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Nella chiesa semi buia il grande crocefisso centrale è stato tolto, in segno di assenza, di vuoto, di smarrimento, di infermità.
E’ come se il cielo volesse urlare agli astanti “Mio Dio, è sparito il sole, la nostra certezza, la nostra fonte di calore, ed adesso come faremo? Cosa ne sarà di noi?”
Mi dirigo verso le piccole seggiole allineate di fronte all’icona santissima della Passione.
C’è già qualche donna in preghiera. Dietro altri angoli della grande stanza, nel chiaro scuro delle luci, si intravedono altri fedeli; uomini, anziani, qualche bambino accompagnato dai nonni…
Io mi raccolgo: sono qui per ritrovare il mio Gesù, per sentire il mio essere cristiano in questo giorno che è il più drammatico della liturgia cattolica e protestante; oggi siamo tutti orfani, siamo tutti uomini senza patria, senza presente e senza domani.
Guardo allora la gigantografica figura che mi viene imposta con tutta la sua forza rappresentativa; il quadro è in sostanza il volto del Cristo morto, abbracciato dallo sguardo e dal volto stesso della madre Vergine Maria.
Sono talmente in fusione amorosa e contemplativa da non poter dirsi dove inizia il dolore senza fine della madre e dove sia finito il dolore senza possibilità di comprensione del figlio.
Del corpo martirizzato si vedono solo le spalle nude, non particolarmente martoriate a dire il vero.
Quest’ iconografia non mette in scena il vero strazio fisico; la pelle del salvatore è rimasta quasi immacolata, mentre noi tutti abbiamo indelebili nella memoria le vergate e le ferite sanguinolente di quel Messia gettato sul calvario.
Gli occhi di Maria sono socchiusi, come a volersi spegnere; la sua bocca è contrita, come a non aver più parole da pronunciare; la sua mano dalle lunghe dita affusolate ed esili accarezza i capelli sciolti e morbidi del Cristo, come a volerlo consolare della grande prova messa a suo carico, come a volerlo compensare delle lunghe ore di solitudine ed abbandono appena provate e vissute con incredibile ferocia.
Gli occhi di nostro Signore sono chiusi; lui è morto, è assolutamente morto, ha lasciato la terra dei vivi piangenti, e non sente più le nostre lacrime, non vede più i nostri volti smarriti ed increduli, agognanti ed ammutoliti.
Intorno si intravedono altre figure appena accennate; forse sono le donne devote che mai si allontanavano da Maria, forse c’è qualche angelo che si mescola nella piccola folla, forse a distanza si potrebbe intravedere anche qualche soldato.
Oggi è il giorno più infelice del mondo.
E’ morto il martire benedetto venuto per la nostra salvezza.
E se non fosse che poi già sappiamo che tra poco verrà la domenica della resurrezione, si potrebbe immaginare che a ragione forse qualcuno oggi potrebbe avere l’idea di suicidarsi…
Ma invece conosciamo la storia, ci è stato detto da duemila anni a questa parte che Gesù il terzo giorno dalla la fine uscirà dal sepolcro del buio per trionfare nella luce del padre, sappiamo che di qui a poco scenderà su tutti i noi l’ala protettrice dello spirito evangelico.
La religione cristiana è tutta qui; è la consegna del paradiso nelle mani provvide della vergine Maria e degli apostoli suoi compagni, che hanno avuto la ventura di ascoltare e condividere le parole dell’amore benedetto, questo nostro amore sepolto, questo nostro amore disconosciuto.
Noi uomini di oggi non abbiamo conosciuto di persona Gesù; nemmeno quelli di ieri; nemmeno quelli dell’altro ieri… Siamo tutti annoverabili nel gruppo degli sfigati; di lui semplicemente sappiamo solo tutto, sappiamo talmente tutto che continuiamo a definirci cristiani anche soltanto andando in chiesa in questo santo giorno di Passione…
A volte per diversi non serve nemmeno in questo giorno…
Siamo così diventati cristiani nel dna, nell’aria che respiriamo. Non abbiamo più segni quotidiani che ci ricordano d’esserlo. Quelli esibiti sono solo parte della moda, delle tendenze più o meno effimere e passeggere. Il non poterci dimenticare di Gesù è forse dipeso dalla moltitudine di martiri che la stessa infelice chiesa ha saputo mietere nei secoli…e siamo cristiani nonostante il male che abbiamo saputo dimostrare di perseguire…
E non vogliamo diventare altro. Non vogliamo farci musulmani. Non vogliamo farci ebrei (e nemmeno gli ebrei ci vorrebbero tali). Non vogliamo farci atei. Qualcuno di noi ogni tanto si fa buddista o qualcos’altro di simile, ma più per sensibilità filosofiche che per credi ultraterreni e trascendenti.
Rimane il fatto che la stragrande maggioranza si conserva nel suo intimo legata a questa parola, a questa espressione: “Io sono un cristiano”
Ma cosa vuol dire realmente dichiararsi tali?
Semplicemente saperci schierare, nel momento del dunque, dalla parte degli ultimi.
La domenica di Pasqua sarà la domenica della rinascita, del miracolo, dell’acqua putrida che si farà sorgiva, dei malati cronici che guariranno dalle loro agonie, degli sciagurati incalliti che diverranno docili, delle madri distrutte che torneranno a cantare , dei poveri senza nulla che finalmente avranno tutto, dei ricchi sprezzanti e spregevoli che si metteranno a piangere, degli ignoranti e senza Dio che incontreranno la verità, dei bugiardi e saccenti che diverranno muti…
Ecco perché io amo questa religione, io amo questa persona, e solo per una ragione simile io posso comprendere ed amare tutte le altre fedi.
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