E’ una bella iniziativa che ci mostra una delle tante possibilità di recupero dei carcerati.
Per carità, magari non è perfetta, non è esente da rischi, però sembra che il positivo sia superiore al negativo, sempre che si voglia essere ipercritici.
E’ una bella iniziativa che ci mostra una delle tante possibilità di recupero dei carcerati.
Per carità, magari non è perfetta, non è esente da rischi, però sembra che il positivo sia superiore al negativo, sempre che si voglia essere ipercritici.
Notizia che non può passare sotto silenzio.
E’ il primo vescovo e oltretutto teologo che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.
Di sentirsi cioè parte della Chiesa.
Immediata la risposta del Vaticano che lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.
Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.
E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.
E questo è un altro spinosissimo capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità? e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo che decisamente complica enormemente la questione.
Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”, ci mette un poco più in difficoltà.
Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.
Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora il giudizio non può che diventare irremovibile.
Di sicuro diventa più complesso.
Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua in parte felice omosessualità? Lo stravolgimento che gli cadrà addosso lo porterà verso quale via di risoluzione? E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.
Io credo che non c’è molto di scandaloso in un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…
Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…
Di fronte invece a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo, piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo per riflettere. E vorrei che ogni vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.
Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa. Aiuterebbero il sommo Vescovo a cercare e trovare risposte difficili alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione spirituale nel mondo temporale.
Non so se sono riuscita a farmi capire.
Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato in tutte le sue più importanti componenti ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.
Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.
La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.
Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza; è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere. Siamo sempre noi a dovere possedere loro. Possedere nel senso di governarle, ma anche nel senso di lasciarsene governare.
Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte), è il progetto che in quanto uomo come tutti noi lo obbliga a delle scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.
Ritorneremo sul tema con calma.
Ebola può essere sconfitto
E’ guarito dall’Ebola e presto tornerà in Africa dai suoi ammalati-
è un medico italiano e si chiama Fabrizio Pulvirenti-
un medico ok
Ma chi è un blogger?
Me lo domando perché mi sto interrogando sul senso e sull’utilità di continuare a scrivere in rete.
Un blogger è uno innanzitutto che scrive, che scrive sulla rete, appunto.
Scrive perché ne è capace (si presume), perché ne ha voglia, per diletto personale e si spera per utilità di altri.
Scrive per raccontare fatti più o meno privati, più o meno pubblici, più o meno sociali e di interesse comune.
Scrive per mettersi, a volte, in competizione con altri blogger che a dir della rete risultano essere più popolari e più applauditi.
Scrive per necessità di mettere nero su bianco dei pensieri e delle valutazioni che se non scritte rimarrebbero vaghe e incerte, indefinite, non comprese.
Scrive per rilassarsi, per scaricare forme di nervosismo e di angoscia.
Scrive per esprimersi, come un artista qualunque nell’atto di produrre qualcosa di creativo.
Scrive per comunicare, per lanciare messaggi a chi dovesse per caso o non per caso raccoglierli.
Scrive per incontrare altri scrittori o puri lettori che potrebbero liberamente avere voglia di rispondere, commentare, e criticare se necessario.
Scrive per confrontarsi sulle opinioni altrui e proprie, con le opinioni altrui e proprie,…
A volte scrive per esibizionismo, riscuotendo successo tra altri esibizionisti come lui o altro ancora.
Scrive per sentirsi ed essere libero, per gustare il piacere del libero pensiero che non è soggetto a nessuna forma di censura, se non quella che lo stesso sistema etico ci autoimpone, ossia lo stesso che noi stessi applichiamo agli altri, e dunque su di un binario condiviso e partecipato.
Mi domando cosa differenzia la scrittura di oggi da quella che poteva essere negli anni sessanta o settanta fino agli anni ottanta/novanta.
La scrittura di ieri, di quegli anni gloriosi che rappresentano il nostro background, il nostro vissuto se non diretto quanto meno ereditato, aveva credo (non posso dirlo per esperienza diretta) un qualcosa che noi giovani di oggi (mi piace continuare a definirci giovani, perché senz’altro lo siamo nell’energia e nelle intenzioni) abbiamo perso o forse mai posseduto: loro avevano lo spirito pioneristico, avevano l’entusiasmo di chi cerca strade nuove, di chi sa di stare per fare la storia, di chi si rende conto che le cose stavano cambiando, e in meglio…
Noi siamo solo, sotto questo punto di vista, dei meri sopravvissuti. Siamo sopravvissuti alla rivoluzione culturale del 68, ne abbiamo raccolti i cocci e le ferite mai risanate del tutto. Dopo il 68’ nulla è stato come prima ma tutto ha tentato di opporsi al cambiamento.
Visto le condizioni attuali, devo concludere che sta vincendo la resistenza, l’opposizione, non a che le cose possano cambiare, ma a che i privilegi delle caste tali possano rimanere e perdurare.
Ieri c’era l’urlo delle femministe, che sembrava dovessero conquistare il mondo, rovesciarlo sotto sopra, aprire porte invalicabili, abbattere muri insostenibili.
Oggi c’è l’urlo delle donne vittime del femminicidio, vittime di uomini che non sanno crescere, che non sanno essere degni rappresentanti del loro genere, del loro ruolo.
Se anche si dovesse rimediare a questo stillicidio con l’approvazione di leggi più severe, nessuno ci garantirebbe l’effettiva comprensione di questo terribile disagio e dunque un reale miglioramento delle condizioni che portano a delinquere. E’ nella testa delle persone che bisogna sapere e potere intervenire, ovviamente non con lavaggi del cervello, ovviamente non con imposizioni punitive e restrittive, che portano solo a dei risultati opposti e contrari, ma con educazioni adeguate alle domande, alle richieste di aiuto che provenissero da entrambi i fronti.
Mi rincuora osservare che nel nord del mondo le cose vanno un po’ meglio, sotto questo punto di vista e non solo.
Là esiste da molto tempo prima che da noi il rispetto per la donna, il rispetto per lo Stato, per la Cosa pubblica, il rispetto per gli anziani, il rispetto per l’infanzia, il rispetto per il dolore.
Là esistono le strutture e le risorse per far fronte a queste problematiche.
Perché invece il sud è sempre un sud di qualcosa e di qualcuno?
Coltiva il sud valori e attitudini che di contro il nord non possiede facilmente? Immagino di sì.
Potremmo elencare tra queste virtù la nostra natura solare ed espansiva. Il nostro territorio magico ed unico. Il nostro folclore colorito ed attraente.
Aiutatemi a trovare altri punti di forza.
E ancora.
Negli anni gloriosi della rivoluzione è stato abbattuto il muro dei manicomi, dell’essere omofobici, dell’essere borghesi pieni di pregiudizi e ipocrisie.
La gente con problemi psichici o psichiatrici non viene più messa nei lagher che una volta si chiamavano monbelli, ma vengono lasciati all’assistenza di familiari che spesso non possiedono le capacità psichiche e materiali per garantire una vita tranquilla a se stessi e ai loro cari.
La gente oggi confessa/comunica pubblicamente il proprio essere gay, ma deve ancora combattere un mare di pregiudizi che si annidano proprio all’interno del sistema formativo e scolastico, per non dire ancora familiare.
La gente oggi si sposa sapendo che se andrà male potrà facilmente separarsi, ma quello che si è guadagnato in consapevolezza è stato perso in possibilità effettiva; i padri separati faticano a conservare la loro autonomia economica, dopo una separazione; faticano ad esercitare i loro diritti di genitori.
La gente oggi concepisce liberamente figli fuori dal vincolo matrimoniale, la legge finalmente riconosce pari dignità sia ai figli che una volta si chiamavano illegittimi, però non è ancora facile far capire alle donne che non vogliono riconoscere la loro maternità, che possono farlo liberamente senza dovere sopprimere la creatura che hanno in grembo.
Conseguenza di retaggi terribili e allucinanti che ci hanno afflitto per secoli e secoli di storia.
E infine.
La gente oggi invecchia con maggiore serenità che un tempo; a sessant’anni non ci si può definire già da buttare, ma si è solo alla soglia di un nuovo periodo che può riservare ancora incredibili piaceri; peccato che i giovani abbiamo potuto combattere e sacrificarsi solo a beneficio di chi mai avremmo immaginato potesse trovarne guadagno.
Non tornerei mai indietro; amo il mondo che cammina, anche se cammina a passi di lumaca o forse di un gambero.
Vorrei solo potere un giorno svegliarmi e sentire il profumo delle cose buone che mi circondano.
Non solo immaginarlo, questo incanto, ma poterlo toccare, e dire a voce alta, per molti e molti giorni della mia vita: “Questo è il paese che io voglio abitare”.
Io non mi drogo
perchè faccio fatica a prendere le medicine
figuriamoci le droghe,
perchè sono stata fortunata,
perchè mi voglio bene,
perchè mi piace un cervello attivo e cosciente,
perchè detesto pensare di potere fare cose senza
neanche rendermene conto,
perchè per essere su di giri mi bastano gli amici
veri
e la mia famiglia,
perchè chi lo fa ha solo bisogno di aiuto e deve chiederlo,
perchè metterei in galera quelli che la spacciano,
perchè non vorrei dovere vedere una persona che amo che ne fa uso,
perchè la droga uccide,
perchè la droga fa schifo,
perchè la nostra vita è la cosa più importante,
perchè la droga abbruttisce, imbestialisce, mortifica
la nostra naturale bellezza
e perchè
ci sono altre mille ragioni che tu stesso potresti aggiungere…
Vuoi?
(leggi anche qui)
Ciao amici, in questi ultimi giorni ho trascurato questo blog perchè sto lavorando su un altro, che è nato da nemmeno due settimane all’interno di un corso che ho ribattezzato per me con un nome di mia fantasia.
Vi indico il link di Laboratorio 13
E’ legato a questo sito Insegnare apprendere mutare dove il prof Andreas Formiconi insegna l’uso al meglio delle tecnologie.
Se non sono qui sono là, almeno fino al 10 di giugno prossimo…
Comunque non abbandono casa.
Sto cercando di educarmi; a che cosa? All’autonomia.
Quando una persona è autonoma è anche libera e creativa.
Se è libera (e dunque creativa) può essere positiva e costruttiva, può fermentare idee e possibilità.
Queste idee possono diventare realtà, fatti, occasioni, nuovi mondi tutti da sviluppare e fare incrociare con altri mondi.
Qui puoi leggere meglio la sua storia
Questa ragazza si è suicidata perché ha commesso un errore sulla rete, caduta in una forma di inganno, e la rete usata nella sua forma peggiore non l’ha rispettata ed ha peggiorato una realtà che poteva essere ancora salvabile.
Si chiama cyberbullismo, ed è un fenomeno molto più diffuso di quanto non si immagini.
Anzi, è un vero e proprio sistema violento praticato quotidianamente ovunque e senza limiti di tempo, capace di stritolare vite ancora acerbe ed immature.
Basta calunniare, basta infangare, basta dire cose orribili perché così fan tutti su chi conosciamo appena e per sentito dire, per cose anche gravi di cui però non conosciamo l’origine. e sulle quali COMUNQUE non abbiamo il diritto di esprimere giudizi.
Gli insegnanti lo conoscono bene, perché lo vivono attraverso i loro stessi alunni.
I genitori anche, dovrebbero ben conoscerlo, se solo tengono gli occhi ben aperti.
Infatti quasi sempre i carnefici inconsapevoli o meschini sono anch’essi giovanissimi.
Mi rivolgo a questi stessi giovani, che potrebbero essere i nostri figli, i nostri nipoti, i figli dei nostri amici, i fratelli degli amici dei nostri amici, i nostri alunni, appunto, o ai bambini di oggi che domani saranno in grado di potere cadere nello stesso problema.
Non usare mai la rete per offendere, non sarebbe una cosa intelligente, non sarebbe giustificabile, piuttosto fatti una sbronza, se proprio non sai come occupare il tempo, ma io consiglierei, sfogati in qualcosa che non possa danneggiare nessuno, nemmeno il peggiore dei tuoi nemici.
Fallo per chi in te crede o ha creduto e ancora ci crede.
Fallo per la tua stessa dignità, non c’è errore fuori di te che in qualche modo tu non potresti generare o incrementare, con questo comportamento. Se ritieni qualcuno non degno del tuo rispetto, domandati se tu faresti a te stesso quello che potresti causare a un compagno o compagna vicino a te, di cui credi di sapere tutto e invece non sai proprio un cazzo…e domandati se ti farebbe piacere essere tu la vittima di queste vigliaccate e di queste leggerezze imperdonabili.
Non pensare che potresti essere migliore delle tue probabili vittime; potresti ritenerti solo uno stupido, un superficiale, un bullo di carta, che si nasconderebbe dietro un clic perché non c’è nemmeno il coraggio di affrontare le persone negli occhi e che oltretutto prenderebbe l’iniziativa aggregandosi alla massa, al gruppo, a quello che gli altri fanno, visto che la tua testa sarebbe solo una bolla di sapone.
E infine fallo proprio per il tuo unico imperdibile cuore, per quello che sei e che diventerai, se lo lascerai permettere, un giorno.
Ossia uno splendido fiore.
“Meglio una fine orribile di un orribile infinito”
Oggi una persona a me molto cara mi ha detto questa frase.
L’ho trovata molto intelligente e sopratutto veritiera.
Nessuno di noi può decidere gli eventi della propria vita, come spesso mi sono già trovata a ripetere, però noi nel nostro personale intento possiamo farne tesoro, possiamo realmente e finalmente prepararci per il giorno in cui sarà la nostra personale occasione, possiamo imparare dagli sbagli, possiamo chiedere scusa per le sofferenze causate, possiamo farci una ragione delle cose che non sono andate come avremmo voluto, possiamo avvicinarci alla comprensione del nostro prossimo più prossimo, possiamo fortificarci delle nostre stesse debolezze, possiamo possiamo e ancora possiamo.
Il momento generale non è davvero dei più facili; davvero sta iniziando un nuovo mondo da queste macerie che non hanno ancora toccato il loro fondo?
A me piace crederlo, come mi piace credere che molti di noi torneremo a rilassarci, a sorridere spensierati, e soprattutto a camminare spediti e senza più tanti inesorabili e penosi barcollamenti.
Vedete amici cari, solo chi ha molto sofferto ed ha camminato per anni e anni dentro un tunnel senza mai vedere uno spiraglio di luce, può gustare pienamente della luminosità ritrovata.
Solamente chi ha visto in faccia la morte può sapere cosa significa godere del bene della vita.
Solamente chi ha patito la fame può apprezzare il conforto di una vita tranquilla dove non mancano le priorità del vivere.
Cosa mai volete che abbiano ad apprezzare coloro che sempre tutto hanno avuto garantito e che di fronte ad un problema sostanziale non saprebbero, come non sanno, girarsela da soli?
Non sto facendo l’elogio dell’essere dannato!
Avrei voluto, come noi tutti credo, un mondo senza ingiustizie, dove ci fosse pane per tutti, e felicità per ognuno quanto bastasse, dove non fossero nemmeno nominabili gli omicidi, i soprusi, le violenze e i genocidi di massa, ma la realtà è un’altra faccenda, lo sappiamo.
Meglio di noi lo sanno le migliaia di uomini e donne e vecchi e bambini che oggi, in questo momento, non sono certi di potere arrivare a sera.
Che cosa mai credete che possano pensare, costoro, delle nostre a volte ridicole pretese o lamentele? Lo so, voi mi state per rispondere che molti tra noi hanno abbandonato da tempo l’idea del superfluo, e questa è una cosa molto saggia e positiva.
Ma doveva proprio sopraggiungere una crisi economica mondiale perchè si dovesse arrivare a questo?
Evidentemente sì.
E se bisogna arrivare a vedere di fronte il bisogno per accorgersi della sua presenza, allora è il momento di rimboccarsi le maniche.
Ognuno scelga in serenità, finalmente o come sempre, la sua via; ognuno scelga il suo mezzo, ognuno faccia la cosa migliore che può arrivare a progettare per sè e per il suo prossimo.
Nello specifico, meglio una fine orribile di un orribile infinito, significa che ci sono tragedie che si consumano in un giorno come tragedie che si consumano in anni. E’ chiaro che è meglio soffrire in una maniera orribile, un giorno solo che un tempo infinito, ma ancora io torno con la mia solita riflessione di sempre: che accada un caso piuttosto che l’ altro, non dipende dalle nostre specifiche volontà, ma solo dai singoli destini.
E in merito a questa questione, prevedo per il futuro tanta luce e tanta voglia di allegria…
dalla Cecoslovacchia … all’India
Racconta di culture minoritarie e lontane, di persecuzioni storiche e antiche, di equilibri secolari, di intese che non hanno bisogno di parole, di silenzi che odorano dell’aria del mattino, di fanciulli che non hanno desideri degni delle loro aspettative, di credenze che rimangono incomprensibili agli occhi del mondo, di famiglie senza diritti dove la vita sembra vincere sulla morte, di assemblamenti umani dove si può solo stare a guardare, di donne che sono la forza della terra, di miserie che sono indicibili quanto scandalose, di gesti quotidiani consumati nell’immobilità del tempo e di uomini che valgono poco eppure contano più di quello che valgono…
Immagini che raccontano di…
Il mio esame di maturità è stato negli anni in cui non si poteva ancora dire ad un professore quello che pensavi apertamente, senza rischiare di venire per questo penalizzato.
Giovanissima, ingenua, inesperta, forte soltanto della mia serietà, del mio impegno nello studio, del mio amore autentico per il sapere.
A scuola ci avrei voluto portare volentieri il letto, forse perché a casa non avevo nessuno con cui scambiare discorsi come invece mi risultava più facile stando tra i compagni.
Gli anni del magistrale sono stati i più belli della mia esistenza trascorsa; guardavo il mondo e le cose come se non mi dovessero mai riguardare; la mia curiosità intellettuale e non solo, era pura, si rivolgeva a tutti gli aspetti della vita, che io consideravo come una cosa che un giorno mi sarebbe appartenuta, il giorno che finalmente qualcosa mi avrebbe fatto sentire libera di scegliere. Protagonista di me stessa e degli altri.
La scuola che io stavo per abbandonare, senza che me ne rendessi veramente conto, era stata tutto il mio mondo e tale sarebbe rimasta. Diligente, tranquilla, carina, capace e piena di talento, con tutto il futuro davanti, eppure qualcosa non girava, non ha mai girato per molto tempo.
Succede. Nessuno di noi sceglie chi essere, ma solo di essere. Ed io stavo zitta e buona nell’attesa di sentire la mia campana suonare solo per me, tutta per me…
La notte prima della fatidica prova ricordo d’avere dormito sonni relativamente sereni; avevo scelto Pirandello ed il tema della follia e della maschera.
Il mio esame è stato brillante, ma siccome avevo detto al commissario interno che ero intenzionata a proseguire gli studi, non mi favorirono in modo particolare con il voto; solo un cinquanta, che però non fu da intendersi come riduttivo. Nella mia classe concessero solo un 52 ed un 54 prima di me, e non ho mai studiato per il voto, anche se a dire il vero è questo ridicolo numero che spesso ci porta avanti…
Non mi sono dovuta impasticcare, allora non si usava, nessuno ci avrebbe provato, ma se anche l’avessi potuto, non mi sarebbe mai passato per il cervello; solo litri di caffè, magari, per quelli più esagitati, che poi avevano anch’essi il rovescio della medaglia. Le cose o le sapevi o le tiravi a caso o facevi scena muta; le sapevi o perchè ti eri ben preparato o perchè ti chiedevano la sola cosa su cui avevi buttato l’occhio negli ultimi trenta giorni di studio (cioè ti andava di culo).
Di tutto quello che è accaduto poi, o meglio, non è mai successo, Io sono e mi dichiaro colpevole; una colpevole senza colpa, ma pur sempre colpevole.
Non ho vissuto e sono rimasta a guardar vivere; non ho reclamato mai, non ho mai alzato la mano per chiedere spiegazioni, sempre attendendo pazientemente l’arrivo della mia occasione. Del resto non facciamo forse così quando andiamo dal medico e ci sono dieci persone prima di noi? No, l’esempio non è abbastanza calzante, perché dopotutto dieci persone vengono servite in un tempo relativamente breve, mentre io ho dovuto rimanere nel luogo del nulla per un tempo che non può essere definito ragionevole.
Forse questo secondo esempio può rendere meglio l’idea: come quando prenotiamo un biglietto che troviamo esaurito, e quindi possiamo solo sperare nella disponibilità improvvisa dell’ultima ora…Non c’è certezza che questo possa accadere.
Un giorno ho rischiato di morire, soffocata dal dolore, perché la mia attesa è stata veramente troppo lunga….
Mi dichiaro di nuovo al mondo colpevole; ho permesso quello che non avrei mai dovuto permettere ma che non ho potuto evitare.
C’è di bello che Ora di certo il mio mondo è cambiato.
E se è cambiato il mio mondo, cambierà anche il vostro, il nostro, il loro…
Abbiamo amici, occasione di sorridere e rallegrarci.
Perchè nulla è accaduto invano.
e non rischiano più di finire nella pancia delle balene…
E’ già qualcosa, non vi pare?
Solo per dire a tutti che oggi la scuola non è più così, non è più così, non è più così…
Il dopo voto parla chiaro; il cittadino qualunque si è stancato della vecchia politica corrotta, spendacciona e inutile e ha preferito un movimento NO-POLITICA.
Li abbiamo visti e sentiti in televisione, i neo eletti o candidati al ballottaggio; sono giovani, inesperti, ingenui, in parte impreparati, ma sono pieni di entusiasmo, ci credono, sono uniti nei loro intenti di portare cambiamento e segnali di lotta vera.
La politica magistrale, quella con il cappello appeso all’attaccapanni da molto tempo, decisamente troppo, per lo più li sbeffeggia, li critica, li ignora, li sminuisce. Ma ne ha in silenzio timore.
Loro non danno retta alle polemiche, alle provocazioni, agli scoraggiamenti, alle offese; replicano che sono stati votati, che sono lì perchè hanno agito per scelta, per convinzione, per esasperazione; ed hanno raggiunto un primo risultato.
E intanto il paese continua a venire afflitto da suicidi intollerabili quanto ignobili e vergognosi, in piazza scendono le vedove di questi piccoli e medi imprenditori che hanno dichiarato bancarotta alla vita, a un sistema che li ha stritolati senza pietà e senza dignità.
Dappertutto si sente implorare la parola magica che tutti ci auspichiamo come quando si implora la venuta della pioggia dopo un lungo periodo di siccità: crescita crescita, crescita!!!
Crescita dove sei?
Sei nel carburante che deve calare, sei nel rovesciamento del sistema fiscale che deve mollare la sua terribile presa sui più deboli, sei nel lavoro che deve trovare i giusti e più illuminati interventi, sei nella gente comune che siamo tutti noi che cerchiamo di resistere e di non cedere al pessimismo ed allo sconforto, sei nello stesso movimento di questi nuovi cittadini che non amano essere chiamati grillini, come se fossero degli idiotini manovrati da un personaggio.
Questo personaggio semplicemente esprime il disagio e lo spirito di un pensiero, ma che non ha nulla a che spartire poi con la concretezza di tutti i problemi contingenti e reali che questi nuovi anti-politici troveranno sul loro percorso, e che dovranno sapere affrontare da soli, nello specifico, sul campo; questo personaggio non sempre le spara indovinate, e lo abbiamo visto; va dunque preso per quello che è, un fenomeno di rottura e di discussione, ma che da solo non potrebbe fare nulla di nulla, e che ha ben poco da insegnare sul fronte della progettazione.
Infine la crescita è nella Francia che ha deciso di cambiare rotta, anche se neanche per lei e per noi tutto questo è scontato che possa portarci a qualcosa di meglio.
E poi c’è la minaccia terrorismo che ha già dato il suo primo segnale di condanna e di intolleranza ed esasperazione.
Dall’altra parte del mare sta la Grecia, che dopo essere stata massacrata da una serie di provvedimenti impostati sull’austerità e sul rigidismo dei conti, ci dice basta; qui la percentuale di assenteismo alle urne è stata altissima, e sono in netto avanzamento l’estrema sinistra come l’estrema destra. Il risultato è uno Stato praticamente ingovernabile, dove tutto diventa possibile e incerto.
Hanno già detto che vogliono uscire dall’euro, che non hanno nessuna intenzione di pagare un debito che altri (i loro cattivi politici) hanno creato per loro.
Non è un bell’affare, non è un esempio confortante che ci può dare segnale positivi.
Per il momento i nostri leader si rimbalzano le colpe; stanno elaborando una lista delle responsabilità da imputare a qualcuno, come se questo ci potrà risollevare ed essere d’aiuto.
Il PDL ha pagato lunghi anni disastrosi di governo; il PD si salva solo perchè stava all’opposizione ma non perchè abbia in concreto carte vincenti ed innovative; i piccoli medi partiti di contenuto ( IDV e VENDOLA in testa) trionfano o si confermano in specifiche realtà locali.
E poi ci sono le REALTÀ PREMIATE, che vanno decisamente in contro tendenza; Verona trionfa con il suo sindaco leghista che viene riconfermato a pieni voti. Eppure è un leghista, eppure stando al quadro generale avrebbe dovuto venire sconfitto e sorpassato da altri colori di bandiera.
Questo dimostra una banale ma saggia verità; non contano i colori, le appartenenze, i partiti stessi, ma gli uomini. Anche in politica al di là delle appartenenze, c’è chi lavora bene e chi lavora male.
Tosi ha lavorato bene ed è stato premiato.
Perchè i nostri grandi capoccioni, a partire dal sindacato disunito ed inconcludente, un giorno sul fico ed un giorno sul pero, chiuso dentro logiche ormai sterili o ancora troppo poco coraggiose, non se lo vogliono mettere in testa? Bè, la risposta la conosciamo.
Nessuno ci aiuterà se non saremo noi stessi ad aiutarci.
Grillo, come qualcuno ha fatto notare, sta svolgendo un servizio utile a tutta la comunità; ha saputo portare il dissenso e la lotta dentro le istituzioni, e questo sta facendo bene all’antiterrorismo.
Ma ora si attende un segnale forte anche dai piani alti, da chi il potere lo gestisce per davvero, e potrebbe abilmente e con lungimiranza dare dei costruttivi salubri corroboranti indizi di conforto e di risollevamento.
Tutti lo esigiamo, tutti lo pretendiamo.
In una girandola di immagini, ecco la storia di un sindacato disunito che non sa, che non può, che non vuole, che non farà mai squadra…
Ecco i presumibili 10 grandi errori della scuola reale:
1. La scuola agisce come se l’apprendere possa essere dissociato dal fare
2. la scuola crede che la valutazione sia parte del loro ruolo naturale
3. la scuola crede di essere obbligata a creare curricula standardizzati
4. gli insegnanti credono di dover dire agli studenti cosa loro pensano sia importante sapere
5. la scuola crede che l’istruzione possa essere indipendente dalla motivazione per un uso attuale
6. la scuola crede che studiare sia una parte importante dell’apprendere
7. La scuola crede che attribuire voti sulla base del gruppo di età sia una parte intrinseca dell’organizzazione di una scuola
8. la scuola crede che gli studenti si impegnano solo se si devono misurare con i voti
9. la scuola crede che la disciplina sia una parte costituente dell’apprendimento
10. La scuola crede che gli studenti abbiano, di base, un intrinseco interesse ad apprendere qualunque cosa la scuola decida di insegnare loro.
Estratto da
R. C. Schank, C. Cleary, Engine for Education, Lawrence Erlbaum Associates, 1995
Traduzione Gianni Marconato
Vediamo se possiamo ancora essere d’accordo con queste affermazioni:
Significa che consideriamo l’apprendimento come pura teoria dissociata dalla pratica, mentre vivere e realizzarsi è una questione assolutamente pratica e contingente.
Significa che i docenti sono stati formati a pensare che loro saranno i soli valutatori del loro operato e dell’operato degli studenti, mentre invece il docente come un qualunque maneger è tenuto a rendicontare del proprio lavoro, ed i suoi primi (e forse veri) valutatori sarebbero gli stessi studenti
Significa che non ci sono curricula standardizzati, ossia programmi immobili e statici, calati dall’alto, e subiti passivamente, come una creatura a noi stessi estranea. I programmi sono concepiti in itinere secondo linee guida generali e personalizzati/modificati/integrati/allargati alle più diverse situazioni e condizioni.
4. gli insegnanti credono di dover dire agli studenti cosa loro pensano sia importante sapere
Significa che solo lo studente stesso può decidere alla fine cosa debba essere importante nell’apprendimento, che significa che lo studente stesso deve giocare un ruolo attivo e consapevole nella propria formazione.
5 la scuola crede che l’istruzione possa essere indipendente dalla motivazione per un uso attuale
Significa che la scuola non sa o non si preoccupa di coinvolgere, non sa o non si preoccupa di motivare, impone senza proporre o propone per imporre, sostituendosi al ruolo centrale ed insostituibile del discente.
6. la scuola crede che studiare sia una parte importante dell’apprendere
Significa che lo studio è solo una piccola parte dell’apprendere; si apprende anche e soprattutto costruendo, osservando, ascoltando, sperimentando, ricercando, viaggiando, facendo musica, teatro, e mille altre cose ancora.
7. La scuola crede che attribuire voti sulla base del gruppo di età sia una parte intrinseca dell’organizzazione di una scuola
Significa che il voto è solo un possibile e senz’altro limitato modo di fare scuola; esistono sistemi formativi ed educativi che non ricorrono affatto la voto e dimostrano di funzionare benissimo.
8. la scuola crede che gli studenti si impegnano solo se si devono misurare con i voti
Significa che gli insegnanti sbagliano a pensarlo; gli studenti scolarizzati credono nella funzione del voto solo perché non hanno conosciuto una forma alternativa di valutazione. Se la conoscessero, rinuncerebbero volentieri a un sistema di misura dei propri progressi così rigido ed irrisorio.
9. la scuola crede che la disciplina sia una parte costituente dell’apprendimento
Significa che non si può apprendere nel caos e nell’assenza di regole, ma che le regole non sono una parte costituente dell’apprendimento, ma solo necessaria, solo data in premessa, e non in sostanza. Bisogna fare disciplina per poi potercene dimenticare.
10. La scuola crede che gli studenti abbiano, di base, un intrinseco interesse ad apprendere qualunque cosa la scuola decida di insegnare loro.
Significa che molte scienze o saperi decisi e programmati dalla scuola potrebbero e possono non interessare di fatto gli studenti; di contro molti saperi non messi a programma potrebbero riscuotere la loro provvidenziale e preziosa attenzione che li trasformerebbe da giovani senza arte né parte a giovani con progetti ed entusiasmi da mettere alla prova.
Sembra che la carne messa al fuoco su cui riflettere sempre sia molta.
Tutto può essere sempre di certo migliorato rivisto ripreso e rivalutato.
L’importante per gli addetti ai lavori è di non strumentalizzare mai e di non lasciarsi mai strumentalizzare; è agire sempre con la massima diplomazia e disponibilità, verso tutti gli interlocutori coinvolti, perché quello che può sembrare inizialmente in un certo modo, se osservato da un’altra angolazione che non avevamo preso in conto può apparire completamente diverso.
La questione degli errori della scuola è di vecchia data, ma non si finisce mai di riproporla e di rivisitarla.
Naturalmente a docenti sempre pronti a rimettersi in gioco e a non perdere l’entusiasmo del lavorare coi giovani per i giovani grazie ai giovani.
Testimonianze dirette di chi l’ha frequentata
Sono i giovani di Barbiana stessi che definiscono in cinque punti la scuola nel 1963, quattro anni prima della morte di don Milani:
1.Barbiana
« …Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi… In tutto ci sono rimaste 39 anime… In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l’acqua. La strada non c’era. L’abbiamo adattata un po’ noi perché ci passi una strada. »
2.La scuola
« La nostra è una scuola privata… D’inverno stiamo un po’ stretti, ma da aprile ad ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca… Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane… Qualcuno viene da molto lontano, per esempio Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni il più grande 18… l’orario è dalle otto del mattino alle sette e mezzo di sera… Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco… i giorni di scuola sono 365 all’anno, 366 negli anni bisestili… abbiamo ventitré maestri, escluso i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli minori di loro… »
3.Perché i suoi ragazzi andavano a scuola “sul principio”
« Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori… »
4.Perché andavano a scuola “dopo”
« A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé… Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere.Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre. »
5.Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare
« …Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell’altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s’è voluto iscrivere a elettrotecnica. Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città. E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz’ora… Pressione dei nostri genitori e del mondo a nostra difesa, però c’è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo. Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt’altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola. »
Riflessioni brevi personali
La scuola di Barbiana, oggi, non è più un luogo fisico dove si possa andare e decidere di rimanervi.
Essa è rimasta un luogo non luogo, un tempo non tempo, che solo continua a vivere nelle persone che l’hanno frequentata, e più che frequentata, vissuta e portata nel cuore. E dopo di loro continua a vivere nelle persone che l’hanno studiata, approcciata, incrociata nella propria formazione pedagogica.
La scuola del prete più discusso d’Italia (se non il più discusso, uno dei più chiacchierati) è praticamente la storia di questo stesso religioso ed educatore; perseguito per la sua eccessiva originalità e per il suo temperamento eccessivo, don Lorenzo viene mandato a Barbiana per punizione, affinchè gli venga inflitto una specie di confino, di isolamento.
Invece a Barbiana il nostro speciale investito religioso mette floride e felici radici. A dispetto di ogni più funerea e malvagia previsione.
Don Lorenzo l’intemperante, Don Lorenzo il cattocomunista, Don Lorenzo l’eretico, Don Lorenzo il disubbidiente, Don Lorenzo il folle…
Invece Don Lorenzo è solo un prete fuori da ogni schema e fuori da ogni ortodossia, ed è un educatore che concepisce quindi la scuola soprattutto per quei poveri che nella scuola normale verrebbero e sono di fatto “scartati” perchè ritenuti inadeguati e non dotati.
Certo, molti studenti smidollati di oggi non so se metteremmo con coraggio mai un piede dentro questa concezione di formazione scolastica. Qui non c’è un solo giorno di vacanza, non c’è il momento del gioco, non ci sono distrazioni di sorta.
Lo studio è per ogni suo partecipante come la vanga per il contadino; come l’adulto deve lavorare, il bambino/ragazzo deve studiare. Almeno fino a che non deciderà d’essere pronto per il lavoro. E magari deve anche lavorare, per aiutare la famiglia…
E non si studia per il voto, perchè qui i voti non esistono. Esiste il capire, il saper fare, il progettare, l’ingegnarsi…
Lo studio è una cosa assolutamente seria e faticosa, e don Lorenzo lo sa.
Ma grazie ad esso i giovani formati ed educati alla vita saranno uomini adulti capaci d’affrontare ogni genere di difficoltà, capaci di scegliere, capaci di conoscere, evolvere e comprendere.
Questo è il fascino di questo maestro mai tramontato, un insegnante che non pensa a bocciare nessuno, ma che pensa a salvare tutti, a dare a tutti la propria possibilità.
BARBIANA COME SCUOLA DELL’AUTONOMIA (aveva il suo regolamento) , DELLA COOPERAZIONE (i più grandi devono insegnare ai più piccoli e si studiano i metodi di scuola utilizzati dagli altri paesi), DELLA FLESSIBILITA’ ( ci sono programmi plurimi, personalizzati e contestualizzati) E DEL TALENTO ( occorre portare ognuno alla realizzazione personale e sociale)
Ma non sono forse le caratteristiche che la scuola dello Stato cerca di perseguire ancora oggi più di ieri, come mete e propositi di non facile realizzazione?
Domanda legittima: come può in insegnante che si riconosce in questo modello, stare bene e trovare il proprio posto nella scuola reale?
Insegno ispirandomi nel mio piccolo a tre grandi maestri del recente passato. Li chiamo le mie tre emme, emme come Montessori, come Milani e come Maieutica.
I corsi di formazione continua, moderni e supertecnologici, non sono stati in grado di sostituirli. Questi mi rendono informata e formata, ma quelli danno il senso e tracciano la via del mio vagabondare lavorativo.
Ho annoverato l’antico Socrate tra i pedagogisti recentemente passati, come se fosse contemporaneo degli altri due studiosi ed educatori; e non è stato un lapsus o una svista; Socrate è assolutamente senza tempo.
Ecco quindi un brano classico di insegnamento maieutico, giusto per darne una rispolverata e nell’attesa di potere quanto prima riportare i miei…
Chiese il maestro ai suoi scolari: “Voi ragazzi, non avete mai confuso il vostro compagno Paolo con questa tavola o con questo albero? Giusto?”
“O no…”
“Perchè?”
“Perchè questa tavola è inanimata e insensibile; invece Paolo vive e sente!”
“Bene, se voi battete la tavola non sente nulla e voi non le fate del male; ma avete voi diritto di distruggerla?”
“No, si distruggerebbe la cosa altrui” “
“Che cosa dunque rispettate nella tavola?” il legno inanimato e insensibile, ovvero la proprietà di colui cui essa appartiene?”
“La proprietà di colui cui essa appartiene”
“Avete voi il diritto di battere Paolo?”
“No, perché gli faremmo male e patirebbe”
“Che cosa rispettate in lui?, la proprietà di un altro o Paolo stesso?”
“Paolo stesso”
“Voi non potete dunque né batterlo, né rinchiuderlo, né privarlo di cibo?”
“No, i carabinieri ci arresterebbero”
“Ah ,la paura del carabiniere…ma è solo per questo che non fareste del male a Paolo?”
“No, signore, perché noi amiamo Paolo e non vogliamo farlo soffrire, perché non ne abbiamo il diritto”
“ Credete dunque che bisogna rispettare Paolo nella vita e nella sua sensibilità, perché la vita e la sensibilità sono da rispettare?”
“Sì, signore”
“Vi è dunque solo questo da rispettare in Paolo? Esaminiamo, cercate bene”
“I suoi libri, il suo abito, la sua cartella, la colazione che vi è dentro…”
“ Sia, che volete dire?”
“Noi non possiamo stracciare i suoi libri, macchiare il suo abito, distruggere la sua cartella, mangiare la sua colazione”
“E perché?”
“Perché queste cose sono sue e non è permesso prendere le cose altrui”
“Come si chiama l’atto che proibisce di prendere le cose altrui?”
“Furto”
“ Perché il furto è proibito?”
“Perché si va in prigione”
“Sempre la paura del carabiniere….Ma è soprattutto per questo che non si può rubare?”
“No signore, perché la roba altrui deve essere rispettata, come la persona altrui”
“Benissimo, la proprietà è il prolungamento della persona umana e si deve rispettare come quella, ma è qui tutto? Non vi è altro da rispettare in Paolo che il corpo, i libri e i quaderni? Non vedete altra cosa? Non trovate più nulla?…vi metterò sulla via io: Paolo è uno scolaro studioso, un compagno franco e servizievole; voi tutti lo amate come si merita. Come si chiama la stima che noi abbiamo per lui? La buona opinione che noi abbiamo di lui?”
“L’onore, la reputazione…”
“Orbene, questo onore, questa reputazione Paolo si acquistò con la buona condotta e i buoni costumi. Sono cose che gli appartengono “
“Sì signore, noi non abbiamo il diritto di rubargliele”
“Benissimo, ma come si chiama questo furto, cioè il furto dell’onore? E prima di tutto, come si può rubarglieli?” sono forse essi che si possono prendere e mettere in tasca? “
“No, ma si può parlare male di lui”
“Come?”
“Si può dire che egli ha fatto del male a un compagno…che ha rubato delle mele nel vicino frutteto…che ha sparlato di un altro…”
“Sia, ma come così parlando voi gli rubereste l’onore e la reputazione?”
“Signore, non gli si crederà più, si avrà cattiva opinione di lui, si batterà, rimprovererà , e si lascerà in disparte…”
“Dunque, se voi dite male di Paolo, allorchè questo male è falso, gli farete piacere?”
“No, signore , gli si recherà dolore, gli si farà torto, il che sarebbe assai brutto e cattivo”
“Sì, miei ragazzi, questa menzogna con l’intenzione di nuocere sarebbe assai brutta e cattiva e si chiama calunnia. Io vi spigherò più tardi che si chiama maldicenza, il male che si dice di una persona, quando questo male è vero, e vi mostrerò le funeste conseguenze della calunnia e della maldicenza.
Riassumiamo dunque quel che dicemmo: Paolo è un essere vivente e sensibile. Non dobbiamo procurargli sofferenze, né derubarlo, né calunniarlo; dobbiamo rispettarlo. Si chiamano diritti queste cose rispettabili che sono in Paolo e lo rendono una persona morale” L’obbligazione che noi abbiamo di rispettare questi diritti si chiama dovere. Si chiama poi giustizia l’obbligo o il dovere di rispettare i diritti altrui. Giustizia deriva da due parole latine ( in iure stare ) che significano: “mantenersi nel diritto”.
I doveri di giustizia da noi numerati si riassumono così: Non ferire…non far soffrire…non rubare…non calunniare…” Riflettete alle parole che dite sempre: “Non” con un verbo infinito imperativo…che significa questo?…”
“Un obbligo, un comando…un divieto”
“Via, spiegate”
“L’obbligo del rispetto, il comando di rispettare i diritti…il divieto di rubare…”
“In che cosa dunque si riassumono essi? Nel non fare del male”
Brano tratto da “L’autoeducazione” di Maria Montessori Edizioni Garzanti
E’ il sole che ci scalda
quello che non tramonta mai
perchè sappiamo tornerà a risorgere
che ci tiene vivi…
E’ l’acqua che ci nutre
quella che riteniamo un bene naturale
ed inestinguibile
mentre invece va protetta
come noi stessi
che ci conserva sani
E’ la terra dura e solida
sulla quale costruiamo le nostre case
dove ci ripariamo dai venti e dalle piogge
ma non dai nemici
che ci mantiene
E’ l’aria che respiriamo
che permette il buon funzionamento di tutti i nostri
ammennicoli vari
qualcuno più grande qualcuno più piccolo
che ci mantiene funzionanti
Ma alla fine è solo il nostro cuore
che batte
e la nostra capacità d’esercitarlo bene
che ci fa uomini
Questo articolo è stato scritto da Elfo Bruno. L’ho letto per caso, mi è piaciuto, l’ho trovato congeniale a qualche mia recente riflessione. Così lo ripropongo qui, e faccio i miei auguri di una vita ben riuscita ad Elfo… (qui il suo articolo originale)
Caro Gesù, diciamo che oggi per te è un anniversario importante. Quasi duemila anni fa, infatti, cominciava il tuo calvario: ti avrebbero messo in croce, avresti assolto tutti i peccati del mondo e, secondo il mito, sarebbe cominciata la nuova era, la fine dei tempi, l’inizio del regno di Dio.
E invece.
Venti secoli dopo il mondo non è migliore rispetto a quello che avevi immaginato. La società non crede più in troppe divinità, ma in una sola. Il potere. E questo ci ha reso, tutti e tutte, molto meno liberi di un tempo. Poi qualcuno, quel potere, lo chiama Dio, qualcun altro denaro, altri ancora conciliano egregiamente tutte e tre le cose – hai presente il concetto di trinità, no? – ma la sostanza non cambia.
Il popolo che preferì Barabba a te è sempre lo stesso. D’altronde, discendiamo dai nostri antenati. Non si è ben capito perché dovremmo essere migliori di chi ci ha preceduto, soprattutto quando la psicoanalisi ci insegna che riproduciamo, in modo più o meno conforme, i modelli che ci hanno educato. Ognuno è ciò che mangia, se vogliamo usare una metafora.
Certo, qualcosa è cambiato: non schiavizziamo più i neri in tuo nome. Le donne possono sedere a consesso con gli uomini nonostante i divieti di san Paolo. Pensa, se studiano e cercano di essere libere pensatrici non le si brucia nemmeno! Ma tanto per non perdere il vizio, siamo ancora razzisti – dal Ku Klux Klan alla Lega Nord, sai quanto orrore, caro Gesù? – siamo sessisti (hai mai guardato un reality o la pubblicità delle mozzarelle?) e, soprattutto, della Bibbiaabbiamo dimenticato molte cose, a cominciare dal tuo invito alla povertà più pura – sei mai stato in Vaticano? – però Sodoma e Gomorra ce le teniamo ben strette e allora ce la prendiamo contro al frocio di turno. Di recente, nel Regno dei Cieli, avrai conosciuto persone come Matthew Shepard o Daniel Zamudio. Uccisi, entrambi, perché gay.
Ma se vogliamo, queste sono bazzecole, almeno di fronte ad altre chicche dell’umanità, come le guerre, la distruzione sistematica dell’ambiente in cui viviamo, il costante calpestare i diritti di miliardi di uomini e donne, con le dittature, il mercato, l’indifferenza…
Come facciamo a vivere, di fronte a tutto questo? Basta poco. Nel mio paese, ad esempio, è sufficiente appendere nelle scuole e negli uffici pubblici una statuetta di te, morente – dimmi tu se questo non è cattivo gusto – fare la comunione una volta l’anno e continuare a fottersene bellamente di tutto il resto. La coscienza ne vien fuori integra e pulita, almeno all’apparenza. Ma l’anima?
Per questo mi chiedo, io che non credo, ma che ho abbastanza stima di te da pensare che, anche qualora fossi solo un mito e non un personaggio realmente esistito, hai detto cose abbastanza fighe e rivoluzionarie per i tempi che hai vissuto, se ne è valsa la pena. Se ogni chiodo e ogni tortura che ti hanno attraversato il corpo non siano state un prezzo troppo oneroso, di fronte all’ipocrisia di chi oggi protegge criminali pedofili, va a braccetto con le dittature, vuol tenerci attaccati contro voglia a un respiratore e ci impedisce di amare al meglio delle nostre facoltà. E non sto parlando solo del tuo fan club. Se guardi bene, ho già scomodato tirannidi e distruzione di uomini e donne, animali, pianeti interi.
Era questo che volevi, quando hai deciso di affrontare il supplizio di una croce che ci assomiglia sempre di più? Perché a volte ho l’impressione di assomigliarti maggiormente io, gay, “peccatore” (se mai tale parola dovesse avere un significato qualsiasi), imperfettissimo e ferito dalle circostanze e da un’incontenibile bisogno di assoluto e di verità, che tutti coloro che dicono di parlare a nome tuo.
E allora, mi chiedo ancora: ma davvero sei morto e risorto e lasciare tutto in mano a certa gente, senza intrometterti più, senza dare un segno di disapprovazione, senza far capire che davvero da duemila anni a questa parte hanno sbagliato ogni cosa? No, perché davvero, io ci crederei pure in quella storia dell’amore e del suo abbraccio ad ogni creatura che c’è. Ma il tuo silenzio, in tutto questo tempo, e scusami se te lo dico, mi sa davvero di una prova troppo evidente per convincermi del fatto che forse sei una bella favola: dolce, tragica, senza speranza. E nulla più. Perché è questo il sapore che alla fine resta in bocca.
Per cui, anche se a me non piace, perché mi piace avere sempre ragione, se volessi smentirmi, ecco… per una volta non mi offenderei. Lo prometto. E ti prego di credermi.
Elfo Bruno
I bambini a scuola sono come un mondo in piccolo, nel senso che sono un mondo in miniatura; tra di loro governano sentimenti, difetti, intelligenze, eccedenze ed attitudini, esattamente così come accade nel mondo degli adulti.
Noi abbiamo cose che ci piacciono di più e cose che ci piacciono di meno; per loro è lo stesso;
abbiamo a volte scatti d’ira;
invidie e gelosie;
momenti di debolezza;
amici e nemici;
momenti di coraggio;
desideri e speranze;
abbiamo una certa idea propria del bene e del male;
bisogno di tenerci occupati;
di riposare quando siamo stanchi;
di sentirci sempre nel centro di qualcosa;
di comunicare e sentirci utili;
di prenderci in cura quando siamo malati;
di andare in vacanza, di sentirci amati, di voler bene, di esprimerci, di fare stupidaggini…;
e per loro è lo stesso.
La sostanziale differenza è che i nostri bambini sono ancora incoscienti di se stessi, mentre noi ne abbiamo piena consapevolezza, e grazie a questa consapevolezza, possiamo essere in grado, senza diventare protagonisti al posto loro, di guidarli sul lungo sentiero delle scoperte che fanno crescere.
Il rapporto insegnante discente non è un legame paritario, per via della coscienza che il primo possiede ed il secondo non conosce.
L’insegnante è come un direttore d’orchestra, solo che la musica da suonare non la decide lui, la decide il gruppo classe.
E’ come un guardiano di beni preziosi, solo che i beni preziosi sono esseri sconosciuti e con libera capacità di decidere e disporre di sè.
E’ come un giocoliere capace di particolari esercizi di bravura, solo che i burattini di questo teatro non hanno fili, sono autonomi, sono i signori del palco, loro stessi decidono il contenuto dello spettacolo.
L’insegnante che entra in classe non saprà fino alla fine della giornata se quel che dovrà fare e avrà fatto, otterrà successo oppure no.
Troppe le variabili non previste e non prevedibili.
Non solo troppo imprevedibili, ma addirittura quello che potrebbe sembrare al momento riuscito, potrebbe nel tempo rivelarsi insufficiente, come anche quello che potrebbe essere risultato inadeguato, nel tempo potrebbe risultare centrato.
Insomma, insegnare è un fatto di relazione; c’è un insegnante e un minore ( fino a che non diventerà maggiorenne); c’è un gruppo di insegnanti e un gruppo di minori più o meno numeroso, più o meno rumoroso, più o meno forte o complicato; c’è un insegnante e un ennesimo gruppo di minori chiamati a fare qualcosa, ad occuparsi di un determinato compito.
Dentro questa relazione sta l’apprendimento, sta il beneficio, sta il vantaggio, sta la crescita, sta lo sviluppo, l’evoluzione di un paese.
Un’insegnante scrupoloso e capace può avvicinare ai bambini, in un solo giorno, più mondi di quanto un genitore distratto non sappia fare in dieci anni e più di convivenza con il proprio figlio; può toccare con mano, negli anni, i cambiamenti della crescita dei suoi ragazzi, almeno quanto se non di più di due genitori assenti o inadeguati.
Un insegnante indifferente e non motivato può solo perdere e far perdere tempo prezioso. Purtroppo può anche far danni, al pari di un genitore inadeguato.
Inutile dire che la collaborazione dei genitori con chi si prende cura della formazione scolastica, rimane sempre un momento chiave per la buona riuscita delle tappe evolutive.
Non sempre questa collaborazione accade, non sempre è possibile.
Mentre i genitori non si scelgono, e nemmeno i fratelli e tutti i parenti, in un certo senso l’insegnante si può scegliere. Lo fa soprattutto chi ne dispone ampiamente i mezzi, ma anche chi può fare nel suo piccolo, piccole scelte.
Poi c’è la bella storia di chi non si è scelto, ma si trova lo stesso magnificamente bene, insieme all’insegnante di passaggio.
Solo una piccola precisazione. Se il genitore può scegliere il maestro (possibilità permettendo), il maestro non potrebbe arrivare a scegliere i propri alunni.
Se così accadesse, potrebbero rimanere molti discenti senza insegnanti, e questo non è auspicabile, perché tutti abbiamo il diritto/dovere di imparare, nonostante il nostro impulso inconfessabile di rimanere ignoranti come di voler avere solo alunni perfetti.
Questo è lo spirito democratico, sommo ed universale della scuola in quanto scuola.
Etica del lavoro, prega per noi. Mai litania fu più ben detta di questa…
Tale riflessione parte dal concetto che noi siamo molto bravi a riconoscere le nostre personali necessità ed i nostri sacrosanti diritti, ma non siamo altrettanto bravi a riconoscere le necessità ed i diritti, anche quelli più palesi, di chi ci sta accanto.
Quante volte ci capita di farlo, anche inconsapevolmente, anche senza metterci particolare perfidia, anche senza essere detti palesemente parlando, degli stronzi?
Succede nella frenesia del nostro quotidiano che non ci suggerisce più il buonsenso di riflettere, di prenderci un piccolo spazio, indispensabile e salutare, per riuscire ad essere noi e solo noi a governare la nostra giornata e non il nostro capoufficio, o il nostro dirigente, o il collega con cui lavoriamo e che avrebbe la pretesa di dominarci o di contare un pezzo di più…
Come riuscire a trovare il nostro sacrosanto e doveroso equilibrio? Come riuscire ad esercitarlo anche nei momenti più difficili, più critici, dove può facilmente accadere una scivolata di stile, una caduta di tono, una perdita del centro?
Innanzitutto sapendo sempre fare un passo in retromarcia; quando ci accorgiamo che non è giornata, non tira l’aria giusta e si può solo peggiorare la situazione, è sempre meglio desistere, è sempre meglio tirarsi indietro.
Una volta fatto questo, si può rivedere la dinamica dei fatti, degli eventi.
Ci accorgeremmo senz’altro di avere commesso degli errori; potrebbero essere errori di impostazione, di approccio, di premesse, di interpretazione o di forma, l’importante è che non siano errori di sostanza, perché se fossero tali allora noi saremmo inequivocabilmente senza possibilità d’appello dalla parte del torto.
Non che gli sbagli non si possano commettere, ma chi commette errori deve essere pronto a riconoscerli e a rimediarli tutti e subito.
Se non lo dovesse fare, se non lo dovessimo fare, allora potrebbe essere qualcun altro a venirci a chiedere spiegazioni e noi ci troveremmo nel difetto di avere voluto fare i furbi.
Già, i furbi, come se il mondo non ne fosse abbondantissimamente pieno…
Perché il problema è proprio questo, l’etica del rispetto ha lasciato dominio quasi assoluto alla logica del più disonesto.
I genitori lo insegnano ai figli, i figli lo insegnano ai compagni, gli insegnanti lo confermano come regola che non può essere fermata od ostacolata, tutto il sistema sociale lo conferma come un morbo dal quale si può solo sperare di non esserne travolti…
E poi c’è l’equivoco, c’è sempre l’insidia ancora più sibillina e contorta dell’equivoco; ci sono persone che non hanno per carattere la capacità di dare fiducia al prossimo.
Queste persone instaurano intorno a loro, per un loro bisogno prioritario, un regime di controllo e di sorveglianza ossessiva e costante; trasmettono questa forma mentis ai propri collaboratori, ai propri sottoposti, ai propri colleghi, alla famiglia, agli amici, agli amici degli amici…fino a che tutto viene stritolato e travolto da una sorte di malcontento generale, dove le cose solo in apparenza sembrano funzionare in maniera ineccepibile, ma in verità è solo che tutto rimane taciuto e segreto perché bloccato nella libera espressione.
Questo è un cancro sociale che vige negli ambienti lavorativi in genere, in tutte le grandi aziende, nelle istituzioni, nei grandi palazzi, ma anche nelle piccole realtà di paese, dove le comunità ristrette rendono tutto più ingigantito, tutto più drasticamente amplificato.
Personalmente credo che questo cancro sociale può essere fermato o comunque pilotato dalle volontà dei singoli.
E’ straordinaria la forza che può avere una persona all’interno di una comunità.
Se questa persona decide di non lasciarsi assorbire da queste dinamiche perverse e distruttive, può facilmente trovare all’interno dell’ambiente lavorativo che pratica un valido alleato con cui confrontarsi.
Possiamo pensare che le azioni di ostruzionismo alla esaltazione dei disvalori siano già diventate due.
Ma non si esclude che potrebbero diventare tre, e se una persona può lanciare il primo sasso, due possono fare una bella coppia, cosa potrebbero mai fare tre persone aperte, dinamiche e non preconfezionate in meccanismi chiusi, che la pensano alla stessa maniera, ossia che viene sempre prima il rispetto della persona e della sua dignità, a qualunque altra esigenza?
Credetemi, possono fare moltissimo.
E’ per questo che io rimango fiduciosa.
Plaudo le meravigliose persone che so esistere, che so albergare nelle nostre quotidianità, che so resistere nonostante le fatiche e le difficoltà sempre in crescita, di cui conosco il valore profondo e meritevole.
E’ questa la banale meritocrazia che ogni reticolato di persone dovrebbe auspicarsi e incrementare; credetemi, non sono baggianate, non sono vuote parole, sono le condizioni di vita di tutti noi che ogni giorno dobbiamo affrontare l’onda nera dell’impersonalità, l’ipocrisia del borghese e dell’invidioso che ci vorrebbe vedere schiacciato, e solo per goderne in maniera perversa…
Dico personalmente grazie a tutti quegli speciali individui del tutto comuni e del tutto ordinari che non si lasciano annullare, che non si lasciano succhiare dalle logiche del più forte e del più frustrato, ma che semplicemente sanno rimanere se stessi dentro il marasma del sospetto, della discriminazione, del pregiudizio e dell’assenza d’amore.
Del resto ricordiamoci che chi non sa amare, ossia avere rispetto delle persone, è solo qualcuno che non si è mai sentito amato.
E ricordiamoci che rispettare un lavoratore significa rispettare il lavoro stesso, evitare ogni genere di malcontento inutile, prevenire le lamentele e le denunce che possono sfociare in dolorosi e complessi quanto spesso inutili iter giudiziari; vuol dire dunque voler bene all’economia, volere bene al Paese, voler bene al nostro prossimo tutto, sapendo immaginare, dentro questo nostro traballante circuito che si chiama per noi civiltà tecnologica, i nostri stessi figli che un giorno diventeranno adulti.
E poi se ancora non dovessero bastare tutte queste premesse, allora ragazzi, ricordiamoci anche che ci sono strumenti senz’altro più diretti ed efficaci attraverso i quali far valere i propri diritti…se non vogliamo fare la fine di quell’idiota che scelse di morire a soli trentatre anni…
adescamento via internet per rapina
Ma sarebbe lunghissima la lista che potremmo inserire sulle varie forme di adescamento via rete che poi si trasformano in una sorta di tortura psicologica o di veri e propri delitti contro minori indifesi.
Aiutiamoli, proteggiamoli, difendiamoli.
Noi facciamo sesso sicuro!!!
Non perdere mai la tua lucidità, non farti rubare la vita, e se hai bevuto troppo, non metterti mai al volante; potrebbe essere l’ultima volta che lo fai…
Questi video sono per tutti i nostri ragazzi che vanno a scuola senza alcun interesse, buttando via il tempo, senza rendersi conto dell’ enorme fortuna che hanno avuto nella vita e di quanto essa venga molto molto stupidamente buttata via. Voi siete farfalle nate per volare; non rinunciate ai vostri sogni…
E’ stato tolto il video sponsorizzato dalla polizia postale
credo rimanga visibile sul web…
C’è chi ce l’ha, chi ne è sprovvisto, chi la usa male, chi la usa bene, chi vorrebbe imparare ad usarla, chi ne intuisce le potenzialità e chi le mette in pratica.
Ecco come usarla, come i docenti la stanno usando, come si potrebbe pensare di progettarla…
Solo alcune idee, naturalmente, per gli addetti ai lavori, presenti, di passaggio e futuri.
L’esperienza meravigliosa (tra le infinite esistenti) del collega
VIVA
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Cari amici, cari lettori, caro mondo del web, in questi giorni si è avviato un nuovo sito che si chiama Paperblog; è nato con lo scopo di dare la caccia agli articoli di noi bloggers per segnalarli all’attenzione del grande pubblico affinchè abbiano una pubblicità che da soli nella giungla dei nativi o non nativi digitali, senz’altro difficilmente riuscirebbero a raggiungere…
Il Belgio è il primo paese in Europa ad avere varato una legge contro l’uso in pubblico del velo integrale; senz’altro questo farà scuola agli altri paesi, ma osserviamone più da vicino il significato e le relative implicazioni. A Novara è stata inflitta la prima salatissima e meritatissima multa contro una donna che camminava per strada con il velo che gli copriva completamente il viso; il commento del marito è stato: ” D’ora in poi non uscirà più di casa…” e quindi è ancora la donna e sempre solo la donna che finisce per pagare i tabù e le ignoranze dei propri uomini. Verrebbe da aggiungere la seguente domanda: “Ma perchè queste donne non si ribellano? possibile che sono tutte così succubi e ceche? possibile che non riescono a non fare qualcosa di significativo per cambiare lo stato delle cose, nemmeno quando vivono in paesi occidentali?”
Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
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BLOG DIDATTICO_PROF.SSA CRISTINA GALIZIA . Didattica, scrittura creativa, letteratura, attualità nella scuola secondaria di I° grado
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