Il viaggio surreale del COVID19

E’ stato definito bello, e in un certo senso lo è.

Ma è anche SCONOSCIUTO, e questo lo rende anche tenebrosamente affascinante.

Si chiama COVID19

 

 

Ha cambiato le nostri abitudini sociali

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Morto Don Franzoni

L’ex Padre benedettino Franzoni

Personaggio discusso,  controcorrente, discutibile, non condivisibile ma interessante.

Aldilà dell’area di appartenenza,  cerchiamo uomini che usano la propria testa per fare del bene alla propria comunità.

Per questo cerco personaggi scomodi, ovunque debbano essere stanati…

Si faccia avanti il prossimo 🙂

Sveva e Andrea in città

Sveva Modignani e Andrea Vitali  sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.

Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due  autori nemmeno tanto giovani.    E invece sono due belle penne  della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera  davvero  accattivante.

Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.

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Nostra Signora degli eretici: storia di Maria di Nazaret

Chi era Maria di Nazaret?

Ho finito di leggere   il libro sulla figura della Madonna così come conosciuta,  intesa e amata dal  religioso Alberto Maggi.  Non aspettatevi un linguaggio da chiesa o da cerimoniale   liturgico.  Maggi parla del Vangelo come  un appassionato di fumetti potrebbe parlare del suo personaggio preferito, cioè con passione e disarmante  entusiasmo,  senza atteggiamenti  distaccati  e   pomposità  cattedratiche.

Dei testi sacri sa tutto, sa molto, sa troppo, forse,  ma ce li fa amare come se fosse una nostra assoluta   necessità   scoprirli  e commentarli nella loro essenzialità e funzione.

Il suo linguaggio è così semplice e diretto   che   incanterebbe anche un   passante  distratto, o  un analfabeta di parole, o un miscredente   refrattario   di cose  della Bibbia.

Il fatto è che  Maggi sa che dietro a Maria e alla sua storia  sacra  c’è null’altro che la grandiosa  tragedia/avventura  di una donna semplice del popolo che fu interpellata  da Dio stesso a diventare  niente di meno  che la madre di suo figlio.

Maggi sa che Maria  ebbe semplicemente il merito ineguagliabile di dire subito di sì alla sua chiamata, una chiamata inspiegabile per non dire assurda e scomoda, a dir poco.

Maggi sa  che per quel    “sì” detto di slancio e con devozione   Maria si mise in un pasticcio senza fine, perchè divenne subito “persona poco raccomandabile” per tutta la sua famiglia, per il suo futuro sposo, e persino  per la sua gente,  non esclusi  sopra a tutti   i sapienti   sacerdoti  del Tempio.

Non solo Maggi sa tutto questo, ma sa anche che in casa di Gesù la sacra famiglia  non  potè mai essere per nulla nè tranquilla nè benedetta.

I tre membri di questo sovrano e speciale  triangolo umano  non si comprendevano, si parlavano poco, probabilmente   si evitarono anche molto,  e diciamocelo chiaramente, ne avevano di ragioni per non  capirsi.

Lei era la madre ma di una maternità discussa e chiacchierata; lui era il padre ma di fatto loro sapevano che proprio il genitore non era, e non solo loro lo sapevano…

Lui era il figlio, ma figlio di chi? figlio  di un qualcuno che non si sapeva poi di fatto chi fosse, dove stesse, cosa facesse…

Gesù rimane in famiglia per trent’anni, e poi se ne va in giro qui e là a fare le sue prediche, che lo porteranno in breve tempo diritto sulla   croce.

Ma come, suo figlio non era forse  stato annunciato   dall’angelo  come lo stesso Messia, il Salvatore? E perchè invece rischiava  di   finire   con la peggiore delle accuse? con il più vergognoso dei riti  sacrificali?

Maria le prova  tutte con il suo bambino, poi diventato uomo;  ci prova coi rimproveri, ci prova con i silenzi, ci prova con le preghiere, ci prova  con le  minacce, e ci prova con gli atti di forza. Giunti sul punto di rapirlo, lei con l’aiuto dei suoi parenti,    affinchè il suo nome e la sua presenza finisse per far danni al buon nome  di casa (questo figlio scriteriato che faceva cose come risuscitare i morti  proprio nel giorno  dedicato al riposo, che parlava con le prostitute, che andava in casa dei pubblicani, che pretendeva di rimettere i peccati, che andava in giro a mettere i figli contro i padri  e che chissà cosa ancora avrebbe potuto combinare…).., Maria sente  Gesù,  che avvisato della presenza dei suoi familiari che chiedevano di lui,   così risponde:  ” Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?  Chiunque  compie la volontà di Dio, questo è mio fratello, e mia sorella, e mia madre”.

Come a dire: “Io non ho madre, o padre, o fratello, o sorella…se non chiunque mi segue  ascoltando le mie parole”

E  allora Maria  improvvisamente  si ricorda, si rivede, si risente, lei davanti all’Angelo della buona novella, lei davanti alla rivelazione del suo compito assurdo ma   accettato di slancio. Allora, ignara di tutto, fu pronta a dire di sì.

Adesso, non più  ignara di tutto,  si sente ancora pronta a dire di sì. Dire di nuovo di sì, non più all’angelo  celeste, ma a suo stesso figlio da lei stessa partorito e verso il quale è lei stessa  ora  come una bambina appena nata.

Solo la Madonna capisce che occorre fidarsi, che Gesù non è pazzo, nè bestemmiatore, nè bugiardo, come tutti dicono, come tutti  temono.   Gesù è semplicemente se stesso, e sta facendo le cose del Padre suo, anche se i sacerdoti gli danno contro, lo accusano di bestemmiare, lo accusano di   essere  posseduto dai demoni…

Dopo una vita di silenzi e di incomprensioni,  la madre è pronta ad accompagnare il figlio sul Golgota,  perchè di abbandonare Gesù proprio ora che è rimasto solo  non se ne parla in assoluto.

Nel momento della croce solo Maria e l’altra povera  donna  Maddalena  stanno sotto di lui a piangere le loro lacrime.  I discepoli sono tutti scappati, dalla paura di fare la stessa fine.

No, ecco, è rimasto Giovanni, il più giovane, il più forte, il più onesto. Il più sognatore.

Anche  i  miracolati non ci stanno  sotto la croce,  forse ignari di questo strazio, o forse chissà per quale ragione lontani e  loro stessi  beati   inconsapevoli.

Maria invece  pronta,   accompagna  Gesù che griderà prima di morire tutto il suo dolore di uomo e di figlio.

Maria  invece  certa,   è pronta dopo i tre giorni  dalla  deposizione, a credere che suo figlio morto e defunto  non è più tale, ma è già tra i vivi resuscitati a nuova vita.

Maria non ha bisogno di  avere prove di questo, come Tommaso o come Pietro o come altri…

Maria crede, crede sempre, crede al suo cuore, crede al suo sogno di vita vera.

Questo era Maria.

Buon Natale Famiglia

 

Anche quest’anno  è tempo di Natale, tempo di feste, di auguri, di ….voglia di famiglia.

Auguri a tutte le famiglie allora, a chi la famiglia non ce l’ha o ce l’ha lontana, a chi la cerca,  a chi l’ha persa, a chi la ritrova, a chi se la sceglie a propria misura, a chi  si dedica  a  lei  tutti i giorni  chiedendo poco  in cambio,  a chi  riconosce e sa che le famiglie sono preziose, a chi le famiglie le supporta e le sostiene,  …e a chi ha avuto il coraggio di rinnegarla, la propria famiglia sbagliata… in cambio di una giusta.

BUON NATALE A TUTTI, BUONE FESTE AL MONDO…

Siamo un tutt’uno

Per lui c’era prima la persona e poi la malattia.  Perchè siamo un tutt’uno.

Laico, coraggioso, rivoluzionario, sensibile, intelligente, ricercatore, affascinante, innamorato della vita, idealista… guaritore  della più terribile malattia…

Morte di un medico … amico del malato

Il santo Dalai Lama a Milano

Incontro attesissimo e felice tra  la più alta religione non monoteistica  e il nostro mondo cattolico.

Giovani e meno giovani, persone famose e qualunque, tutti sono stati attratti da questa personalità solare, gioiosa, giovane e piena di compassione per l’umanità.

Viva  il Dalai Lama!

Qui la cronaca dal Corriere di Milano

Povera società, povera Sara

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E’ morto il signor Hood

A un   Grande Signore della Politica Italiana che deve continuare a Vivere tra noi

Vescovo gay esce allo scoperto

Notizia che non può passare sotto silenzio.

E’ il primo vescovo e oltretutto teologo  che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.

Di sentirsi cioè parte della Chiesa.

Immediata la risposta del  Vaticano che  lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.

Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.

E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.

E  questo è un altro spinosissimo  capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità?  e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo  che decisamente  complica enormemente la questione.

Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”,  ci mette un poco più in difficoltà.

Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.

Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere   di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora  il giudizio non può che diventare irremovibile.

Di sicuro diventa più complesso.

Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua  in parte  felice omosessualità?  Lo stravolgimento che gli cadrà addosso  lo porterà verso quale via di risoluzione?  E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza  rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.

Io credo che non c’è molto di scandaloso in  un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…

Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla  che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…

Di fronte  invece  a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo,  piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo  per riflettere.  E vorrei che ogni  vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.

Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa.  Aiuterebbero  il sommo  Vescovo  a  cercare e trovare risposte difficili  alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione  spirituale  nel mondo temporale.

Non so se sono riuscita a farmi capire.

Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato  in tutte le sue più importanti  componenti  ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.

Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario  che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.

La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.

Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza;  è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere.  Siamo sempre noi a dovere possedere loro.  Possedere nel senso di  governarle, ma anche nel senso  di lasciarsene governare.

Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso  della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte),  è il progetto che in quanto uomo come tutti noi  lo obbliga a delle  scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.

Ritorneremo  sul tema  con  calma.

 

 

 

scusa Falcone, ieri era la tua festa

 

dove il vento grida più forte

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la felicità è un dettaglio

che fa la differenza

amate nemiche

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comunità amate nemiche

Giornata internazionale contro la droga

Io non mi drogo

perchè faccio fatica a prendere le medicine

figuriamoci le droghe,

perchè sono stata fortunata,

perchè mi voglio bene,

perchè mi piace un cervello attivo e cosciente,

perchè detesto pensare di potere fare cose senza

neanche rendermene conto,

perchè per essere su di giri mi bastano gli amici

veri

e la mia famiglia,

perchè chi lo fa ha solo bisogno di aiuto e deve chiederlo,

perchè metterei in galera quelli che la spacciano,

perchè non vorrei dovere vedere una persona che amo che ne fa uso,

perchè la droga uccide,

perchè la droga fa schifo,

perchè la nostra vita è la cosa più importante,

perchè la droga abbruttisce, imbestialisce, mortifica

la nostra naturale  bellezza

e perchè

ci sono altre mille ragioni che tu stesso potresti aggiungere…

Vuoi?

(leggi anche qui)

da   Helpconsumatori

da      ADUC

da    Gruppoabele

Un paese colpevole

Un paese che non si cura dei suoi cittadini

che ruba rubando al suo prossimo

che mente mentendo a se stesso

che tace  quando dovrebbe urlare

che giudica  quando dovrebbe cercare di capire

che assolve quando dovrebbe condannare senza mezzi termini

che  non offre lavoro ai suoi giovani

che non offre garanzie nemmeno sulle cose più sacre

che detiene i suoi detenuti come nemmeno gli animali andrebbero gestiti

che lascia soli quando dovrebbe fare quadrato

che si mercifica quando dovrebbe prendere le distanze

che insozza il nemico perchè viene facile

che convive allegramente con la corruzione

che scarica di prassi  le proprie  colpe addosso agli altri

che parla parla parla senza mai fare i fatti,

io lo chiamo

un   paese colpevole

Questo paese siamo noi.

IL SIG. ENNE

Molti  uomini semplici  pensano    che basta comportarsi bene per avere in cambio cose buone; pensano  che basta essere onesti per non avere nulla da temere dalla vita e dalla legge; pensano   che come ci dicevano i nostri vecchi,  “se male non fai, paura non avrai…”.

La  ben triste   storia di   Ambrogio Mauri  purtroppo smentisce questa  santa solidità, questa  solo  prudenziale   ovvietà. E se solo si trattasse della sola storia o di una vicenda isolata e sporadica,  ci si potrebbe comunque rallegrare, ma   purtroppo   non è la sola, non si tratta  di  un caso isolato e sporadico.

I numerosi suicidi degli ultimi mesi, ma potremmo dire degli ultimi anni, causati da i dissesti economici   e da corruzioni  politiche ed amministrative  che hanno messo  e che mettono in ginocchio  piccole e medie  imprese   produttrici  e preziose per il territorio e  per il paese,  ci raccontano esattamente il contrario.

La vicenda Mauri è stata  a tempo debito  egregiamente  celebrata dalla bravissima  Milena Gabanelli   che  quando c’è  da smuovere  le coscienze  non fallisce mai un colpo.

Restando nel campo delle ingiustizie  commesse dallo Stato,  mi viene puntualmente  a memoria  la più celebre  strage  che ha mandato a morire  alcuni  dei nostri migliori  figli,  Falcone e Borsellino;  avrebbero dovuto essere protetti e difesi, ritenuti preziosi come la vita stessa  della repubblica  e della democrazia,  e invece sono stati lasciati soli, orrendamente  condannati alla morte  perchè ritenuti scomodi.

Lo stesso è accaduto  al buon cittadino sopra citato, potremmo chiamarlo il sig.  enne, enne come nessuno,   che voleva solo fare il proprio dovere, che voleva solo migliorare il tessuto economico  ed ambientale, che voleva solo mettere al servizio della  collettività il proprio   spirito  creativo e geniale,  ostinatamente  fiducioso, contro ogni  logica di  violenza e di  prevaricazione,   nella  forza morale  della  legge  sana  e  dello Stato giusto.

Ma la legge si è rivelata insana, costruita ad hoc per stritolare ed indurre al suicidio, e se non al suicidio,  allo sfinimento e all’abbandono  di ogni speranza; così  il  sistema corrotto  ha prodotto la sua vittima di turno.

Lo   Stato si è rivelato  ingiusto,  non volendo difendere  i suoi uomini di valore, non sapendo  proteggere gli onesti e i semplici,  semplici  di spirito  e non certo  di  ragioni, perchè è la Ragione a stare   dalla loro parte, perchè è la Verità  a  splendere  sui loro corpi morti.

Non vorrei seminare sconforto   là dove di certo  di esso  non ne abbiamo bisogno,  ma è così;  la solitudine appartiene  a chi non si mescola  con  la massa  becera  e grondante  di  esibizionismi e pretese,  una  massa  ordinaria, scontata,  prevedibile e manovrabile, una  massa  che  è  quello che noi sconciatamente  siamo o dimostriamo  di condividere.

Certo che tra la capacità  o   l’ esasperazione  di compiere gesti di protesta  come quelli di altri  nostri  concittadini  che si sono dati fuoco  per manifestare   contro un sistema  fiscale e bancario  incivile ed indegno di un paese  evoluto,   ed il lasciarsi  banalmente  corrompere dal ritornello  “Così fan tutti e dunque solo il furbo  vince”,  ci può stare un’ immaginabile e salvifica via di mezzo.

Ci vorrebbero dieci cento mille  Ambrogio Mauri,  in tutte le città, in tutti i comuni, in tutti i paesi, in ogni rione, in ogni cortile, in ogni  famiglia…  Sarebbe più bello guardarsi in faccia  la mattina, e l’aria  sarebbe meno irrespirabile.

Prima  di spararsi un colpo al cuore perchè stanco di lottare per nulla, il sig. enne  scrisse queste parole alla sua famiglia e alla nostra  società:

“Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore fortuna di me. Potrà sembrare un atto di egoismo. Non è così, sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza. Come tanti, ho cercato di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre. Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà, saranno anche onesti. C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile. P.S. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e sofferto molto”.

POSTI IN PIEDI IN PARADISO

 

 

 

Tre storie diverse che si intrecciano e che ben rappresentano il mondo di oggi,  dove dominano le famiglie sfatte che poi diventano famiglie allargate  più o meno  riuscite, più o meno  rattoppate.

C’è  chi si è sposato per amore con la  persona sbagliata, con la quale si progetta una figlia  che ben presto si troverà dei genitori separati  per  immaturità  di una delle due parti e per leggerezza  dell’altra…; la  stessa figlia  arriverà  ad assumere nei confronti degli stessi  genitori  (soprattutto nei confronti di uno di essi)   atteggiamenti  più adulti di quanto  i medesimi  non abbiamo  saputo avere nei suoi riguardi.

C’è chi dopo tre figli  scoppia (sempre presumendo una qualche normalità  mentale preesistente) e si accoppia   con la giovane  trentenne  di passaggio, che però scoprirà solo all’ultimo momento la doppia vita ( e forse tripla)  dell’  infedele marito ; ecco che in questo caso nasce una bambina dentro una coppia che già non è più tale   ancor prima di venire al mondo,  se non per gli   avvocati e gli   alimenti  permettendo.

C’è  chi  dopo  una caduta in depressione   post partum  della moglie diventata neo mamma,   entra  lui stesso  in crisi e decide di intrecciare  una platonica relazione epistolare  con la compagna  del   proprio capo;  conclusione:   tutto viene scoperto, la moglie lo caccia di casa, il disgraziato finisce col perdere il lavoro  e  la famiglia  tutto in un sol colpo, e senza neanche avere consumato…

I tre malcapitati  hanno tutti problemi di casa;  e non potendo nemmeno contare su un reddito  serio e continuativo,   trovare un tetto sulla testa  ad un costo ragionevole può diventare  davvero un’impresa.

E così   accade  un fenomeno assai  bislacco  ma per nulla   fuori  luogo e fuori del tempo: decidono alla bella età di cinquant’anni  di andare a vivere insieme, per dividere le spese di un alloggio    ben  modesto,  in uno squallido ma indispensabile   appartamento di periferia, afflitto  dal passaggio  giornaliero   dei treni  ed afflitto  dalla quasi totale mancanza di campo…

Ci sarebbe da sganasciarsi  dalle risate, amici miei,  se non fosse  che  questa   suite  comedy  riflette in tutto in tutto  quel che accade   ripetutamente   nelle nostre città, nei nostri paesi, ogni giorno, in moltissime famiglie.

E nel frattempo  la vita va avanti comunque;  ci si torna ad innamorare, si continua ad avere storie di sesso, si può  cominciare  a riflettere  di cambiare lavoro, ci si inventa  forme  più o meno  contingenti di reddito, ci si improvvisa dei ladri  che invece  di  concludere  buoni  affari  vanno solo  a combinar  casini, ci si torna ad innamorare della propria compagna e compagno, ci sono  i figli che si laureano a pieni voti mentre noi non sappiamo nemmeno  scrivere una lettera, e ci sono i figli che decidono con estrema responsabilità  di mettere su famiglia   alla  sola  età di diciotto anni  squillanti…

Davvero un bell’affresco  di società;   mentre  le scene si susseguono spassosamente  con qualche nota di malinconia  e di sano sentimentalismo,   noi stiamo lì seduti nella nostra poltrona   e pensiamo a chi di nostra conoscenza  potrebbe  ben riflettere  quelle situazioni…

Certamente non ci mancano i paragoni, i riferimenti, le similitudini  a cui andare a memoria.

Ci sorprendiamo ancora una volta  della bravura del regista, ci  chiediamo tra noi  “Ma come fa a fare sempre centro    così  magistralmente sulle  macchiette  e  sulle situazioni  che  come sempre  assolutamente e fedelmente ci rappresentano?”

Il  quadro che n’ emerge non è dei più edificanti;  se ne conclude  che  il cittadino medio  di una qualunque società occidentale   è un  essere  che soprattutto  rifugge,  al di là di tutto,  la vecchiaia, il proprio  entrare in decadenza.

Del resto  è il nostro vivere   che ce lo impone; obbligati a lavorare   fino a che  forse non ci reggeranno più le gambe,  obbligati  a doverci misurare con performance   che non ci lasciano tregua o possibilità di via di fuga,   nessuno di noi vuole sentirsi e trovarsi messo da parte,  e questo è legittimo sia  per i giovani che hanno ancora tutte le loro   occasioni da spendere,  che per gli adulti  che le loro occasioni devono sperarle  e fare di tutto  per incontrarle di nuovo o per incontrale, e basta.

Un bel nove, a Verdone.  Per l’equilibrio ed il senso della misura, per la sensibilità e l’acutezza  di pensiero, per la capacità tutta comica  di farci ridere ridere e ridere sui   nostri condivisi  difetti.

Genitori e figli  sono due mondi  che continuano a dovere rimanere legati e vicini;   i figli  possono insegnare  che  a tutto  ci può essere rimedio, e che il bisogno naturale   della felicità  recupera energie impensabili;  i genitori  insegnano  che  si continua a rimanere degli eterni  giovani  nel nostro bisogno di sentirci amati,   e che essere adulti non significa affatto  ritenersi  vecchi, decrepiti  e sclerotici…non più.

Genitori come  giovani adulti e giovani come adulti  in prova  in età  giovanile, dunque?  Può essere,  ci può stare,  visto che sempre più le differenze  ed i tabù tra le parti   tendono a venire liquidati, smascherati  e  buttati al macero   da un’esistenza  che corre corre corre    senza potersi fermare   mai.

Almeno così appare…

QUASI AMICI

 

 

Due  vite si incontrano e i loro destini si incrociano.

Uno è un giovane  di colore che ha bisogno del sussidio di disoccupazione; l’altro è un maneger ultra ricco  che per un incidente di percorso si ritrova su una sedia a rotelle, paralizzato dal collo in giù.

L’unica parte del corpo rimasta sensibile  è il volto,…e il cuore.

Il giovane disoccupato dal passato turbolento  si presenta  al colloquio perché Philippe è alla ricerca di un badante personale, ma sa già  che non sarà assunto, perché non ha credenziali, non ha titolo, e sinceramente  nemmeno gliene importa più di tanto…

Il colloquio  sembra invece catturare la curiosità  dell’invalido,  che vede in quel ragazzotto tutto muscoli e simpatia  una persona autentica, vera, genuina, piena di vita, proprio quello che lui ha perso o rischia di perdere per sempre, seppellito dentro quella  poltrona  completamente strappato alla gioia di sapersi vivo.

Gli lancia una sfida; gli propone l’incarico in prova per un mese , ed aggiunge “Secondo me non resisterai nemmeno due settimane…”

Driss accetta, tanto non ha niente da perdere; fuori c’è solo la strada ad attenderlo, ed una famiglia in bilico,  piena di problemi, dove la madre lavora dalla mattina alla sera per potere guadagnare per tutti  il necessario  per andare avanti.

Inizia così un periodo  di  convivenza, dove hanno modo di conoscersi.

Da un lato  il  giovane  ormai  ex disoccupato  che diventa giorno dopo giorno un bravo  assistente specializzato, ma solo perché ha carta bianca, solo perché Philippe lo lascia libero di esprimersi in tutto e per tutto, trattandolo da subito come uno della famiglia e non come l’ultimo intruso; dall’altro lato, l’invalido  che si trova improvvisamente catapultato in una serie di situazioni  dove non esiste più la regola, l’etichetta, la forma, il già detto e risaputo,  ma  l’imprevisto, la novità, l’improvvisazione, la proposta  di nuovi esperimenti,  di nuove esperienze,  trattato non più come un handicappato e basta, ma come una persona che nonostante il suo handicap ha bisogno di fare una vita assolutamente  normale,  dove ci si alza al mattino   con la contentezza d’essere vivo, con la speranza di cose belle e   positive, dove  si cerca  di combattere  la noia,  la solitudine, l’ipocrisia…

Nasce  tra i due, senza nessun calcolo,  un’amicizia spontanea, nonostante il legame professionale e specifico.

Philippe si diverte con Driss, come non si divertiva più da un’infinità di tempo. Non solo si diverte Philippe, ma si diverte chiunque viene a contatto  con la sua presenza, perché la sua bellezza  umana  è semplicemente  contagiosa…

A sua volta  Driss    ha trovato una vita normale e  positiva con Philippe,  e non è più sotto i ponti…

Certo,  questo può accadere perché  il giovane   è  fondamentalmente  una persona  onesta, e valida,  nonostante  tutta la sfortuna  che  l’ha perseguitato fino  a quel momento…e Philippe  non è un coglione ricco pieno di sé  e privo di attenzioni umane, che un giorno sfigato  si è trovato privo  dell’uso delle gambe;  prima di diventare invalido era stato  un uomo normale; aveva amato profondamente sua moglie, ormai morta; ed ora nel presente,   non soffre tanto per la sua immobilità fisica,  quanto per la sua solitudine  affettiva…

Non a caso cerca di trovare una nuova compagna, che probabilmente troverebbe senza problemi,  nonostante  il suo stato…, ma lui non vuole una donna  qualunque, non si accontenta.

Inizia pieno di aspettative  una relazione  epistolare  che Driss finisce per seguire passo a passo…

Philippe  desidera al suo fianco  una donna   innamorata, capace d’affetto  almeno quanto lui potrebbe di sicuro  essere   con la sua eventuale  compagna…

Ma c’è un ma, c’è un ostacolo oscuro  che sembra vincere  sul desiderio  di tornare a vivere;  l’ostacolo è la paura di sentirsi rifiutato, di sentirsi  giudicato, soppesato, messo a nudo  nella propria  fragilità…la paura di non potere essere all’altezza…

E Philippe allora scappa, si sottrae all’ultimo momento   alla prova, all’incontro,  all’impresa…

Continuerà a sottrarsi  fino a che l’amico, e non certo il badante,  l’obbligherà  a farvi fronte.

E’  lui che deciderà, è lui che li farà incontrare, è lui che organizzerà   a sua insaputa  la frittata.

E vince,  tutto va come  doveva andare,  come  la squisita  umanità dei due protagonisti  permette  che venga ad  accadere.

E la vita per Philppe riprenderà alla grande; un nuovo matrimonio, nuovi figli, una nuova vita.

E la vita per Driss    comincerà a girare;  un lavoro vero, una compagna, una famiglia tutta sua.

E se pensiamo che questo film si ispira  ad  una storia  vera,  c’è veramente da sorridere, da essere contenti…

E’  stato campione d’incassi in Francia, e nonostante questo, merita sul serio.

S.O.S. GIUSTIZIA CERCASI

 

 

 

Ciao amici,  oggi si parla di giustizia.

Ma quale  giustizia?  Quella  dei tribunali?, quella processuale? O quella più  generalmente intesa  come senso  positivo  della vita?  La mia attenzione riguarda quest’ultima.

Io non auguro    al mondo  felicità  o ricchezza o potere  o successo…tutte cose  estremamente  soggettive  che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni  generali  ;  io auguro  al mondo che possa avere  la sua giustizia, semplicemente.

Già la premessa  fa comprendere    che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.

Il fatto  che questa  emergenza o necessità prioritaria  non si sia mai placata nella storia e nel tempo  non è una buona ragione  per  ritenere  archiviabile o secondario il  tema di discussione.

La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.

Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare,  mentre  il  successo  è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto  visibile e concreto,  per cui su di esso, sulla sua  oggettività  si è tutti generalmente  d’accordo,  la giustizia  è un cammino, è un sentiero, è un percorso  che  solca  tracciati  impervi  e spesso sconosciuti alla grande  notorietà, senza per questo rimanere    mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.

Cercano  giustizia  tutti  gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia  tutti  gli esseri privi di parola, privi di capacità di  difesa, privi di autonomia  che per difendersi  dalle offese   devono ricorrere alla parola di chi sa e deve  spendere voci per loro.

Cercano  giustizia  i carcerati nelle carceri,  che si trovano a scontare una giusta pena  in condizioni incivili  ed ingiuste;   cercano giustizia i  perseguitati, gli scherniti,  gli esclusi, i diversi,  che per le più varie ragioni  non si sono trovati garantiti  i diritti  più elementari e prioritari,  sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti  i loro diritti  anche dopo lunghe lotte  e battaglie.

Cercano giustizia  i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi  per  la giusta via di mezzo,  ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo  negazioni, scorrettezze, squilibri;  cercano giustizia.

Cercano giustizia  gli incompresi e i calunniati,  quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati  di avere agito male, quelli  che hanno gito per l’interesse comune  ma si sono trovati tacciati  di avere agito  per interessi personali;  cercano giustizia  gli infermi  obbligati  a condizioni di vita  disumane   e  ben oltre il  limite della sopportazione.

Cercano giustizia  gli sfortunati  che sono nati nella parte sbagliata  del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato;  cercano giustizia gli sfruttati,  i raggirati,  quelli che sono stati usati come oggetti  e poi buttati via   come pezzi di ricambio;  cercano giustizia  gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie  che a causa di leggi ingiuste o non perfette  si sono trovati a pagare le colpe  degli altri, della cattiva politica,  della cattiva  amministrazione.

Cercano giustizia  quelli che non capiscono,  quelli  che  devono fare appello a tutta la loro  buona volontà    per  far tornare i conti che non tornano,  quelli che non hanno mezzi adeguati  per  farsene una ragione  e tuttavia  se la inventano, se la sanno  improvvisare.

Cercano giustizia quelli che stanno  al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo,  e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento  del salto, dello scatto, dell’involata.

Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta,  però continuano lo stesso a dare quello che  sanno  fare e costruire, perché le loro   ragioni superano ogni forma  di  soddisfazione apparente.

E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera,  si ha solo da sperare  che non ci si stanchi mai di farlo.

Tra  l’inizio di questa ricerca e la sua  risoluzione il tempo che può intervenire  nessuno può calcolarlo e prevederlo;  vuoi perché i tempi stessi  della  sua   realizzazione sono assai contorti, vuoi perché   non è affatto garantita nessuna  dirittura d’arrivo.

Nella ricerca  di questa benedetta  benedizione,   corre la vita.

La vita di quegli stessi corridori  che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.

Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è  intervallo, che non sia quello  contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze,  di riorganizzare  il tempo.

Alla fine della corsa  uno saprà la verità.

Qualcuno però  non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia,  perché  non hanno potuto  avere le loro occasioni.

Non crediamo  a chi vuol scoraggiarci ;  non crediamo   a chi  vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo  a chi  sembra già avere il paradiso  nelle mani  mentre ha solo palta e fango.

C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone  che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso   della vita.

Tutto qui.

La giustizia insomma è solo una questione  di  volontà,  che supera  l’oggi, che supera lo ieri,  che  supera  la paura del fallimento e della solitudine.

 

UNA DONNA DI CARATTERE E COLORE

Istantanea iPhone 1     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

     

 

 

 

 

UNA DONNA DI CARATTERE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

COMINCIANO A 12 ANNI A FARE QUELLO CHE…MA COSA FA LA SCUOLA, E LA FAMIGLIA??