Il mondo ce l’ha invidiata, tutti l’abbiamo conosciuta al cinema, un’enormità di persone l’hanno apprezzata nella sua bellezza, bravura, simpatia, versatilità, eleganza, intelligenza, capacità di far ridere e riflettere. Insomma, aveva tutto, ha avuto tutto, ha dato tutto quello che aveva da dare…tranne quello che ovviamente rimane celato dentro la profondità di ogni essere. E che lasciamo celato, con garbo, nella sua misteriosità
Ciao Monica, oltre l’eternità e questo mondo effimero…
Le nozze di Laura è una storia al limite tra la realtà e il sogno, tra il passato e il futuro, tra il moderno e l’antico, tra la tradizione e la capacità di cambiamento, tra il bisogno sociale di scoprire un’umanità diversa e il bisogno personale di crescere imparando a saperci difendere da chi ci vuole fare del male.
Nuovo cinema Paradiso, uno dei primi grandi successi di Giuseppe Tornatore, è del 1988, ma rivisto ai giorni nostri non perde assolutamente il fascino di tutte le storie che potremmo definire senza tempo.
Il giovane regista si cimenta con i sentimenti visti con una chiave di lettura tipicamente da uomo del sud, un uomo attaccato alla sua terra, al suo sole, al suo mare e alla sue radici, ma nello stesso tempo proiettato nel mondo, nel futuro, nelle cose lontane e sconosciute, che sole ci permettono di diventare grandi.
Il protagonista è un bambino dalla faccetta simpatica e dall’intelligenza sopraffina, mescolata ad una spiccata furbizia innocente, di quelle non maligne e che servono solo a farci stare meglio senza fare del male a nessuno.
E’ un bambino di sette anni circa, che vive con la madre ed una sorellina più piccola; il padre è andato a fare la guerra di Russia, e non è più tornato, dato come disperso.
Il piccolo paese siciliano dove si ambienta la vicenda vive di povere cose, povera gente, e gesti quotidiani che si ripetono imperterriti tutti i santi giorni dell’anno, mentre che le stagioni scorrono portando con sè la ritualità degli avvenimenti che caratterizzano il calendario.
Totò, questo è il suo soprannome, ma che di nome si chiama Salvatore, è un bambino come tutti i bambini del mondo, ma ha una caratteristica che lo distingue in assoluto: ama il cinema, perchè lo fa sognare, perchè tutti i giorni va a trovare il suo “amico” Alfredo che chiuso dentro la sala di proiezione si prende l’occupazione di far divertire tutto il paese con i suoi spettacoli.
Andare al Cinema significa per la gente delle campagne il momento in cui le persone si ritrovano per passare il tempo dopo una giornata di fatiche, per stare insieme senza pensieri, per andare a conoscere quello che accade nel mondo, e per permettere a chi di interesse di fare le loro propagande o le loro cerimonie di pseudoindottrinamento…
Per dirla tutta il primo a vedere le pellicole deve essere il Prete, che impone ad Alfredo di tagliare tutti i punti da lui ritenuti “proibiti” e degni di censura.
Tutti questi pezzi censurati finiscono dentro un grande cesto che un giorno Alfredo promette a Totò che sarebbero stati tutti suoi.
Alfredo è per Totò qualcuno di più di un amico; è quel padre che non ha mai avuto, è un maestro di vita che gli racconta con l’intelligenza del saggio tutto quello che nelle occasioni di crescita non si dovrebbe fare e tutto quello che nelle stesse occasioni servirebbe avere per raggiungere la felicità.
Nella vita non si deve avere rimpianti, e non si deve perdere dei treni che passano solo una volta e che poi non tornano più.
Per Alfredo Totò è il futuro che lui non ha mai avuto, solo perchè nato nel momento sbagliato del tempo e del progresso, o solo perchè perseguitato dalla mala sorte che lo fa ritrovare ceco a seguito di un incendio che distrugge tutto l’edificio dedicato allo Spettacolo.
Per salvare il suo amico intrappolato nelle fiamme Salvatore combatte come un leone, con tutte le sue forze lo trascina fuori dall’inferno, tanto che il bambino si guadagna davanti a tutta la comunità il permesso di sostituire in tutto e per tutto il vecchio maestro di pellicola.
In questo cambiamento Alfredo non lo abbandona; a Totò non succederà di rimanere condannato e rinchiuso dentro una sala di proiezione senza possibilità e senza sbocchi lavorativi, lui non lo permetterà.
Così che il piccolo rampollo di casa cresce, pellicola dopo pellicola si fa uomo, attore dopo attore si fa grande, ed un bel giorno si innamora di una ragazza di nome Elena.
E’ un amore travagliato , di quegli amori che accadono una sola volta nella vita, che lacerano e che potrebbero portare alla follia, se non ben protetti e benedetti dalla fortuna.
Diventa un amore corrisposto, nonostante un inizio problematico, e finirebbe per trasformarsi in definitivo se non fosse che Alfredo all’insaputa di entrambi ci mette il suo zampino a fare andare le cose diversamente.
I due innamorati, l’uno ignaro dell’altro, vengono destinati per ironia della sorte ad una vita separata, e quando meno se lo aspetterebbero il destino li fa reincontrare, proprio quando Alfredo muore e lascia alla madre di Salvatore l’incombenza di convocarlo al suo funerale.
Totò nel frattempo ha realizzato il sogno di Alfredo che voleva fare di lui un grande; un grande significa che la gente ti conosce, ti chiede l’autografo, e tu ti puoi sentire a tutti gli effetti realizzato. In effetti Salvatore è diventato un apprezzato regista.
Arrivato al paese viene subito informato dai parenti che Alfredo aveva lasciato per lui un dono da portarsi via, ma il dono imprevisto e del tutto sconvolgente è quello di ritrovarsi davanti una ragazza che gli ricorda in tutto e per tutto la sua amata Elena.
Capisce che Elena è lì nel paese, e seguendo la figlia riesce in breve a ritrovare la madre.
Sono passati trent’anni, e non è semplice ritrovare il filo che si era spezzato, tuttavia dove c’è un sentimento che ha molto sofferto fino al di là di ogni possibile dolore, c’è anche la forza di fare dei passi che potrebbero apparire diversamente assurdi.
Elena e Salvatore si rivedono, si raccontano, scoprono d’essere stati ingannati proprio da quella persona che più di tutto li aveva amati, e ritrovano la forza non solo di perdonare ma anche di volersi di nuovo bene, come se nulla fosse accaduto di così serio da giustificare la loro continua e assurda separazione.
Chissà come se la ride nel frattempo Alfredo tra le nuvole del Paradiso, nel vedere il suo Totò non solo realizzato ma anche finalmente felice.
Casualmente sono anche gli stessi giorni che vedono la demolizione definitiva dello stabile “Nuovo Cinema Paradiso”, diventato con la modernità un luogo fuori tempo.
La verità è che non è il CINEMA a essere diventato fuori moda, ma solo un certo modo di intendere “l’arte di fare spettacolo”.
In apparenza questo film può sembrare monotono e scontato; io lo trovo (come anche la critica che lo ha giudicato) semplicemente straordinario ed unico, perchè parla con il cinema di cinema e della vita reale, di quello che perfettamente accade alle persone che poi diventano protagonisti di storie, di come ognuno di noi è contemporaneamente quello che è stato,quello che è e quello che sogna di diventare.
Basta crederci, e tutto può essere possibile, a chiunque voglia indossare l’abito del sognatore.
Sapete quale è stato il regalo che Alfredo ha fatto trovare a Totò? Una pellicola tutta ricostruita, pezzo dopo pezzo, con tutte le scene censurate dai film messi in programma nella sala della supervisione parrocchiale, bacio dopo bacio, abbraccio dopo abbraccio.
Una sfilata straordinaria d’umanità che si ama e che si dichiara amore eterno.
L’aveva promesso Alfredo che quei pezzi tagliati sarebbero stati tutti suoi…
Era il 1964 quando Mina cantava “È l’uomo per me” e quattro donne si incontravano intorno a un tavolo per confessare a se stesse che l’uomo che avevano sposato non era “fatto apposta” per loro nè “sapeva dire parole d’amore”. Beatrice aspetta un figlio, divora libri e ha sposato un uomo che le scrive invece di parlarle, Claudia è la mamma perfetta di tre figli e la moglie devota di un marito fedifrago, Gabriella una musicista frustrata che ha lasciato il piano per la maternità e per favorire la carriera del marito, Sofia è la madre di una figlia indesiderata e la moglie di un marito disprezzato, che tradisce con l’amante nella casa dell’amore. Nella stanza accanto, le loro bambine giocano “alle signore”, cullano bambole e ritagliano Grace di Monaco sulle riviste. Negli anni Novanta sono diventate donne e amiche intorno allo stesso tavolo. Sara, Cecilia, Rossana e Giulia sono figlie infelici di madri infelici che (ri)leggono Rilke e sognano “l’umanità femminile”.
Scritto da Cristina Comencini, interpretato da otto attrici e diretto da Enzo Monteleone, Due partite è uno psicodramma dove gli uomini, motore di ogni discorso, non esistono nè compaiono mai in campo. Direttore di loser, attori senza successo, rapinatori cortesi e fanti in trincea, il regista padovano dirige con misura ed eleganza l’outing d’insofferenza di un gruppo di donne coinvolte in uno spazio discorsivo.
Quello che accade in Due partite è una serie di conversazioni interrotte, di confessioni, di reticenze, di dichiarazioni, intercalate da un montaggio quasi invisibile. Se la squadra di soldati di stanza lungo la linea del fuoco condivideva lo stesso buco nel deserto, sperando solo di ritornare a casa (El Alamein), dentro a un salotto borghese quattro donne giocano a carte, sognando di abbandonare le mura domestiche per decidere liberamente del proprio destino e della propria sessualità. Diviso in due tempi (storici) ma agito nello stesso luogo, Due partite è la storia di quattro madri e di quattro figlie culminante in una conclusione struggente che “guarda in macchina” chi ha dimenticato di guardare e di ascoltare. Silenzio e verbosità sono gli strumenti primari dell’arte drammatica impiegati da Enzo Monteleone per far convergere intorno a un tavolo e dietro le carte i destini di un campionario femminile sospeso tra il desiderio di maternità e il diritto di abdicarlo.
C’è l’eterna mangiatrice di uomini, (Cortellesi) circondata dallo zelo perfido delle amiche, la malalingua vessatrice (Buy), la perennemente mamma di sole figlie femmine (Massironi), l’ingenua neomaritata e incinta (Ferrari), tutte ugualmente vittime di ambasce coniugali. Pure pieno di risate, Due partite non produce allegria ma il disegno delle vite private e della sofferenza patita dalle protagoniste. La comicità della Ferrari, della Buy, della Cortellesi e della Massironi d’improvviso commuove, generando una commedia arrabbiata e socialmente affilata. La circolazione sentimentale che muove le attrici-madri al riso e al pianto è interrotta dalle doglie della Ferrari, le cui urla e la cui assenza dal tavolo da gioco provocano un vuoto, un piccolo arresto, un cauto sospendersi delle azioni prima della riproduzione dei loro doppi trasposti nei desauturati anni Novanta. Raccolgono eredità e testimone la figlia della Pandolfi, della Melillo, della Rohrwacher e della Crescentini, interpreti più deboli delle colleghe “in costume” e donne più infelici delle madri Sixties. Portatrici di un nuovo disordine amoroso, di un senso di precarietà, di incombenti catastrofi sentimentali, di sesso malriuscito e di sconnesse (in)decisioni, sono come coloro che le hanno “generate”, eroine tragicomiche che non si realizzano ne si esauriscono nell’accasamento e nell’amore stabile.
I padri e i mariti, distratti, affettuosi, affamati di successo e cedevoli alle lusinghe, vengono rilanciati oltre i bordi dell’inquadratura, rimandando a un maschile ostile non dicibile e non mostrabile. Fuori campo, in attesa di stravolgere le loro consuetudini intellettuali più profonde e radicate e di cessare di considerare il femminile “soltanto il contrapposto al maschile”. Marzia Gandolfi
Mi sono messa a ripercorrere gli ultimi siti che hanno avuto la ventura di incrociare il mio, e dunque di riflesso quelli che io ho avuto la ventura di incontrare.
Aspettate che me li riprendo per descriverveli in breve: sono tutti bellissimi, in sostanza ognuno racconta le sue passioni, i suoi interessi, i suoi amori, le cose belle che stanno loro capitando. A volte anche le cose meno belle.
C’è chi ci dice che è innamorata e che sta aspettando un bambino; chi commenta ed illustra famosi ed insuperati pezzi cinematografici, di cui esalta la incomparabilità e la indubbia verità storica e sociale; chi si occupa di volontariato in maniera attiva e responsabile, preoccupandosi in continuazione di darsi una formazione specifica; chi si interessa di fotografia in maniera professionale, o quasi, esaltandone i colori come le sfumature di grigio; chi impazzisce per il cinema, e pressochè maniacalmente ne insegue le pellicole, le recensioni, le immagini e le novità…; molti degli amici che ho incontrato e che incontro sono insegnanti, o formatori, o spiccati lettori, o appassionati del web per le sue opportunità didattiche; qualcun’altro è appassionato d’arte, e dell’arte ci sa dire tutto, retroscena ed aneddoti, particolari che non troviamo sui libri di scuola arricchiti da riflessioni personali; altri ancora scrivono spacciandosi per insicuri ed incapaci, ma poi a giudicare dai followers e dalle visite del blog tanto principianti non devono essere…
Siete tutti meravigliosi, e non lo dico per cerimonia.
Sarà che quando si va a guardare il singolo, riusciamo a vedere tutte quelle cose che l’ordida massa nasconde, annerisce, annebbia…
Ed è per questo che i conti non tornano tanto; che ci stanno a fare tante persone in gamba e piene di interessi, che praticamente non si contano, dentro una società come la nostra che sbarcolla, annaspa, non sa darci lavoro, sicurezza, sogni ed ispirazioni?
Forse sta proprio in questo il segreto dell’enigma.
La divina famiglia siamo noi, noi che non ci perdiamo d’animo, noi che pensiamo al nostro fare come a un possibile costruire collettivo. Magari lo facciamo a piccoli passi, spesso forse non ci rendiamo nemmeno conto di fare qualcosa per gli altri e non solo per noi stessi.
Io stessa più di una volta mi sono imbattuta nel pensiero “Adesso smetto di scrivere, tanto siamo milioni, e tutti che pensiamo d’avere qualcosa da dire di interessante, ma poi non ci guarda nessuno, diciamo la verità, o comunque, ci guardiamo in pochi, come dire, un pugno di mosche che combattono contro un oceano di moscerini, contro dei giganti insuperabili ed irraggiungibili…”
Forse continuiamo a farlo perchè semplicemente scrivere aiuta noi stessi ancora prima che qualcun’altro, e allora che crepi l’avarizia, o il senso di smarrimento momentaneo, io sono qui, rimango qui, insieme a voi, con tutta me stessa, ossia due gambe due braccia una pancia un addome ed una testa.
E voglio chiudere per ora con un piccolo video ripescato in rete, proprio dentro uno dei vostri siti.
Sì, la vita è proprio bella, nonostante le apparenze.
NB: scusate mi dimenticavo della cosa più importante: Grazie grazie grazie a tutti
In Iran è stato arrestato Jafar Panahi, regista scomodo perchè espressione e denuncia del regime di stato iraniano.
Su Reuters Italia è possibile prendere visione delle prime informazioni che emergono dagli uffici stampa.
Immediate le reazioni di Parigi e del Giornale come di tutte le varie testate giornalistiche che condannano lo stato di oppressione civile del popolo iraniano.
Qualche notizia in più sui testimoni scomodi perseguitati dai relativi movimenti estremisti posti al governo dei loro paesi:
L’idea mi è stata suggerita dal film di Luciano LIGABUE che mette in scena questo divertente/impegnativo gioco di società dove la sola regola da rispettare tra amici è di rispondere a delle domande in modo assolutamente sincero.
La trama della storia è presto detta: un gruppo di ex ventenni si ritrova dopo altri vent’anni per passare quattro giorni insieme sulla costa romagnola nella mitica Rimini, decidendo attraverso l’idea divertente del gioco di raccontarsi, di fare il punto della propria vita, una sorta di bilancio personale e collettivo, dandosi per ogni domanda posta dal leader un ipotetico voto da zero a dieci, spiegando in assoluta libertà poi agli altri il perchè di quel voto.
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