E’ una bella iniziativa che ci mostra una delle tante possibilità di recupero dei carcerati.
Per carità, magari non è perfetta, non è esente da rischi, però sembra che il positivo sia superiore al negativo, sempre che si voglia essere ipercritici.
E’ una bella iniziativa che ci mostra una delle tante possibilità di recupero dei carcerati.
Per carità, magari non è perfetta, non è esente da rischi, però sembra che il positivo sia superiore al negativo, sempre che si voglia essere ipercritici.
La stanza del figlio è la riflessione di un regista e di un intelletuale sul tema della morte. Non una morte qualunque, ma la più terribile che possa capitare ad un padre, ossia la morte del proprio figlio.
Nanni Moretti sceglie uno scenario familiare d’elite, come credo sia nel suo stile; tanto di sinistra, almeno nelle parole, quanto ricercatore di un’espressione di vita medio alta borghese, dove non esistono problemi economici, conflitti sociali, scontri di piazza ecc…
Mi sto limitando all’analisi di questo film, non degli altri che devo ancora visualizzare; quindi potrebbe essere che la visione di altre pellicole mi farà ricredere su certi aspetti; lo metto obbligatoriamente per inciso.
Come dicevo, il padre è uno psicanalista, ha una bellissima moglie che è il ritratto della madre perfetta, ha un meraviglioso figlio che sta frequentando la scuola superiore, e ha anche una meravigliosa figlia forse più grande di qualche anno iscritta al classico.
Un giorno viene convocato dal preside del figlio perchè sembrerebbe che Andrea abbia rubato dalla stanza dei fossili un pezzo di sasso pregiato, accusato da un compagno che lo denuncia. Il padre cerca di capire se è vero, se è possibile che suo figlio, intelligente e benestante quanto basta, si fosse ridotto a rubare un pezzo di sasso dall’aula di scienze. Si fa l’idea che deve essere tutto uno sbaglio, come lo stesso figlio sostiene, cioè d’essere vittima di un dispetto.
Lo stesso figlio che di fronte al padre nega d’avere fatto una simile cretinata, riesce a confidarsi con la madre, ammettendo d’aderlo fatto, sì, ma solo per gioco, e poi avrebbero voluto riposizionarlo là da dove l’avevano preso, ma nel frattempo s’era rotto, facendo una misera fine…
Insomma, è solo per fare capire che tutti i ragazzi del mondo dopotutto sono solo dei ragazzi, può starci qualche cavolata, che sono cazzate che poi nemmeno ci si ricorda più d’averle fatte.
La vita procede ordinaria, tra scorribande in auto dove emerge un quadro familiare tranquillo e affettuoso, ed episodi di vita quotidiana dove si comprende che nulla potrebbe guastare questa armonia e questo idillio casalingo.
Nulla, tranne l’imponderabile, quando durante un’immersione subacquea il povero Andrea si trova senza ossigeno e commette un’imprudenza che gli causa il decesso per embolia fulminante.
Ecco che in un solo istante la vita di tre persone serene e felici viene stravolta e irrimediabilmente modificata. Altro che sasso rotto e sospensione di una settimana dalla scuola. Andrea è finito solo e senza possibilità di chiedere aiuto dentro una bolla d’acqua marina che non ha avuto nessuna considerazione della sua vita e della sua voglia di vivere. Perchè Andrea era giovane, aveva tutta la vita davanti, era bello, dolce, solare, speciale, come tutti i figli lo sono per i loro genitori. Ma Andreao lo era per davvero, anche quando giocava a tennis senza convinzione e senza la voglia di vincere, anche quando giocava con la sorella a prendersi in giro come si fa tra fratelli, anche quando andava a correre con il padre sentendosi un poco il figlio che doveva ancora crescere e farsi uomo…
La vita di ora diventa un ricordo ossessivo del figlio scomparso. La stanza del figlio diventa il luogo in cui la madre si reca alla ricerca del suo sorriso, del suo odore, della sua voce; la stanza del figlio diventa il luogo che Matteo aveva più a lungo vissuto e fatto proprio, prima della sua sparizione.
Ma dove finisce un figlio quando muore? Dove finisce un figlio quando ci viene tolto per sempre e senza una ragione accettabile? Questo è il punto. Se solo si potesse pensare che questo nostro ragazzo possa essersi trasferito in un luogo di pace, dove potere continuare la sua vita anche sotto altre vesti, o altre condizioni, allora sarebbe più facile accettare che oggi siamo qui tra chi amiamo e domani potremmo non esserci più.
Ma il padre psicanalista non è credente, non frequenta la chiesa, non crede nella resurrezione, non crede che suo figlio possa avere avuto una seconda occasione o rinascita. Quando si muore si muore e basta. E la morte è così assurda, almeno quanto sono assurde le prediche dei preti che cercano di convincerci che si muore perchè Dio ha deciso così per noi, dentro un suo disegno che rimane per noi misterioso.
La stanza del figlio oggi è vuota, e basta. E la stanza dello psicanalista invece continua a venire frequentata dai soliti pazienti con le loro solite fobie e con i loro soliti racconti paranoici, o deviati, o perplessi, o profondi, o inquieti…fino a che tutto questo spettacolo teatrale diventa insostenibile. Questo padre oggi distrutto non è più in grado di continuare a fare questo mestiere, di ascoltare gli altri in maniera professioanle e serena come prima gli riusciva di fare.
Già, un privilegiato, che si può anche permettere di sospendere il lavoro non essendo più in grado di farlo; mentre invece la madre continua a cercare anche in morte segnali di vita del figlio, attraverso le vite dei suoi amici o amiche che lo avevano conosciuto e in qualche modo amato…
Dentro questo strazio che non può lasciarci indifferente emerge l’umanità degli stessi pazienti che in qualche modo entrano a far parte del dolore di questo terribile incidente familiare. La malattia mostra il suo volto umano e recuperabile, soprattutto la più insidiosa delle malattie, quella mentale, quella che corrode l’animo di una persona dal di dentro, e non ci sono facili medicine da prescrivere, se non quella assai complessa e delicata della parola.
Le persone si curano e guariscono grazie all’uso della parola. Anche Andrea viveva felice grazie all’uso della parola; non gli importava di vincere a tennis, o di quel ridicolo sasso che aveva preso solo per gioco, o di mostrare ambizioni ancora troppo da grandi per lui che si sentiva ancora un ragazzo…Gli importava solo di parlare, di farsi capire, di stare anche ad ascoltare magari, come faceva suo padre di mestiere, ascoltare i racconti degli altri.
Ma se questo strazio può accadere dentro un quadro familiare così privilegiato, cosa potrebbe e cosa non accade dentro realtà affatto fortificate ed organizzate come questa? Cosa soccorre uomini e donne fragili e senza sostentamento, come al contrario tutto sommato capita di dovere affrontare a Giovanni, Paola e Irene? La morte è una questione democratica? Non è forse una delle cose più democratiche del mondo perchè capita a tutti aldilà del proprio censo o nome o altro?
La morte è la vera protagonista di questo messaggio; la morte e le possibili risposte che ognuno di noi può diventare capace di elaborare; la sua realtà imprescrutabile ci obbliga a guardarla in volto. E così una famiglia distrutta e vacillante sull’orlo di un abisso si ritrova ad accompagnare per gioco una coppia di giovani ragazzi incontrati per caso, verso il confine con la Francia. Lei è una ex fidanzata di Andrea, non proprio fidanzata, diciamo una che avrebbe potuto diventarlo, se lo sfortunato non fosse morto all’improvviso.
Un giorno gli scrive una lettera non sapendolo già morto. e la lettera finisce nelle mani della madre, che rimane doppiamente sconvolta.
Arianna, questo è il suo nome, per compassione e generosità restituisce al padre (e quindi alla madre Paola che rimane sempre nell’ombra con grande maestria) tre fotografie scattate e ricevute da suo figlio prima di morire: sono le immagini di Andrea nella sua stanza, immagini bizzarre che lo ritraggono felice e sorridente, con tutto il sole negli occhi.
Ho finito di leggerlo.
La prima cosa che mi viene da commentare è che il libro meritava, naturalmente. Non solo per come scrive la Fallaci, che comunque lo sappiamo, è stata un genio della scrittura. Non solo perchè il suo stile ora leggero, ora canzonatorio, ora storico, ora giornalistico…non ci permette mai d’annoiarci. Ma più che altro per quello che ci racconta, di questo suo viaggio che fece in America a studiare gli astronauti che vanno sulla luna.
Sveva Modignani e Andrea Vitali sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.
Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due autori nemmeno tanto giovani. E invece sono due belle penne della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera davvero accattivante.
Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.
Aiutare chi non ha nulla è un dovere, non un piacere.
Se poi diventa anche un desiderio, allora siamo persone veramente speciali.
Lo so, ci dà fastidio vederli, alcuni sono fasulli, non sappiamo chi sono, sono persone al margine che spesso usano la poca elemosina che ricevono in alcool ed altre schifezze…, ma sono sulla strada perchè non hanno avuto fortuna, hanno avuto dei problemi che non hanno potuto affrontare, insomma, non sta a noi giudicarli.
Discorso a parte per gli zingari, che sappiamo hanno uno stile di vita nomade e mendicante al limite della legalità. Ma forse anche per loro, ci sarebbe da fare delle precisazioni…
Io l’elemosina la faccio…anche per pulirmi la coscienza verso un sistema sociale che non sa essere dalla parte della persona.
Il ministro Poletti e i suoi insulti ai giovani italiani
Non è il primo Ministro pagato da noi italiani che le spara grosse sulla gente comune che si deve barcamenare tra la mattina e la sera… anche andando all’estero per vivere e costruirsi un futuro.
Adesso le scuse non bastano.
Sul fronte del lavoro, o i voucher vengono disciplinati o si dovrà fare qualcosa di più incisivo.
Per lui c’era prima la persona e poi la malattia. Perchè siamo un tutt’uno.
Laico, coraggioso, rivoluzionario, sensibile, intelligente, ricercatore, affascinante, innamorato della vita, idealista… guaritore della più terribile malattia…
Ho appena terminato di leggere il libro di Osho intitolato “Amore, libertà e solitudine”.
Ero curiosa di approcciare lo spirito buddhista che è profondamente diverso dal modo di pensare occidentale, anche se ovviamente rimangono dei punti di aggancio tra le due culture.
Mi sembra d’avere capito queste poche cose capitali: noi Occidente abbiamo un approccio materialistico e consumistico della vita, tendiamo per la nostra nevrosi possessiva a ridurre le persone a cose e a considerarle quindi delle proprietà.
Nel nome dell’amore assoluto arriviamo a commettere atti terribili che nulla hanno a che fare con l’amore, perchè la cultura sociale dominante non ci insegna il concetto di rispetto dell’altro, il concetto di meditazione della vita, il concetto di amore come donazione e non come acquisto di qualcosa che può essere anche l’affetto di una persona scambiato per conquista.
Detto materialismo è assolutamente presente anche nella civiltà indù, ma totalmente assente nel pensiero buddista che predica appunto l’ascesi, il distaccarsi dalle cose, il lasciarle fluire verso la loro naturale direzione.
Per Osho i legami matrimoniali non dovrebbero proprio esistere perchè legano dentro un contratto due persone che si promettono amore eterno, senza considerare che l’amore non può essere messo dentro un contratto, in quanto per essenza impalpabile, etereo, non circoscrivibile, libero e mutevole come il vento.
In merito al problema dei figli, Osho sostiene che una società a misura d’uomo si prende cura dei bambini in quanto tali, sapendoli assistere e crescere durante tutte le tappe della vita con qualunque cosa possa accadere ai loro genitori.
Una specie di comunità stile hippy, dove tutto è aperto, tutto è ammesso, se per tutto si intende che le persone non si devono sentire in nessuna maniera obbligate a fingere quello che non pensano e non provano più.
Sul piano della natura, critica il vivere dentro città super popolate dove si è in tanti ma tutti condannati all’isolamento; condanna anche le piccole comunità dove vige la regola della castrazione, del doversi auto-controllare, auto-reprimere. Distingue l’isolamento (pessimo) dalla solitudine ( utile e buona) perchè sapere stare da soli con se stessi è una vera virtù, è una cosa bella e preziosa, da non vedersi come asocialità.
Sul piano dello Stato condanna ogni forma di politica, compresa quella gerarchica della Chiesa e dei suoi preti, perchè intesi come strutture padrone e prevaricatrici che avrebbero la pretesa di dirci cosa fare, chi essere, come pensare…
Sul piano della Scienza condanna ogni forma di ricerca futile ed assurda, come l’andare su Marte a discapito della distruzione dell’ozono e quindi a discapito della salute della Terra destinata di questo passo all’implosione e al surriscaldamento.
Sul piano della fede condanna ogni forma di credo disciplinato dentro una Chiesa, nessuna esclusa, perchè dette chiese avrebbero tradito il vero mandato spirituale di Gesù e di Maometto, che era ed è un messaggio di amore puro.
Sul piano del lavoro, non comprende gli uomini che si dedicano anima e corpo alla carriera sacrificando ad essa tutto di se stessi, fino a diventare dei robot, assenti ai veri bisogni e ai loro cari.
Sul piano dell’economia la circolazione del denaro dovrebbe sparire e dovrebbe subentrare l’uso del baratto.
Che dire. In linea di massima come si può essere contrari a queste belle considerazioni?
Peccato che non sono attuabili, non su scala mondiale, ma il tutto si può ridurre alla scelta di singoli uomini che scelgono per sè il cammino iniziatico del diventare un Budda; peccato che il mondo rimane legato alle sue Nazioni ed ai suoi Nazionalismi, al potere del denaro che è l’unico che non subisce mai crolli.
Comunque è utile leggere di pensieri così liberi e sganciati dalla nostra pesantissima struttura storica, fatta sempre di cause ed effetti, di obblighi e rispetto delle leggi, comprese quelle ingiuste.
Ma ecco che arrivo da dove ero partita: per Osho non è che Dio è amore, ma è ovviamente l’amore stesso ad essere Dio.
Lui dice che c’è una sostanziale differenza. Se si parte da Dio mettiamo Dio fuori di noi, e Dio ci dominerà; se si parte invece dall’amore, mettiamo l’amore davanti a tutto e quindi Dio stesso in noi, noi stessi diventiamo Dio grazie all’amore che è in noi e fuori di noi.
Personalmente concluderei così: ognuno faccia come meglio crede, l’amore è sempre buono se è sganciato dall’idea di possesso. Certo che essendo e sentendomi figlia della mia cultura, della mia cultura accetto l’idea di un Dio che sta fuori di me e che non percepisco come il mio Padrone, ma come il mio Custode.
Del resto, so anche che Dio sta dentro di me, e non può stare solo fuori, e quindi io stessa sono Dio nel senso che partecipo della sua bellezza e forza. Senza questo Dio esterno, secondo me si rischia di perdere di vista la trascendenza, riducendola ad estasi, ad ascesi, ad esperienza mistica umana, temporanea e fine a se stessa.
Non per nulla il buddismo prevede la reincarnazione, il ciclo metempsicotico della vita.
Con un Dio esterno si parla invece di resurrezione, di un ciclo che inizia, si evolve e si compie. Ognuno scelga quello che sente più proprio.
Lei è una eccellenza della ricerca in campo medico.
Dava fastidio in Parlamento e quindi viene ingiustamente accusata di un fatto gravissimo e infamante.
Ci vogliono dieci anni di processo prima di arrivare alla assoluzione definitiva.
Alla fine la nostra eccellenza italiana non più motivata a rimanere in patria, ci dice addio a testa alta, si dimette da quel Parlamento che ha rappresentato per lei solo un incubo infinito (le sue testuali parole), e fugge in America.
Questo è uno spaccato del nostro Paese, purtroppo.
… ma il lavoro non può non tornare!
Chi lavora con le mani, opera;
chi lavora con le mani e la testa, costruisce;
chi lavora con le mani, la testa e il cuore, crea.
Pubblico solo un capitoletto di quello che sarà il mio nuovo libro…
Parlerà di lavoro, di scuola e di cooperazione…(ed è un racconto di pura immaginazione ma che riflette la realtà del lavoro e della scuola in Italia)
Cominciano a scoprirsi le carte
Cominciano a scoprirsi lentamente le carte: le assistenti che venivano bistrattate dalla Dsga uscente quando hanno appreso della sua dipartita hanno brindato per la felicità; altre due che con la capo ufficio aveva buoni rapporti, ma che comunque conservano per dignità una loro autonomia lavorativa, stanno osservando la situazione in attesa di decidere che posizioni assumere nei confronti del nuovo assetto; l’impiegata che invece era umma umma con la capa e che è risultata perdente posto, quella è stata la principale ragione che ha fatto decidere all’ultimo minuto al direttore (in questo caso direttrice) la richiesta di assegnazione provvisoria altrove, stà altrove immagino abbastanza contenta d’avere causato questa conseguenza. Fa sempre piacere sentirsi importanti, o comunque, dei precisi punti di riferimento per qualcuno, soprattutto quando questo qualcuno occupa dei posti di comando.
Il giro negli altri due plessi è stato fatto, e a dir la verità ho visto dei locali che commentare che sembravano sporchi è dir poco; ma poi mi spiegano: alcuni spazi della sede o hanno lavori di muratura in corso, o sono stati luogo di accoglienza estiva dei bambini, quindi fino a qualche giorno fa sono state teatro di lavori e di utilizzo; ovvio che adesso sono tutti da pulire; si rilevano tutti i problemi e la lista delle emergenze da segnalare al Comune che è il responsabile della manutenzione degli edifici scolastici.
Per gli interventi di piccola manutenzione non ci sono problemi, provvede la scuola con le minute spese, ma per tutto il resto (le mura, i bagni, le aule, gli impianti, il tetto, gli esterni, gli infissi…) deve provvedere il Sindaco attraverso l’ufficio Pubblica Istruzione e relativo Ufficio Tecnico, che però ultimamente dice sempre di non avere grandi soldi.
Sto osservando le colleghe giorno dopo giorno mentre che le lascio lavorare in totale autonomia e cercando di disturbarle il meno possibile. C’è Marta della didattica che è molto silenziosa, non si sposta mai dalla sua cattedra, la preside me ne ha parlato molto bene; poi c’è Ester che mentre mi confidava a denti stretti di avere molto sofferto con la direttrice di prima, praticamente aveva le lacrime agli occhi; al protocollo c’è Piera che tra le amministrative è la più anziana, con la massima competenza nel suo campo; alla finanziaria ( il settore che più mi riguarda ) c’è Rosanna che tra tutte è l’unica ad avere conseguito la funzione superiore, ossia è l’addetta a sostituire il Dsga assente.
L’anno scorso, non so perchè, ho visto che la nomina di vicaria alla direzione era stata data a Piera, credo per motivi di anzianità e perchè è quella con più servizio continuativo nella scuola. Forse questo ha provocato un certo risentimento in Rosanna che infatti ha già detto alla preside che intende chiedere l’utilizzo annuale presso L’ufficio Provinciale del Territorio.
La Dirigente per questo si è molto risentita e sembra che voglia in qualche maniera rifarsi di questa assenza di spirito di squadra cominciando a mettere dei paletti ben precisi, che però rischiano a loro volta di creare ancora più malcontento e ancora più scissioni e fuggi fuggi del personale.
Domani nella riunione con il gruppo amministrativo (quello con i collaboratori scolastici c’è già stato ed ha portato molti frutti…) proporrò proprio Rosanna come mia sostituta (del resto è solo lei titolata a farlo). Forse questo le darà una buona ragione per rimanere ancora un anno, e poi per l’anno nuovo io non ci sarò più, immagino, e le cose andranno come dovranno andare anche senza di me.
Adesso che però ci sono, il controllo ce l’ho io, accanto alla Preside, e posso fare i miei passi, e seminare bene piuttosto che male, così che piano piano le cose si stabilizzeranno e si tornerà ad una certa normalità (sempre che le cose stiano come mi detta l’impressione iniziale e non che ci siano elementi di valutazione a me ancora ignoti).
Ho fatto la conoscenza con il Presidente del Consiglio di Istituto; di solito sono genitori inesperti e preoccupati di venire disturbati il meno possibile, salvo poi sapere il proprio figliolo gestito con una certa attenzione dai professori o maestri; questo non è così, vuol sapere tutto di tutto (e magari anche di tutti) e mi sembra di capire che ha le mani in pasta con il Comune, forse è dentro qualche maglia elettorale e la sua presenza interessata è forse dovuta anche a secondi fini, ma va benissimo lo stesso, di queste cose non si parla tra noi, perchè con me si parla e si parlerà sempre e solo di lavoro, di decisioni da prendere, di strategie da mettere in campo ecc…ecc… ( e va bene così, non sono fatta per il pettegolezzo o le intese poco chiare).
Lentamente vengono a presentarsi anche i docenti, ma loro lo fanno con il Direttore solo per motivi di interesse personale, ossia se devono prendere informazioni sulla loro ricostruzione di carriera e sulla loro pratica pensionistica o sulla ricongiunzione dei servizi….
Per un docente la segreteria è quel luogo strano che non si capisce le impiegate cosa abbiano da fare per sette ore continue; a volte diventa anche quel luogo dove vengono assegnate le docenti o i docenti che come dire, vanno fuori di testa, e dunque diventano dei dipendenti scomodi, che non possono più coprire ruoli di insegnamento.
Come sta capitando a noi che ospitiamo una professoressa in difficoltà, Sonia, che però ora si deve decidere dove collocarla stabilmente, visto che nemmeno in segreteria dimostra di potere funzionare in maniera serena; al telefono a volte se ne esce con argomentazioni poco appropriate; “Se la fa archiviare”, la Dsga precedente aveva detto alla preside, “non me ne assumerò la responsabilità”; allo sportello non ne parliamo; non rimane che la biblioteca, dove potrebbe venire relegata tra i libri e le mura che non hanno nè orecchie nè bocche per replicare.
In quanto a Laura, la Direttrice che se ne è andata, doveva venire ieri a fare il passaggio delle consegne, ma non s’è vista, addirittura ha sparato la balla che si era presentata ma che a scuola non c’era nessuno; no problem, mi sono fatta dare l’orario presunto del suo arrivo, l’abbiamo confrontato con i presenti ed abbiamo concluso che ci stava spudoratamente prendendo in giro.
La preside l’ha ricontattata e facendo finta di niente le ha detto davanti a tutti che sentivano, che non era possibile, che evidentemente ci doveva essere stato un priquoquo, e che dunque la si attendeva, la si attendeva il prima possibile, visto che “proprio oggi abbiamo scoperto che una pratica pensionistica di una docente andata in congedo dal primo settembre dovrebbe avere il fascicolo completo da consegnare , ma di questo fascicolo non c’è nessuna traccia”.
La Ds è molto contrariata; mi chiede cosa sono tutte quelle carte che mancano, ed io che mi sono preoccupata di portarne alla sua attenzione l’elenco, rispondo già stanca, dopo otto ore di lavoro indefesso : “Preside, non posso fare in un giorno un lavoro di un anno; domani la prendo in mano e vediamo di risolvere”
Considerando che poi di pratiche pensionistiche non ne ho mai fatte, ci sarà da divertirsi, ma intanto a me piace imparare, sono nata studente, e dunque farò anche questo.
dal libro in prossima pubblicazione (Un Paese, una Scuola)
Questa galleria contiene 42 immagini.
438 vetture in gara, 876 partecipanti, auto storiche da tutto il mondo, e vince una coppia argentina con una Bugatti del 1927… Da non perdere Qui altre info (la cosa più originale che ho visto? una targa con scritto Ciao Ciao)
Un modo straordinario e molto semplice di aiutare il prossimo, da parte di chi lo può fare, decide di farlo, sa di doverlo fare, e non si spreca in parole o in ipocrisie…
Un esempio di imprenditore ok
Ebola può essere sconfitto
E’ guarito dall’Ebola e presto tornerà in Africa dai suoi ammalati-
è un medico italiano e si chiama Fabrizio Pulvirenti-
un medico ok
Per il nuovo anno mi sto preparando con tanti buoni propositi.
So che il pensiero positivo aiuta e dunque non serve ripetere all’infinito le cose che non vanno bene, quanto piuttosto sottolineare nella testa le cose che stanno già funzionando e che possono, anzi, devono, migliorare.
La prima tra tutte ci può stare l’avere cura di noi stessi. Se dovessimo ammalarci o se ci dovesse accadere qualcosa, addio buoni propositi, tutto finirebbe in ramenga in un batter di ciglio…
La seconda cosa, ci può stare un pensiero per il lavoro. Se lavorare stanca, non avere un lavoro uccide, e quindi qualunque sforzo faremo per migliorarlo, sarà certo ben fatto. Non solo per migliorarlo, ovviamente, ma anche per proteggerlo e per non farcelo portare via da una classe politica che sa fare solo tre cose molto bene: rubare, rubare e rubare, creando povertà sociale.
La terza cosa che non può mancare è la serenità in famiglia. Le nostre famiglie sono il nostro treno viaggiatore. Ci sono tanti vagoni, ogni vagone è una famiglia, un insieme di famiglie; se il treno si ferma, ci fermiamo tutti.
Sul treno, viaggiando, passiamo di vagone in vagone, facciamo conoscenze, ma poi ognuno torna al proprio posto, a sedere, a ristorarsi, aspettando il momento di scendere.
La nostra famiglia in un certo senso è la nostra carta di identità. Lo so che lo è sempre di meno in un mondo dove i legami sono diventati fragili e solo pura formalità, lo so che non si può chiamare famiglia chi ci uccide, ci violenta, ci minaccia, ci ignora, e non ci ama affatto, verso la cui violenza ognuno di noi deve sapersi ribellare e sapere chiedere aiuto; ma le vere famiglie, quelle che ci mettiamo sulle spalle e che sappiamo perchè vogliamo e perchè dobbiamo sostenere, quelle sì che sono i nostri occhi, il nostro naso, la nostra bocca, le nostre mani…
Al quarto posto metto senz’altro il tempo libero.
Il tempo libero è un poco il sabato della settimana, o la domenica, per chi il sabato lavora.
E’ quel giorno che possiamo dedicare non dico solo a noi stessi, che sarebbe triste, a pensarci un pò bene; lo possiamo dedicare al fuori programma, a quel che capita capita, e così sia, e così accada, e possa il sole illuminare e creare l’ombra che creerà giochi di luce che ispireranno l’artista che ne farà disegni e colori che produrranno sogni che diventeranno farfalle che si poseranno di fiore in fiore, sempre più in alto, lassù, fino a toccare le nuvole, per poi finire nella valle, sulle rive del mare, e decidere di prendere una barca, e di andare a remare…
Insomma, il giorno del non so che, del quasi nulla, dell’imprevisto.
Infine, nel nuovo anno ci dobbiamo portare il silenzio.
Sì, ragazzi, è così bello il silenzio.
E’ una pagina vuota senza parole, che vuol dire che può contenere di tutto, anche quello che non c’è.
E’ una pagina bianca, che in ogni momento potrebbe diventare colorata.
E’ una pagina democratica, perchè non dà sentenze irremovibili e perentorie.
Dice a ognuno di noi: ” Tu chi sei? Come ti chiami? Cosa vuoi? Cosa hai fatto per averlo?…” E ci lascia parlare, raccontare, sproloquiare, a volte.
E la pagina bianca, saggiamente e con grande umiltà, rimane in silenzio, e raccoglie tutti i nostri pensieri segreti e privati, solo nostri, perchè solo noi potremmo capirli, apprezzarli, accoglierli.
Ecco, questi mi sembrano dei buoni propositi, per l’anno nuovo che arriva. Non vi pare, amici carissimi?
I 2 CAVALLI
Due cavalli tiravano ognuno il proprio carro.
Certo, valutare un cavallo non è difficile; valutare un uomo è un poco più complicato…
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le “pantere”
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le “verità” della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti…
Fabrizio De Andre
Per un paese più giusto
Quando ero più giovane, per capirci, una donzelletta spensierata e leggiadra, non vivevo pensando al futuro, nè pensando al passato; credo che vivessi senza tanti pensieri. A quel tempo credo che ci si senta eternamente giovani, come se il momento del prendersi tanti pensieri dovesse stare molto lontano da noi, dalla nostra posizione, dal nostro raggio di interesse.
Alcuni la chiamano incoscienza, altri immaturità, altri inconsapevolezza, altri ancora spavalderia…mentre si chiama solo giovinezza.
Per me non è nemmeno stato così, perchè proprio da giovane io mi vedevo vecchia e sapevo che solo non più giovane, avrei avuto le mie occasioni migliori. Come a raccontare una vita al contrario.
Certo, a quel tempo era tutto più facile e meno complicato di adesso. C’erano meno possibilità ma anche più opportunità.
Eppure non vorrei per nessuna ragione tornare a quegli anni, perchè in quel periodo io ho conosciuto un’umanità arida, spenta, violenta e superficiale.
Erano aride le radici che mi hanno alimentato, come quando si nasce in un bel giardino e tutti stanno dentro una bella aiuola, e viene il giardiniere che annaffia, ma tu sei stato messo dentro un pidocchiosissimo vaso, che fatichi persino a trovare la luce del sole, e cresci a fatica, coltivando dentro di te il sentimento del non contare molto.
Erano spente le culture che si snocciolavano nelle scuole, almeno per le scuole che ho potuto fare io, un banale istituto magistrale dove l’approccio della filosofia (che invece è poi diventata la mia vita) si riduceva a un opuscolo insignificante o quasi, un condensato di teoremi e concetti che avremo avvicinato per un millesimo di centesimo della loro maestosità. Così come per le scuole elementari che ho potuto allora frequentare come luogo di lavoro, luoghi di caserma dove il singolo veniva azzerato a beneficio del gruppo.
Erano violente le persone, almeno quelle con cui io mi sono trovata ad incrociare, uomini valorosi sì, ma che non avevano saputo riconoscere le loro migliori occasioni e che dunque sfogavano il loro senso di frustrazione e di scontento verso i loro simili, verso le stesse persone che a loro stessi cercavano solo di fare del bene, impegnate com’erano ad applicare la regola del servire il prossimo nostro come noi stessi.
E poi erano violenti gli anni, durante il buio del terrorismo e della violenza di classe.
Erano superficiali gli scopi, le nostre stesse intenzioni di costruire un mondo migliore. Se avessimo avuto idee più lungimiranti e progetti più chiari o forse solo più arditi, non avremmo poi prodotto questo pezzo di società marcia e fagocitante che ci troviamo oggi a dovere sopportare e sconfiggere.
Le responsabilità più grandi spettano soprattutto alla nostra classe dirigente. Molti di quei nomi di allora stanno ancora oggi ad occupare le poltrone del Parlamento, eppure sembra, a detta di loro, che anche le loro colpe siano ancora nostre.
Ed oggi non siamo più pischelli leggiadri e spensierati, ma persone cariche di fardelli, di impegni, di incombenze e di obblighi.
E se queste stesse incombenze potessero costituire le nostre stesse ragioni di vita? Mi pare persino superficiale doverlo sottolineare, ne avremmo un gran bel vantaggio nel darci da fare.
Ecco gli uomini pieni che sono partiti di buon passo, a testa semivuota, e si sono trovati con la testa ricolma di appunti ed il passo decisamente più rallentato ma non per questo più incerto.
Oggi credo di vivere con tanti pensieri che mi fanno compagnia. Anzi, di più, sono la mia storia e sono la cosa che ho di più prezioso. Sono la vivente necessità di avere una vita normale che è la base senza la quale il resto è solo retorica e un vuoto parlare.
Una vita normale è quella vita in cui puoi avere una casa, un lavoro, una famiglia.
E qualunque cosa noi si faccia o si dica o si progetti o si immagini…non può prescindere dalla necessità di una vita normale.
Si può chiamare casa qualunque spazio capace di dare un minimo di ristoro; si può chiamare lavoro qualunque attività capace di dare un minimo di guadagno; si può chiamare famiglia qualunque nucleo di persone dove vige il reciproco amore.
E a questo punto occorre osservare che la normalità è una cosa rarissima.
Tutto il resto sono cose che possono anche non esserci, non contare. O meglio, sono dei benefici che potremmo ritenere aggiuntivi, ritenendoci più o meno fortunati e privilegiati nel possederli o nel poterli sperimentare ( ma qual’è il privilegio più grande dell’amare e dell’essere amati?)
Tutto ruota intorno alla parola “amore”. Una parola scandalosa, per alcuni proibita e soprattutto temuta. Ma non c’è nulla da temere da essa. Chi ama sa quel che fa, sa perchè farlo, sa cosa scegliere, sa come superare i problemi. E’ un uomo libero. E’ l’amore che ci rende forti, intrepidi, sicuri, determinati e costanti. Chi ama può fare quel che vuole, può superare qualunque ostacolo. Può darsi qualunque risposta.
Ed ovviamente la parola amore non può stare vicino alla parola violenza. Quando dentro un legame c’è violenza, sopraffazione, oltraggio, questo non è un legame d’amore. La violenza può essere ammessa soltanto verso se stessi, se necessario.
Lo sanno molto bene le donne sistematicamente eliminate dai loro amati e amorevoli consorti. Lo sanno molto bene le persone che stanno dentro famiglie violente dalle quali vorrebbero allontanarsi e questo può accadere solo al prezzo della vita. Queste non sono famiglie, è ovvio, non sono degne di questo nome.
La società del consumismo ha annebbiato la verità della pace e stravolto queste ovvietà. Il superfluo è diventato l’ordinario e l’indispensabile scontato o irrilevante. La società del degrado e della recessione rischia di obbligarci ad una rivalutazione dell’indispensabile (che non sarebbe una cosa grave) al prezzo di una ricaduta in una società doppiamente violenta (più violenta di quanto già non lo sia).
Lo spauracchio del precipitare nel caos dovrebbe obbligare e indurre la nostra classe dirigente a fare molto di più di quello che fino ad oggi ha saputo programmare (decisamente troppo poco).
Si potrebbe dire che ci sono uomini pieni e vigorosi che conoscono in ogni senso il valore dei loro cassettini, per i quali si prodigano ogni giorno, ogni sera, ogni stagione che scorre; ed uomini vuoti e svigoriti dal peso delle loro rapine e delle loro depredazioni, preoccupati solo di portare i loro saccheggi in un luogo sicuro, che invece vanno decisamente chiamati alle loro responsabilità.
E poi ci sono i giovani oggi, spesso adolescenti che non conoscono l’importanza del sentimento e nemmeno sanno distinguerlo, viverlo, sentirlo.
Se la scuola deve diventare il luogo in cui si educa prima ancora che istruire (e se così non fosse non è degna di questo nome), se la famiglia è il luogo dove ci si ama prima ancora che crescere (e se così non fosse non è degna di questo nome), allora il mondo è il luogo dove potere realizzare le cose che riteniamo per noi importanti (e se così non fosse avremmo buttato via le nostre uniche occasioni).
Sono arrivata ad una conclusione:la crisi economica ci sta portando ad un tracollo non solo delle professioni in genere, ma soprattutto delle professionalità.
Mentre in tempi tranquilli e salutari era più facile incontrare l’interesse di chi opera e di chi si deve costruire un futuro, in tempi catastrofici come quelli che ci circondano tutto sembra più facilmente ammantarsi di qualunquismo.
Esistevano tre generi di lavoratori: chi lavorava con passione, chi lavorava per tirare sera, chi fingeva di lavorare.
Oggi esistono questi nuovi profili: chi lavora per sopravvivere, chi il lavoro l’ha perso e lo cerca, chi il lavoro non lo cerca nemmeno.
E’ chiaro che la priorità del lavoro in quanto tale sembra mettere in secondo piano qualunque altra necessità, che invece incombe ed urge.
Mi riferisco al lavorare con spirito professionale, soprattutto in quelle mansioni che ricoprono una responsabilità alta ed inderogabile, quali il medico, l’insegnante e il libero professionista che determina con il suo agire la qualità di vita delle persone.
Se sbagliasse un insegnante, costui potrebbe assurdamente replicare “Per quello che mi pagano ho già fatto troppo”
Se sbagliasse un medico, costui potrebbe assurdamente replicare “Per le risorse di cui dispongo ho già fatto miracoli”
Se sbagliasse un avvocato (una tra le più preziose libere professioni al servizio della società), costui potrebbe assurdamente replicare “Siamo in mano a giudici che fanno quello che vogliono e nessuno può farci nulla”
Insomma, quando sbagliamo, ammesso che si arrivi a riconoscere l’errore e a non negarlo, sarebbe o potrebbe essere sempre a causa di un agente esterno non dipendente dalle nostre responsabilità.
Vorremmo non dovere mai avere bisogno di medici, avvocati o bravi insegnanti, ma nell’eventualità che così dovesse capitarci, c’è solo da sperare di incontrare bravi professionisti.
Gente seria, che non scappa, che sa quello che fa, che parla chiaro, che vale quello che si fa pagare.
Ci sono professioni minori che per tradizione abbiamo sempre snobbato e denigrato, eppure nella loro modestia e piccolezza ci danno un servizio assolutamente indispensabile; potremmo vivere senza il frigorifero o la macchina? certo che no, e alla bisogna corriamo dal meccanico o dall’elettricista che ci mette a posto il tutto, con estrema professionalità ( sempre avendo l’accortezza di conoscerne di competenti)
Se solo certi medici o avvocati o insegnanti applicassero lo stesso rigore lavorativo di questi bravi tecnici intenti al loro operato, non avremmo di certo cittadini insoddisfatti o malati scontenti ( che invece purtroppo abbondano, tendono ad aumentare, esprimono sempre più un grave disagio)
Le piccole professioni hanno da tempo di gran lunga guadagnato il rispetto che si meriterebbero, sono piuttosto quelle grandi ed altolocate che ancora latitano sulla questione (mentre la legge li tutela indiscriminatamente).
Una terrazza marina sopra la valle
muri rosa
una tenda gialla che veleggia
contro il cielo;
è grande il silenzio cristallino
interrotto qui e là
dai viandanti,
e nello scrigno delle stanze dipinte,
nulla disturba il nostro pacifico lavoro.
Dimora dolce dimora
che ci abbracci senza farci male
dove tutto ride
di rosso vestito
anche i passeri sotto le grondaie e le formiche in fila su per l’albero d’arancio;
domina nel mezzo della corte il verde oleandro dopo la fioritura
e i nostri pensieri trasparenti
volano non molto lontano
verso il mare
blu.
Sento il rumore delle onde attraverso le conchiglie
le mie dita accarezzano la sabbia bianca
non certo tropicale ma che sa di
vita quotidiana
e quando accenderemo il forno e faremo il pane
ci sarà il profumo del grano e del sale.
Ruscelli fragorosi
cantano l’acqua
che ci nutre
ed anche quando sarà inverno e ci sarà la nebbia,
per noi sarà sempre estate
dentro il sole.
Un paese che non si cura dei suoi cittadini
che ruba rubando al suo prossimo
che mente mentendo a se stesso
che tace quando dovrebbe urlare
che giudica quando dovrebbe cercare di capire
che assolve quando dovrebbe condannare senza mezzi termini
che non offre lavoro ai suoi giovani
che non offre garanzie nemmeno sulle cose più sacre
che detiene i suoi detenuti come nemmeno gli animali andrebbero gestiti
che lascia soli quando dovrebbe fare quadrato
che si mercifica quando dovrebbe prendere le distanze
che insozza il nemico perchè viene facile
che convive allegramente con la corruzione
che scarica di prassi le proprie colpe addosso agli altri
che parla parla parla senza mai fare i fatti,
io lo chiamo
un paese colpevole
Questo paese siamo noi.
C’era una volta il primo maggio, la festa del lavoro.
Festa santa, festa benedetta, festa della libertà ritrovata, festa della gente che è felice d’avere un lavoro segno di una vita normale e tranquilla, ma soprattutto felice di potersene adeguatamente liberare, nel senso che non si vive per lavorare ma si lavora per vivere.
Sono passati gli anni quaranta (di lenta ricostruzione) e poi i cinquanta (di ricerca di identità) e poi i sessanta (del miracolo economico).
Sono passati gli anni settanta (la lotta di classe) e poi gli ottanta ( lo yuppismo) e poi i novanta (viene alla luce la corruzione e il mal governo)
Sono arrivati gli anni del nuovo millennio, iniziati con una terribile tragedia mondiale (l’attentato alle torri gemelle simbolo del capitalismo frainteso/manovrato nel suo lato peggiore), in parte lei stessa foriera di non buone novelle.
Infine sono giunti i nostri anni, quelli infausti della crisi economica che sembra non volerci abbandonare.
Certo che la crisi non se ne andrà da sola, solo perchè ci auguriamo tutti che se ne vada.
Lei se ne andrà se gli Stati, se le Comunità internazionali, se i Sistemi politici ed economici insieme sapranno e cioè vorranno e cioè potranno unire e concentrare tutte le reciproche energie.
E’ questo l’augurio che lascio e che voglio comunicare in questo bellissimo giorno di sole, pieno di speranza e di voglia di ricominciare.
Possano gli apparati di governo tutti ed il nostro Paese Italia in particolare ritrovare la forza unitaria di reagire e di combattere il vuoto di potere, di lavoro, di capacità organizzatrice e fomentatrice di produzione.
Produzione di posti di lavoro, certo, ma insieme di nuove idee di fare mercato, di nuovi obiettivi imprenditoriali che sappiano prevenire nel futuro voragini come quella che si deve avere la determinazione di lasciare il più presto possibile alle spalle, in modo che le famiglie e gli individui possano tornare ad avere delle elementari certezze, delle sacrosante opportunità di crescita.
Perchè si possa tornare a dire “ecco, c’è la festa del lavoro di tutti, di chi paga le tasse, di chi non ruba, di chi non si lamenta senza avere fatto qualcosa per migliorare, di chi ha una coscienza sociale, di chi rispetta il prossimo perchè si augura di esserne a sua volta rispettato, di chi si rimbocca le maniche e si adopera seriamente al rimedio degli errori del passato, passato che vogliamo archiviare, facendone tesoro”
Ciao amici, in questi ultimi giorni ho trascurato questo blog perchè sto lavorando su un altro, che è nato da nemmeno due settimane all’interno di un corso che ho ribattezzato per me con un nome di mia fantasia.
Vi indico il link di Laboratorio 13
E’ legato a questo sito Insegnare apprendere mutare dove il prof Andreas Formiconi insegna l’uso al meglio delle tecnologie.
Se non sono qui sono là, almeno fino al 10 di giugno prossimo…
Comunque non abbandono casa.
Oggi ho visto una mia parente acquisita, morire.
Aveva ottant’anni ed era una specie di zia che però da anni non frequentavo più, per vecchie storie come ne esistono spesso in molte famiglie.
Voi mi direte: e allora, era vecchia, non ci eri affezionata, non era quasi niente per te, e dunque? dove sta il dolore? dove sta la notizia degna di riflessione?
La notizia degna di riflessione è che la conoscevo, e per diversi anni l’avevo frequentata, del tipo Natale insieme, le domeniche ogni tanto, ed era una brava donna.
per cinque mesi, sì, e anche alla grande, ma poi o ci si fa sul serio tale, o si molla e si rilancia il tiro..
Ma noi non li abbiamo neanche cinque mesi da buttare via, nè cinque mesi, nè cinque stelle…e andrà a finire che butteremo via tutto, ma proprio tutto…
Speriamo di no!
.
Ciao amici,
sulla scena politica tutto in stand by.
E noi tacciamo nell’attesa di segni positivi. Incrociamo le dita.
Sul fronte delle nostre vite private e personali, per fortuna invece tutto si muove.
Non c’è giorno in cui non si abbia a ringraziare il fatto di possedere un lavoro.
Ha vinto Grillo, sul piano nazionale.
Ma la partita ora si fa delicatissima.
Ci sono due soliti noti che non si filano, chi più chi meno; e c’è il terzo incomodo, che vuole fare e farsi avanti, senza scendere a patti.
Ma si sa che in parlamento i patti si devono fare, e ci vuole una maggioranza.
Riusciranno questi tre ibridi a fare in qualche modo squadra?
Riuscirà a vincere il buonsenso ed il senso di responsabilità?
Saranno i tanti grillini capaci di interpretare il bisogno reale del paese coniugandolo con gli strumenti del mestiere?
Forse lo sapranno fare meglio di quanto non abbiano saputo concludere e produrre i grandi mestieranti, ma con i forse non si salva l’economia.
E si parla di economia vera e non di fanta finanza.
Certo, alla peggio si tornerà a votare di nuovo, ma non per ripetere la stessa situazione
( e questo gli italiani lo dovrebbero capire).
E cosa sarà accaduto nel frattempo dentro le maglie già molto pericolanti del nostro paese?
Come si può concludere, le domande sono tantissime e le certezze inesistenti.
Non mi resta che augurare ai distruttori del sistema di essere capaci di costruire dopo che hanno saputo sfasciare.
Dovrei dire, dopo che abbiamo saputo sfasciare, visto che uno su tre abbiamo votato Grillo e quello che rappresenta.
Largo ai lavori, dunque.
Del resto, Mai dire mai.
L’importante è adesso essere seri, perchè non è più tempo di facile comicità…
(leggere anche il fatto quotidiano)
è un giusto e salva il mondo intero.
Dunque ricordo anche che ci sono meravigliose persone che non si lasciano mettere al silenzio, che non si fanno ricattare, che rimangono se stesse, persone umane, che ricordano a sè e agli altri che bisogna combattere, che bisogna resistere, che bisogna ribellarsi, che bisogna sapere dire di no…
contro il male
contro le mafie
contro i campi di sterminio
contro gli indifferenti
contro l’ignoranza
contro la disperazione
contro il bullismo
contro il maschilismo
contro l’omofobia
contro la tortura
contro la prostituzione minorile
contro l’emarginazione
contro la pedofilia
contro la indigenza
contro un sistema che crea disoccupazione
…………………………..
Chi è il giusto, amico caro?
“E’ colui che compie un atto coerente col principio di responsabilità anche se non mette a repentaglio la propria vita” – afferma Silvia Godelli, Assessore regionale alla cultura, dialogando con lo scrittore e storico Gabriele Nissim, autore del libro “La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti” (Mondadori, 2011) .
Nissim, tra le personalità che si sono battute maggiormente per l’istituzione della Giornata europea dei Giusti (6 marzo), ha argomentato che “i giusti non sono eroi, ma persone che hanno assunto un principio di responsabilità anche in un momento circoscritto della loro esistenza, ed è necessario trasmettere un’idea realistica dell’uomo morale senza creare alibi”.
Molti uomini semplici pensano che basta comportarsi bene per avere in cambio cose buone; pensano che basta essere onesti per non avere nulla da temere dalla vita e dalla legge; pensano che come ci dicevano i nostri vecchi, “se male non fai, paura non avrai…”.
La ben triste storia di Ambrogio Mauri purtroppo smentisce questa santa solidità, questa solo prudenziale ovvietà. E se solo si trattasse della sola storia o di una vicenda isolata e sporadica, ci si potrebbe comunque rallegrare, ma purtroppo non è la sola, non si tratta di un caso isolato e sporadico.
I numerosi suicidi degli ultimi mesi, ma potremmo dire degli ultimi anni, causati da i dissesti economici e da corruzioni politiche ed amministrative che hanno messo e che mettono in ginocchio piccole e medie imprese produttrici e preziose per il territorio e per il paese, ci raccontano esattamente il contrario.
La vicenda Mauri è stata a tempo debito egregiamente celebrata dalla bravissima Milena Gabanelli che quando c’è da smuovere le coscienze non fallisce mai un colpo.
Restando nel campo delle ingiustizie commesse dallo Stato, mi viene puntualmente a memoria la più celebre strage che ha mandato a morire alcuni dei nostri migliori figli, Falcone e Borsellino; avrebbero dovuto essere protetti e difesi, ritenuti preziosi come la vita stessa della repubblica e della democrazia, e invece sono stati lasciati soli, orrendamente condannati alla morte perchè ritenuti scomodi.
Lo stesso è accaduto al buon cittadino sopra citato, potremmo chiamarlo il sig. enne, enne come nessuno, che voleva solo fare il proprio dovere, che voleva solo migliorare il tessuto economico ed ambientale, che voleva solo mettere al servizio della collettività il proprio spirito creativo e geniale, ostinatamente fiducioso, contro ogni logica di violenza e di prevaricazione, nella forza morale della legge sana e dello Stato giusto.
Ma la legge si è rivelata insana, costruita ad hoc per stritolare ed indurre al suicidio, e se non al suicidio, allo sfinimento e all’abbandono di ogni speranza; così il sistema corrotto ha prodotto la sua vittima di turno.
Lo Stato si è rivelato ingiusto, non volendo difendere i suoi uomini di valore, non sapendo proteggere gli onesti e i semplici, semplici di spirito e non certo di ragioni, perchè è la Ragione a stare dalla loro parte, perchè è la Verità a splendere sui loro corpi morti.
Non vorrei seminare sconforto là dove di certo di esso non ne abbiamo bisogno, ma è così; la solitudine appartiene a chi non si mescola con la massa becera e grondante di esibizionismi e pretese, una massa ordinaria, scontata, prevedibile e manovrabile, una massa che è quello che noi sconciatamente siamo o dimostriamo di condividere.
Certo che tra la capacità o l’ esasperazione di compiere gesti di protesta come quelli di altri nostri concittadini che si sono dati fuoco per manifestare contro un sistema fiscale e bancario incivile ed indegno di un paese evoluto, ed il lasciarsi banalmente corrompere dal ritornello “Così fan tutti e dunque solo il furbo vince”, ci può stare un’ immaginabile e salvifica via di mezzo.
Ci vorrebbero dieci cento mille Ambrogio Mauri, in tutte le città, in tutti i comuni, in tutti i paesi, in ogni rione, in ogni cortile, in ogni famiglia… Sarebbe più bello guardarsi in faccia la mattina, e l’aria sarebbe meno irrespirabile.
Prima di spararsi un colpo al cuore perchè stanco di lottare per nulla, il sig. enne scrisse queste parole alla sua famiglia e alla nostra società:
“Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore fortuna di me. Potrà sembrare un atto di egoismo. Non è così, sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza. Come tanti, ho cercato di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre. Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà, saranno anche onesti. C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile. P.S. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e sofferto molto”.
BASTA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
NON AMMAZZARTI PER LE TASSE INGIUSTE
LA TUA VITA VALE DI PIU’
Il gioco del voto.
L’idea mi è stata suggerita dal film di Luciano LIGABUE che mette in scena questo divertente/impegnativo gioco di società dove la sola regola da rispettare tra amici è di rispondere a delle domande in modo assolutamente sincero.
La trama della storia è presto detta: un gruppo di ex ventenni si ritrova dopo altri vent’anni per passare quattro giorni insieme sulla costa romagnola nella mitica Rimini, decidendo attraverso l’idea divertente del gioco di raccontarsi, di fare il punto della propria vita, una sorta di bilancio personale e collettivo, dandosi per ogni domanda posta dal leader un ipotetico voto da zero a dieci, spiegando in assoluta libertà poi agli altri il perchè di quel voto.
Ciao a tutti, carissimi, sono di nuovo qui tra voi con l’articolo che vi avevo promesso.
Si tratta della scoperta scientifica del dottor Ryke Geerd Hamer, studioso e ricercatore, laureato in medicina, nonchè oncologo, psichiatra e teologo; con la sua teoria detta delle 5 leggi biologiche rivoluziona il tradizionale modo di intendere la medicina e di intendere il malato.
Decisamente un argometo di estremo interesse e di altrettanta estrema complessità e delicatezza.
Non ho intenzione di esprimere pareri personali ma vorrei lasciare che sia il lettore che, prendendo lettura di alcuni documenti qui allegati, possa farsi un’idea diretta e non influenzata dalla medesima, sul tema in questione.
Consigliata la lettura a chi vuole aprire la sua mente…
Caratteri del pensiero marxiano
si pone come fine il compimento della libertà reale e non della libertà teorica o apparente
ispira il pensiero marxista e tutte le sue scuole come pensiero a lui estraneo ma conseguente
si occupa della Storia ossia del mondo reale che deve diventare il compimento del comunismo inteso come regno della libertà effettiva e non apparente
Ho trovato la mia libertà
A te che pensi di avere cose più divertenti da fare che leggermi
A te che ti diverti solo quando stai davanti al grande fratello
A te che te ne stai beato seduto in qualche angolo della stanza a fare nulla
A te che stai aspettando il momento di partorire
A te che non hai avuto figli perché sei stato sfortunato Continua a leggere
Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
Non amo che le rose che non coglietti
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C'è poco da spiegare...basta leggere.
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