
Il mio esame di maturità è stato negli anni in cui non si poteva ancora dire ad un professore quello che pensavi apertamente, senza rischiare di venire per questo penalizzato.
Giovanissima, ingenua, inesperta, forte soltanto della mia serietà, del mio impegno nello studio, del mio amore autentico per il sapere.
A scuola ci avrei voluto portare volentieri il letto, forse perché a casa non avevo nessuno con cui scambiare discorsi come invece mi risultava più facile stando tra i compagni.
Gli anni del magistrale sono stati i più belli della mia esistenza trascorsa; guardavo il mondo e le cose come se non mi dovessero mai riguardare; la mia curiosità intellettuale e non solo, era pura, si rivolgeva a tutti gli aspetti della vita, che io consideravo come una cosa che un giorno mi sarebbe appartenuta, il giorno che finalmente qualcosa mi avrebbe fatto sentire libera di scegliere. Protagonista di me stessa e degli altri.
La scuola che io stavo per abbandonare, senza che me ne rendessi veramente conto, era stata tutto il mio mondo e tale sarebbe rimasta. Diligente, tranquilla, carina, capace e piena di talento, con tutto il futuro davanti, eppure qualcosa non girava, non ha mai girato per molto tempo.
Succede. Nessuno di noi sceglie chi essere, ma solo di essere. Ed io stavo zitta e buona nell’attesa di sentire la mia campana suonare solo per me, tutta per me…
La notte prima della fatidica prova ricordo d’avere dormito sonni relativamente sereni; avevo scelto Pirandello ed il tema della follia e della maschera.
Il mio esame è stato brillante, ma siccome avevo detto al commissario interno che ero intenzionata a proseguire gli studi, non mi favorirono in modo particolare con il voto; solo un cinquanta, che però non fu da intendersi come riduttivo. Nella mia classe concessero solo un 52 ed un 54 prima di me, e non ho mai studiato per il voto, anche se a dire il vero è questo ridicolo numero che spesso ci porta avanti…
Non mi sono dovuta impasticcare, allora non si usava, nessuno ci avrebbe provato, ma se anche l’avessi potuto, non mi sarebbe mai passato per il cervello; solo litri di caffè, magari, per quelli più esagitati, che poi avevano anch’essi il rovescio della medaglia. Le cose o le sapevi o le tiravi a caso o facevi scena muta; le sapevi o perchè ti eri ben preparato o perchè ti chiedevano la sola cosa su cui avevi buttato l’occhio negli ultimi trenta giorni di studio (cioè ti andava di culo).
Di tutto quello che è accaduto poi, o meglio, non è mai successo, Io sono e mi dichiaro colpevole; una colpevole senza colpa, ma pur sempre colpevole.
Non ho vissuto e sono rimasta a guardar vivere; non ho reclamato mai, non ho mai alzato la mano per chiedere spiegazioni, sempre attendendo pazientemente l’arrivo della mia occasione. Del resto non facciamo forse così quando andiamo dal medico e ci sono dieci persone prima di noi? No, l’esempio non è abbastanza calzante, perché dopotutto dieci persone vengono servite in un tempo relativamente breve, mentre io ho dovuto rimanere nel luogo del nulla per un tempo che non può essere definito ragionevole.
Forse questo secondo esempio può rendere meglio l’idea: come quando prenotiamo un biglietto che troviamo esaurito, e quindi possiamo solo sperare nella disponibilità improvvisa dell’ultima ora…Non c’è certezza che questo possa accadere.
Un giorno ho rischiato di morire, soffocata dal dolore, perché la mia attesa è stata veramente troppo lunga….
Mi dichiaro di nuovo al mondo colpevole; ho permesso quello che non avrei mai dovuto permettere ma che non ho potuto evitare.
C’è di bello che Ora di certo il mio mondo è cambiato.
E se è cambiato il mio mondo, cambierà anche il vostro, il nostro, il loro…
Abbiamo amici, occasione di sorridere e rallegrarci.
Perchè nulla è accaduto invano.
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