la quantica subliminale

Comunque non siamo macchine…

l’amore è paziente

 

La pornostar, l’intellettuale maschio e la giornalista che…

puntata del 17 ottobre 2015

Ieri sera ho potuto assistere alla ordinaria  puntata tv di Ottoemezzo che aveva come ospiti una nota pornostar,  Michelle Ferrari, lo scrittore Pietrangelo  Buttafuoco e ovviamente  Lilly Gruber come solita  conduttrice.

In collegamento interloquiva   la nota antropologa  nonchè storica femminista   Amalia Signorelli.

Devo dire che è stata una puntata di notevole interesse antropologico, per molte ragioni:  la prima è che argomentava di un tema molto diffuso delicato e spinoso come la pornografia ed il suo uso; la seconda è che si rivolgeva a una persona che fa del porno un normalissimo lavoro che rende molto bene e  assolutamente vissuto in totale trasparenza; la terza è che l’unico maschio presente è risultato essere totalmente incapace di comprendere ed argomentare  le ragioni assolutamente  legittime  e   di spiccato interesse sociale che inducono una emancipata  donna moderna a fare del proprio corpo  uno strumento di business  condiviso sulla rete;  la quarta è che grazie agli interventi dell’antropologa Signorelli  si è potuto comprendere alcune ragioni del femminismo, dal suo nascere al suo fallire,  comprensione  certamente   ridotta a poche battute che richiederebbero molte altre ore di approfondimento; infine l’ultima non per importanza ma per sequenza, che è stata quella del ruolo svolto dalla conduttrice, devo dire quella che ne è uscita peggio tra tutti.

Su  che cosa si voleva  ragionare, affrontando la questione del porno speso sulla rete nell’era del digitale che fa della condivisione una religione di vita ad opera di una donna che gestisce se stessa e non più ad opera di maschi che ne traggono il loro piacere?

Del fatto che ci sono donne che in tutta legalità  confezionano prodotti hard  e che grazie a questo si garantiscono una qualità di vita più che vantaggiosa (senza con questo scadere nella prostituzione)? Del fatto che esiste e sopravvive una mentalità maschilista che continua irremovibilmente a sostenere che non è bello ciò che si svela ma è piuttosto bello quello che si nasconde per farsi desiderare (salvo poi riempire le strade di uomini che vanno a prostitute)?

Del femminismo che avrebbe voluto liberare il mondo dalla schiavitù dell’assoggettamento di genere, mentre invece è solo riuscito a liberare alcune donne dalla vergogna di mostrarsi pubblicamente nude ed  in comportamenti indecenti (poichè la prostituzione ha continuato ad esistere e la schiavitù della donna deve ancora fare un lungo cammino)?

Del fatto che si può andare finalmente in televisione a chiacchierare del fatto che esistono le porno star che non hanno per nulla voglia di nascondersi (che altrimenti non farebbero quello che fanno)  ma che la curiosità più intelligente  che viene in mente alla giornalista di chiedere è solo quella di quanto si guadagna  e di quanto si fatica (o non si fatica)  a fare questo mestiere (allora se fossi stata la porno star avrei rigirato la domanda alla giornalista chiedendole il suo conto in banca…)???

Della palestrata (?!?!) e avvenente Michelle io avrei piuttosto voluto sapere  meglio il perchè e il come lei sia arrivata a fare questa scelta, come vede il suo futuro fra dieci anni, se pensa di potersi innamorare di un uomo  o di come lo sia stata in passato o di come abbia smesso di esserlo.

La porno star a dire il vero ha cercato di impostare il dibattito su questo filone, nel dire subito che lei non è nata porno, ma lo è diventata nel tempo attraverso esperienze di vita che l’hanno determinata in una certa maniera (la madre che fa la stessa attività e la frequentazione di club privee).

Il fatto  che dentro la normale coppia  fosse nata l’esigenza di andare a fare lo scambismo, e che dallo scambio di coppie la questione si fosse evoluta nella scelta di fare del porno una professione.

Quindi tutto nasce dalla crisi di coppia.

E’ sulla crisi della coppia che io avrei voluto sentire parlare, e non su quanto guadagna questa  ragazza e tutte quelle come lei  a fare quello che fanno.

La società cattolica italiana si trova a vivere un crollo abissale  dei matrimoni; i giovani non si sposano più oppressi dal pensiero che non serve sposarsi per trovarsi separati dopo due anni. Meglio la convivenza che lascia la porta aperta.

Le donne hanno imparato a vivere anche da sole e a prendersi quello che vogliono secondo l’occasione, esattamente come fanno gli uomini.

Gli uomini per questa ragione hanno perso la loro identità di maschi, di dominanti, di capofamiglia,  e credo  anche per questo il tutto è degenerato in una esplosione di   violenza antifemminista senza precedenti.

Ma tutto questo stillicidio di donne che sembra non finire mai, da dove nasce? Come si può curare? Quali sono le domande vere e utili che una giornalista oltretutto di sinistra ed emancipata come la Gruber avrebbe dovuto e saputo rivolgere ad una sua pari di genere?

Dove nasce la morte della coppia?  Perchè l’uomo e la donna non  sanno più stare insieme trovandosi interessanti anche dopo qualche anno  di conoscenza e di convivenza vissuta?  Intendo dire stare insieme nel senso  vero della parola, e non per convenienza o per apparenza.

E’ giusto che il pensiero cattolico abbia nel tempo condannato la coppia all’indissolubilità del proprio vincolo, quando nè l’ebraismo nè l’islamismo (le altre due religioni monoteistiche)   hanno mai considerato tale (in maniera disumana) un vincolo giuridico ed umano?

L’ebraismo lo ha fatto  perchè ama e rispetta sul serio  il ruolo femminile; l’islamismo  lo ha fatto  con la poligamia  e con il divorzio che può essere chiesto solo dall’uomo.

Mi domanderei se anche nella società ebraica accadono i delitti contro le donne come accadono nella nostra società. Sappiamo che non accadono nell’islam perchè le donne sono preventivamente segregate e messe sotto chiave.

E’ vero, grazie ai radicali abbiamo ottenuto anche noi  il diritto a divorziare, e quindi la gente ha imparato a separarsi, eppure  fino a qualche giorno fà la Chiesa ha tenuto fuori da se stessa queste persone divorziate  assolutamente normali e degne di attenzione, come se fossero degli appestati impuri e indegni.

Chi è un uomo? chi è una donna? chi è una coppia? quando è giusto che nella coppia nasca un figlio o arrivi un figlio?  come sono stati considerati i figli ad oggi? come saranno i figli di domani? cosa è una famiglia? come sarà la società del futuro? come dice Veronesi bisex? e cos’è una persona? cos’è il sesso? che ruolo dobbiamo attribuirgli nella nostra vita affinchè esso non diventi da tabù  ad  elemento assoluto e prevaricatore?

Queste sono le vere domande che credo sia importante approfondire.

Lo sapevamo già da noi stessi  che ci sono le porno star e che la rete commercia immensamente sul porno; lo sapevamo già da noi stessi che il femminismo ha fallito e che il problema della donna sottomessa non è stato per nulla risolto ma solo scoperchiato; lo sapevamo già da noi stessi che la mentalità maschilista dell’uomo comune  vuole la donna dentro   e non la donna fuori, ritenendosi per questo persino intelligente.

Quello che avremmo voluto invece imparare a conoscere è e sono le ragioni intime e sostanziali che portano una coppia al suo fallimento, al suo scioglimento, dentro i meandri del sottotaciuto e sottosilente mondo scambista.

Perchè nella coppia non si è capaci di parlarsi? di confidarsi? di condividere tutto, anche e soprattutto le proprie esigenze o non esigenze  sessuali, che sono una parte normale del proprio esistere, senza con questo arrivare a spaccarsi?

Quali sono le retrovie da smantellare? i pregiudizi sotterranei da sconfiggere? le vere liberazioni da  costruire ed innalzare come vere cattedrali?

Vescovo gay esce allo scoperto

Notizia che non può passare sotto silenzio.

E’ il primo vescovo e oltretutto teologo  che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.

Di sentirsi cioè parte della Chiesa.

Immediata la risposta del  Vaticano che  lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.

Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.

E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.

E  questo è un altro spinosissimo  capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità?  e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo  che decisamente  complica enormemente la questione.

Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”,  ci mette un poco più in difficoltà.

Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.

Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere   di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora  il giudizio non può che diventare irremovibile.

Di sicuro diventa più complesso.

Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua  in parte  felice omosessualità?  Lo stravolgimento che gli cadrà addosso  lo porterà verso quale via di risoluzione?  E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza  rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.

Io credo che non c’è molto di scandaloso in  un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…

Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla  che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…

Di fronte  invece  a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo,  piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo  per riflettere.  E vorrei che ogni  vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.

Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa.  Aiuterebbero  il sommo  Vescovo  a  cercare e trovare risposte difficili  alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione  spirituale  nel mondo temporale.

Non so se sono riuscita a farmi capire.

Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato  in tutte le sue più importanti  componenti  ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.

Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario  che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.

La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.

Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza;  è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere.  Siamo sempre noi a dovere possedere loro.  Possedere nel senso di  governarle, ma anche nel senso  di lasciarsene governare.

Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso  della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte),  è il progetto che in quanto uomo come tutti noi  lo obbliga a delle  scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.

Ritorneremo  sul tema  con  calma.