E così tu sarai

Viaggiando…a zonzo

La famiglia Belier

Ecco un film per famiglie che parla il linguaggio dell’adolescenza. Nel vederlo mi sono divertita immensamente, perchè finalmente c’è una bella storia trattata in maniera molto realistica e che convince il pubblico e la critica.

La famiglia Belier è una micro comunità singolare: sono tutti sordomuti ad eccezione di Paula, la figlia, che nasce udente e che scopre di avere una bellissima voce. Lei è una stupenda ragazzona di sedici anni, frequenta la scuola tra cui lezioni di canto con il coro del paese, e durante questi incontri è il suo maestro che  si accorge del suo dono naturale e straordinario.

La incoraggia subito a partecipare ad un provino a Parigi dove potrebbe avere fortuna e cambiare la sua vita, ma Paula ha un grosso problema di intralcio che tiene tutto per sè non volendolo condividere con il mondo. Deve fare capire ai suoi genitori  che  potrebbe lasciarli, per andare a fare una cosa verso la quale i suoi stessi   genitori rimarrebbero esclusi: ossia poterla sentire cantare.

Vivere da persona normale tra diversi  ha reso Paula speciale; lei comunica con entrambi i due mondi, con la stessa naturalezza con cui una persona potrebbe essere sia mancina che destra. No, il paragone non è proprio calzante. Sarebbe come dire che una persona non ha le gambe per camminare ma nello stesso tempo cammina…

Se Paula non fosse Paula,  non potrebbe sapersi mettere nelle condizioni di chi non sente e non saprebbe potersi mettere nelle condizioni  di chi fa della sua voce e della musica una ragione di vita.

Questa ragazza conquista tutti, per la sua naturalezza, perchè non ha grilli in capo, perchè esprime l’amore per la famiglia e nello stesso tempo il desiderio di crescere sapendo diventare autonoma e grande. Ma soprattutto è la famiglia Berler  che conquista lo spettatore. Il regista ci conduce nel misterioso mondo del silenzio, di chi osserva e vive il mondo privo di suoni, e scopriamo persone assolutamente come noi  che anzichè parlare con la voce parlano con il corpo, con i gesti, con il linguaggio delle mani…

La lingua dei segni verrà presto insegnata nelle scuole ai bambini e ragazzi;  è giusto  introdurre da subito la realtà di una minoranza  che per quanto minore vive in mezzo a tutti conducendo vite assolutamente identiche ma con molti problemi in più.

Per la prima volta si è arrivati a pensare che sapere parlare la lingua dei sordi non solo serve ai sordi ma anche agli udenti che dovrebbero provare a mettersi in sienzio andando a scoprire quanto un corpo può rimanere bellissimo anche senza la voce e quanto una voce può rimanere bellissima  anche se non avesse un corpo perfetto.

Non è il caso di Paula che un corpo perfetto ed in crescita ce l’ha; con lei scopriamo il suo primo innamoramento, la sua fatica  di  scoprirsi  e mettersi in gioco,  il suo desiderio  di  tracciare un ponte  che sappia fare incontrare  il mondo dei suoni  emotivi con il mondo  del sentimento muto.

Perchè di questo si tratta: i genitori arrivano a capire il dono di Paula anche senza potere sentire la sua voce incantevole; il padre le si mette accanto con le mani sulle corde della sua gola e percependo l’energia del corpo  che  si mette a vibrare.

Capisce che sua figlia è destinata a diventare cantante, e che sua figlia saprà in qualche modo cantare anche per loro, che non possono sentirla.

E’ una storia paradossale ma affascinante che arriva nei cuori di tutti, anche  (e soprattutto)  di chi non è sordo muto  ma deve combattere tutti i giorni con i figli che crescono e che si trovano ad inciampare nella lotta  che è il dovere di  diventare adulti.

Tutte le famiglie diventano sulla scena la famiglia Belier, perchè tutti i genitori hanno ragazzi con i loro sogni che spesso vanno a scontrarsi con le aspettative dei genitori stessi. Ma devono essere i desideri di ognuno ad avere la meglio.

E’ l’amore che guida tutto, che tutto risolve, ma non un amore da cartolina, da belle immagini e  celebrazioni di scena;  questa famiglia si ama davvero, è straordinariamente unita e nello stesso tempo aperta al mondo e alla società così  diversa da sè stessa.

Quando non ci si  capisce si arriva a litigare, a mettere giù musi,  ad alzare barricate, a passare momenti di sconforto;  ma è la vita normale   che scorre e che chiede di fiorire, semplicemente…

I padri devono sapere fare spazio ai figli, le madri  devono sapere accettare un figlio che  è diventato  autonomo secondo le sue scelte, ed i figli non devono avere paura di sbagliare.

Bello. Da vedere. Soprattutto da  far vedere ai ragazzi.

La stanza del figlio

La stanza del figlio è la riflessione di un regista e di un intelletuale  sul tema della morte. Non una morte qualunque, ma la più terribile che possa capitare ad un padre, ossia  la morte del proprio  figlio.

Nanni Moretti sceglie uno scenario familiare d’elite, come credo sia nel suo stile; tanto di sinistra, almeno  nelle parole, quanto  ricercatore di un’espressione di vita medio alta borghese, dove non esistono problemi economici, conflitti sociali, scontri di piazza ecc…

Mi sto limitando all’analisi di questo film, non degli altri che devo ancora  visualizzare; quindi potrebbe essere che la visione di altre pellicole mi farà ricredere su certi aspetti; lo metto obbligatoriamente per inciso.

Come dicevo, il padre è uno psicanalista, ha una bellissima moglie che è il ritratto della madre perfetta, ha un meraviglioso figlio che  sta frequentando la scuola superiore, e ha anche una meravigliosa figlia forse più grande di qualche anno   iscritta al classico.

Un giorno viene convocato dal preside del figlio perchè sembrerebbe che  Andrea  abbia rubato dalla stanza dei fossili un pezzo di sasso pregiato, accusato da un compagno che lo denuncia. Il padre cerca di capire se è vero, se è possibile che suo figlio, intelligente e benestante quanto basta, si fosse ridotto a rubare un pezzo di sasso dall’aula di scienze.  Si fa l’idea che  deve essere tutto uno sbaglio, come lo stesso figlio sostiene, cioè d’essere vittima di un dispetto.

Lo stesso figlio che di fronte al padre nega d’avere fatto una  simile cretinata, riesce a confidarsi con la madre, ammettendo d’aderlo fatto, sì, ma solo per gioco, e poi avrebbero voluto riposizionarlo là da dove l’avevano preso, ma nel frattempo s’era rotto, facendo una misera fine…

Insomma, è solo per fare capire che tutti i ragazzi del mondo dopotutto sono solo dei ragazzi, può starci qualche cavolata, che sono cazzate che poi nemmeno ci si ricorda più d’averle fatte.

La vita procede ordinaria, tra  scorribande in auto dove emerge un quadro familiare tranquillo e affettuoso,  ed episodi di vita quotidiana dove si comprende che nulla potrebbe guastare questa armonia e questo idillio  casalingo.

Nulla, tranne l’imponderabile, quando durante un’immersione subacquea il povero Andrea si trova senza ossigeno e commette un’imprudenza che gli causa il decesso per embolia fulminante.

Ecco  che in un solo istante la vita di tre persone serene e felici viene stravolta e irrimediabilmente modificata. Altro che sasso rotto e sospensione di una settimana dalla scuola. Andrea  è finito solo e senza possibilità di chiedere aiuto dentro una bolla d’acqua marina che non ha avuto nessuna considerazione della sua vita  e della sua voglia di vivere. Perchè Andrea   era giovane, aveva tutta la vita davanti, era bello, dolce, solare, speciale, come tutti i figli lo sono per i loro genitori. Ma Andreao lo era per davvero, anche quando giocava a tennis senza convinzione e senza la voglia di vincere, anche quando giocava con la sorella a prendersi in giro come si fa tra fratelli, anche quando andava a correre con il padre sentendosi un poco il figlio che doveva ancora crescere e farsi uomo…

La vita di ora  diventa un ricordo ossessivo del figlio scomparso. La stanza del figlio diventa il luogo in cui la madre si reca alla ricerca del suo sorriso, del suo odore, della sua voce; la stanza del figlio diventa il luogo che Matteo aveva più a lungo vissuto e fatto proprio, prima della sua sparizione.

Ma dove finisce un figlio quando muore? Dove  finisce un  figlio quando ci viene tolto per sempre e senza una ragione accettabile? Questo è il punto. Se solo si potesse pensare che questo nostro ragazzo possa essersi trasferito in un luogo  di pace, dove potere continuare la sua vita anche sotto altre vesti, o altre condizioni,  allora sarebbe più facile accettare che oggi siamo qui tra chi amiamo e domani potremmo  non esserci più.

Ma il padre psicanalista non è credente, non frequenta la chiesa, non crede nella resurrezione, non crede che suo figlio possa avere avuto una seconda occasione o rinascita. Quando si muore si muore e basta. E la morte è così assurda, almeno quanto sono assurde le prediche dei preti che cercano di convincerci  che si muore perchè Dio ha deciso così per noi, dentro un suo disegno che rimane per noi misterioso.

La stanza del figlio oggi è vuota, e basta. E la stanza dello psicanalista invece continua a venire frequentata dai soliti pazienti con le loro solite fobie e con i loro soliti racconti  paranoici, o deviati, o perplessi, o profondi, o inquieti…fino a che tutto questo spettacolo teatrale diventa insostenibile. Questo padre oggi distrutto non è più in grado di continuare a fare questo mestiere, di ascoltare gli altri in maniera professioanle e serena come prima gli riusciva di fare.

Già, un privilegiato, che si può anche permettere di sospendere il lavoro non essendo più in grado di farlo; mentre invece la madre continua a cercare anche in morte segnali di vita del figlio, attraverso le vite dei suoi amici  o amiche  che lo avevano conosciuto  e in qualche modo amato…

Dentro questo strazio che non può lasciarci indifferente emerge l’umanità degli stessi pazienti   che in qualche modo entrano a far parte del dolore di questo terribile incidente familiare. La malattia mostra il suo volto umano e recuperabile, soprattutto la più insidiosa  delle malattie, quella mentale, quella che corrode l’animo di una persona dal di dentro, e non ci sono facili medicine da prescrivere, se non quella assai complessa e delicata della parola.

Le persone si curano e guariscono grazie all’uso della parola. Anche Andrea   viveva felice grazie all’uso della parola; non gli importava di vincere a tennis, o di quel ridicolo sasso che aveva preso solo per gioco, o di mostrare ambizioni ancora troppo da grandi per lui che si sentiva ancora un ragazzo…Gli importava solo di parlare, di farsi capire, di stare anche ad ascoltare magari, come faceva suo padre di mestiere, ascoltare i racconti degli altri.

Ma se questo strazio può accadere dentro un quadro familiare così privilegiato,  cosa potrebbe e cosa non accade dentro realtà affatto fortificate ed organizzate  come questa? Cosa soccorre uomini e donne fragili e senza sostentamento, come  al contrario  tutto sommato  capita di dovere affrontare a Giovanni, Paola e Irene? La morte è una questione democratica? Non è forse una delle cose più democratiche del mondo perchè capita a tutti aldilà del proprio censo o nome o altro?

La morte è la vera  protagonista di questo messaggio; la  morte e le possibili risposte  che ognuno di noi può diventare capace di  elaborare; la sua realtà imprescrutabile ci obbliga a guardarla in volto. E  così una famiglia distrutta  e vacillante sull’orlo di un abisso si ritrova ad accompagnare per gioco una coppia di giovani ragazzi incontrati per caso,  verso il confine con la Francia. Lei è una ex fidanzata di Andrea, non proprio fidanzata, diciamo una che avrebbe potuto diventarlo, se lo sfortunato  non fosse morto all’improvviso.

Un giorno gli scrive una lettera non sapendolo già morto. e la lettera finisce nelle mani della madre, che rimane doppiamente sconvolta.

Arianna, questo è il suo nome, per compassione e generosità  restituisce al padre (e quindi alla madre Paola che rimane sempre nell’ombra con grande  maestria)    tre fotografie  scattate e ricevute  da suo figlio prima di morire: sono le immagini di Andrea    nella sua stanza, immagini bizzarre che lo ritraggono felice e sorridente, con tutto il sole negli occhi.

 

Kazuo Ishiguro

Abbiamo ancora nella testa  gli echi dei commenti che sono seguiti alla precedente  assegnazione del premio Nobel per la letteratura, consegnato al criticatisimo    Bob Dylan,  che già siamo arrivati al nuovo insigne e sempre inatteso premio nobel letterario, destinato   questa volta   dalla  onorevole  giuria a   Kazuo Ishiguro, autorevole   ma non troppo noto  scrittore di  best seller  come    “Quel che resta del giorno”  e  “Non lasciarmi”, testi che hanno ispirato altrettanto   autorevoli   film d’autore.

Che altro commentare?  Lui si è subito qualificato per ciò che si sente, o per ciò che lui stesso sente percepire del mondo che lo circonda; detto  in altre parole ha pensato fosse uno scherzo, non ritenendolo possibile…., e invece è tutto vero.

Resosi conto  della verità,  allora ha subito dedicato questo suo premio alla speranza della pace nel mondo, detto non in un senso di vuota retorica ma in un senso di reale incarnazione di quello che  potrebbe essere definito un vivere democratico e pacifico.

E’ bello  vedere che  la nostra terribile e macilenta  società in qualche modo ed ogni tanto si rende capace di  fare meravigliosi  regali  a qualche nostro simile  che  si scopre  riconosciuto e  gratificato,  magari in momenti  in cui  tutto avrebbe pensato di se stesso o degli altri, ma non di svegliarsi  in una fantastica giornata :-))))

Bravo   il nostro Kazuo Ishiguro!!!