Monica Vitti…Ma ndo vai..?

Il mondo ce l’ha invidiata, tutti l’abbiamo conosciuta al cinema, un’enormità di persone l’hanno apprezzata nella sua bellezza, bravura, simpatia, versatilità, eleganza, intelligenza, capacità di far ridere e riflettere. Insomma, aveva tutto, ha avuto tutto, ha dato tutto quello che aveva da dare…tranne quello che ovviamente rimane celato dentro la profondità di ogni essere. E che lasciamo celato, con garbo, nella sua misteriosità

Ciao Monica, oltre l’eternità e questo mondo effimero…

L’arte della felicità

La famiglia Belier

Ecco un film per famiglie che parla il linguaggio dell’adolescenza. Nel vederlo mi sono divertita immensamente, perchè finalmente c’è una bella storia trattata in maniera molto realistica e che convince il pubblico e la critica.

La famiglia Belier è una micro comunità singolare: sono tutti sordomuti ad eccezione di Paula, la figlia, che nasce udente e che scopre di avere una bellissima voce. Lei è una stupenda ragazzona di sedici anni, frequenta la scuola tra cui lezioni di canto con il coro del paese, e durante questi incontri è il suo maestro che  si accorge del suo dono naturale e straordinario.

La incoraggia subito a partecipare ad un provino a Parigi dove potrebbe avere fortuna e cambiare la sua vita, ma Paula ha un grosso problema di intralcio che tiene tutto per sè non volendolo condividere con il mondo. Deve fare capire ai suoi genitori  che  potrebbe lasciarli, per andare a fare una cosa verso la quale i suoi stessi   genitori rimarrebbero esclusi: ossia poterla sentire cantare.

Vivere da persona normale tra diversi  ha reso Paula speciale; lei comunica con entrambi i due mondi, con la stessa naturalezza con cui una persona potrebbe essere sia mancina che destra. No, il paragone non è proprio calzante. Sarebbe come dire che una persona non ha le gambe per camminare ma nello stesso tempo cammina…

Se Paula non fosse Paula,  non potrebbe sapersi mettere nelle condizioni di chi non sente e non saprebbe potersi mettere nelle condizioni  di chi fa della sua voce e della musica una ragione di vita.

Questa ragazza conquista tutti, per la sua naturalezza, perchè non ha grilli in capo, perchè esprime l’amore per la famiglia e nello stesso tempo il desiderio di crescere sapendo diventare autonoma e grande. Ma soprattutto è la famiglia Berler  che conquista lo spettatore. Il regista ci conduce nel misterioso mondo del silenzio, di chi osserva e vive il mondo privo di suoni, e scopriamo persone assolutamente come noi  che anzichè parlare con la voce parlano con il corpo, con i gesti, con il linguaggio delle mani…

La lingua dei segni verrà presto insegnata nelle scuole ai bambini e ragazzi;  è giusto  introdurre da subito la realtà di una minoranza  che per quanto minore vive in mezzo a tutti conducendo vite assolutamente identiche ma con molti problemi in più.

Per la prima volta si è arrivati a pensare che sapere parlare la lingua dei sordi non solo serve ai sordi ma anche agli udenti che dovrebbero provare a mettersi in sienzio andando a scoprire quanto un corpo può rimanere bellissimo anche senza la voce e quanto una voce può rimanere bellissima  anche se non avesse un corpo perfetto.

Non è il caso di Paula che un corpo perfetto ed in crescita ce l’ha; con lei scopriamo il suo primo innamoramento, la sua fatica  di  scoprirsi  e mettersi in gioco,  il suo desiderio  di  tracciare un ponte  che sappia fare incontrare  il mondo dei suoni  emotivi con il mondo  del sentimento muto.

Perchè di questo si tratta: i genitori arrivano a capire il dono di Paula anche senza potere sentire la sua voce incantevole; il padre le si mette accanto con le mani sulle corde della sua gola e percependo l’energia del corpo  che  si mette a vibrare.

Capisce che sua figlia è destinata a diventare cantante, e che sua figlia saprà in qualche modo cantare anche per loro, che non possono sentirla.

E’ una storia paradossale ma affascinante che arriva nei cuori di tutti, anche  (e soprattutto)  di chi non è sordo muto  ma deve combattere tutti i giorni con i figli che crescono e che si trovano ad inciampare nella lotta  che è il dovere di  diventare adulti.

Tutte le famiglie diventano sulla scena la famiglia Belier, perchè tutti i genitori hanno ragazzi con i loro sogni che spesso vanno a scontrarsi con le aspettative dei genitori stessi. Ma devono essere i desideri di ognuno ad avere la meglio.

E’ l’amore che guida tutto, che tutto risolve, ma non un amore da cartolina, da belle immagini e  celebrazioni di scena;  questa famiglia si ama davvero, è straordinariamente unita e nello stesso tempo aperta al mondo e alla società così  diversa da sè stessa.

Quando non ci si  capisce si arriva a litigare, a mettere giù musi,  ad alzare barricate, a passare momenti di sconforto;  ma è la vita normale   che scorre e che chiede di fiorire, semplicemente…

I padri devono sapere fare spazio ai figli, le madri  devono sapere accettare un figlio che  è diventato  autonomo secondo le sue scelte, ed i figli non devono avere paura di sbagliare.

Bello. Da vedere. Soprattutto da  far vedere ai ragazzi.

La stanza del figlio

La stanza del figlio è la riflessione di un regista e di un intelletuale  sul tema della morte. Non una morte qualunque, ma la più terribile che possa capitare ad un padre, ossia  la morte del proprio  figlio.

Nanni Moretti sceglie uno scenario familiare d’elite, come credo sia nel suo stile; tanto di sinistra, almeno  nelle parole, quanto  ricercatore di un’espressione di vita medio alta borghese, dove non esistono problemi economici, conflitti sociali, scontri di piazza ecc…

Mi sto limitando all’analisi di questo film, non degli altri che devo ancora  visualizzare; quindi potrebbe essere che la visione di altre pellicole mi farà ricredere su certi aspetti; lo metto obbligatoriamente per inciso.

Come dicevo, il padre è uno psicanalista, ha una bellissima moglie che è il ritratto della madre perfetta, ha un meraviglioso figlio che  sta frequentando la scuola superiore, e ha anche una meravigliosa figlia forse più grande di qualche anno   iscritta al classico.

Un giorno viene convocato dal preside del figlio perchè sembrerebbe che  Andrea  abbia rubato dalla stanza dei fossili un pezzo di sasso pregiato, accusato da un compagno che lo denuncia. Il padre cerca di capire se è vero, se è possibile che suo figlio, intelligente e benestante quanto basta, si fosse ridotto a rubare un pezzo di sasso dall’aula di scienze.  Si fa l’idea che  deve essere tutto uno sbaglio, come lo stesso figlio sostiene, cioè d’essere vittima di un dispetto.

Lo stesso figlio che di fronte al padre nega d’avere fatto una  simile cretinata, riesce a confidarsi con la madre, ammettendo d’aderlo fatto, sì, ma solo per gioco, e poi avrebbero voluto riposizionarlo là da dove l’avevano preso, ma nel frattempo s’era rotto, facendo una misera fine…

Insomma, è solo per fare capire che tutti i ragazzi del mondo dopotutto sono solo dei ragazzi, può starci qualche cavolata, che sono cazzate che poi nemmeno ci si ricorda più d’averle fatte.

La vita procede ordinaria, tra  scorribande in auto dove emerge un quadro familiare tranquillo e affettuoso,  ed episodi di vita quotidiana dove si comprende che nulla potrebbe guastare questa armonia e questo idillio  casalingo.

Nulla, tranne l’imponderabile, quando durante un’immersione subacquea il povero Andrea si trova senza ossigeno e commette un’imprudenza che gli causa il decesso per embolia fulminante.

Ecco  che in un solo istante la vita di tre persone serene e felici viene stravolta e irrimediabilmente modificata. Altro che sasso rotto e sospensione di una settimana dalla scuola. Andrea  è finito solo e senza possibilità di chiedere aiuto dentro una bolla d’acqua marina che non ha avuto nessuna considerazione della sua vita  e della sua voglia di vivere. Perchè Andrea   era giovane, aveva tutta la vita davanti, era bello, dolce, solare, speciale, come tutti i figli lo sono per i loro genitori. Ma Andreao lo era per davvero, anche quando giocava a tennis senza convinzione e senza la voglia di vincere, anche quando giocava con la sorella a prendersi in giro come si fa tra fratelli, anche quando andava a correre con il padre sentendosi un poco il figlio che doveva ancora crescere e farsi uomo…

La vita di ora  diventa un ricordo ossessivo del figlio scomparso. La stanza del figlio diventa il luogo in cui la madre si reca alla ricerca del suo sorriso, del suo odore, della sua voce; la stanza del figlio diventa il luogo che Matteo aveva più a lungo vissuto e fatto proprio, prima della sua sparizione.

Ma dove finisce un figlio quando muore? Dove  finisce un  figlio quando ci viene tolto per sempre e senza una ragione accettabile? Questo è il punto. Se solo si potesse pensare che questo nostro ragazzo possa essersi trasferito in un luogo  di pace, dove potere continuare la sua vita anche sotto altre vesti, o altre condizioni,  allora sarebbe più facile accettare che oggi siamo qui tra chi amiamo e domani potremmo  non esserci più.

Ma il padre psicanalista non è credente, non frequenta la chiesa, non crede nella resurrezione, non crede che suo figlio possa avere avuto una seconda occasione o rinascita. Quando si muore si muore e basta. E la morte è così assurda, almeno quanto sono assurde le prediche dei preti che cercano di convincerci  che si muore perchè Dio ha deciso così per noi, dentro un suo disegno che rimane per noi misterioso.

La stanza del figlio oggi è vuota, e basta. E la stanza dello psicanalista invece continua a venire frequentata dai soliti pazienti con le loro solite fobie e con i loro soliti racconti  paranoici, o deviati, o perplessi, o profondi, o inquieti…fino a che tutto questo spettacolo teatrale diventa insostenibile. Questo padre oggi distrutto non è più in grado di continuare a fare questo mestiere, di ascoltare gli altri in maniera professioanle e serena come prima gli riusciva di fare.

Già, un privilegiato, che si può anche permettere di sospendere il lavoro non essendo più in grado di farlo; mentre invece la madre continua a cercare anche in morte segnali di vita del figlio, attraverso le vite dei suoi amici  o amiche  che lo avevano conosciuto  e in qualche modo amato…

Dentro questo strazio che non può lasciarci indifferente emerge l’umanità degli stessi pazienti   che in qualche modo entrano a far parte del dolore di questo terribile incidente familiare. La malattia mostra il suo volto umano e recuperabile, soprattutto la più insidiosa  delle malattie, quella mentale, quella che corrode l’animo di una persona dal di dentro, e non ci sono facili medicine da prescrivere, se non quella assai complessa e delicata della parola.

Le persone si curano e guariscono grazie all’uso della parola. Anche Andrea   viveva felice grazie all’uso della parola; non gli importava di vincere a tennis, o di quel ridicolo sasso che aveva preso solo per gioco, o di mostrare ambizioni ancora troppo da grandi per lui che si sentiva ancora un ragazzo…Gli importava solo di parlare, di farsi capire, di stare anche ad ascoltare magari, come faceva suo padre di mestiere, ascoltare i racconti degli altri.

Ma se questo strazio può accadere dentro un quadro familiare così privilegiato,  cosa potrebbe e cosa non accade dentro realtà affatto fortificate ed organizzate  come questa? Cosa soccorre uomini e donne fragili e senza sostentamento, come  al contrario  tutto sommato  capita di dovere affrontare a Giovanni, Paola e Irene? La morte è una questione democratica? Non è forse una delle cose più democratiche del mondo perchè capita a tutti aldilà del proprio censo o nome o altro?

La morte è la vera  protagonista di questo messaggio; la  morte e le possibili risposte  che ognuno di noi può diventare capace di  elaborare; la sua realtà imprescrutabile ci obbliga a guardarla in volto. E  così una famiglia distrutta  e vacillante sull’orlo di un abisso si ritrova ad accompagnare per gioco una coppia di giovani ragazzi incontrati per caso,  verso il confine con la Francia. Lei è una ex fidanzata di Andrea, non proprio fidanzata, diciamo una che avrebbe potuto diventarlo, se lo sfortunato  non fosse morto all’improvviso.

Un giorno gli scrive una lettera non sapendolo già morto. e la lettera finisce nelle mani della madre, che rimane doppiamente sconvolta.

Arianna, questo è il suo nome, per compassione e generosità  restituisce al padre (e quindi alla madre Paola che rimane sempre nell’ombra con grande  maestria)    tre fotografie  scattate e ricevute  da suo figlio prima di morire: sono le immagini di Andrea    nella sua stanza, immagini bizzarre che lo ritraggono felice e sorridente, con tutto il sole negli occhi.

 

Kazuo Ishiguro

Abbiamo ancora nella testa  gli echi dei commenti che sono seguiti alla precedente  assegnazione del premio Nobel per la letteratura, consegnato al criticatisimo    Bob Dylan,  che già siamo arrivati al nuovo insigne e sempre inatteso premio nobel letterario, destinato   questa volta   dalla  onorevole  giuria a   Kazuo Ishiguro, autorevole   ma non troppo noto  scrittore di  best seller  come    “Quel che resta del giorno”  e  “Non lasciarmi”, testi che hanno ispirato altrettanto   autorevoli   film d’autore.

Che altro commentare?  Lui si è subito qualificato per ciò che si sente, o per ciò che lui stesso sente percepire del mondo che lo circonda; detto  in altre parole ha pensato fosse uno scherzo, non ritenendolo possibile…., e invece è tutto vero.

Resosi conto  della verità,  allora ha subito dedicato questo suo premio alla speranza della pace nel mondo, detto non in un senso di vuota retorica ma in un senso di reale incarnazione di quello che  potrebbe essere definito un vivere democratico e pacifico.

E’ bello  vedere che  la nostra terribile e macilenta  società in qualche modo ed ogni tanto si rende capace di  fare meravigliosi  regali  a qualche nostro simile  che  si scopre  riconosciuto e  gratificato,  magari in momenti  in cui  tutto avrebbe pensato di se stesso o degli altri, ma non di svegliarsi  in una fantastica giornata :-))))

Bravo   il nostro Kazuo Ishiguro!!!

 

Andrzej Wajda

Andrzej Wajda    ci ha lasciato, ma il suo cinema rimane con noi

Afterimage

Il libro vivente

La biblioteca vivente

In questi giorni a Milano:   I  protagonisti   Raccontano la loro malattia

Giornata mondiale sulla salute mentale

Era il gigante buono

Bud Spencer salutato da Terence Hill

Ettore Scola

Morte di un maestro

 

 

 

L’asilo bianco

L’asilo bianco era un luogo dove Sabina Spielrein mise in pratica i suoi semplici quanto  rivoluzionari principi pedagogici durante i terribili anni del nazismo stalinista.

Erano principi che si ispiravano all’educare nell’insegna dell’essere libero, libero di fare, libero di sperimentare, libero di scegliere, libero di scoprire tutte le  diverse meraviglie della vita, non escluse quelle sessuali legate alla  elementare conoscenza del corpo umano.

I suoi  orientamenti  di pensiero si legavano a Freud  e Jung,  con cui ebbe anche una travagliata  relazione affettiva,  legando il suo credo pedagogico  all’importanza della  psicanalisi.

Lei stessa ex malata, lei stessa futuro medico, lei stessa perdutamente   innamorata dell’amore e della sua incommensurabile forza trasformativa.

Accanto alla psicanalisi riteneva fondamentale la capacità di curare e l’amore per la musica. Le sue lezioni erano una mescolanza di giochi, canti e poesie, dove attraverso la leggerezza si arrivava a toccare  gli spiriti profondi dei comportamenti complessi.

Tra i suoi alunni ebbe il privilegio di crescere e formarsi un  bambino tra i tanti  con problemi di relazione, chiuso in un ostinato mutismo,   che divenuto adulto e ottuagenario,  all’età di ottantaquattro anni avrà modo di testimoniare al mondo civile e moderno quegli anni oscuri, quei  giorni  lontani, quegli indimenticabili momenti   conservati nel cuore.

Sabina era una donna speciale, geniale, profondamente intelligente, e purtroppo per lei anche ebrea.

Finì fucilata dall’armata del regime in una sinagoga , insieme alle sue due figlie  e a molti altri ebrei che invano avevano cercato la fuga.

Prima di venire trucidata,  solo per non avere voluto abiurare al suo pensiero, nascose un  suo libro pieno di sue poesie dentro gli scaffali di un  inginocchiatoio, per sottrarlo  alla inevitabile dispersione.

Sapeva perfettamente  che il suo principio educativo sarebbe sopravvissuto al suo sacrificio.

Quello che ancora  non immaginava  nel momento della fine    era che sarebbe stata celebrata   come insegnante  nei posteri,  proprio  e soprattutto    grazie all’amore e alla riconoscenza  di questo  suo piccolo allievo  che lei aveva saputo strappare al buio della solitudine e del silenzio.

Si chiamava   Ivan Ionov  la cui scena di toccante umanità è stata oscurata sui video che erano presenti sulla rete  per diritti d’autore.

 

 

 

 

Le nozze di Laura

Le nozze di Laura  è una storia  al limite tra la realtà e  il sogno,  tra il passato e il futuro,  tra il moderno e l’antico, tra la tradizione e la capacità di cambiamento,   tra  il bisogno sociale di scoprire un’umanità diversa e il bisogno personale  di  crescere imparando a saperci difendere da chi ci vuole fare del male.

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la seconda volta della Golino

da Vanityfair la scheda di Per amore vostro

Festival di Venezia 2015

davvero il mondo intero

 

Ora cammini libera, e ti perdi tra la gente…

in omaggio a Laura  Antonelli

Come la ricorda Simone Cristicchi

Francesco apre ai Valdesi, parte del creato

Se non fossi nata cattolica, mi sarebbe piaciuto nascere valdese.

I Valdesi sono persone straordinarie, o meglio, lo è la loro storia, il loro avere dovuto combattere contro terribili pregiudizi ed ingiustizie, il loro modo di essere religiosi e nello stesso tempo uomini del mondo.

E’ di questi giorni l’apertura della Chiesa Cattolica a questa minoranza di credenti, e tutto attraverso la figura sempre più amata ed apprezzata del nostro Papa Francesco.

Amata dai semplici, dal popolo, dalle persone normali come dai diversi.

Forse meno apprezzata dalle lobby e dallo status quo dei poteri forti che non vorrebbero mai vedere messi in  discussione i loro secolari privilegi.

“Laudato si”  è il titolo scelto dal Pontefice per la sua ultima Enciclica e questo incipit  non ci ha sorpreso per nulla, perchè non è stato un caso che Bergoglio abbia voluto assegnarsi questo modesto  e scomodo  nome  (Francesco) una volta  arrivato al soglio pontificio.

Quale altra sorpresa ci riserverà ancora   questo sommo vescovo della Chiesa di Roma, ma che vuole ardentemente sentirsi e farsi sentire come il Padre di tutti i credenti?

Non dico nulla,  perchè non voglio osare l’impossibile, però le mie, come immagino quelle di altri, aspettative,  sono alte.

E così  perchè non lasciare cantare alto il canto di tutte le creature benedette del creato?

Nuovo Cinema Paradiso

Nuovo cinema Paradiso, uno dei primi grandi successi di Giuseppe Tornatore, è del 1988, ma rivisto ai giorni nostri non perde assolutamente il  fascino di tutte le storie che potremmo definire senza tempo.

Il giovane regista si cimenta con i sentimenti visti con una chiave di lettura tipicamente da uomo del sud, un uomo attaccato alla sua terra, al suo sole, al suo mare e alla sue radici, ma nello stesso tempo proiettato nel mondo, nel futuro, nelle cose lontane e sconosciute, che sole ci permettono di diventare grandi.

Il protagonista è un bambino dalla faccetta simpatica e dall’intelligenza sopraffina, mescolata ad una spiccata furbizia innocente, di quelle non maligne e che servono solo a farci stare meglio senza fare del male a nessuno.

E’ un bambino di sette anni circa, che vive con la madre ed una sorellina più piccola; il padre è andato a fare la guerra di Russia, e non è più tornato, dato come disperso.

Il piccolo paese siciliano dove  si ambienta la   vicenda   vive di povere cose, povera gente, e gesti quotidiani che si ripetono imperterriti tutti i santi giorni dell’anno, mentre che le stagioni scorrono portando con sè la ritualità  degli avvenimenti che caratterizzano il calendario.

Totò, questo è il suo soprannome, ma che  di nome si chiama Salvatore, è un bambino come tutti i bambini del mondo, ma ha una caratteristica che lo distingue in assoluto: ama il cinema, perchè lo fa sognare, perchè tutti i giorni va a trovare il suo “amico”  Alfredo  che chiuso dentro la sala di proiezione si prende l’occupazione di far divertire tutto il paese con i suoi spettacoli.

Andare al Cinema significa   per la gente delle campagne    il momento in cui le persone si ritrovano per passare il tempo dopo una giornata di fatiche, per stare insieme senza pensieri, per andare a conoscere quello che accade nel mondo, e per permettere a chi di interesse di fare le loro propagande o le loro  cerimonie di pseudoindottrinamento…

Per dirla tutta il primo a vedere le pellicole deve essere il Prete, che impone ad Alfredo   di tagliare tutti i punti  da lui ritenuti  “proibiti” e degni di censura.

Tutti questi pezzi censurati finiscono dentro un grande cesto che un giorno Alfredo  promette a Totò che sarebbero stati tutti suoi.

Alfredo  è per Totò qualcuno di più di un amico; è quel  padre che non ha mai avuto, è un maestro di vita che gli racconta con  l’intelligenza  del saggio  tutto quello che nelle  occasioni  di  crescita  non si dovrebbe fare e tutto quello che nelle  stesse  occasioni   servirebbe avere   per raggiungere la felicità.

Nella vita non si deve avere rimpianti, e non si deve perdere dei treni che passano solo una volta e che poi non tornano più.

Per Alfredo    Totò è il futuro che lui non ha mai avuto, solo perchè nato nel momento sbagliato del tempo e del progresso, o solo perchè perseguitato dalla mala sorte che lo fa   ritrovare  ceco a seguito di un incendio che distrugge tutto l’edificio  dedicato allo Spettacolo.

Per salvare il suo amico intrappolato nelle fiamme Salvatore  combatte come un leone, con tutte le sue forze lo trascina fuori dall’inferno, tanto che il bambino si guadagna  davanti a tutta la comunità  il permesso di sostituire in tutto e per tutto  il vecchio maestro di pellicola.

In questo cambiamento  Alfredo  non lo abbandona;  a  Totò non succederà di rimanere condannato e rinchiuso dentro una  sala  di proiezione senza  possibilità e senza sbocchi lavorativi, lui non lo permetterà.

Così che il piccolo rampollo di casa  cresce, pellicola dopo pellicola si fa uomo, attore dopo attore si fa grande,   ed    un bel giorno  si innamora di una ragazza di nome Elena.

E’ un amore travagliato , di quegli amori che accadono una sola volta nella vita, che lacerano e che potrebbero portare alla follia, se non ben protetti e benedetti dalla fortuna.

Diventa  un amore corrisposto,  nonostante un inizio problematico, e finirebbe per trasformarsi  in   definitivo  se non fosse che Alfredo   all’insaputa di entrambi ci mette il suo zampino a fare andare le cose diversamente.

I  due innamorati, l’uno ignaro dell’altro, vengono destinati  per ironia della sorte   ad una vita separata, e  quando meno se lo aspetterebbero  il destino li fa reincontrare, proprio quando Alfredo  muore e lascia alla madre di Salvatore   l’incombenza di convocarlo   al suo funerale.

Totò nel frattempo ha realizzato il sogno di Alfredo    che voleva fare di lui un grande; un grande significa che la gente ti conosce, ti chiede l’autografo, e tu ti puoi sentire a tutti gli effetti realizzato. In effetti Salvatore   è diventato un apprezzato regista.

Arrivato al paese viene subito informato dai parenti  che Alfredo  aveva lasciato per lui un dono da  portarsi via, ma il dono imprevisto e del tutto sconvolgente è quello di ritrovarsi davanti una ragazza che gli ricorda in tutto e per tutto la sua amata Elena.

Capisce che Elena è lì nel paese, e seguendo la figlia riesce in breve a ritrovare la madre.

Sono passati trent’anni, e non è semplice  ritrovare il filo che si era spezzato, tuttavia dove c’è un sentimento che ha molto sofferto fino al di là di ogni possibile dolore, c’è anche la  forza di fare  dei passi che potrebbero apparire diversamente   assurdi.

Elena e Salvatore  si rivedono, si raccontano, scoprono d’essere stati ingannati proprio da quella persona che più di tutto li aveva amati, e ritrovano la forza  non solo di perdonare  ma  anche di volersi di nuovo bene, come se nulla fosse accaduto di così serio da    giustificare la loro continua e assurda separazione.

Chissà come se la ride nel frattempo Alfredo  tra le nuvole del Paradiso, nel vedere il suo  Totò  non solo realizzato ma anche finalmente felice.

Casualmente sono anche gli stessi giorni che vedono la demolizione definitiva dello stabile “Nuovo Cinema Paradiso”,  diventato con la modernità un luogo fuori tempo.

La verità è che non è il CINEMA a  essere diventato fuori moda, ma solo un certo modo di intendere “l’arte  di  fare spettacolo”.

In apparenza questo film può sembrare  monotono e scontato; io lo trovo (come anche  la critica che lo ha giudicato)  semplicemente straordinario ed unico, perchè parla    con il cinema di cinema e della    vita reale, di quello che perfettamente accade alle persone che poi diventano protagonisti di storie, di come ognuno di noi è contemporaneamente quello che è stato,quello che è e   quello  che sogna di diventare.

Basta crederci, e tutto può essere possibile, a chiunque voglia indossare l’abito del sognatore.

Sapete quale è stato il regalo che Alfredo ha fatto trovare a Totò? Una pellicola tutta ricostruita, pezzo dopo pezzo, con tutte le scene censurate dai film messi in programma nella sala della supervisione parrocchiale, bacio dopo bacio, abbraccio dopo abbraccio.

Una   sfilata straordinaria d’umanità  che si ama e che si dichiara amore eterno.

L’aveva promesso Alfredo che quei pezzi tagliati sarebbero stati tutti suoi…

Nanni Moretti

C’è chi non lo ama, c’è chi lo plaude.

Comunque sia, Moretti piace…per ora è il miglior film in concorso…

 

Manoel de Oliveira

 

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Apre e Trionfa il debutto di     Emma   Dante

Ecco il suo  Via Castellana Bandiera

Mangia prega ama

Mangia prega ama non è la regola da applicarsi nella ricerca della felicità: è la storia di una donna e del suo complicato rapporto con l’eros. Una donna esigente che ama abitare la verità, e dirla sempre, a qualunque prezzo.

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LA MIGLIORE OFFERTA

La migliore offerta - visualizza locandina ingrandita

LA MIGLIORE OFFERTA

La migliore offerta  è la storia   di una truffa colossale.

C’è un pollo molto molto molto ricco  che va spennato, ed una regia perfetta studiata nei minimi particolari  riesce a sbancarlo.

Con il sistema più infallibile  e banale del mondo.

Catturando i sentimenti.

Quelli profondi, lancinanti, assoluti, che ti sconvolgono e che ti rapiscono la mente il cuore i sensi…

Ed il gioco è fatto; la buona riuscita del furto  è assicurata.

Ma lo spettatore non lo immagina, forse lo sospetta, qualcosa mette nel poco chiaro, tuttavia   fino alla fine rimane indotto a  credere nella veridicità  dei fatti.

Tornatore torna a stupirci e ad affascinarci: vuoi per la bellezza delle immagini, vuoi perché   tutto il racconto si snoda tra incantevoli e inestimabili opere d’arte, vuoi perché veniamo calati in un mondo prestigioso al quale noi tutti vorremmo potere appartenere almeno per un giorno, vuoi perché  effettivamente la trama è inedita, mai vista e sentita, nemmeno vagamente ipotizzabile,  tanto sconcertante  da sembrare incredibile (ma in verità  assolutamente possibile).

I romantici alla fine potrebbero  rimanere un poco delusi, per via del fatto che di autentico  in questo film ci stanno solo i falsi, ma a pensarci bene anche in questa gigantesca menzogna  il sentimento vince, il sentimento costituisce l’anello portante, l’ingrediente che permette tutto e che tutto rimette in discussione, sempre e comunque.

L’unica cosa che ci farebbe tornare a guardare questo film.

L’imperturbabile uomo d’affari d’arte, dopo avere truffato per tutta la vita il prossimo, vendicandosi  egregiamente di una cattiva sorte, rimane anch’esso vittima dello stesso delitto.  Ma di questa lezione ne sa fare una virtù.

Ne valeva la pena. E non se ne pente. Tornando indietro lo rifarebbe.

Una bella giovane e misteriosa donna servita sopra un piatto di cristallo, tra tante ferraglie vecchie e misteriosi meccanismi automatici, ne vale sempre la pena, soprattutto   se ci si trova in quella fascia d’età per cui  si sa di non potere più avere molte altre occasioni, soprattutto  se questa donna è legata a quella idea di bellezza  alla quale si è sacrificato tutto, ogni svago, ogni debolezza, ogni cedimento, ogni illusione…

Soprattutto se per questa  improvvisa e non calcolata tentazione si sta mettendo tutto in discussione, irrimediabilmente.

La migliore offerta rimane la migliore offerta.

E lui gioca come sempre, rischiando tutto,  come è interessante che si faccia.

Il vero e unico  protagonista della trama  è proprio lui, non è la donna; di lui ci interessa il passato, il presente ed il futuro, della donna  ci stupisce come il suo infantilismo e la sua arroganza  giovanile  non scoraggi l’amante  innamorato  tenuto fuori dalla porta.

La ragazza, nonostante la sua bellezza e tutto il resto,   rimane fino alla fine sullo sfondo; vuoi perché ci viene presentata come una donna malata, sofferente e dunque in un certo senso che con la vita ha sempre perso, dove  la malattia viene subita e  non combattuta; vuoi perché  quando ne scopriamo la verità, ci appare tutto sommato nella sua piccolezza e nella sua mediocrità, per quanto vincente.

Bella forza, avere sconfitto un vecchio, facilmente feribile nell’unico suo punto debole.

Ma che vecchio.

Davanti alla sorpresa finale non batte ciglio, non una lacrima, non una imprecazione, non una parola. Nemmeno un infarto,  come invece avrebbe colpito una persona vagamente normale. Solo silenzio, solo uno sguardo allucinato che sembra perdere momentaneamente il senno.  Ma non è follia, la sua.

E’ il bisogno di recuperare il fiato. E’ solo il bisogno di incassare il colpo, e di voltare pagina.

Questo matusa  truffato e derubato della sua vita consumata dietro all’arte più bella, si riprende e non si lascia mettere da parte.

L’amore conosciuto e donato l’ha cambiato per sempre, l’ha tenuto vivo e legato alla vita più che mai.  Alle segrete stanze dove non arrivava la luce del sole, sostituisce il mondo, le persone, le strade, i rumori della quotidianità, i racconti  delle persone amate  fatti propri, le cose semplici della vita, fosse anche lo stare nel dolce far niente del tempo sospeso.

Intanto lui se lo può comunque permettere, se l’è guadagnato il suo tempo ora  finalmente libero e  prima  solo  rubato.

Non lasciamoci ingannare dal suo sguardo che non ci concede nessuna emozione. Forse tardi ha scoperto quello che c’era da scoprire, me meglio tardi che mai. Forse  qualche segno del tempo di troppo  si  coglie dalle sue rughe, ma quest’uomo maturato e stagionato,   è più giovane di un ragazzo,  ha dimostrato d’avere più spirito   dei suoi  giovanissimi compagni di ventura.

Con qualche certezza di meno, ma molto coraggio di più,  decide di continuare ad andare incontro alla  luce del domani, dell’oggi, dell’attimo fuggente,   liberatosi dalle sue ossessioni che lo tenevano aldiquà di ogni possibile ponte;  mentre   degli altri non si trapela   nessuna vitalità, nessun ulteriore  notizia  degna di nota.

Su di lui si apre la prima immagine; su di lui si spegne l’ultima;   e  c’è da credere che questo giovane vecchio, se solo tornasse a parlare di sè,  ne avrebbe ancora di sorprese da riservarci, ben oltre uno spettacolare scantinato  dove dormivano   i sogni imprigionati nel buio.

MARIANGELA MELATO

Un “ciao” speciale  a una donna empatica, autoironica, intelligente,  poliedrica, divertente, teatrante, piena di entusiasmi, generosa, cinematografica, straordinaria, affascinante, trasformista, elegante, vera, diretta, coraggiosa, sperimentatrice, speciale, spiritosa, imperdibile…ed espressione dell’Italia  nel mondo.

una grande tra grandi per sempre tra noi

IO e TE

Io e te, Bertolucci e la solitudine della gioventù moderna.

trailer

LUI è un ragazzo di quattordici anni, il viso pieno di brufoli, un folto capo castano , due occhi azzurrissimi, e un poco narciso.

LEI  è la sorellastra, stesso padre ma madre diversa. Più grande, all’incirca di dieci anni,  una lunga capigliatura bionda,  parecchio tossica, piena di problemi e di altrettanto talento…

Non si frequentano, da tempo vivono separati, due vite diverse e strappate, ma li fa rincontrare il destino, il caso, che per interi sette giorni   li  “obbligherà”  a convivere dentro il disordine di una cantina. Una cantina a dire il vero ben fornita di tutto il necessario: un gabinetto, un lavandino, il calore emanato dai tubi della caldaia, una branda, un divano, un armadio pieno  di coperte, una piccola finestra, la presa per la luce, e una miriade di altre cose lì accumulate nel tempo…

Lorenzo   vuole isolarsi  in questo buco  per  vivere il brivido di poter scegliere, e fa credere alla madre di partire con la scuola per la settimana  bianca;  organizza al suo posto   la ritirata  nelle stanze segrete dei sotterranei, dietro  meticoloso  acquisto  di merendine,  panini e bibite…

Olivia  il suo bisogno  di   brividi li ha buttati al macero il giorno che ha cominciato a drogarsi; promettente fotografa, era stata  allontanata dalla nuova moglie del padre  alla quale aveva finito  per tirare una pietra  in un momento d’ incontenibile  odio.

Mentre che  il giovane adolescente  si trova  ad organizzarsi il suo nuovo tempo, tra  momenti di lettura e di totale abbandono ai propri pensieri, sgravatosi  da ogni impegno e da ogni dovere,  la giovane donna si catapulta  nella cantina  alla disperata ricerca di uno  scatolone perduto. Cerca un vecchio braccialetto  d’oro  da poter vendere e poter rimediare qualche soldo per bucarsi.

Trovatosi scoperto,  decide  di stare al gioco, finge di stare lì per pura circostanza,  ma prima di lasciarla andare via le fa promettere  di non dire niente a nessuno.

Lei non l’ha mai visto, per tutti lui è in viaggio con la scuola e non dentro quella  cantina.

Tutto potrebbe tornare nella “normalità” di quanto programmato se non fosse che per i tossici non c’è niente di normale. Olivia  non sa dove passare la notte e chiede ospitalità al fratellastro,  che all’inizio non ne vorrebbe sapere,   ma che alla fine  si deve convincere dell’assoluta  impellenza   d’accoglierla nel  suo nascondiglio.

Ecco  che   inizia  il vero viaggio, la vera occasione d’essere liberi in maniera utile e positiva e non solo nel senso stupido   e vacuo   che tutti noi umani ben conosciamo o abbiamo conosciuto …

Il  viaggio è la scoperta di noi stessi attraverso gli occhi dell’altro;  non vorremmo  starci vicini, non ce ne importerebbe,  il nostro programma sarebbe un altro, ognuno per sè in culo al mondo, contro chi ci vuole male, contro chi non capisce, contro chi vorrebbe sempre decidere per noi, contro chi ci crede incapaci  e privi di proprie  decisioni…ma  improvvisamente diventa qualcosa   che mentre nell’apparenza  sembra sconvolgerci i piani , in verità ci aiuterà a raggiungere lo scopo.

Lorenzo   impara il coraggio e la bellezza  d’essere se stessi   in mezzo agli altri  attraverso le parole  dirette  dell’  imprevista  compagna di stanza, che durante la convivenza   prima l’ osserva, lo critica, lo insulta quando c’è da insultarlo,  lo sorregge nel suo gioco, lo intima,  mentre   l’informa  delle   vicende del passato a lui rimaste celate perché trattato sempre come un bambino. Poi  se ne intenerisce, scopre il piacere della sua presenza.

Olivia  ritrova  il coraggio e la bellezza d’essere se stessa attraverso l’istintualità  ed il candore  dell’insperato vicino di letto, che  divenuto spettatore  inconsapevole  del dolore di chi è caduto nella vita,  finisce per rivolgersi a lei   con parole di compassione  e d’aiuto  sincero.

Lorenzo  scopre di voler   bene a questa sua mezza sorella  più grande,  che si vomita addosso, che urla al mondo, tra gli spasimi dell’astinenza obbligata, tutta la sua disperata  voglia  di vivere, fino al punto di farle severamente  promettere di non drogarsi mai più per nessuna ragione al mondo…

Olivia  scopre di  voler  bene a questo suo più piccolo mezzo fratello,  che vede solitario e perso, che percepisce  intrappolato   nelle   mille incertezze dell’adolescenza, e gli fa promettere  di non avere più paura della vita  e delle sue prove,  perché è normale fare e sbagliare, che  l’importante è  non tirarsi indietro, non mettersi  nell’angolo, non farsi autogol…e dunque  mai più fughe  dentro i sotterranei  di un palazzo  pieno di luce…

E poi lo spettatore scopre che ci può essere più luce nel buio  di uno scantinato, e che ci può essere più bellezza nel vomito di una ragazza  che cerca di tornare con tutte le proprie forze alla normalità, e che ci può essere più speranza negli occhi chiari   di un ragazzo  che li rappresenta tutti…

Questo film ci fa tornare come bambini. Ci fa guardare le cose con gli occhi dei suoi protagonisti.

Bertolucci fa centro, come sempre. Convince la sua magistrale regia, convincono i due giovanissimi attori, convince la trama della storia come sapientemente raccontata dall’autore…

E convince l’abbraccio d’amore  fraterno  di Olivia verso Lorenzo  e di Lorenzo  verso Olivia…

E’ un incontro  che è la stretta ferrea  priva di  inutili parole   di chi ci porge la propria mano  per darcene un’altra alla prima occasione.

Contro chi ha sbagliato, contro chi ci ha fatto del male, contro chi un giorno forse ci chiederà scusa…

IO e TE  è la capacità  priva di inibizioni inutili e sciocche  di dirsi in faccia quello che siamo e pensiamo e sentiamo.

Sono due giovani che ce lo insegnano, con la loro totale o scarsa esperienza della vita, ma già segnati dagli errori degli adulti (oltre che dei propri).

POSTI IN PIEDI IN PARADISO

 

 

 

Tre storie diverse che si intrecciano e che ben rappresentano il mondo di oggi,  dove dominano le famiglie sfatte che poi diventano famiglie allargate  più o meno  riuscite, più o meno  rattoppate.

C’è  chi si è sposato per amore con la  persona sbagliata, con la quale si progetta una figlia  che ben presto si troverà dei genitori separati  per  immaturità  di una delle due parti e per leggerezza  dell’altra…; la  stessa figlia  arriverà  ad assumere nei confronti degli stessi  genitori  (soprattutto nei confronti di uno di essi)   atteggiamenti  più adulti di quanto  i medesimi  non abbiamo  saputo avere nei suoi riguardi.

C’è chi dopo tre figli  scoppia (sempre presumendo una qualche normalità  mentale preesistente) e si accoppia   con la giovane  trentenne  di passaggio, che però scoprirà solo all’ultimo momento la doppia vita ( e forse tripla)  dell’  infedele marito ; ecco che in questo caso nasce una bambina dentro una coppia che già non è più tale   ancor prima di venire al mondo,  se non per gli   avvocati e gli   alimenti  permettendo.

C’è  chi  dopo  una caduta in depressione   post partum  della moglie diventata neo mamma,   entra  lui stesso  in crisi e decide di intrecciare  una platonica relazione epistolare  con la compagna  del   proprio capo;  conclusione:   tutto viene scoperto, la moglie lo caccia di casa, il disgraziato finisce col perdere il lavoro  e  la famiglia  tutto in un sol colpo, e senza neanche avere consumato…

I tre malcapitati  hanno tutti problemi di casa;  e non potendo nemmeno contare su un reddito  serio e continuativo,   trovare un tetto sulla testa  ad un costo ragionevole può diventare  davvero un’impresa.

E così   accade  un fenomeno assai  bislacco  ma per nulla   fuori  luogo e fuori del tempo: decidono alla bella età di cinquant’anni  di andare a vivere insieme, per dividere le spese di un alloggio    ben  modesto,  in uno squallido ma indispensabile   appartamento di periferia, afflitto  dal passaggio  giornaliero   dei treni  ed afflitto  dalla quasi totale mancanza di campo…

Ci sarebbe da sganasciarsi  dalle risate, amici miei,  se non fosse  che  questa   suite  comedy  riflette in tutto in tutto  quel che accade   ripetutamente   nelle nostre città, nei nostri paesi, ogni giorno, in moltissime famiglie.

E nel frattempo  la vita va avanti comunque;  ci si torna ad innamorare, si continua ad avere storie di sesso, si può  cominciare  a riflettere  di cambiare lavoro, ci si inventa  forme  più o meno  contingenti di reddito, ci si improvvisa dei ladri  che invece  di  concludere  buoni  affari  vanno solo  a combinar  casini, ci si torna ad innamorare della propria compagna e compagno, ci sono  i figli che si laureano a pieni voti mentre noi non sappiamo nemmeno  scrivere una lettera, e ci sono i figli che decidono con estrema responsabilità  di mettere su famiglia   alla  sola  età di diciotto anni  squillanti…

Davvero un bell’affresco  di società;   mentre  le scene si susseguono spassosamente  con qualche nota di malinconia  e di sano sentimentalismo,   noi stiamo lì seduti nella nostra poltrona   e pensiamo a chi di nostra conoscenza  potrebbe  ben riflettere  quelle situazioni…

Certamente non ci mancano i paragoni, i riferimenti, le similitudini  a cui andare a memoria.

Ci sorprendiamo ancora una volta  della bravura del regista, ci  chiediamo tra noi  “Ma come fa a fare sempre centro    così  magistralmente sulle  macchiette  e  sulle situazioni  che  come sempre  assolutamente e fedelmente ci rappresentano?”

Il  quadro che n’ emerge non è dei più edificanti;  se ne conclude  che  il cittadino medio  di una qualunque società occidentale   è un  essere  che soprattutto  rifugge,  al di là di tutto,  la vecchiaia, il proprio  entrare in decadenza.

Del resto  è il nostro vivere   che ce lo impone; obbligati a lavorare   fino a che  forse non ci reggeranno più le gambe,  obbligati  a doverci misurare con performance   che non ci lasciano tregua o possibilità di via di fuga,   nessuno di noi vuole sentirsi e trovarsi messo da parte,  e questo è legittimo sia  per i giovani che hanno ancora tutte le loro   occasioni da spendere,  che per gli adulti  che le loro occasioni devono sperarle  e fare di tutto  per incontrarle di nuovo o per incontrale, e basta.

Un bel nove, a Verdone.  Per l’equilibrio ed il senso della misura, per la sensibilità e l’acutezza  di pensiero, per la capacità tutta comica  di farci ridere ridere e ridere sui   nostri condivisi  difetti.

Genitori e figli  sono due mondi  che continuano a dovere rimanere legati e vicini;   i figli  possono insegnare  che  a tutto  ci può essere rimedio, e che il bisogno naturale   della felicità  recupera energie impensabili;  i genitori  insegnano  che  si continua a rimanere degli eterni  giovani  nel nostro bisogno di sentirci amati,   e che essere adulti non significa affatto  ritenersi  vecchi, decrepiti  e sclerotici…non più.

Genitori come  giovani adulti e giovani come adulti  in prova  in età  giovanile, dunque?  Può essere,  ci può stare,  visto che sempre più le differenze  ed i tabù tra le parti   tendono a venire liquidati, smascherati  e  buttati al macero   da un’esistenza  che corre corre corre    senza potersi fermare   mai.

Almeno così appare…

QUASI AMICI

 

 

Due  vite si incontrano e i loro destini si incrociano.

Uno è un giovane  di colore che ha bisogno del sussidio di disoccupazione; l’altro è un maneger ultra ricco  che per un incidente di percorso si ritrova su una sedia a rotelle, paralizzato dal collo in giù.

L’unica parte del corpo rimasta sensibile  è il volto,…e il cuore.

Il giovane disoccupato dal passato turbolento  si presenta  al colloquio perché Philippe è alla ricerca di un badante personale, ma sa già  che non sarà assunto, perché non ha credenziali, non ha titolo, e sinceramente  nemmeno gliene importa più di tanto…

Il colloquio  sembra invece catturare la curiosità  dell’invalido,  che vede in quel ragazzotto tutto muscoli e simpatia  una persona autentica, vera, genuina, piena di vita, proprio quello che lui ha perso o rischia di perdere per sempre, seppellito dentro quella  poltrona  completamente strappato alla gioia di sapersi vivo.

Gli lancia una sfida; gli propone l’incarico in prova per un mese , ed aggiunge “Secondo me non resisterai nemmeno due settimane…”

Driss accetta, tanto non ha niente da perdere; fuori c’è solo la strada ad attenderlo, ed una famiglia in bilico,  piena di problemi, dove la madre lavora dalla mattina alla sera per potere guadagnare per tutti  il necessario  per andare avanti.

Inizia così un periodo  di  convivenza, dove hanno modo di conoscersi.

Da un lato  il  giovane  ormai  ex disoccupato  che diventa giorno dopo giorno un bravo  assistente specializzato, ma solo perché ha carta bianca, solo perché Philippe lo lascia libero di esprimersi in tutto e per tutto, trattandolo da subito come uno della famiglia e non come l’ultimo intruso; dall’altro lato, l’invalido  che si trova improvvisamente catapultato in una serie di situazioni  dove non esiste più la regola, l’etichetta, la forma, il già detto e risaputo,  ma  l’imprevisto, la novità, l’improvvisazione, la proposta  di nuovi esperimenti,  di nuove esperienze,  trattato non più come un handicappato e basta, ma come una persona che nonostante il suo handicap ha bisogno di fare una vita assolutamente  normale,  dove ci si alza al mattino   con la contentezza d’essere vivo, con la speranza di cose belle e   positive, dove  si cerca  di combattere  la noia,  la solitudine, l’ipocrisia…

Nasce  tra i due, senza nessun calcolo,  un’amicizia spontanea, nonostante il legame professionale e specifico.

Philippe si diverte con Driss, come non si divertiva più da un’infinità di tempo. Non solo si diverte Philippe, ma si diverte chiunque viene a contatto  con la sua presenza, perché la sua bellezza  umana  è semplicemente  contagiosa…

A sua volta  Driss    ha trovato una vita normale e  positiva con Philippe,  e non è più sotto i ponti…

Certo,  questo può accadere perché  il giovane   è  fondamentalmente  una persona  onesta, e valida,  nonostante  tutta la sfortuna  che  l’ha perseguitato fino  a quel momento…e Philippe  non è un coglione ricco pieno di sé  e privo di attenzioni umane, che un giorno sfigato  si è trovato privo  dell’uso delle gambe;  prima di diventare invalido era stato  un uomo normale; aveva amato profondamente sua moglie, ormai morta; ed ora nel presente,   non soffre tanto per la sua immobilità fisica,  quanto per la sua solitudine  affettiva…

Non a caso cerca di trovare una nuova compagna, che probabilmente troverebbe senza problemi,  nonostante  il suo stato…, ma lui non vuole una donna  qualunque, non si accontenta.

Inizia pieno di aspettative  una relazione  epistolare  che Driss finisce per seguire passo a passo…

Philippe  desidera al suo fianco  una donna   innamorata, capace d’affetto  almeno quanto lui potrebbe di sicuro  essere   con la sua eventuale  compagna…

Ma c’è un ma, c’è un ostacolo oscuro  che sembra vincere  sul desiderio  di tornare a vivere;  l’ostacolo è la paura di sentirsi rifiutato, di sentirsi  giudicato, soppesato, messo a nudo  nella propria  fragilità…la paura di non potere essere all’altezza…

E Philippe allora scappa, si sottrae all’ultimo momento   alla prova, all’incontro,  all’impresa…

Continuerà a sottrarsi  fino a che l’amico, e non certo il badante,  l’obbligherà  a farvi fronte.

E’  lui che deciderà, è lui che li farà incontrare, è lui che organizzerà   a sua insaputa  la frittata.

E vince,  tutto va come  doveva andare,  come  la squisita  umanità dei due protagonisti  permette  che venga ad  accadere.

E la vita per Philppe riprenderà alla grande; un nuovo matrimonio, nuovi figli, una nuova vita.

E la vita per Driss    comincerà a girare;  un lavoro vero, una compagna, una famiglia tutta sua.

E se pensiamo che questo film si ispira  ad  una storia  vera,  c’è veramente da sorridere, da essere contenti…

E’  stato campione d’incassi in Francia, e nonostante questo, merita sul serio.

Una questione di pelle

Pubblici vizi, virtù private

Thai Sea Market from Hotel in Krabi

Ciao a tutti.

Preciso che la mia presenza sul web è legata all’avere o non avere cose nuove da scrivere. Quando non ho nulla da dire ovviamente non mi troverete mai,  perchè per me  è solo  questione di   esserci quando si ha qualcosa da nuovo  che ci  smuove   di dentro; se non si ha nulla da  condividere,   da esternare,  oserei dire da vomitare, meglio  stare in silenzio, e se questa regola venisse osservata  in generale  da tutti coloro  che scrivono o fanno reportage, o altro,  sentiremmo meno banalità  in giro,  saremmo meno nauseati  dalle parole  e dagli uomini   e potremmo  supporre un livello di  sanità  mentale  generale   più  promettente.

Vi immaginate un telegiornale che riportasse solo  notizie  intelligenti dette in maniera intelligente? O una televisione che sapesse fare solo  trasmissioni  di un certo contenuto e di un certo spessore?  Non sto dicendo che  bisognerebbe fare solo  comunicazione impegnata, ma una  comunicazione  informata, quello sì.

“Informare”:  leggo sul vocabolario il suo senso principe   che  sarebbe “mettere al corrente,  portare notizie…”

A costo di tornare ad una televisione ad orario, o che si impegni  a  ripetere  la stessa cosa più volte per dare la possibilità a tutti di ascoltare, assistere, partecipare.

Con la rivoluzione digitale è poi accaduta la meravigliosa condizione (non mi stancherò mai di celebrarlo) che ognuno di noi, chiunque lo desiderasse, si può rendere il trasmettitore  di contenuti, a proprio rischio e pericolo,  prendendosi le responsabilità delle proprie parole.

Il vuoto televisivo  (che del resto già esiste di fatto,  perché parlare del nulla è come non dire niente…) non sarebbe (e non è)  dunque di certo avvertito ma ben compensato e  completato, se si vuole,  da tutte queste  trasmittenti  libere che ormai felicemente  impazzano sulla rete  (quanto meno nel mondo occidentale e  libero).

Non dimentichiamoci poi della radio  che  contrariamente   alla televisione non deve sottostare a  rigide ed assolute (quanto assurde) leggi  di   sopravvivenza;  esistono variegate voci   che ci dilettano, che si prendono cura e a cuore  particolari e mirati  argomenti  e settori, e mi riferisco in particolare a tutte le piccole iniziative locali  che spesso rimangono sconosciute al grande pubblico ma che invece meriterebbero  tutta la nostra  attenzione ed il nostro rispetto.

Giusto  per fare il punto,   è di questi  giorni  la trita  e ritrita  attenzione rivolta  alla crisi economica  mondiale  che ormai  attanaglia il pianeta da diversi  anni; non  intendo sprecare  fiato  sull’inettitudine e  l’idiozia  di quasi  tutta la nostra classe dirigente  che ha ampiamente dimostrato  d’essere solo   attenta  ai propri interessi  personali e politici,  oltre che di casta; vorrei invece  che nei telegiornali  ci fossero  esperti che ci facessero capire da dove nasce questa crisi profonda, quali sono i rimedi  che ogni paese dal suo canto ha messo in opera,  quali sono i vantaggi  che sembrerebbero  avere percepito, quali sono le incognite  che rimangono a previsione  zero,  di cosa occorre avere sostanzialmente timore  e come ogni singolo cittadino nel suo piccolo potrebbe  farsi propositore  e  protagonista  di   azioni  migliorative. E poi c’è il discorso spinoso ed urgente delle responsabilità.

Le  responsabilità  di quel che si è fatto e di quel che non si fatto; sotto tutte le visuali, sotto tutte le bandiere.

A cosa servono altrimenti  i notiziari?  Chiediamo  gente seria, gente qualificata, gente che lavora sul campo, GENTE VERA CHE CI PARLI DEI PROBLEMI REALI   e che conosce bene  come  gira  il sistema.  Vogliamo questa gente nelle  televisioni,  e che la  si faccia  finita  con  i programmi spazzatura.  E non solo  sulle tv  pubbliche,  ma anche su quelle private, perchè sarà pur vero che nel privato ognuno fa quel che vuole,  ma non quando questo privato in qualche modo  si fa pubblico.

Forse quando la misura del  vuoto (in senso  generale)   sarà colma, forse quando  veramente si andranno a mettere in  crisi su ampia  scala benefici  sacrosanti   e prioritari,  qualcosa riuscirà effettivamente a smuoversi e a smuovere le acque?

Non voglio nemmeno assolvere  senza  critiche  le reti  pubbliche;  possono fare di meglio, devono fare di meglio.

Non ci sono paesi europei o extraeuropei  di stampo occidentale che io abbia sostanzialmente  ad invidiare; siamo tutti discretamente ipocriti,  contraddittori  e  corrotti,  ma è pur vero  che c’è gente  che sa il fatto suo nei  palazzi del potere, e se non stanno  proprio dentro i palazzi,   agiscono però  sul territorio  con  competenza  e  tenacia.   Che ci vengano a raccontare le loro esperienze e le loro situazioni…NOI VOGLIAMO SAPERE, NOI VOGLIAMO CAPIRE.

Potendo  scegliere dove andare a vivere,  fondamentalmente    penso  che tutti alla fine decideremmo  di rimanere  nel proprio   stato d’appartenenza,  salvo  la comparsa   in tali luoghi  di improvvise condizioni  particolari   eccezionali e contrarie.  Questo la dice lunga sulla condizione  di  crisi  collettiva.   Giusto solo i giovani  possono credere che l’erba  del vicino  possa essere più verde, per la banale ragione   che non hanno ancora  mai dato  e non si aspettano  possibilità  dove sanno non esserci  nell’immediato.

In quanto  all’eventualità   di potere conoscere mondi diversi,  sono   i   paesi  non occidentali  che decisamente  trovo più interessanti ed intriganti, come tutta l’Africa  (ma soprattutto quella centrale) e come tutta l’Asia.

Paesi   che possono essere osservati sotto due ottiche: quella che li porterà  progressivamente ad occidentalizzarsi  sotto certi aspetti (nell’uso per esempio condiviso della tecnologia),  e  quella che li manterrà, io credo, fedeli  alla propria natura.

Una natura selvaggia ed indomita, stravolgente  e  lussureggiante (quella dell’Africa), una natura  bistrattata  e   misconosciuta, misteriosa  ed indecifrabile  (quella dell’Asia).

In Europa ed in America, come spetterà  all’ Australia,  la natura   è  stata messa  ormai  al servizio dell’uomo  o  quantomeno   così ci piace credere.

Alla natura  soverchiante abbiamo sostituito  la nostra lunga e millenaria civiltà, che sono sostanzialmente  sempre briciole di universo  se paragonate alla lunghezza del tempo  risalente   fino ai suoi primordi.

Allo spettacolo  ineguagliabile    dei tramonti nelle savane  o delle steppe   abbiamo sostituito lo scenario   dei nostri meravigliosi teatri, o delle nostre celebratissime    riprese cinematografiche.

E certo come possiamo tacere sulla nostra stupenda e rinnovabile   capacità  di  raccontare storie, di farci commuovere e divertire,  facendoci    sentire  dei popoli  in cammino  verso obiettivi  sempre più alti  e condivisibili?

Quando andiamo al lavoro  possiamo  raccontare  al nostro compagno di  giornata  dell’ultimo  film  che  quel grande regista  (perché per noi è grande)   ha saputo  mettere  in scena, o raccontiamo  dell’ultimo spettacolo musicale   che abbiamo avuto  l’occasione di ascoltare.

Quello di cui ci vergogniamo  viene tenuto per noi stessi; non ci verrebbe mai    certo di raccontare    in un contesto  ordinario    “Ieri sera mi sono scolato sei   birre  e  dopo ero praticamente ciucco perso” oppure “Sono andato a casa ed ho bastonato mia moglie  perché non capisce mai un cazzo” oppure “Mi sono trombato  l’amica di mia moglie  mentre lei era in vacanza”,    oppure “Domani devo andare  a farmi pagare il pizzo  da  quei   coglioni  che stanno  nel quartiere nord”,  oppure  “Ho sparato  a  quel figlio di mignotta   che così impara   che ognuno si deve fare i cazzi suoi”  …

Queste ricreative esperienze  di vita  è il cinema che ce le confessa. Il cinema   o la letteratura o il teatro.   Andiamo  agli spettacoli   per   rivivere in forma  indiretta le nostre tensioni,  i nostri dubbi,  le nostre angosce;  nell’agorà  della piazza  le maschere  recitanti   parlano  per noi,  parlano come in un sogno,  in un delirio.  Loro  recitano  e noi  ci svegliamo dal sonno.

Perché poi il cinema (ed il teatro) ci racconta tutto, ci  sa mettere  a nudo,  ci mette allo specchio,  ci fa riflettere  con tutti i nostri  annessi  e connessi, senza mezze misure, senza mezze parole. E’ capace  di   metterci sulla giusta via, addirittura.   Persino ci racconta di uomini meravigliosi che sanno   essere tali solo per avere saputo banalmente  accettare se stessi, vedere ben chiaro dentro di sè.  A volte ci sono esseri così corretti, così speciali, così sensibili, così diversi dalla massa,  che    piuttosto che ferire il prossimo  sanno se necessario  mettersi da parte, anche quando persino  dovrebbero osare  qualcosa di più, dovrebbero chiedere qualcosa  di  irrinunciabile anche per sè.  E forse attendono anch’essi di poterlo fare.

Alla fine   le parole  di un amico o di un viandante occasionale    diventano  più illuminanti   di qualunque strizzacervelli, o  di qualunque  specialista   di qualunque apparato  del nostro  complesso   organismo   che abbia   la pretesa di   sostituirsi  alla nostra insostituibile  ed  incedibile   facoltà   di decidere.

Decidere, signori, decidere, amici cari,  ecco il problema.

Decidere ogni giorno perchè   essere  ( e non solo chi essere), cosa fare, cosa progettare.

Solo così  rimane    bella la vita!

Vi abbraccio, come sempre

Antonella dallomo

Nessuno mi può giudicare

Locandina del film Nessuno mi può giudicare

“Nessuno mi può giudicare”  è il titolo di un simpatico ed attualissimo   movie   di  Massimiliano  Bruno   che ci accompagna   esilarante   dalla prima battuta  all’ultima.

Film  dedicato  al mondo  oscuro e chiacchierato  delle escort, sì insomma, di quel   vario  panorama femminile   che se può resistere e non tramontare mai è perchè incontra il consenso di un altrettanto variegato  quanto  oscuro  mondo  maschile  e gaudente che cerca e paga a fior di centoni, spesso con soldi non propri,  le prestazioni di queste  potremmo definirle donnine allegre  d’alto bordo…

Escort  vuol dire soldi facili, vuol dire occasioni equivoche  e  mondo dorato, vuol dire rifiuto delle regole e di una vita normale, vuol dire corruzione  e degrado dei costumi,  ma questo racconto alquanto verosimile e riflettente  la realtà, ci insegna   a dispetto di ogni codice precostituito ed innegabile,   che  escort può  anche  significare  “bisogno di pagare dei debiti  per non perdere la custodia del proprio figlio e per non trovarsi in mezzo ad una strada  senza  una  possibilità dignitosa di futuro”.

E’ quello che accade alla nostra sfortunata ed ingenua  protagonista  che si trova dall’oggi al domani vedova, perseguitata da  ingiunzioni giudiziarie  ereditate dall’improvvido  quanto  assai poco fedele   marito.

Per   impedire il tracollo  repentino ed infausto  della propria esistenza,  Alice  deve improvvisarsi  quello che non è, quello che non vorrebbe fare e che mai si sarebbe sognata di andare a compiere:  prostituirsi per realizzare 1000 euro al giorno e non finire così  in galera con il figlio dato in affidamento…

Da una vita costellata di agi e privilegi la  giovane  protagonista,   interpretata da una bravissima  Paola Cortellesi,  si trova  catapultata  in una baracca fatiscente, definita dal  padrone di casa molto  eufemisticamente attico, e senza altra risorsa che  il  proprio ingegno.

Il padrone di casa è un uomo tutto d’un pezzo, il cui figlio è vagamente gay ed obeso, ma lui non lo sa…non lo sa che è gay, e non sa ancora  che finirà per innamorarsi di una bella brasiliana;  il quartiere è di quelli tuscolani, romanacci  della miglior specie,  o peggiore, dipende dai punti di vista…; ci stanno anche  molti extracomunitari, tra  cui un italiano (il  bellissimo Raoul Bova) sfigato e squattrinato che gestisce per loro    un  internet point  sempre in perdita;  sempre in perdita  perchè anzichè  avere una clientela puntuale   fa credito a chi è più sfigato di lui così che finirà   sull’orlo dello sfratto…

Insomma,  dimmi in quale quartiere abiti  e ti dirò chi sei…o quale periodo della tua vita stai attraversando.

Però  è strano  come  quando tutto sembri perduto,    si  possa trovare   l’occasione di apprezzare che  esistono dei vicini di casa  simpaticissimi, un figlio   che  sostanzialmente   non necessita di nulla che  non sia il tuo affetto,   amici impensabili, umili  e fedeli  disposti a darti una mano, un mondo semplice  e quotidiano fatto di  piccole attenzioni e di piccole gentilezze  che  ti  rincuorano, che ti infondono uno straordinario coraggio  e un senso di fiducia nel futuro.

E così  si può anche   sopportare  la fatica di un ruolo che non ci appartiene, che ci viene imposto dalla cattiva sorte, che possiamo concepire solo come provvisorio e  necessario, che ben può giustificare il titolo dato alla  visione; nessuno ci può giudicare per quello che facciamo, o che sentiamo, o che decidiamo, se abbiamo una giustificazione  più che onorevole, più che dignitosa, più che  degna di considerazione.

Non è esattamente  lo stesso discorso  ma qualcosa  di  vagamente   simile  per  Eva (nome d’arte  che nasconde  la vera identità tenuta  segreta),  la donna immagine che insegna   gli attrezzi del mestiere  all’ inesperta ed impacciata   compagna  di ventura.

E poi accade  che  in  un momento così    tragico  tu possa incontrare  anche l’amore, qualcuno che si innamora di te, che non sa quello che fai per necessità e disperazione, che continua a poterti  vedere  per quello che sei e non per quello che fai, per quello che senti e non per quello  che sei obbligata a fingere e recitare…

Niente scuse, niente ipocrisia, niente falsità di circostanza; le verità  sono semplicemente taciute perchè impronunciabili, perchè  subite, perchè non volute; è come quando uno viene colto   a rubare ma la merce non l’ha presa lui, qualcuno glielà gettata nelle mani per liberarsi  all’ultimo momento, prima  della cattura, dell’ingombro.

E’ solo il trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato;  non se ne ha nessuna colpa, nessuna responsabilità.

Bisogna  quindi    aspettare  che questo brutto momento venga risolto, possa venire archiviato.

E poi si  potrà  finalmente  tornare ad una vita normale, con un lavoro normale, dove le cose stanno tutte nel posto giusto, dove  non c’è più bisogno di nascondersi, dove non si è più  ostaggio  di  situazioni  che ci opprimono e ci schiacciano.

Ma se nel frattempo  il nostro amato  dovesse scoprire, proprio l’ultimo giorno  del nostro infelice  mestiere  e  nel modo peggiore,  quello che stiamo facendo, quello che abbiamo tenuto  nascosto, quello che non potevamo   confessare?

E allora sì che non c’è più  molto di che stare allegri;  l’orgoglio maschile ferito  non può facilmente comprendere, non può accettare  di vedere la cruda realtà  in armonia   con le ragioni del cuore.

Non lo può fare fino a che   quel mondo che abbiamo sempre giudicato,  a prescindere dal vero,  marcio ed indegno,    si   rivela per uno strano gioco del destino  degno d’essere riscattato; anche da chi fa, per le ragioni più varie,  queste luride pratiche  di vita,  può venire un segnale  di  onorabilità e di  pulizia.

Non buonismo,  non facile e scontato   assolvimento delle colpe;  i ruoli non vengono negati nè mascherati,   i principi  non vengono  infangati  e  rinnegati, ognuno si tiene le proprie responsabilità, le proprie colpe,  ma soprattutto  ognuno può avere la propria  occasione  di riscatto,  di risollevamento e di conciliazione con la   vita,  che non si finirà mai di ricordarlo,  rimane il bene più prezioso  ed irrinunciabile. Sentimenti  compresi.