuota, e basta. E la stanza dello psicanalista invece continua a venire frequentata dai soliti pazienti con le loro solite fobie e con i loro soliti racconti paranoici, o deviati, o perplessi, o profondi, o inquieti…fino a che tutto questo spettacolo teatrale diventa insostenibile. Questo padre oggi distrutto non è più in grado di continuare a fare questo mestiere, di ascoltare gli altri in maniera professioanle e serena come prima gli riusciva di fare.
Già, un privilegiato, che si può anche permettere di sospendere il lavoro non essendo più in grado di farlo; mentre invece la madre continua a cercare anche in morte segnali di vita del figlio, attraverso le vite dei suoi amici o amiche che lo avevano conosciuto e in qualche modo amato…
Dentro questo strazio che non può lasciarci indifferente emerge l’umanità degli stessi pazienti che in qualche modo entrano a far parte del dolore di questo terribile incidente familiare. La malattia mostra il suo volto umano e recuperabile, soprattutto la più insidiosa delle malattie, quella mentale, quella che corrode l’animo di una persona dal di dentro, e non ci sono facili medicine da prescrivere, se non quella assai complessa e delicata della parola.
Le persone si curano e guariscono grazie all’uso della parola. Anche Andrea viveva felice grazie all’uso della parola; non gli importava di vincere a tennis, o di quel ridicolo sasso che aveva preso solo per gioco, o di mostrare ambizioni ancora troppo da grandi per lui che si sentiva ancora un ragazzo…Gli importava solo di parlare, di farsi capire, di stare anche ad ascoltare magari, come faceva suo padre di mestiere, ascoltare i racconti degli altri.
Ma se questo strazio può accadere dentro un quadro familiare così privilegiato, cosa potrebbe e cosa non accade dentro realtà affatto fortificate ed organizzate come questa? Cosa soccorre uomini e donne fragili e senza sostentamento, come al contrario tutto sommato capita di dovere affrontare a Giovanni, Paola e Irene? La morte è una questione democratica? Non è forse una delle cose più democratiche del mondo perchè capita a tutti aldilà del proprio censo o nome o altro?
La morte è la vera protagonista di questo messaggio; la morte e le possibili risposte che ognuno di noi può diventare capace di elaborare; la sua realtà imprescrutabile ci obbliga a guardarla in volto. E così una famiglia distrutta e vacillante sull’orlo di un abisso si ritrova ad accompagnare per gioco una coppia di giovani ragazzi incontrati per caso, verso il confine con la Francia. Lei è una ex fidanzata di Andrea, non proprio fidanzata, diciamo una che avrebbe potuto diventarlo, se lo sfortunato non fosse morto all’improvviso.
Un giorno gli scrive una lettera non sapendolo già morto. e la lettera finisce nelle mani della madre, che rimane doppiamente sconvolta.
Arianna, questo è il suo nome, per compassione e generosità restituisce al padre (e quindi alla madre Paola che rimane sempre nell’ombra con grande maestria) tre fotografie scattate e ricevute da suo figlio prima di morire: sono le immagini di Andrea nella sua stanza, immagini bizzarre che lo ritraggono felice e sorridente, con tutto il sole negli occhi.
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