Io percepisco, ma tu sei

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Non basta percepire, occorre verificare che quello che ho percepito corrisponde al vero.

Se bastasse la verità della percezione,  allora io sono Napoleone perchè così mi percepisco.

Oppure  una giraffa  con lo spirito di un’aquila…

E’ quello che sta accadendo al nostro pensiero squilibrato.

Occorre stare molto attenti a non perdere la bussola dell’orientamento, amici carissimi.

Così come siamo tutti d’accordo nel dire che il terrorismo islamico è una follia, dovremmo anche essere tutti d’accordo che c’è differenza tra il percepire qualcosa  e il comprendere quella stessa cosa, tra il fare una prima analisi delle cose e  l’arrivare alla verità, quella risolutiva,  quella che alla fine conta e permette di costruire le cose.

Perchè noi siamo fatti per crescere, per essere felici, per trovarci, per trovare, per mettere tutto in discussione ma anche per non buttare via le cose di cui non possiamo fare a meno,  per amare senza con questo distruggerci e distruggere, per odiare senza con questo uccidere e mortificare.

Questo volevo dirvi, oggi.

Tunisi come Parigi

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Dopo i fatti del Bardo, Tunisi scende in piazza…

peggio, certificato medico stracciasi…

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Cari amici, la verità sul volo di provenienza tedesca che è andato schiantandosi sulle Alpi francesi, con a bordo (oltre molti tedeschi)   anche molti  spagnoli,     e    diventando nello  sfracellamento   cibo per le aquile,  è che il copilota suicida e pluriomicida aveva a suo carico un certificato medico che lo dava per malato per il giorno dell’incidente, ma il pilota lo aveva stracciato e non consegnato.

Ma come?  Siamo nell’era della certificazione on line, e questo lavoratore  dichiarato super malato  è stato libero di omettere un dato così importante? Ma non doveva essere direttamente l’Asl o chi per essa ad inviare a chi di competenza questo documento?

Più questa storia procede  e più  rivela falle incredibili nel sistema  preventivo, organizzativo e strutturale.  Per non andare a toccare quello umano e quello esistenziale,  che ci dimostrerebbe quanto ancora occorre imparare su come “Vivere per essere  felici permettendo al nostro prossimo di continuare ad esserlo”

 

 

lui è depresso, 150 persone muoiono

COPILITA SUICIDA AIRBUS-2154-kpwC-U10402584283423hyC-700x394@LaStampa.it   E’ la notizia di cui tutti i i giornali   oggi parlano. Un giovane pilota, ottima famiglia, ottimi studi, ottimo percorso  professionale,  sembra che a causa di motivi personali  fosse caduto in depressione. I test attitudinali  previsti per ottenere l’idoneità al volo erano stati tutti superati. Eppure lui probabilmente era ancora sofferente, visto che ha deciso di fare quello che ha fatto. Mi sorgono spontanee almeno due riflessioni:

  1. la prima è che  ci vorrebbe una scuola che insegni     come essere felici,  e non solo a conseguire un titolo di studio specifico e tecnico.
  2. la seconda è che i test a cui è stato sottoposto questo pilota di volo  sono  evidentemente   assolutamente inadeguati a rilevare un disagio che risiede nel profondo, nell’animo, e che a quanto pare può essere facilmente  tenuto “mascherato”.

Bene, o meglio, malissimo. Il disagio psichico e mentale di una persona ha deciso del destino di altre  149 persone innocenti, portandosi via 149 vite, 149 famiglie, 149 futuri che in un secondo non sono più stati tali.

No, per essere precisi  149 + 1,  forse l’anello più importante che non va cestinato come un dettaglio,  perchè è il dettaglio che ha fatto la differenza.

Adesso sembra che i dispositivi antiterrorismo verranno rivisti; la porta blindata della cabina di pilotaggio e non apribile dall’esterno  verrà prevista  nella sua necessaria apertura di emergenza;  le revisioni dei mezzi  continueranno ad essere (ce lo si augura)  sempre severe e rigorose (perchè dai commenti degli addetti ai lavori, loro davano per certo che questo iter di controllo spesso sui voli low  cost  gioca la ribasso);  i test di controllo sanitario sui piloti addetti al volo probabilmente diventeranno ancora più selettivi ed accurati. Dulcis in fundo,   sembra che la Compagnia aerea non intenda risarcire nulla perchè il disastro   è stato causato da un gesto volontario e folle del copilota (certo, ma il copilota era alle dipendenze di chi?  chi doveva garantire per le sue certificazioni  e qualificazioni?) Aggiungiamo anche  che se io fossi il datore di lavoro di chichessia,  non intenderei pagare a mie spese  per gli squilibri di un mio dipendente, il cui disagio, sfido qualunque genere di visita psichiatrica,  evidentemente riesce a rimanere nascosto  e non decifrabile… Qui  le notizie dettagliate riportate dalla Stampa. E noi cittadini che un giorno decidiamo di prendere un volo?  Forse sarebbe  meglio  portarci  in borsa   anche  un portafortuna, non si sa mai,  perchè davvero per certe questioni   non c’è certezza di nulla…

Lina Prosa, poeta del mare

« Il naufragio è stato totale
Ma è stato di una semplicità assoluta
Lo sai perché ? Non c’è stata tempesta.
Non c’è stata lotta, resistenza.
Nessuna manovra di perizia marinara.
Nessuna chiamata di capitano.
Nessun avviso. Nessuna campanella.
Non c’è stato innalzamento di onda.
Niente che riguardasse il mare.
Il mare è innocente. »

Il testo è di Lina Prosa, lei scrive per il teatro, un teatro dove la parola è la vera assoluta protagonista.

E’ italiana, anzi, siciliana, anzi, palermitana, anzi, un poco (molto) lampedusana.

Però viene messa in scena a Parigi o a Berlino, o domani, chissà,  là dove la porterà il mare.

Leggi qui altre cose sul suo teatro, che oggi si occupa di naufragi, ma che si è occupata in passato di molto altro…

voce del verbo comunicare

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Comunicazione eccellente o eccellente comunicatore?

melania mazzucco: una viaggiatrice

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il museo del mondo

allena la mente

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allena la mente

due partite, una sola umanità

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Era il   1964 quando  Mina cantava “È l’uomo per me” e quattro donne si incontravano intorno a un tavolo per confessare a se stesse che l’uomo che avevano sposato non era “fatto apposta” per loro nè “sapeva dire parole d’amore”. Beatrice aspetta un figlio, divora libri e ha sposato un uomo che le scrive invece di parlarle, Claudia è la mamma perfetta di tre figli e la moglie devota di un marito fedifrago, Gabriella una musicista frustrata che ha lasciato il piano per la maternità e per favorire la carriera del marito, Sofia è la madre di una figlia indesiderata e la moglie di un marito disprezzato, che tradisce con l’amante nella casa dell’amore. Nella stanza accanto, le loro bambine giocano “alle signore”, cullano bambole e ritagliano Grace di Monaco sulle riviste. Negli anni Novanta sono diventate donne e amiche intorno allo stesso tavolo. Sara, Cecilia, Rossana e Giulia sono figlie infelici di madri infelici che (ri)leggono Rilke e sognano “l’umanità femminile”.

Scritto da Cristina Comencini, interpretato da otto attrici e diretto da Enzo Monteleone, Due partite è uno  psicodramma dove gli uomini, motore di ogni discorso, non esistono nè compaiono mai in campo. Direttore di loser, attori senza successo, rapinatori cortesi e fanti in trincea, il regista padovano dirige con misura ed eleganza l’outing d’insofferenza di un gruppo di donne coinvolte in uno spazio discorsivo.
Quello che accade in Due partite è una serie di conversazioni interrotte, di confessioni, di reticenze, di dichiarazioni, intercalate da un montaggio quasi invisibile. Se la squadra di soldati di stanza lungo la linea del fuoco condivideva lo stesso buco nel deserto, sperando solo di ritornare a casa (El Alamein), dentro a un salotto borghese quattro donne giocano a carte, sognando di abbandonare le mura domestiche per decidere liberamente del proprio destino e della propria sessualità. Diviso in due tempi (storici) ma agito nello stesso luogo, Due partite è la storia di quattro madri e di quattro figlie culminante in una conclusione struggente che “guarda in macchina” chi ha dimenticato di guardare e di ascoltare. Silenzio e verbosità sono gli strumenti primari dell’arte drammatica impiegati da Enzo Monteleone per far convergere intorno a un tavolo e dietro le carte i destini di un campionario femminile sospeso tra il desiderio di maternità e il diritto di abdicarlo.
C’è l’eterna mangiatrice di uomini, (Cortellesi) circondata dallo zelo perfido delle amiche, la malalingua vessatrice (Buy), la perennemente mamma di sole figlie femmine (Massironi), l’ingenua neomaritata e incinta (Ferrari), tutte ugualmente vittime di ambasce coniugali. Pure pieno di risate, Due partite non produce allegria ma il disegno delle vite private e della sofferenza patita dalle protagoniste. La comicità della Ferrari, della Buy, della Cortellesi e della Massironi d’improvviso commuove, generando una commedia arrabbiata e socialmente affilata. La circolazione sentimentale che muove le attrici-madri al riso e al pianto è interrotta dalle doglie della Ferrari, le cui urla e la cui assenza dal tavolo da gioco provocano un vuoto, un piccolo arresto, un cauto sospendersi delle azioni prima della riproduzione dei loro doppi trasposti nei desauturati anni Novanta. Raccolgono eredità e testimone la figlia della Pandolfi, della Melillo, della Rohrwacher e della Crescentini, interpreti più deboli delle colleghe “in costume” e donne più infelici delle madri Sixties. Portatrici di un nuovo disordine amoroso, di un senso di precarietà, di incombenti catastrofi sentimentali, di sesso malriuscito e di sconnesse (in)decisioni, sono come coloro che le hanno “generate”, eroine tragicomiche che non si realizzano ne si esauriscono nell’accasamento e nell’amore stabile.
I padri e i mariti, distratti, affettuosi, affamati di successo e cedevoli alle lusinghe, vengono rilanciati oltre i bordi dell’inquadratura, rimandando a un maschile ostile non dicibile e non mostrabile. Fuori campo, in attesa di stravolgere le loro consuetudini intellettuali più profonde e radicate e di cessare di considerare il femminile “soltanto il contrapposto al maschile”.                                       Marzia Gandolfi

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ecco le donne che vivono, ieri, oggi, domani

8 marzo festa della mimosa

Non è più la festa della donna, è diventata solo la festa della mimosa

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Nel mondo arabo la donna è totalmente sottomessa alla legge islamica.
Nel mondo indiano/asiatico deve essere quella che non può andare in giro da sola.
Nel mondo africano, è quella che deve lavorare più dell’uomo ed avere tutto il carico della famiglia sulle sue spalle senza nessun diritto, rispetto e tutela.
Nel mondo occidentale è quella che viene uccisa dal compagno se decide di avere una vita personale.

Ma perchè festeggiamo una cosa che non viene per nulla rispettata?
Io ne propongo la sua abolizione.
Donne, rifiutiamoci d’essere ancora prese in giro.

#iononfesteggio/vivo deve diventare il nostro motto.

la giornata dei giusti

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Moshe Bejski muore il 6 marzo del 2007, e dal 2013   questa data   diventa la giornata dedicata ai giusti, a tutti gli uomini che sono stati capaci di mettere il Bene sopra ogni altra cosa, ogni altra priorità.

Qui la memoria storica   che ne ricostruisce gli eventi.