E’ una bella iniziativa che ci mostra una delle tante possibilità di recupero dei carcerati.
Per carità, magari non è perfetta, non è esente da rischi, però sembra che il positivo sia superiore al negativo, sempre che si voglia essere ipercritici.
E’ una bella iniziativa che ci mostra una delle tante possibilità di recupero dei carcerati.
Per carità, magari non è perfetta, non è esente da rischi, però sembra che il positivo sia superiore al negativo, sempre che si voglia essere ipercritici.
La stanza del figlio è la riflessione di un regista e di un intelletuale sul tema della morte. Non una morte qualunque, ma la più terribile che possa capitare ad un padre, ossia la morte del proprio figlio.
Nanni Moretti sceglie uno scenario familiare d’elite, come credo sia nel suo stile; tanto di sinistra, almeno nelle parole, quanto ricercatore di un’espressione di vita medio alta borghese, dove non esistono problemi economici, conflitti sociali, scontri di piazza ecc…
Mi sto limitando all’analisi di questo film, non degli altri che devo ancora visualizzare; quindi potrebbe essere che la visione di altre pellicole mi farà ricredere su certi aspetti; lo metto obbligatoriamente per inciso.
Come dicevo, il padre è uno psicanalista, ha una bellissima moglie che è il ritratto della madre perfetta, ha un meraviglioso figlio che sta frequentando la scuola superiore, e ha anche una meravigliosa figlia forse più grande di qualche anno iscritta al classico.
Un giorno viene convocato dal preside del figlio perchè sembrerebbe che Andrea abbia rubato dalla stanza dei fossili un pezzo di sasso pregiato, accusato da un compagno che lo denuncia. Il padre cerca di capire se è vero, se è possibile che suo figlio, intelligente e benestante quanto basta, si fosse ridotto a rubare un pezzo di sasso dall’aula di scienze. Si fa l’idea che deve essere tutto uno sbaglio, come lo stesso figlio sostiene, cioè d’essere vittima di un dispetto.
Lo stesso figlio che di fronte al padre nega d’avere fatto una simile cretinata, riesce a confidarsi con la madre, ammettendo d’aderlo fatto, sì, ma solo per gioco, e poi avrebbero voluto riposizionarlo là da dove l’avevano preso, ma nel frattempo s’era rotto, facendo una misera fine…
Insomma, è solo per fare capire che tutti i ragazzi del mondo dopotutto sono solo dei ragazzi, può starci qualche cavolata, che sono cazzate che poi nemmeno ci si ricorda più d’averle fatte.
La vita procede ordinaria, tra scorribande in auto dove emerge un quadro familiare tranquillo e affettuoso, ed episodi di vita quotidiana dove si comprende che nulla potrebbe guastare questa armonia e questo idillio casalingo.
Nulla, tranne l’imponderabile, quando durante un’immersione subacquea il povero Andrea si trova senza ossigeno e commette un’imprudenza che gli causa il decesso per embolia fulminante.
Ecco che in un solo istante la vita di tre persone serene e felici viene stravolta e irrimediabilmente modificata. Altro che sasso rotto e sospensione di una settimana dalla scuola. Andrea è finito solo e senza possibilità di chiedere aiuto dentro una bolla d’acqua marina che non ha avuto nessuna considerazione della sua vita e della sua voglia di vivere. Perchè Andrea era giovane, aveva tutta la vita davanti, era bello, dolce, solare, speciale, come tutti i figli lo sono per i loro genitori. Ma Andreao lo era per davvero, anche quando giocava a tennis senza convinzione e senza la voglia di vincere, anche quando giocava con la sorella a prendersi in giro come si fa tra fratelli, anche quando andava a correre con il padre sentendosi un poco il figlio che doveva ancora crescere e farsi uomo…
La vita di ora diventa un ricordo ossessivo del figlio scomparso. La stanza del figlio diventa il luogo in cui la madre si reca alla ricerca del suo sorriso, del suo odore, della sua voce; la stanza del figlio diventa il luogo che Matteo aveva più a lungo vissuto e fatto proprio, prima della sua sparizione.
Ma dove finisce un figlio quando muore? Dove finisce un figlio quando ci viene tolto per sempre e senza una ragione accettabile? Questo è il punto. Se solo si potesse pensare che questo nostro ragazzo possa essersi trasferito in un luogo di pace, dove potere continuare la sua vita anche sotto altre vesti, o altre condizioni, allora sarebbe più facile accettare che oggi siamo qui tra chi amiamo e domani potremmo non esserci più.
Ma il padre psicanalista non è credente, non frequenta la chiesa, non crede nella resurrezione, non crede che suo figlio possa avere avuto una seconda occasione o rinascita. Quando si muore si muore e basta. E la morte è così assurda, almeno quanto sono assurde le prediche dei preti che cercano di convincerci che si muore perchè Dio ha deciso così per noi, dentro un suo disegno che rimane per noi misterioso.
La stanza del figlio oggi è vuota, e basta. E la stanza dello psicanalista invece continua a venire frequentata dai soliti pazienti con le loro solite fobie e con i loro soliti racconti paranoici, o deviati, o perplessi, o profondi, o inquieti…fino a che tutto questo spettacolo teatrale diventa insostenibile. Questo padre oggi distrutto non è più in grado di continuare a fare questo mestiere, di ascoltare gli altri in maniera professioanle e serena come prima gli riusciva di fare.
Già, un privilegiato, che si può anche permettere di sospendere il lavoro non essendo più in grado di farlo; mentre invece la madre continua a cercare anche in morte segnali di vita del figlio, attraverso le vite dei suoi amici o amiche che lo avevano conosciuto e in qualche modo amato…
Dentro questo strazio che non può lasciarci indifferente emerge l’umanità degli stessi pazienti che in qualche modo entrano a far parte del dolore di questo terribile incidente familiare. La malattia mostra il suo volto umano e recuperabile, soprattutto la più insidiosa delle malattie, quella mentale, quella che corrode l’animo di una persona dal di dentro, e non ci sono facili medicine da prescrivere, se non quella assai complessa e delicata della parola.
Le persone si curano e guariscono grazie all’uso della parola. Anche Andrea viveva felice grazie all’uso della parola; non gli importava di vincere a tennis, o di quel ridicolo sasso che aveva preso solo per gioco, o di mostrare ambizioni ancora troppo da grandi per lui che si sentiva ancora un ragazzo…Gli importava solo di parlare, di farsi capire, di stare anche ad ascoltare magari, come faceva suo padre di mestiere, ascoltare i racconti degli altri.
Ma se questo strazio può accadere dentro un quadro familiare così privilegiato, cosa potrebbe e cosa non accade dentro realtà affatto fortificate ed organizzate come questa? Cosa soccorre uomini e donne fragili e senza sostentamento, come al contrario tutto sommato capita di dovere affrontare a Giovanni, Paola e Irene? La morte è una questione democratica? Non è forse una delle cose più democratiche del mondo perchè capita a tutti aldilà del proprio censo o nome o altro?
La morte è la vera protagonista di questo messaggio; la morte e le possibili risposte che ognuno di noi può diventare capace di elaborare; la sua realtà imprescrutabile ci obbliga a guardarla in volto. E così una famiglia distrutta e vacillante sull’orlo di un abisso si ritrova ad accompagnare per gioco una coppia di giovani ragazzi incontrati per caso, verso il confine con la Francia. Lei è una ex fidanzata di Andrea, non proprio fidanzata, diciamo una che avrebbe potuto diventarlo, se lo sfortunato non fosse morto all’improvviso.
Un giorno gli scrive una lettera non sapendolo già morto. e la lettera finisce nelle mani della madre, che rimane doppiamente sconvolta.
Arianna, questo è il suo nome, per compassione e generosità restituisce al padre (e quindi alla madre Paola che rimane sempre nell’ombra con grande maestria) tre fotografie scattate e ricevute da suo figlio prima di morire: sono le immagini di Andrea nella sua stanza, immagini bizzarre che lo ritraggono felice e sorridente, con tutto il sole negli occhi.
Sveva Modignani e Andrea Vitali sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.
Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due autori nemmeno tanto giovani. E invece sono due belle penne della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera davvero accattivante.
Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.
Chi era Maria di Nazaret?
Ho finito di leggere il libro sulla figura della Madonna così come conosciuta, intesa e amata dal religioso Alberto Maggi. Non aspettatevi un linguaggio da chiesa o da cerimoniale liturgico. Maggi parla del Vangelo come un appassionato di fumetti potrebbe parlare del suo personaggio preferito, cioè con passione e disarmante entusiasmo, senza atteggiamenti distaccati e pomposità cattedratiche.
Dei testi sacri sa tutto, sa molto, sa troppo, forse, ma ce li fa amare come se fosse una nostra assoluta necessità scoprirli e commentarli nella loro essenzialità e funzione.
Il suo linguaggio è così semplice e diretto che incanterebbe anche un passante distratto, o un analfabeta di parole, o un miscredente refrattario di cose della Bibbia.
Il fatto è che Maggi sa che dietro a Maria e alla sua storia sacra c’è null’altro che la grandiosa tragedia/avventura di una donna semplice del popolo che fu interpellata da Dio stesso a diventare niente di meno che la madre di suo figlio.
Maggi sa che Maria ebbe semplicemente il merito ineguagliabile di dire subito di sì alla sua chiamata, una chiamata inspiegabile per non dire assurda e scomoda, a dir poco.
Maggi sa che per quel “sì” detto di slancio e con devozione Maria si mise in un pasticcio senza fine, perchè divenne subito “persona poco raccomandabile” per tutta la sua famiglia, per il suo futuro sposo, e persino per la sua gente, non esclusi sopra a tutti i sapienti sacerdoti del Tempio.
Non solo Maggi sa tutto questo, ma sa anche che in casa di Gesù la sacra famiglia non potè mai essere per nulla nè tranquilla nè benedetta.
I tre membri di questo sovrano e speciale triangolo umano non si comprendevano, si parlavano poco, probabilmente si evitarono anche molto, e diciamocelo chiaramente, ne avevano di ragioni per non capirsi.
Lei era la madre ma di una maternità discussa e chiacchierata; lui era il padre ma di fatto loro sapevano che proprio il genitore non era, e non solo loro lo sapevano…
Lui era il figlio, ma figlio di chi? figlio di un qualcuno che non si sapeva poi di fatto chi fosse, dove stesse, cosa facesse…
Gesù rimane in famiglia per trent’anni, e poi se ne va in giro qui e là a fare le sue prediche, che lo porteranno in breve tempo diritto sulla croce.
Ma come, suo figlio non era forse stato annunciato dall’angelo come lo stesso Messia, il Salvatore? E perchè invece rischiava di finire con la peggiore delle accuse? con il più vergognoso dei riti sacrificali?
Maria le prova tutte con il suo bambino, poi diventato uomo; ci prova coi rimproveri, ci prova con i silenzi, ci prova con le preghiere, ci prova con le minacce, e ci prova con gli atti di forza. Giunti sul punto di rapirlo, lei con l’aiuto dei suoi parenti, affinchè il suo nome e la sua presenza finisse per far danni al buon nome di casa (questo figlio scriteriato che faceva cose come risuscitare i morti proprio nel giorno dedicato al riposo, che parlava con le prostitute, che andava in casa dei pubblicani, che pretendeva di rimettere i peccati, che andava in giro a mettere i figli contro i padri e che chissà cosa ancora avrebbe potuto combinare…).., Maria sente Gesù, che avvisato della presenza dei suoi familiari che chiedevano di lui, così risponde: ” Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? Chiunque compie la volontà di Dio, questo è mio fratello, e mia sorella, e mia madre”.
Come a dire: “Io non ho madre, o padre, o fratello, o sorella…se non chiunque mi segue ascoltando le mie parole”
E allora Maria improvvisamente si ricorda, si rivede, si risente, lei davanti all’Angelo della buona novella, lei davanti alla rivelazione del suo compito assurdo ma accettato di slancio. Allora, ignara di tutto, fu pronta a dire di sì.
Adesso, non più ignara di tutto, si sente ancora pronta a dire di sì. Dire di nuovo di sì, non più all’angelo celeste, ma a suo stesso figlio da lei stessa partorito e verso il quale è lei stessa ora come una bambina appena nata.
Solo la Madonna capisce che occorre fidarsi, che Gesù non è pazzo, nè bestemmiatore, nè bugiardo, come tutti dicono, come tutti temono. Gesù è semplicemente se stesso, e sta facendo le cose del Padre suo, anche se i sacerdoti gli danno contro, lo accusano di bestemmiare, lo accusano di essere posseduto dai demoni…
Dopo una vita di silenzi e di incomprensioni, la madre è pronta ad accompagnare il figlio sul Golgota, perchè di abbandonare Gesù proprio ora che è rimasto solo non se ne parla in assoluto.
Nel momento della croce solo Maria e l’altra povera donna Maddalena stanno sotto di lui a piangere le loro lacrime. I discepoli sono tutti scappati, dalla paura di fare la stessa fine.
No, ecco, è rimasto Giovanni, il più giovane, il più forte, il più onesto. Il più sognatore.
Anche i miracolati non ci stanno sotto la croce, forse ignari di questo strazio, o forse chissà per quale ragione lontani e loro stessi beati inconsapevoli.
Maria invece pronta, accompagna Gesù che griderà prima di morire tutto il suo dolore di uomo e di figlio.
Maria invece certa, è pronta dopo i tre giorni dalla deposizione, a credere che suo figlio morto e defunto non è più tale, ma è già tra i vivi resuscitati a nuova vita.
Maria non ha bisogno di avere prove di questo, come Tommaso o come Pietro o come altri…
Maria crede, crede sempre, crede al suo cuore, crede al suo sogno di vita vera.
Questo era Maria.
la casa dell’orrore
un sedicenne decide di ammazzarli, sterminarli, assoldando un amico di 17 anni che fa il lavoro sporco con un’ascia, per 80 euro…
Fatto il tutto, lasciano i due cadaveri dentro dei sacchi della spazzatura, anche per non dovere vedere i loro volti sfracellati, e se ne vanno a casa dell’amico a giocare alla play station.
Mi sembra tutto regolare, non è certo la prima volta che adolescenti o giovani decidono di eliminare le persone a loro più vicine e generatori della loro stessa vita, solo perchè secondo loro sarebbero responsabili delle loro insoddisfazioni esistenziali…
Che cosa non funziona nella società che deve assistere impotente a questi atti di cronaca?
Da riflettere…sembra che il ragazzo soffrisse di disturbi adolescenziali, ed il paese intervistato è rimasto senza parole, definendo il giovane una persona assolutamente educato e nella norma. E’ sempre così. Nessuno porta mai scritto in fronte quello che un giorno deciderà di andare a fare…
La ricerca di Yann Arthus Bertrand
perchè si può e si deve essere cinici, severi, critici, taglienti, obiettivi, razionalisti, storici, e tutto quello che si vuole, ma alla fine è solo quello che sentiremo primordiale dentro di noi che farà di noi noi stessi.
Per lui c’era prima la persona e poi la malattia. Perchè siamo un tutt’uno.
Laico, coraggioso, rivoluzionario, sensibile, intelligente, ricercatore, affascinante, innamorato della vita, idealista… guaritore della più terribile malattia…
Incontro attesissimo e felice tra la più alta religione non monoteistica e il nostro mondo cattolico.
Giovani e meno giovani, persone famose e qualunque, tutti sono stati attratti da questa personalità solare, gioiosa, giovane e piena di compassione per l’umanità.
Viva il Dalai Lama!
Ho appena terminato di leggere il libro di Osho intitolato “Amore, libertà e solitudine”.
Ero curiosa di approcciare lo spirito buddhista che è profondamente diverso dal modo di pensare occidentale, anche se ovviamente rimangono dei punti di aggancio tra le due culture.
Mi sembra d’avere capito queste poche cose capitali: noi Occidente abbiamo un approccio materialistico e consumistico della vita, tendiamo per la nostra nevrosi possessiva a ridurre le persone a cose e a considerarle quindi delle proprietà.
Nel nome dell’amore assoluto arriviamo a commettere atti terribili che nulla hanno a che fare con l’amore, perchè la cultura sociale dominante non ci insegna il concetto di rispetto dell’altro, il concetto di meditazione della vita, il concetto di amore come donazione e non come acquisto di qualcosa che può essere anche l’affetto di una persona scambiato per conquista.
Detto materialismo è assolutamente presente anche nella civiltà indù, ma totalmente assente nel pensiero buddista che predica appunto l’ascesi, il distaccarsi dalle cose, il lasciarle fluire verso la loro naturale direzione.
Per Osho i legami matrimoniali non dovrebbero proprio esistere perchè legano dentro un contratto due persone che si promettono amore eterno, senza considerare che l’amore non può essere messo dentro un contratto, in quanto per essenza impalpabile, etereo, non circoscrivibile, libero e mutevole come il vento.
In merito al problema dei figli, Osho sostiene che una società a misura d’uomo si prende cura dei bambini in quanto tali, sapendoli assistere e crescere durante tutte le tappe della vita con qualunque cosa possa accadere ai loro genitori.
Una specie di comunità stile hippy, dove tutto è aperto, tutto è ammesso, se per tutto si intende che le persone non si devono sentire in nessuna maniera obbligate a fingere quello che non pensano e non provano più.
Sul piano della natura, critica il vivere dentro città super popolate dove si è in tanti ma tutti condannati all’isolamento; condanna anche le piccole comunità dove vige la regola della castrazione, del doversi auto-controllare, auto-reprimere. Distingue l’isolamento (pessimo) dalla solitudine ( utile e buona) perchè sapere stare da soli con se stessi è una vera virtù, è una cosa bella e preziosa, da non vedersi come asocialità.
Sul piano dello Stato condanna ogni forma di politica, compresa quella gerarchica della Chiesa e dei suoi preti, perchè intesi come strutture padrone e prevaricatrici che avrebbero la pretesa di dirci cosa fare, chi essere, come pensare…
Sul piano della Scienza condanna ogni forma di ricerca futile ed assurda, come l’andare su Marte a discapito della distruzione dell’ozono e quindi a discapito della salute della Terra destinata di questo passo all’implosione e al surriscaldamento.
Sul piano della fede condanna ogni forma di credo disciplinato dentro una Chiesa, nessuna esclusa, perchè dette chiese avrebbero tradito il vero mandato spirituale di Gesù e di Maometto, che era ed è un messaggio di amore puro.
Sul piano del lavoro, non comprende gli uomini che si dedicano anima e corpo alla carriera sacrificando ad essa tutto di se stessi, fino a diventare dei robot, assenti ai veri bisogni e ai loro cari.
Sul piano dell’economia la circolazione del denaro dovrebbe sparire e dovrebbe subentrare l’uso del baratto.
Che dire. In linea di massima come si può essere contrari a queste belle considerazioni?
Peccato che non sono attuabili, non su scala mondiale, ma il tutto si può ridurre alla scelta di singoli uomini che scelgono per sè il cammino iniziatico del diventare un Budda; peccato che il mondo rimane legato alle sue Nazioni ed ai suoi Nazionalismi, al potere del denaro che è l’unico che non subisce mai crolli.
Comunque è utile leggere di pensieri così liberi e sganciati dalla nostra pesantissima struttura storica, fatta sempre di cause ed effetti, di obblighi e rispetto delle leggi, comprese quelle ingiuste.
Ma ecco che arrivo da dove ero partita: per Osho non è che Dio è amore, ma è ovviamente l’amore stesso ad essere Dio.
Lui dice che c’è una sostanziale differenza. Se si parte da Dio mettiamo Dio fuori di noi, e Dio ci dominerà; se si parte invece dall’amore, mettiamo l’amore davanti a tutto e quindi Dio stesso in noi, noi stessi diventiamo Dio grazie all’amore che è in noi e fuori di noi.
Personalmente concluderei così: ognuno faccia come meglio crede, l’amore è sempre buono se è sganciato dall’idea di possesso. Certo che essendo e sentendomi figlia della mia cultura, della mia cultura accetto l’idea di un Dio che sta fuori di me e che non percepisco come il mio Padrone, ma come il mio Custode.
Del resto, so anche che Dio sta dentro di me, e non può stare solo fuori, e quindi io stessa sono Dio nel senso che partecipo della sua bellezza e forza. Senza questo Dio esterno, secondo me si rischia di perdere di vista la trascendenza, riducendola ad estasi, ad ascesi, ad esperienza mistica umana, temporanea e fine a se stessa.
Non per nulla il buddismo prevede la reincarnazione, il ciclo metempsicotico della vita.
Con un Dio esterno si parla invece di resurrezione, di un ciclo che inizia, si evolve e si compie. Ognuno scelga quello che sente più proprio.
Sono già iniziate da qualche giorno, ma sinceramente non mi sono sembrate l’evento prioritario.
Però è bello potere parlare ogni tanto di cose positive, ed i giochi olimpici, doping permettendo, sono senza dubbio un evento che ancora ci conquista.
Tante medaglie all’Italia, naturalmente!!!
Musulmano che prega davanti alla Chiesa dove l’anziano prete cattolico di Rouen è stato sgozzato.
negati i funerali ai terroristi
Meravigliose donne di ieri, di oggi, di domani…
Nella riforma della scuola si parla di retroazioni virtuose per cui si intende che il docente dovrebbe diventare il primo e assoluto coach di se stesso, del proprio lavoro, del proprio agire didattico.
L’ultimo ma non meno importante compito dell’insegnante è quello di valutare. Per potere certificare correttamente un percorso formativo occorre ovviamente avere osservato, avere registrato, avere programmato secondo uno stile meticoloso che prevede per ogni ambito il quando valutare, il cosa valutare e il come valutare.
Buon Natale, a tutti, ovunque, nel cuore.
Notizia che non può passare sotto silenzio.
E’ il primo vescovo e oltretutto teologo che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.
Di sentirsi cioè parte della Chiesa.
Immediata la risposta del Vaticano che lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.
Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.
E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.
E questo è un altro spinosissimo capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità? e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo che decisamente complica enormemente la questione.
Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”, ci mette un poco più in difficoltà.
Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.
Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora il giudizio non può che diventare irremovibile.
Di sicuro diventa più complesso.
Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua in parte felice omosessualità? Lo stravolgimento che gli cadrà addosso lo porterà verso quale via di risoluzione? E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.
Io credo che non c’è molto di scandaloso in un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…
Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…
Di fronte invece a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo, piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo per riflettere. E vorrei che ogni vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.
Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa. Aiuterebbero il sommo Vescovo a cercare e trovare risposte difficili alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione spirituale nel mondo temporale.
Non so se sono riuscita a farmi capire.
Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato in tutte le sue più importanti componenti ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.
Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.
La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.
Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza; è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere. Siamo sempre noi a dovere possedere loro. Possedere nel senso di governarle, ma anche nel senso di lasciarsene governare.
Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte), è il progetto che in quanto uomo come tutti noi lo obbliga a delle scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.
Ritorneremo sul tema con calma.
Ciò che contava per Sandra erano i soldi. Sui soldi misurava tutto, calcolava tutto, persino decideva cosa dire, come pensare, come fingere.
Non ricordavo d’avere conosciuto qualcuno più falso e pronto a cambiare la maschera come lei.
Potevi per esempio esserti prodigato in ogni genere di gentilezza durante la giornata, e non avere ovviamente mai mancatole di rispetto, insomma, nonostante il tuo essere potremmo dire una brava persona, che lei in caso di attacco egopatico improvviso, non avrebbe esitato a prenderti spudoratamente in giro.
Faccio un esempio concreto, per fare meglio capire.
Si sa che sul conto corrente bancario possono versare e tanto meno prelevare solamente chi è depositario di firma.
Ebbene, tu sei quindi dovuta andare con lei a versare il solito assegno che poi è un importo interessato non esclusivamente alla sua persona.
Davanti al commesso che sta svolgendo in silenzio l’operazione, lei si mette a recitare dicendo “Potevi venire tu a fare il versamento che intanto è la stessa cosa” e naturalmente l’impiegato replica, non potendo tacere “No signora, bisogna essere depositari della firma”, e subito Sandra sfoggiando un sorriso di chi la sa lunga replica “Lo so, lo so, (è solo per prendere in giro questa cretina che l’ho detto)”…, mentre la cretina sta lì in piedi accanto a lei, e assiste alla scena, e non replica nulla se non parole di una straordinaria educazione.
Questa è Sandra. Una persona che l’educazione non sa dove sta di casa, non perchè non l’abbia ricevuta, ma perchè non l’ha voluta amare.
Non importa che ne abbia viste tante nella vita, o che abbia ormai seppellito tutti i suoi compagni di viaggio, o che sia stata baciata dalla fortuna non essendo afflitta, alla sua veneranda età (circa novant’anni) da nessuna grave malattia.
Non importa che si sia appena fatta quindici giorni quasi, di assoluto relax, potremmo dire servita e riverita e con poche spese, e poi tutto organizzato a sua insaputa, come un imprevedibile regalo che potremmo definire davvero straordinario ed imperdibile, per come la vedrebbe una persona capace di relazioni affettuose.
Non importa che tu possa essere stata collaborativa, persino amorevole in certe espressioni spontanee, di quelle che non riusciamo a controllare perchè ci nascono direttamente dall’inconscio e non dal ragionamento.
Non importa che tu abbia voluto scuoterla, incoraggiarla a cambiare, a vedere le cose da un punto di vista diverso, abbia voluto esserle in qualche maniera amica; lei ti lascia parlare e poi attacca il suo ritornello, sempre quello, che tu sei certa che lei non ti abbia nemmeno ascoltato.
E non conta nemmeno che lei sia anziana, e quindi scusabile, diremmo “da comprendere”, perchè a cinquant’anni era anche molto peggio, molto molto oltre ogni possibile capacità di dialogo.
Il punto è che Sandra è un regina che vive volontariamente seppellita nel suo passato e non vorrebbe permettere a chi dice di lei di contraddirla. Ormai viene assalita dai fantasmi, che la visitano nelle lunghe ore notturne. Le piace rimescolare le carte e come una vera strega (non posso dire stregone) aspetta di potere intrappolarti nella sua rete e di tirarti a terra, senza che neanche tu te ne possa rendere conto, perchè Sandra non ha età, è un folletto, un maghetto, uno spiritello, e tu davanti ai suoi occhi sei soltanto una formica che indaffarata nemmeno si renderebbe conto della terribile trappola mortale travestita da zucchero filante.
E comunque lo farebbe con garbo, quasi dopo averti ammaliato con le sue storie, con le sue fantasie, che anche quelle, in parte nascono dal volere sempre essere solo lei il centro della scena.
Una scena senza spettatori, perchè il teatro è deserto, se ne sono andati tutti, ma Sandra l’immortale e la faraonica non se ne importa.
E’ di questi giorni la storica apertura degli Stati Uniti al pensiero gender.
E’ solo questione di tempo e tutto il mondo occidentale accetterà di fatto una idea nuova di famiglia, di figli, di paternità e di maternità. Ossia di società. Ossia di economia (perchè dove si parla di diritti si parla anche di soldi). Ossia di antropologia.
Davanti alla storia che chiede cambiamenti il pensiero dei singoli ha poca rilevanza, ed i singoli sono chiamati ad adeguarsi a quello che sembra una volontà ferrea di una intera società in mutazione.
Solo il tempo racconterà le implicazioni, le novità, le complicazioni, le difficoltà e gli errori che ogni Cambiamento significativo porta con sè, un cambiamento che oggi non è più possibile fermare, credo non sia più nemmeno corretto ostacolare.
Ma allora come si può conciliare tutto questo con quello che sembra presentarsi e rimanere come un essere fuori tempo, fuori moda, fuori tutto?
Personalmente continuo a credere che la famiglia normale debba essere costituita da un padre, una madre e via discorrendo; come anche credo che anche le famiglie non normali debbano avere i loro diritti garantiti, nel nome di un amore che si vuole dichiarare senza sesso e dunque senza imposizioni di sorta.
A causa di questa uguaglianza di diritti da tutelarsi, le famiglie non possono essere classificate però (come io non riesco a fare e credo non ci riuscirò mai, essendo questo un mio limite) tra l’essere nella norma e l’esser fuori della norma, e dunque la società e le leggi procederanno affinchè questa distinzione di parte che viene tacciata di omofobia, non possa avere la meglio e causare discrimini, come è sempre accaduto nel passato.
Nelle scuole si insegnerà per decreto, ossia per programma ministeriale, il pensiero gender e ci saranno notevoli conseguenze e modifiche nell’educazione e nello sviluppo della pedagogia condivisa, da come è stata ad oggi intesa e progettata.
Questo comporterà tutto un ciclo di formazione rivolta ai docenti ed in parte anche alle famiglie che dovranno prepararsi a questa importante esigenza collettiva.
Non solo, questo mutamento comporterà decine e decine d’anni di assestamento, durante i quali accadranno cose nuove e non prevedibili, ovviamente del tutto legittime.
Coloro che si rifiuteranno di accettare questa presunta ideologia, dovranno in qualche modo adattarsi pena il loro allontanamento dalla scuola pubblica, oppure in alternativa rifugiarsi nelle scuole private e cosiddette confessionali.
Di sicuro si va anche ad ingrandire il gap che già esiste tra la laicissima cultura occidentale e la lontanissima cultura orientale araba, che rimane nelle sue maglie più incontrollate ed oscure profondamente teocratica, e visto il già dilagante terrorismo islamico, i folli della jiadh aggiungeranno anche questo tassello alla loro violenza (è il normale prezzo richiesto a chi si ritiene essere avanti nello sviluppo e nel progresso).
Per concludere, credo che ogni paese dovrebbe proporre un referendum al suo popolo, chiamato a rispondere nelle urne con un parere favorevole o sfavorevole.
Favorevole non all’amore libero (retaggio degli anni della contestazione) ma alla parità di genere (sostanza del mondo che si è totalmente emancipato dalla tradizione, dalla storia, dalla letteratura religiosa e da un certo modo di intendere la ragione).
Solo questo referendum giustificherebbe e permetterebbe agli occhi di tutti l’accettazione e l’effettivo normamento di questa nuova prassi familiare. Così come si fece per il divorzio e per l’aborto (ma con la differenza che l’aborto ed il divorzio non si chiedeva di imporli ma solo di legittimarli).
Potrebbe sembrare un passaggio forzato o discriminatorio, ma visto che la materia è imponente e profonda, quale procedura migliore di detto trasparente e democratico agire politico?
Visto che la verità sulla questione non può essere dettata con leggerezza nè da una minoranza che si vorrebbe imporre, nè da una presunta e forse non esistente maggioranza che chiederebbe l’immobilismo di fatto, che referendum sia.
L’anno internazionale della luce così nominato dall’Unesco
dove tutto è luce, lo è la fibra ottica, lo è il giorno, lo è la notte, lo è la vita….
Loro sono i terroristi di Boko haram che significa “L’educazione occidentale è peccato”
Anche per loro il mondo libero dovrebbe potere fare qualcosa, se vuole salvare se stesso.
#salviamolebambinedibokoharam
Mi rivolgo ai terroristi:
“Non vincerete mai”
Un grande e composto spettacolo, come mai si era mai visto, come mai si era mai sentito.
Maria e Mario
La Maria di cui parlo è Maria Montessori; Mario sarebbe suo figlio, che la nostra più importante pedagogista di fama mondiale è costretta a partorire nel segreto per evitare scandali (non essendo sposata) e per evitare di rischiare di perdere il diritto a continuare a vedere la sua creatura (in un tempo in cui l’essere donna non era protetto da nessuna legge)
Leggi ferree ed ipocrite severissime, che probabilmente hanno portato il mondo oggi ad essere quasi l’opposto di quello che era allora.
La fiction su questa drammatica e sfortunata vicenda personale probabilmente ci dà degli spunti romanzati, che possono lasciare il tempo che trovano.
Non è la vicenda romanzata che mi interessa riflettere.
Almeno tre cose emergono chiare dalla vicenda storica (e dunque non romanzata):
1. la complessa personalità della Montessori, una mescolanza di coraggio e di incoscienza, di saggezza e di slancio pressochè infantile, di ambizione e di dedizione al sacrificio, di ferma determinazione e di capacità di analisi obiettiva, che ce la consegnano in tutta la sua normalità e vicinanza
2. il suo essere nata in un tempo storico dove i bambini orfani venivano destinati al manicomio, ad essere etichettati come bambini con problemi mentali, solo perchè di loro nessuno se ne voleva occupare e se ne era mai preso il carico, non in maniera scientifica, non in maniera politica e non in maniera umanitaria
3. il suo incrociarsi con persone autorevoli che a lei diedero tanto il peggio di sè come anche grandi occasioni di sviluppo e di insperata provvidenziale salvezza
Ecco, volevo solo concludere con il giudizio finale: semplicemente un esempio di insegnante e di madre ok.
Io la trovo una donna straordinariamente moderna, giovane, vitale, incoraggiante, e non mi stancherò mai di ripeterlo.
Conoscere, scoprire, scrivere, rinascere
Ad auspicio di un mondo più coerente, dove l’onestà possa avere la meglio sulla furbizia e dove buoni segnali di ripresa ci aiutino a non vomitare tutta la rabbia che ci teniamo dentro, compresa una certa vergogna d’essere quello che siamo diventati, come sistema paese
che fa la differenza
I 2 CAVALLI
Due cavalli tiravano ognuno il proprio carro.
Certo, valutare un cavallo non è difficile; valutare un uomo è un poco più complicato…
ciao Mandela
Siamo anche quello che mangiamo
https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=HC2uJe2eDvQ
La vita è tutta da considerare
…anche quando è diversa,
anche quando è lontana,
anche quando è difficile,
anche quando è sconosciuta,
soprattutto quando è offesa.
Noi siamo quello che leggiamo
quello che scriviamo,
quello che facciamo,
quello che pensiamo,
quello che progettiamo,
ma tutto nasce da quello che sentiamo
e dalla nostra piccola fortuna
di incontrare
brave persone
e il nostro momento.
Articolo suggerito da I discutibili
IL PROCESSO
Un processo comporta grandi energie, sia di soldi che di tempo che di competenze.
Per non parlare delle motivazioni che ti devono portare a sostenerlo.
Esistono grandi varietà di cause processuali; le più ordinarie sono i divorzi, le separazioni coniugali; le più banali le liti tra vicini di casa o le liti condominiali; le più terribili e direi di triste attualità sono i cosiddetti femminicidi.
Le più scandalose e detestabiili quelle accadute contro gli infanti.
Io non voglio puntare l’occhio su nessuna di queste tipologie alcune delle quali interessanti e meritevoli.
A me interessano per ora le cause di lavoro; che ne so: un licenziamento senza giustificata causa; il datore che si comporta in maniera scorretta (abuso di potere) con il genere femminile delle sue dipendenti; lavoratori assunti con contratti fantoccio o da strozzini; gente qualificata e meritocratica che finisce per fare mansioni sottopagate e non pertinenti; e ancora: cervelli che fuggono all’estero perchè in Italia il lavoro ormai sembra essere scomparso; giovani e nuove generazioni che non sanno nemmeno dove comincia la cultura del lavoro, ma non per colpa loro; malati che tali rimangono o che tali diventano o che tali non riescono a sopravvivere per avere subito una situazione di cattiva sanità; situazioni paradossali di vera e propria persecuzione verso un singolo che diventa oggetto di mobbing e di vessazioni insostenibili…
Il lavoro e la sua etica, non che le sue possibilità di sviluppo, mi affascinano; il tempo moderno e contemporaneo, se da un lato sta attraversando una penosissima crisi occupazionale, ci ha anche liberati dalla schiavitù della fatica che i nostri nonni e in parte anche i nostri padri hanno fatto in tempo a conoscere, di quel passato dovere ridursi a bestie per potere portare a casa il quasi necessario per vivere…
Tra un giovane di oggi che per assumersi la responsabilità del proprio futuro deve prima decidere se è disposto a lavorare anche d’agosto, e mio nonno che non si faceva domande perchè alle cinque del mattino doveva andare in stalla (ad avercela la stalla) per finire alle sei della sera talmente stracco e marcio di fatica da non avere più la voglia di fare altro…, preferisco i nostri giovani che non hanno ancora deciso cosa faranno da grandi.
Ovviamente provo un profondo senso di rispetto e di considerazione e di riconoscenza verso questi nostri predecessori di ieri che hanno davvero costruito, loro, il nostro presente e quel poco che ancora sopravviverà.
E non per molto.
Amo talmente tanto l’idea ed il fatto di avere un’occupazione e di avere la mia autonomia, che quando mi sono trovato a dovere difendermi da una causa assai incresciosa, non l’ho fatto per averci un guadagno, non l’ho fatto per vendicarmi di chi mi aveva procurato un torto imperdonabile, ma l’ho fatto perchè offendendo me avevano offeso il mondo intero che avrebbe potuto essere casualmente lì al mio posto; per esepio mio figlio, se avesse potuto trovarsi nella mia stessa condizione ; o mia moglie , se avessi potuto immaginarla nei miei panni; oppure mio padre, che invece mai avrebbe saputo immaginare nulla di simile.
L’idea di fare un processo, di aprire una causa, di sporgere denuncia, per la verità non l’ho avuta subito.
All’inizio ero frastornato, pensavo di dovere sopportare e basta, pensavo che le cose si sarebbero messe a posto da sole, pensavo che l’equivoco si sarebbe chiarito, perchè diamine, siamo tra gente civile, tra gente adulta e vaccinata, gente di buonsenso…
Quando ho capito che delle mie considerazioni e che del mio punto di vista e che della “verità dei fatti” non importava un bel fico secco a nessuno, se non al sottoscritto, allora sono partito a razzo come un treno.
Possono recarti qualunque danno, in un posto di lavoro, contro il quale ci si può facilmente difendere, ma non possono farti passare per quello che non sei, senza metterti in una situazione assai pericolosa.
Nel momento in cui il sistema cerca di aggredirti per stritolarti e vedere le tue budella sbattute sul pavimento come fossero quelle di una pecora sgozzata, e tutto tra l’indifferenza generale, allora non è più tempo di tenere le mani in tasca.
Per vincere un processo, forse l’ho già detto da qualche parte in questo blog o altrove, ci vogliono almeno tre cose: la prima è essere dalla parte della ragione ( e scusate se è poco); la seconda è avere un buon avvocato (meglio se un amico, ma di quelli tosti); la terza è avere un’ottima ragione per portarlo a termine (visto che ci potrebbero essere momenti di scoraggiamento da sostenere).
Haime, già mi sento pernacchiare da ogni donde; e allora? tutti i processi storici che hanno mandato assolti per mancanza di prove o per prescrizione dei termini o per altro inghippo burocratico egregi ed eccellenti uomini mafiosi?
La legge non è uguale per tutti e nemmeno i tempi della fortuna, ed anche questo fa parte di questo complesso discorso.
Oggi tocca a me, subire la gogna, ma domani potrà accadere a qualcun’altro. Oggi tocca a un malavitoso gridare vittoria, ma domani questo stesso malavitoso sarà dietro una sbarra le cui chiavi potranno essere gettate in un pozzo profondissimo…
Se io invece vinco, e sono un cittadino qualunque che ha subito un grave torto imperdonabile, con me non vince solo il sig. Pinco Palla, ma l’uomo di strada, vince la speranza, vince la giustizia, vince la gioia di vivere e di urlare al mondo che mai il male potrà strafogarsi per un tempo troppo lungo sul bene.
Con questa semplice vittoria, si potrebbero superare tutte le nostre insensate paure, la nostra timidezza, la nostra latente propensione a prendere le cose con troppa calma ed eccessivo distacco.
Con la mia fortunata vittoria, di fatto ho potuto recuperare le spese del processo e nulla più, ma mi è andata bene comunque, visto che non l’avevo fatto per lucro.
Tutto il resto è stata una impagabile soddisfazione: vedere i tuoi nemici sconfitti al primo round, senza neanche andare in appello, perché loro ci hanno rinunciato ad andarci.
Con grande maestria mi ero procurato il medico legale numero uno, quello che di più qualificati sul territorio nazionale non ce ne possono essere, così che la controparte dovette procurarsene uno che non avrebbe comunque mai potuto competere…
Nemmeno hanno potuto prendersi questa seconda possibilità.
Con la mia vittoria di fatto, tutto il torto subito si è ridimensionato fino a scomparire.
Il tempo è tornato a scorrere libero, senza più tenaglie insostenibili.
Sono lentamente uscito da un tunnel che mi aveva tenuto imprigionato circa quattro anni, e sono stato fortunato che il mio processo è durato solo quattro brevi anni, dal momento che le cause di lavoro hanno un iter velocizzato, mentre quelle altre sai quando iniziano ma non sai quando finiscono.
Dentro questo periodo il giudice assegnatomi ha fatto in tempo ad assentarsi e quindi ad interrompere momentaneamente la causa, per maternità, io ho fatto in tempo a chiedere il trasferimento, voluto e scelto e non certo giammai subito.
E poi sono potute accadere molte altre cose; un corso di formazione per tenere la testa occupata per non impazzire; la nascita di nuovi progetti che cominciano a frullarti in capo e che arrivi a ritenere non più prorogabili, l’inizio e la fine di una assistenza psicologica che ti possa accompagnare nel percorso; e via discorrendo…
Di tutto il periodo processuale ricordo indelebilmente un momento specifico: quando il mio presunto datore di lavoro si è presentato davanti al giudice già alterato di alcool; era stato ben istruito dalla sua parte su quel che dovesse dire e come si dovesse comportare; peccato che però non gli avevano spiegato che non poteva presentarsi con le carte riportanti i capi di accusa stampate nero su bianco ed avute illecitamente dai suoi stessi superiori che evidentemente non avevano ritenuto necessario istruirlo di questa ovvia e palese precauzione…
Il giudice l’ha subito schernito ed apostrofato: “Lei non è ammesso a nessuna testimonianza; firmi e se ne vada”
Povero vecchio rincoglionito; in fabbrica faceva il leone, tra quel branco di porci e di mezze umanità che lo coprivano e lo giustificavano; ma davanti alla severa ed equa legge, si è solo sputtanato nel giro di un secondo e pace all’anima sua, che ancor prima dell’arrivo della sentenza passò a miglior vita.
Io non ce l’avevo a dir la verità con lui; un alcolizzato rimane solo e sempre un alcolizzato; nei posti di lavoro non dovrebbero esistere, come nella vita privata, come alla guida di macchine che sfrecciano sulle strade fuori controllo.
E quando si rendono responsabili di delitti più o meno gravi, c’è solo da pensare che hanno ucciso o leso senza nemmeno rendersene conto.
Io ce l’avevo col numero uno; il machiavellico regista che aveva operato dietro le quinte, con fredda e spietata cavillosità, senza pudore, senza ritegno, senza una nemmeno vaga etica professionale, lui, che tutti noi rappresentava, lui, che veniva pagato profumatamente per svolgere un ruolo che avrebbe degnamente dovuto saper svolgere.
In quanto ai colleghi, ai compagni di lavoro che si erano resi i soli e specifici ed originari artefici del grande pasticcio, verso di loro ho sempre solo provato una grande pena.
La grande sofferenza iniziale, di sentirsi tradito, umiliato e preso di mira proprio da chi meglio dovrebbe saperti rispettare in quanto a te simile, proprio da chi io stesso avevo più volte aiutato e sostenuto, si è trasformata con la vittoria in una glaciale superiorità e distacco.
Il tempo poi mi ha dato pienamente ragione.
“Nel nome della Repubblica Italiana, noi giudici qui riuniti in questo giorno e in questo luogo, così sentenziamo: il dottor Pinco Palla viene riconosciuto nella sua legittima richiesta di risarcimento per il danno subito. Gli siano pagate le spese processuali, gli siano pagati gli oneri a carico della sua difesa, gli sia riconosciuto un danno che può venire quantificato per la seguente cifra. Coloro che hanno causato questi eventi, saranno richiamati da chi di dovere ai relativi provvedimenti disciplinari”
Ed il signor Pinco Palla uscì dalla stanza.
Cercavo un articolo speciale da ribloggare ed ho trovato questa meraviglia!
Ve la regalo… 🙂
Io non mi drogo
perchè faccio fatica a prendere le medicine
figuriamoci le droghe,
perchè sono stata fortunata,
perchè mi voglio bene,
perchè mi piace un cervello attivo e cosciente,
perchè detesto pensare di potere fare cose senza
neanche rendermene conto,
perchè per essere su di giri mi bastano gli amici
veri
e la mia famiglia,
perchè chi lo fa ha solo bisogno di aiuto e deve chiederlo,
perchè metterei in galera quelli che la spacciano,
perchè non vorrei dovere vedere una persona che amo che ne fa uso,
perchè la droga uccide,
perchè la droga fa schifo,
perchè la nostra vita è la cosa più importante,
perchè la droga abbruttisce, imbestialisce, mortifica
la nostra naturale bellezza
e perchè
ci sono altre mille ragioni che tu stesso potresti aggiungere…
Vuoi?
(leggi anche qui)
Per me scrivere è una forma di insegnamento.
Pensiamoci bene; la scuola è un mondo fatto di parole, di relazioni, di scambi, dove la parola scritta gioca un ruolo principe.
Questo segno scritto può diventare qualcosa di più elaborato, di più complesso, di grafico, di uditivo, nel momento in cui si trasforma in un disegno, in una immagine, in un video o in un suono.
Se avessi potuto scegliere chi essere avrei preferito conoscere la musica, diventare compositore, perché il suono è la forma di espressione collettiva più completa e diretta.
In seconda possibilità avrei scelto di coltivare l’immagine, perché attraverso l’occhio dopo l’udito noi possiamo comunicare le emozioni più profonde, comprese quelle che rimangono precluse alla parola.
Mi sono dovuta accontentare di potere approfondire l’uso della parola.
Così che sono solo una persona che cerca di conoscere il linguaggio scritto.
A scuola i nostri alunni li portiamo a visitar mostre, più raramente a sentire concerti (che invece li farebbe impazzire); talvolta ad assistere a spettacoli, soprattutto teatrali, dove regna sovrana la parola parlata, sentita, ascoltata.
Il teatro come ogni forma di spettacolo simile ( vedasi il cinema) è l’incontro della parola scritta con la parola detta.
Fino a che noi le parole le scriviamo, escono dalla nostra testa per finire su un pezzo di qualcosa che le porterà alla visione degli altri.
Uscite dalla nostra mente e volate via leggere come farfalle più o meno saettanti, di queste parole noi non siamo più padroni.
Le abbiamo consegnate al tempo, allo spazio, spesso al vuoto.
A volte invece succede che le parole scritte mettano in movimento qualcosa, per esempio altre parole, altre riflessioni, altre condizioni.
Quando questo accade la nostra parola è diventata mezzo di insegnamento.
Certo, in un mondo dove siamo subissati da molteplici linguaggi, da molteplici contenuti, è quasi pressoché difficile incrociare quelle espressioni verbali che potrebbero tornarci utili e positive.
A volte non si è nemmeno in grado di riconoscerle, tanto si è frastornati da contesti tra i più impensabili e complicati.
Così che ci possono essere parole preziose che lasciamo cadere nel nulla, in quel contenitore grande e grigio, senza forma e senza sostanza che chiamiamo appunto il “vuoto”.
Un insegnante raggiunge il suo successo quando ha l’abilità ma anche la fortuna di fare incrociare le sue parole, ossia la sua presenza, con il proprio interlocutore.
Questo accade non perché si è riusciti ad utilizzare un vocabolario speciale, non perché si è potuto adottare una tecnologia super dotata, ma perché si è riusciti a far congiungere la necessità dell’alunno coinvolto con la sollecitazione/contenuto del docente impegnato.
La partita più importante accade sul piano emotivo, affettivo, relazionale.
In questo preciso momento il maestro e il suo scolaro si trasformano in qualcosa di umanamente diverso; non credo che si tratti di dire che un insegnante è come un padre, un insegnante rimane un professionista, un educatore pagato per un lavoro preciso, una presenza autorevole che l’alunno non può che guardare che con un vago senso di dipendenza.
Ma anche un padre è qualcuno dal cui essere il figlio dipende, solo che la paternità non percepisce nessuno stipendio per esercitarsi.
Per assurdo potremmo aggiungere che un padre è autorizzato a sbagliare, essendo che solo la capacità di un amore assoluto rende capaci di esercitare perfettamente questa funzione ( al cui compito l’atto del generare chiama il padre alle sue responsabilità), mentre un docente che viene pagato per essere tale, in caso di errore sarebbe richiamabile immediatamente ai suoi doveri.
Di una vita generata si diventa responsabili fino alla raggiunta autonomia di colui che si è generato; di una vita educata ci si fa responsabili fino alla effettiva trasmissione di saperi/competenze che ci si è preso l’incarico di insegnare.
Questo in linea di massima.
Mangia prega ama non è la regola da applicarsi nella ricerca della felicità: è la storia di una donna e del suo complicato rapporto con l’eros. Una donna esigente che ama abitare la verità, e dirla sempre, a qualunque prezzo.
Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
Non amo che le rose che non coglietti
There is always something to be thankful for in your life. Being alive is absolutely one of them!
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