E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.
Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.
Si chiama COVID19
Ha cambiato le nostri abitudini sociali
E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.
Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.
Si chiama COVID19
Ha cambiato le nostri abitudini sociali
L’ex Padre benedettino Franzoni
Personaggio discusso, controcorrente, discutibile, non condivisibile ma interessante.
Aldilà dell’area di appartenenza, cerchiamo uomini che usano la propria testa per fare del bene alla propria comunità.
Per questo cerco personaggi scomodi, ovunque debbano essere stanati…
Si faccia avanti il prossimo 🙂
Sveva Modignani e Andrea Vitali sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.
Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due autori nemmeno tanto giovani. E invece sono due belle penne della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera davvero accattivante.
Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.
Chi era Maria di Nazaret?
Ho finito di leggere il libro sulla figura della Madonna così come conosciuta, intesa e amata dal religioso Alberto Maggi. Non aspettatevi un linguaggio da chiesa o da cerimoniale liturgico. Maggi parla del Vangelo come un appassionato di fumetti potrebbe parlare del suo personaggio preferito, cioè con passione e disarmante entusiasmo, senza atteggiamenti distaccati e pomposità cattedratiche.
Dei testi sacri sa tutto, sa molto, sa troppo, forse, ma ce li fa amare come se fosse una nostra assoluta necessità scoprirli e commentarli nella loro essenzialità e funzione.
Il suo linguaggio è così semplice e diretto che incanterebbe anche un passante distratto, o un analfabeta di parole, o un miscredente refrattario di cose della Bibbia.
Il fatto è che Maggi sa che dietro a Maria e alla sua storia sacra c’è null’altro che la grandiosa tragedia/avventura di una donna semplice del popolo che fu interpellata da Dio stesso a diventare niente di meno che la madre di suo figlio.
Maggi sa che Maria ebbe semplicemente il merito ineguagliabile di dire subito di sì alla sua chiamata, una chiamata inspiegabile per non dire assurda e scomoda, a dir poco.
Maggi sa che per quel “sì” detto di slancio e con devozione Maria si mise in un pasticcio senza fine, perchè divenne subito “persona poco raccomandabile” per tutta la sua famiglia, per il suo futuro sposo, e persino per la sua gente, non esclusi sopra a tutti i sapienti sacerdoti del Tempio.
Non solo Maggi sa tutto questo, ma sa anche che in casa di Gesù la sacra famiglia non potè mai essere per nulla nè tranquilla nè benedetta.
I tre membri di questo sovrano e speciale triangolo umano non si comprendevano, si parlavano poco, probabilmente si evitarono anche molto, e diciamocelo chiaramente, ne avevano di ragioni per non capirsi.
Lei era la madre ma di una maternità discussa e chiacchierata; lui era il padre ma di fatto loro sapevano che proprio il genitore non era, e non solo loro lo sapevano…
Lui era il figlio, ma figlio di chi? figlio di un qualcuno che non si sapeva poi di fatto chi fosse, dove stesse, cosa facesse…
Gesù rimane in famiglia per trent’anni, e poi se ne va in giro qui e là a fare le sue prediche, che lo porteranno in breve tempo diritto sulla croce.
Ma come, suo figlio non era forse stato annunciato dall’angelo come lo stesso Messia, il Salvatore? E perchè invece rischiava di finire con la peggiore delle accuse? con il più vergognoso dei riti sacrificali?
Maria le prova tutte con il suo bambino, poi diventato uomo; ci prova coi rimproveri, ci prova con i silenzi, ci prova con le preghiere, ci prova con le minacce, e ci prova con gli atti di forza. Giunti sul punto di rapirlo, lei con l’aiuto dei suoi parenti, affinchè il suo nome e la sua presenza finisse per far danni al buon nome di casa (questo figlio scriteriato che faceva cose come risuscitare i morti proprio nel giorno dedicato al riposo, che parlava con le prostitute, che andava in casa dei pubblicani, che pretendeva di rimettere i peccati, che andava in giro a mettere i figli contro i padri e che chissà cosa ancora avrebbe potuto combinare…).., Maria sente Gesù, che avvisato della presenza dei suoi familiari che chiedevano di lui, così risponde: ” Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Chiunque compie la volontà di Dio, questo è mio fratello, e mia sorella, e mia madre”.
Come a dire: “Io non ho madre, o padre, o fratello, o sorella…se non chiunque mi segue ascoltando le mie parole”
E allora Maria improvvisamente si ricorda, si rivede, si risente, lei davanti all’Angelo della buona novella, lei davanti alla rivelazione del suo compito assurdo ma accettato di slancio. Allora, ignara di tutto, fu pronta a dire di sì.
Adesso, non più ignara di tutto, si sente ancora pronta a dire di sì. Dire di nuovo di sì, non più all’angelo celeste, ma a suo stesso figlio da lei stessa partorito e verso il quale è lei stessa ora come una bambina appena nata.
Solo la Madonna capisce che occorre fidarsi, che Gesù non è pazzo, nè bestemmiatore, nè bugiardo, come tutti dicono, come tutti temono. Gesù è semplicemente se stesso, e sta facendo le cose del Padre suo, anche se i sacerdoti gli danno contro, lo accusano di bestemmiare, lo accusano di essere posseduto dai demoni…
Dopo una vita di silenzi e di incomprensioni, la madre è pronta ad accompagnare il figlio sul Golgota, perchè di abbandonare Gesù proprio ora che è rimasto solo non se ne parla in assoluto.
Nel momento della croce solo Maria e l’altra povera donna Maddalena stanno sotto di lui a piangere le loro lacrime. I discepoli sono tutti scappati, dalla paura di fare la stessa fine.
No, ecco, è rimasto Giovanni, il più giovane, il più forte, il più onesto. Il più sognatore.
Anche i miracolati non ci stanno sotto la croce, forse ignari di questo strazio, o forse chissà per quale ragione lontani e loro stessi beati inconsapevoli.
Maria invece pronta, accompagna Gesù che griderà prima di morire tutto il suo dolore di uomo e di figlio.
Maria invece certa, è pronta dopo i tre giorni dalla deposizione, a credere che suo figlio morto e defunto non è più tale, ma è già tra i vivi resuscitati a nuova vita.
Maria non ha bisogno di avere prove di questo, come Tommaso o come Pietro o come altri…
Maria crede, crede sempre, crede al suo cuore, crede al suo sogno di vita vera.
Questo era Maria.
Anche quest’anno è tempo di Natale, tempo di feste, di auguri, di ….voglia di famiglia.
Auguri a tutte le famiglie allora, a chi la famiglia non ce l’ha o ce l’ha lontana, a chi la cerca, a chi l’ha persa, a chi la ritrova, a chi se la sceglie a propria misura, a chi si dedica a lei tutti i giorni chiedendo poco in cambio, a chi riconosce e sa che le famiglie sono preziose, a chi le famiglie le supporta e le sostiene, …e a chi ha avuto il coraggio di rinnegarla, la propria famiglia sbagliata… in cambio di una giusta.
BUON NATALE A TUTTI, BUONE FESTE AL MONDO…
Per lui c’era prima la persona e poi la malattia. Perchè siamo un tutt’uno.
Laico, coraggioso, rivoluzionario, sensibile, intelligente, ricercatore, affascinante, innamorato della vita, idealista… guaritore della più terribile malattia…
Incontro attesissimo e felice tra la più alta religione non monoteistica e il nostro mondo cattolico.
Giovani e meno giovani, persone famose e qualunque, tutti sono stati attratti da questa personalità solare, gioiosa, giovane e piena di compassione per l’umanità.
Viva il Dalai Lama!
A un Grande Signore della Politica Italiana che deve continuare a Vivere tra noi
Notizia che non può passare sotto silenzio.
E’ il primo vescovo e oltretutto teologo che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.
Di sentirsi cioè parte della Chiesa.
Immediata la risposta del Vaticano che lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.
Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.
E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.
E questo è un altro spinosissimo capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità? e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo che decisamente complica enormemente la questione.
Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”, ci mette un poco più in difficoltà.
Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.
Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora il giudizio non può che diventare irremovibile.
Di sicuro diventa più complesso.
Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua in parte felice omosessualità? Lo stravolgimento che gli cadrà addosso lo porterà verso quale via di risoluzione? E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.
Io credo che non c’è molto di scandaloso in un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…
Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…
Di fronte invece a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo, piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo per riflettere. E vorrei che ogni vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.
Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa. Aiuterebbero il sommo Vescovo a cercare e trovare risposte difficili alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione spirituale nel mondo temporale.
Non so se sono riuscita a farmi capire.
Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato in tutte le sue più importanti componenti ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.
Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.
La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.
Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza; è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere. Siamo sempre noi a dovere possedere loro. Possedere nel senso di governarle, ma anche nel senso di lasciarsene governare.
Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte), è il progetto che in quanto uomo come tutti noi lo obbliga a delle scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.
Ritorneremo sul tema con calma.
che fa la differenza
Io non mi drogo
perchè faccio fatica a prendere le medicine
figuriamoci le droghe,
perchè sono stata fortunata,
perchè mi voglio bene,
perchè mi piace un cervello attivo e cosciente,
perchè detesto pensare di potere fare cose senza
neanche rendermene conto,
perchè per essere su di giri mi bastano gli amici
veri
e la mia famiglia,
perchè chi lo fa ha solo bisogno di aiuto e deve chiederlo,
perchè metterei in galera quelli che la spacciano,
perchè non vorrei dovere vedere una persona che amo che ne fa uso,
perchè la droga uccide,
perchè la droga fa schifo,
perchè la nostra vita è la cosa più importante,
perchè la droga abbruttisce, imbestialisce, mortifica
la nostra naturale bellezza
e perchè
ci sono altre mille ragioni che tu stesso potresti aggiungere…
Vuoi?
(leggi anche qui)
Un paese che non si cura dei suoi cittadini
che ruba rubando al suo prossimo
che mente mentendo a se stesso
che tace quando dovrebbe urlare
che giudica quando dovrebbe cercare di capire
che assolve quando dovrebbe condannare senza mezzi termini
che non offre lavoro ai suoi giovani
che non offre garanzie nemmeno sulle cose più sacre
che detiene i suoi detenuti come nemmeno gli animali andrebbero gestiti
che lascia soli quando dovrebbe fare quadrato
che si mercifica quando dovrebbe prendere le distanze
che insozza il nemico perchè viene facile
che convive allegramente con la corruzione
che scarica di prassi le proprie colpe addosso agli altri
che parla parla parla senza mai fare i fatti,
io lo chiamo
un paese colpevole
Questo paese siamo noi.
Molti uomini semplici pensano che basta comportarsi bene per avere in cambio cose buone; pensano che basta essere onesti per non avere nulla da temere dalla vita e dalla legge; pensano che come ci dicevano i nostri vecchi, “se male non fai, paura non avrai…”.
La ben triste storia di Ambrogio Mauri purtroppo smentisce questa santa solidità, questa solo prudenziale ovvietà. E se solo si trattasse della sola storia o di una vicenda isolata e sporadica, ci si potrebbe comunque rallegrare, ma purtroppo non è la sola, non si tratta di un caso isolato e sporadico.
I numerosi suicidi degli ultimi mesi, ma potremmo dire degli ultimi anni, causati da i dissesti economici e da corruzioni politiche ed amministrative che hanno messo e che mettono in ginocchio piccole e medie imprese produttrici e preziose per il territorio e per il paese, ci raccontano esattamente il contrario.
La vicenda Mauri è stata a tempo debito egregiamente celebrata dalla bravissima Milena Gabanelli che quando c’è da smuovere le coscienze non fallisce mai un colpo.
Restando nel campo delle ingiustizie commesse dallo Stato, mi viene puntualmente a memoria la più celebre strage che ha mandato a morire alcuni dei nostri migliori figli, Falcone e Borsellino; avrebbero dovuto essere protetti e difesi, ritenuti preziosi come la vita stessa della repubblica e della democrazia, e invece sono stati lasciati soli, orrendamente condannati alla morte perchè ritenuti scomodi.
Lo stesso è accaduto al buon cittadino sopra citato, potremmo chiamarlo il sig. enne, enne come nessuno, che voleva solo fare il proprio dovere, che voleva solo migliorare il tessuto economico ed ambientale, che voleva solo mettere al servizio della collettività il proprio spirito creativo e geniale, ostinatamente fiducioso, contro ogni logica di violenza e di prevaricazione, nella forza morale della legge sana e dello Stato giusto.
Ma la legge si è rivelata insana, costruita ad hoc per stritolare ed indurre al suicidio, e se non al suicidio, allo sfinimento e all’abbandono di ogni speranza; così il sistema corrotto ha prodotto la sua vittima di turno.
Lo Stato si è rivelato ingiusto, non volendo difendere i suoi uomini di valore, non sapendo proteggere gli onesti e i semplici, semplici di spirito e non certo di ragioni, perchè è la Ragione a stare dalla loro parte, perchè è la Verità a splendere sui loro corpi morti.
Non vorrei seminare sconforto là dove di certo di esso non ne abbiamo bisogno, ma è così; la solitudine appartiene a chi non si mescola con la massa becera e grondante di esibizionismi e pretese, una massa ordinaria, scontata, prevedibile e manovrabile, una massa che è quello che noi sconciatamente siamo o dimostriamo di condividere.
Certo che tra la capacità o l’ esasperazione di compiere gesti di protesta come quelli di altri nostri concittadini che si sono dati fuoco per manifestare contro un sistema fiscale e bancario incivile ed indegno di un paese evoluto, ed il lasciarsi banalmente corrompere dal ritornello “Così fan tutti e dunque solo il furbo vince”, ci può stare un’ immaginabile e salvifica via di mezzo.
Ci vorrebbero dieci cento mille Ambrogio Mauri, in tutte le città, in tutti i comuni, in tutti i paesi, in ogni rione, in ogni cortile, in ogni famiglia… Sarebbe più bello guardarsi in faccia la mattina, e l’aria sarebbe meno irrespirabile.
Prima di spararsi un colpo al cuore perchè stanco di lottare per nulla, il sig. enne scrisse queste parole alla sua famiglia e alla nostra società:
“Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore fortuna di me. Potrà sembrare un atto di egoismo. Non è così, sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza. Come tanti, ho cercato di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre. Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà, saranno anche onesti. C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile. P.S. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e sofferto molto”.
Tre storie diverse che si intrecciano e che ben rappresentano il mondo di oggi, dove dominano le famiglie sfatte che poi diventano famiglie allargate più o meno riuscite, più o meno rattoppate.
C’è chi si è sposato per amore con la persona sbagliata, con la quale si progetta una figlia che ben presto si troverà dei genitori separati per immaturità di una delle due parti e per leggerezza dell’altra…; la stessa figlia arriverà ad assumere nei confronti degli stessi genitori (soprattutto nei confronti di uno di essi) atteggiamenti più adulti di quanto i medesimi non abbiamo saputo avere nei suoi riguardi.
C’è chi dopo tre figli scoppia (sempre presumendo una qualche normalità mentale preesistente) e si accoppia con la giovane trentenne di passaggio, che però scoprirà solo all’ultimo momento la doppia vita ( e forse tripla) dell’ infedele marito ; ecco che in questo caso nasce una bambina dentro una coppia che già non è più tale ancor prima di venire al mondo, se non per gli avvocati e gli alimenti permettendo.
C’è chi dopo una caduta in depressione post partum della moglie diventata neo mamma, entra lui stesso in crisi e decide di intrecciare una platonica relazione epistolare con la compagna del proprio capo; conclusione: tutto viene scoperto, la moglie lo caccia di casa, il disgraziato finisce col perdere il lavoro e la famiglia tutto in un sol colpo, e senza neanche avere consumato…
I tre malcapitati hanno tutti problemi di casa; e non potendo nemmeno contare su un reddito serio e continuativo, trovare un tetto sulla testa ad un costo ragionevole può diventare davvero un’impresa.
E così accade un fenomeno assai bislacco ma per nulla fuori luogo e fuori del tempo: decidono alla bella età di cinquant’anni di andare a vivere insieme, per dividere le spese di un alloggio ben modesto, in uno squallido ma indispensabile appartamento di periferia, afflitto dal passaggio giornaliero dei treni ed afflitto dalla quasi totale mancanza di campo…
Ci sarebbe da sganasciarsi dalle risate, amici miei, se non fosse che questa suite comedy riflette in tutto in tutto quel che accade ripetutamente nelle nostre città, nei nostri paesi, ogni giorno, in moltissime famiglie.
E nel frattempo la vita va avanti comunque; ci si torna ad innamorare, si continua ad avere storie di sesso, si può cominciare a riflettere di cambiare lavoro, ci si inventa forme più o meno contingenti di reddito, ci si improvvisa dei ladri che invece di concludere buoni affari vanno solo a combinar casini, ci si torna ad innamorare della propria compagna e compagno, ci sono i figli che si laureano a pieni voti mentre noi non sappiamo nemmeno scrivere una lettera, e ci sono i figli che decidono con estrema responsabilità di mettere su famiglia alla sola età di diciotto anni squillanti…
Davvero un bell’affresco di società; mentre le scene si susseguono spassosamente con qualche nota di malinconia e di sano sentimentalismo, noi stiamo lì seduti nella nostra poltrona e pensiamo a chi di nostra conoscenza potrebbe ben riflettere quelle situazioni…
Certamente non ci mancano i paragoni, i riferimenti, le similitudini a cui andare a memoria.
Ci sorprendiamo ancora una volta della bravura del regista, ci chiediamo tra noi “Ma come fa a fare sempre centro così magistralmente sulle macchiette e sulle situazioni che come sempre assolutamente e fedelmente ci rappresentano?”
Il quadro che n’ emerge non è dei più edificanti; se ne conclude che il cittadino medio di una qualunque società occidentale è un essere che soprattutto rifugge, al di là di tutto, la vecchiaia, il proprio entrare in decadenza.
Del resto è il nostro vivere che ce lo impone; obbligati a lavorare fino a che forse non ci reggeranno più le gambe, obbligati a doverci misurare con performance che non ci lasciano tregua o possibilità di via di fuga, nessuno di noi vuole sentirsi e trovarsi messo da parte, e questo è legittimo sia per i giovani che hanno ancora tutte le loro occasioni da spendere, che per gli adulti che le loro occasioni devono sperarle e fare di tutto per incontrarle di nuovo o per incontrale, e basta.
Un bel nove, a Verdone. Per l’equilibrio ed il senso della misura, per la sensibilità e l’acutezza di pensiero, per la capacità tutta comica di farci ridere ridere e ridere sui nostri condivisi difetti.
Genitori e figli sono due mondi che continuano a dovere rimanere legati e vicini; i figli possono insegnare che a tutto ci può essere rimedio, e che il bisogno naturale della felicità recupera energie impensabili; i genitori insegnano che si continua a rimanere degli eterni giovani nel nostro bisogno di sentirci amati, e che essere adulti non significa affatto ritenersi vecchi, decrepiti e sclerotici…non più.
Genitori come giovani adulti e giovani come adulti in prova in età giovanile, dunque? Può essere, ci può stare, visto che sempre più le differenze ed i tabù tra le parti tendono a venire liquidati, smascherati e buttati al macero da un’esistenza che corre corre corre senza potersi fermare mai.
Almeno così appare…
Due vite si incontrano e i loro destini si incrociano.
Uno è un giovane di colore che ha bisogno del sussidio di disoccupazione; l’altro è un maneger ultra ricco che per un incidente di percorso si ritrova su una sedia a rotelle, paralizzato dal collo in giù.
L’unica parte del corpo rimasta sensibile è il volto,…e il cuore.
Il giovane disoccupato dal passato turbolento si presenta al colloquio perché Philippe è alla ricerca di un badante personale, ma sa già che non sarà assunto, perché non ha credenziali, non ha titolo, e sinceramente nemmeno gliene importa più di tanto…
Il colloquio sembra invece catturare la curiosità dell’invalido, che vede in quel ragazzotto tutto muscoli e simpatia una persona autentica, vera, genuina, piena di vita, proprio quello che lui ha perso o rischia di perdere per sempre, seppellito dentro quella poltrona completamente strappato alla gioia di sapersi vivo.
Gli lancia una sfida; gli propone l’incarico in prova per un mese , ed aggiunge “Secondo me non resisterai nemmeno due settimane…”
Driss accetta, tanto non ha niente da perdere; fuori c’è solo la strada ad attenderlo, ed una famiglia in bilico, piena di problemi, dove la madre lavora dalla mattina alla sera per potere guadagnare per tutti il necessario per andare avanti.
Inizia così un periodo di convivenza, dove hanno modo di conoscersi.
Da un lato il giovane ormai ex disoccupato che diventa giorno dopo giorno un bravo assistente specializzato, ma solo perché ha carta bianca, solo perché Philippe lo lascia libero di esprimersi in tutto e per tutto, trattandolo da subito come uno della famiglia e non come l’ultimo intruso; dall’altro lato, l’invalido che si trova improvvisamente catapultato in una serie di situazioni dove non esiste più la regola, l’etichetta, la forma, il già detto e risaputo, ma l’imprevisto, la novità, l’improvvisazione, la proposta di nuovi esperimenti, di nuove esperienze, trattato non più come un handicappato e basta, ma come una persona che nonostante il suo handicap ha bisogno di fare una vita assolutamente normale, dove ci si alza al mattino con la contentezza d’essere vivo, con la speranza di cose belle e positive, dove si cerca di combattere la noia, la solitudine, l’ipocrisia…
Nasce tra i due, senza nessun calcolo, un’amicizia spontanea, nonostante il legame professionale e specifico.
Philippe si diverte con Driss, come non si divertiva più da un’infinità di tempo. Non solo si diverte Philippe, ma si diverte chiunque viene a contatto con la sua presenza, perché la sua bellezza umana è semplicemente contagiosa…
A sua volta Driss ha trovato una vita normale e positiva con Philippe, e non è più sotto i ponti…
Certo, questo può accadere perché il giovane è fondamentalmente una persona onesta, e valida, nonostante tutta la sfortuna che l’ha perseguitato fino a quel momento…e Philippe non è un coglione ricco pieno di sé e privo di attenzioni umane, che un giorno sfigato si è trovato privo dell’uso delle gambe; prima di diventare invalido era stato un uomo normale; aveva amato profondamente sua moglie, ormai morta; ed ora nel presente, non soffre tanto per la sua immobilità fisica, quanto per la sua solitudine affettiva…
Non a caso cerca di trovare una nuova compagna, che probabilmente troverebbe senza problemi, nonostante il suo stato…, ma lui non vuole una donna qualunque, non si accontenta.
Inizia pieno di aspettative una relazione epistolare che Driss finisce per seguire passo a passo…
Philippe desidera al suo fianco una donna innamorata, capace d’affetto almeno quanto lui potrebbe di sicuro essere con la sua eventuale compagna…
Ma c’è un ma, c’è un ostacolo oscuro che sembra vincere sul desiderio di tornare a vivere; l’ostacolo è la paura di sentirsi rifiutato, di sentirsi giudicato, soppesato, messo a nudo nella propria fragilità…la paura di non potere essere all’altezza…
E Philippe allora scappa, si sottrae all’ultimo momento alla prova, all’incontro, all’impresa…
Continuerà a sottrarsi fino a che l’amico, e non certo il badante, l’obbligherà a farvi fronte.
E’ lui che deciderà, è lui che li farà incontrare, è lui che organizzerà a sua insaputa la frittata.
E vince, tutto va come doveva andare, come la squisita umanità dei due protagonisti permette che venga ad accadere.
E la vita per Philppe riprenderà alla grande; un nuovo matrimonio, nuovi figli, una nuova vita.
E la vita per Driss comincerà a girare; un lavoro vero, una compagna, una famiglia tutta sua.
E se pensiamo che questo film si ispira ad una storia vera, c’è veramente da sorridere, da essere contenti…
E’ stato campione d’incassi in Francia, e nonostante questo, merita sul serio.
Ciao amici, oggi si parla di giustizia.
Ma quale giustizia? Quella dei tribunali?, quella processuale? O quella più generalmente intesa come senso positivo della vita? La mia attenzione riguarda quest’ultima.
Io non auguro al mondo felicità o ricchezza o potere o successo…tutte cose estremamente soggettive che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni generali ; io auguro al mondo che possa avere la sua giustizia, semplicemente.
Già la premessa fa comprendere che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.
Il fatto che questa emergenza o necessità prioritaria non si sia mai placata nella storia e nel tempo non è una buona ragione per ritenere archiviabile o secondario il tema di discussione.
La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.
Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare, mentre il successo è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto visibile e concreto, per cui su di esso, sulla sua oggettività si è tutti generalmente d’accordo, la giustizia è un cammino, è un sentiero, è un percorso che solca tracciati impervi e spesso sconosciuti alla grande notorietà, senza per questo rimanere mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.
Cercano giustizia tutti gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia tutti gli esseri privi di parola, privi di capacità di difesa, privi di autonomia che per difendersi dalle offese devono ricorrere alla parola di chi sa e deve spendere voci per loro.
Cercano giustizia i carcerati nelle carceri, che si trovano a scontare una giusta pena in condizioni incivili ed ingiuste; cercano giustizia i perseguitati, gli scherniti, gli esclusi, i diversi, che per le più varie ragioni non si sono trovati garantiti i diritti più elementari e prioritari, sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti i loro diritti anche dopo lunghe lotte e battaglie.
Cercano giustizia i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi per la giusta via di mezzo, ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo negazioni, scorrettezze, squilibri; cercano giustizia.
Cercano giustizia gli incompresi e i calunniati, quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati di avere agito male, quelli che hanno gito per l’interesse comune ma si sono trovati tacciati di avere agito per interessi personali; cercano giustizia gli infermi obbligati a condizioni di vita disumane e ben oltre il limite della sopportazione.
Cercano giustizia gli sfortunati che sono nati nella parte sbagliata del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato; cercano giustizia gli sfruttati, i raggirati, quelli che sono stati usati come oggetti e poi buttati via come pezzi di ricambio; cercano giustizia gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie che a causa di leggi ingiuste o non perfette si sono trovati a pagare le colpe degli altri, della cattiva politica, della cattiva amministrazione.
Cercano giustizia quelli che non capiscono, quelli che devono fare appello a tutta la loro buona volontà per far tornare i conti che non tornano, quelli che non hanno mezzi adeguati per farsene una ragione e tuttavia se la inventano, se la sanno improvvisare.
Cercano giustizia quelli che stanno al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo, e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento del salto, dello scatto, dell’involata.
Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta, però continuano lo stesso a dare quello che sanno fare e costruire, perché le loro ragioni superano ogni forma di soddisfazione apparente.
E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera, si ha solo da sperare che non ci si stanchi mai di farlo.
Tra l’inizio di questa ricerca e la sua risoluzione il tempo che può intervenire nessuno può calcolarlo e prevederlo; vuoi perché i tempi stessi della sua realizzazione sono assai contorti, vuoi perché non è affatto garantita nessuna dirittura d’arrivo.
Nella ricerca di questa benedetta benedizione, corre la vita.
La vita di quegli stessi corridori che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.
Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è intervallo, che non sia quello contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze, di riorganizzare il tempo.
Alla fine della corsa uno saprà la verità.
Qualcuno però non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia, perché non hanno potuto avere le loro occasioni.
Non crediamo a chi vuol scoraggiarci ; non crediamo a chi vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo a chi sembra già avere il paradiso nelle mani mentre ha solo palta e fango.
C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso della vita.
Tutto qui.
La giustizia insomma è solo una questione di volontà, che supera l’oggi, che supera lo ieri, che supera la paura del fallimento e della solitudine.
Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
Non amo che le rose che non coglietti
There is always something to be thankful for in your life. Being alive is absolutely one of them!
MultaPaucis - Blog di Viaggi on The Road
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Da un'Emozione nasce un Disegno da un Disegno un'EMOZIONE
Appunti d'arte di Teresa Pergamo
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Un bambino che legge è un adulto che pensa
Tempo riposato tempo guadagnato
"L'attualità tra virgolette"
Vivir con amor
Educare all'apprendimento
La nuova didattica. Sono tornata!
Versi essenziali per cuori semplici
C'è poco da spiegare...basta leggere.
«Meglio una testa ben fatta che una testa ben piena» (Michel de Montaigne)
"Anche nei tempi bui si canterà? Anche si canterà. Dei tempi bui" B. Brecht
BLOG DIDATTICO_PROF.SSA CRISTINA GALIZIA . Didattica, scrittura creativa, letteratura, attualità nella scuola secondaria di I° grado
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