
Noi tutti viviamo con delle aspettative.
Abbiamo attese da quello che facciamo per gli altri, da quello che impieghiamo nel nostro lavoro, dagli amici con cui confidiamo le nostre cose più care, dalla persona per la quale ci dichiariamo impegnati, ma ancora, da quello che gli altri dovrebbero fare per noi, per il ruolo che ricoprono, per l’impegno che si sono assunti nei nostri riguardi.
Così che le aspettative o si deludono, o vengono deluse.
Sempre che invece non vengano soddisfatte.
Quando vengono soddisfatte, va tutto bene, quasi non ci accorgiamo del beneficio ricevuto, che viene dato per scontato.
Quando vengono disattese, invece subiamo una mancanza.
Questa mancanza è tanto più grave e infelice, più è seria e a volte gigantesca nella sua portata.
Nascono così le disattenzioni storiche.
La Shoah, è la più nota e sconcertante tragedia nel nostro mondo occidentale.
Potremmo a questa aggiungere una lunga lista di genocidi e squallori mondiali, ma questa è per me il simbolo innominabile che tutte le rappresenta.
Mai essa potrà essere dimenticata e taciuta, perchè è quello che ogni giorno il mondo rischia di potere ripetere, per non dire che di fatto questo si ripete, si è ripetuto e si ripeterà, anche se sotto silenzio.
Dietro, sotto, disperse e frastagliate, impercettibili e quasi invisibili, giacenti nei lembi del tempo e dello spazio ci sono le migliaia di disattenzioni personali e sconosciute.
Esse non sono meno serie e meno importanti di quelle storiche, per chi le ha subite e le sta subendo.
Stanno dentro la sfera privata, ma palpitano di fuoco e di cenere come se fossero vulcani ardenti e crateri pronti ad eruttare.
Le aspettative disattese possono essere eventualmente fatte rivalere sotto un profilo legale, se lo si ritiene necessario.
Anche se l’avventura di un iter legale è oltremodo costosa, faticosa e incerta.
Il più delle volte è meglio lasciar perdere.
Un’aspettativa sfiorita può essere piuttosto e meglio combattuta con un rilancio, con una seconda rinnovata promessa/scommessa di rivincita.
Quando una disattenzione da parte di chi avrebbe dovuto fare nei nostri confronti qualcosa che invece non è stato capace di fare, lascia segni continuativi e circostanziati, non è semplicissimo uscire dallo stato di sfiducia e di disincanto che veniamo a subire.
E’ pur vero che maggiore è l’entità dello scampato pericolo, o del danno superato, e maggiore è la personale motivazione a volere riprendere quel filo che l’imprevisto o l’avverso destino ci hanno fatto ingarbugliare.
Fuori dal garbuglio, dunque.
Fuori dalle pene, dallo sconforto, dai ripensamenti continui.
Il passato accaduto non può essere cancellato, però può essere ripreso, sottolineato, metabolizzato, fatto osservare, fatto comprendere, e infine superato.
Quante fatiche si possono vincere nel giro di un tempo piuttosto breve?
Non molte, se le fatiche sono molto faticose.
Pensare che la fortuna è una ruota che gira e che quello che oggi è toccato a noi di subire, forse domani potrà capitare a chi questo stesso disagio ci ha causato, non è un pensiero poi del tutto ingiusto, anzi, può essere persino terapeutico.
Se la giustizia , si sa, ha tempi molto lunghi e lenti, l’ìmpulso alla ripresa, alla vita, alla gioia, alla propria soddisfazione immediata è assai più veloce e irrefrenabile.
Si abbandonino dunque i cattivi pensieri per andare incontro con rinnovata fiducia a chi e a cosa sappiamo essere i nostri punti saldi di riferimento.
Perché un conto è subire una delusione da chi sappiamo essere per noi insostituibile, e un conto è subirla da chi ci rimane in un certo senso un estraneo o una persona facilmente sostituibile.
Per quanto possa essere grande il dolore o il rischio subito, per quanto possa essere grande l’ingiustizia patita, di fronte ad una eclatante ripresa non bisogna esitare ad abbandonare ogni genere di tristezza.
Quanti uomini e donne subiscono ogni giorno di pari passo oltraggi terribili pagandoli con la vita?
Lo so.
Nella globalizzazione dell’indifferenza, come recentemente è stato definito da Papa Francesco il nostro terribile tempo, è difficile per noi uomini e donne normali, comprendere lo scandalo della morte inutile.
Sì, amici cari, alla fine si tratta di parlare proprio di questo..
Ma la morte può essere utile?
Penso di sì; ci sono morti utili.
Sono morti utili quelli che muoiono senza avere meritato il dono della vita, o che muoiono per salvare la vita di un altro.
Morire solo perché nessuno si ferma a soccorrerci, o solo perché qualcuno commette uno sbaglio, o solo perché qualcuno ci uccide, o solo perché ci troviamo nel posto sbagliato nel momento sbagliato, non è fare una morte utile.
Vorrei che tutti potessimo avere una dipartita comprensibile, accettabile.
Parlare della fine non è essere pessimisti o distruttivi. Ogni fine è l’inizio di qualcosa di nuovo. Ogni inizio è qualcosa che arriverà alla sua fine cioè alla sua evoluzione in qualcos’altro.
Di sicuro non vorrei però essere nei panni di colei o di colui che si rende la causa, anche solo accidentale, della fine di un’altra persona.
E poi, amici cari, occorre fare anche una bella morte (e non solo una bella vita)
Scusate se è poco.
Piango tutte le fini tragiche che non hanno avuto ancora giustizia, di un pianto non effimero ma sincero, vero, sentito, partecipato, ma poi l’istinto della vita, della rinascita, del bello che sta dentro e fuori di noi, mi fa uscire, non so per quale miracolo, dall’incomprensione del dolore senza perchè.
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