credo negli esseri umani

Non sarà bellissima, ma mi piace  🙂

Nepal

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25 aprile, 70 anni dopo

La libertà che la fine della guerra ci ha regalato ad un durissimo prezzo, è il bene assoluto che la Resistenza ci ha lasciato in eredità.

La corruzione ed il mal costume che  oggi impera  nella nostra Democrazia,   è il male assoluto  che la Cattiva Politica   ci  ha lasciato  sulla coscienza.

Sta a tutti noi proteggere il Nostro Meraviglioso Paese Libero.

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prima e … dopo

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ellie goulding…

l’amore non è violenza

L’evento è già accaduto, ma non per questo scaduto.

Volantino-

Nimrud, genocidio dell’arte

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Diaz: fu una tortura

Dopo quattordici anni da quell’evento terribile, l’Europa ha condannato l’Italia a pagare per gli atroci atti compiuti nella notte del G8 2001 in una Scuola di Genova, la Diaz,  contro persone indifese e non in posizione di attacco.
Tra quelle persone c’erano civili qualunque, donne e bambini, persino suore, religiosi, studenti tranquilli che volevano dire il loro no alle logiche affaristiche della politica del malaffare.

C’erano anche evidenti presenze sovversive, che non disdegnano di segnalare la loro presenza dietro al loro stile di vestirsi e di pettinarsi.
E allora? Credevamo d’essere in un paese civile dove dovesse essere garantita la libertà di pensiero.

Abbiamo confermato che sono spesso molto di più le persone coi colletti bianchi a doverci piuttosto preoccupare.

E’ bastata quella inenarrabile notte per accorgerci che si era silenziosamente e diabolicamente dichiarato guerra alle idee, a quelle diverse dalle proprie.

Se poi la parte che dichiara guerra alle idee è proprio la stessa che dovrebbe garantire l’ordine pubblico e la difesa dei più elementari diritti, allora è lo Stato che si fa criminale e responsabile di un atroce delitto.

Lo Stato quel giorno ha indossato la maschera del boia, che senza nessun regolare processo, anzi, persino in assenza di un qualunque crimine effettivo, è andato dentro in un luogo di servizio collettivo e di insegnamento, durante le ore notturne, con il preciso scopo di trovare persone indifese ed inermi, per fare una STRAGE contro TUTTI coloro che fossero dentro quelle mura, colpevoli solo proprio del fatto d’essere DENTRO QUELLE MURA.

Non soddisfatti di tanta TORTURA, è il caso di ripeterlo e sottoscriverlo, la ferocia è continuata anche nei luoghi di reclusione; anzi, se le mura di una scuola non avevano intimorito alcunchè, figuriamoci quanto avrebbero potuto intimorire le mura di casa propria, dove sappiamo essere garantiti e giustificati.

Ci si chiede perchè. Può la paura portare a tanto? può l’odio verso un genere che non comprendiamo portare a tanto? sappiamo bene che tutto questo è stato possibile, e che è dovuta arrivare la Corte d’ Europa a dirci che quella notte abbiamo sbagliato.

Forse che persone del tutto innocenti e inconsapevoli del loro destino, perchè prese a tradimento e secondo un piano criminoso ed efferato, potevano essere chiamate a pagare per le colpe di altri? di chi avesse forse commesso delitti rimasti impuniti? e che avrebbe dovuto essere perseguito secondo equi canali di legge?

Quel giorno quindi si è voluto attaccare  la libertà di pensiero, non delle persone precise, esattamente come stanno facendo i terroristi che si fanno saltare nelle chiese, nelle piazze e nelle scuole, per imporre la loro idea contro quella degli altri.

Anzi, i terroristi sono pronti a morire per un’idea sbagliata; lo Stato, quando sbaglia e si dichiara innocente, non solo non è disposto a morire per nulla, ma si prepara a perseguire altri atti criminali sapendo di rimanere impunito.

E’ come se noi un bel giorno giustificassimo un carabiniere o un poliziotto che fosse, che decidesse di uccidere il primo che passa per la strada giusto per fare giustizia di un torto magari ricevuto anni prima da una persona totalmente diversa che fosse rimasta impunita, colpevole d’essere semplicemente anche lui un cittadino di questo Paese.

Assurdo. Non ci si può fare giustizia da sè; non si può sparare nel mucchio; non puoi farti artefice di torture indossando il vestito di un rappresentante di un Paese che si dice democratico.

Eppure all’epoca non abbiamo saputo nemmeno chiedere scusa; non solo, i colpevoli di quei gesti sono stati premiati con carriere fulgide, rimossi di gran fretta dai loro posti diventati troppo scottanti.

Si poteva chiamare questa giustizia?

Padre Marco

Padre Marco vive in un eremo  dedicandosi alla preghiera.

Io e Davide arriviamo leggeri  alla sua dimora nella mattina inoltrata, ed  il luogo che ci accoglie sembra essere deserto.

Sembra, ma noi sappiamo che non è così. C’è una finestrella aperta, e ci sono fiori ovunque, a rendere omaggio al tempo. La piccola stanza della ricevitoria è anch’essa spalancata; ci diamo un’occhiata e ci sono riviste religiose in ogni angolo, di quelle che non troveremmo nelle edicole; vedo rosari appesi ai muri, di tutti i colori e le fogge…

I  monaci invece stanno tutti dentro, dentro le mura e le porte che ci separano da loro, o meglio, separano loro dal mondo.

Continuamo a guardarci intorno; per me è un luogo nuovo, anche se non mi è nuovo lo stile di vita; per Davide è un luogo della mente già conosciuto, già avvicinato, già incrociato nel tempo che fu. Luoghi della mente che sappiamo bene tradursi in luoghi della vita reale.

Sulle pareti e sulle colonne del porticato stanno appese le scritte monastiche che invitano al  silenzio e alla preghiera,  dicono a chi li legge che siamo in un luogo religioso, dedicato al culto di Dio Nostro Padre  e Signore.

Sembra che vogliano preparare le persone a sapere come presentarsi, sembra che vogliano  predisporre i viandanti  a  deporre fuori dalle mura i loro affanni, la loro quotidianità, il loro tempo mondano, per dire loro qualcosa del tipo “Guarda che qui il tempo finisce, qui sei nella casa di Chi  per te è morto e resuscitato, qui  cambiano le dimensioni delle cose, e quello che fino ad ora è stato il tuo pensiero o i tuoi pensieri dominanti, qui cessano d’avere importanza.”

Dobbiamo rivedere un amico, una cara persona che ha fatto la scelta di seppellirsi nella eccezionalità  della regola benedettina,  per vocazione, per fede, per amore della Chiesa e della Sua santità.

Ad un certo il punto portone si apre ed esce proprio lui, un omone dalla veste non proprio linda, che sta venendo dall’orto, ancora si porta addosso appesa alla cintola la falce del contadino.

Di Padre Marco mi colpisce subito  la sua lunga barba bianca, ricciuta e morbida, da grande vecchio, anche se i suoi baffi rimangono decisamente più scuri, quasi a volere indicare un vigore ancora non sopito.

Infatti nulla di questo monaco anziano indicherebbe la sua veneranda età, vicino agli ottanta; non i suoi piccoli occhi vivaci e ridenti, non la sua possenza muscolare, non la sua assoluta lucidità, non il suo parlare gioioso e vivace, non   la sua innata  apertura al dialogo e allo scambio, non la sua curiosità nel chiedere dei vecchi amici, delle persone incontrate e poi perse per le strade della vita.

Padre Marco ci racconta   d’essere arrivato in questo luogo di pace e di silenzio naturale trentaquattro anni fa  e di essere subito stato colpito dalla bellezza del monte, del bosco, del cielo. Quello che nel tempo è diventato un edificio capace di sostenere la vita dei religiosi  è stato il risultato di anni di lungo lavoro da parte dei monaci stessi e di molti volontari che hanno offerto con entusiasmo  la loro opera, improvvisandosi ora muratori, ora elettricisti, ora uomini di misericordia.

Padre Marco parla, domanda, sorride e si lascia andare ai ricordi; ci  confida che ha qualche problema ad un ginocchio, che dovrà sottoporsi ad una grave operazione, ma che non è preoccupato, a lui basta potere continuare ad essere autonomo, potere recarsi nella terra  a fare il suo lavoro, che i tempi sono tristi, e  che di questi tempi bui il potere coltivare un pezzo di orto può diventare di estrema utilità, soprattutto quando la piccola comunità monastica sta leggermente aumentando.

Si parla tutti insieme leggeri, le parole escono contente, e all’improvviso arrivano gli altri confratelli per l’ora della sesta.

Senza neanche rendercene conto ci troviamo tutti in cerchio, sotto il portico, seduti sulle panche,  il breviario in mano; alle spalle ci scalda il caldo sole di questa bella ma ancora fredda  giornata d’aprile.

Loro leggono i salmi o le compiete che dir si voglia, cantando; io non riesco a cantarli, i versi, mi accontento di leggerli, scandendo ogni parola come se fosse pietra.

Prima di andarcene ci tengo a chiedere a Padre Marco  cosa ne pensa di quello che sta accadendo nell’Islam.

Lui risponde che si ritrova con il pensiero di Papa Giovanni Paolo Primo  che aveva lanciato un grido di allarme in una sua enciclica.  Il problema dell’Islam, dice il nostro amico, è che loro non hanno la separazione dei poteri, quello politico da quello religioso; che per loro credere è un obbligo e non una scelta; che la loro fede non rimane legata alla ragione, come accade al cristianesimo; infine che quindi è insito nell’islamismo un inevitabile radicalismo mai affrontato e visto come un limite.

Insomma, mi rendo conto che in lui non parla un uomo di parte, anche se così potrebbe sembrare, ma solo l’uomo che vivendo pienamente la propria fede fatta di pace e di concordia, al  prezzo di  estreme rinunce, rimane scettico nei confronti di una possibile pacifica convivenza che non dovesse richiedere altrettanta fatica come altrettante numerose e  pericolose incognite.
Padre Marco la fede la vive, e dunque la conosce bene. Ne conosce il prezzo, l’odore, le dimensioni, gli impegni, le difficoltà e la gioia.
Padre Marco la fede l’ha scelta, liberamente, attraverso un cammino che è stata la sua vita. Questa nostra religione ha riconosciuto a un prezzo altissimo l’importanza della libertà, libertà ancora disconosciuta dall’Islam.
Potrebbero due religioni in sostanza così diverse, trovare canali di convivenza reciproca? E se in passato tutto questo è sembrato possibile, perchè nel tempo dell’oggi tutto questo sembra essere una chimera?

Ad un certo punto si parla di Bibbia e di traduzioni e di edizioni Dehoniane piuttosto che di quelle antiche è rimaste più fedeli ai testi originari.
Padre Marco sentenzia: “E’ così difficile tradurre senza tradire”

Mi viene da aggiungere che è altrettanto difficile interpretare, che bisogna distinguere tra lettura letterale e lettura di senso.

L’Europa ha perso le proprie radici cristiane già da molto tempo, almeno così sembrerebbe. La piccola minoranza che queste radici non hanno voluto perderle,  non è certo vista comunque meglio da una religione che disprezza tanto l’ateismo quanto l’appartenere ad un  credo   che verrebbe dichiarato non vero.

Non mi sento di smentirlo.  I  fatti che stanno accadendo stanno andando tutti in questo senso.  Sembra che  l’estremismo stia vincendo sulla volontà  di convivere pacificamente.  Però  non siamo che all’inizio  di tante domande che attendono ancora la loro risposta. Qualche finestra di luce viene lasciata aperta..

Lo stesso Islam  è chiamato a confrontarsi con le proprie  contraddizioni interne e con i propri grandi conflitti mai risolti. Sciiti contro sunniti, salafiti e mistici più o meno ignorati.

Prima di andarcene chiedo di potere portare via con me un piccolo rosario di  legno.

Questo rosario potrà diventare uno strumento di costruzione, di comprensione, di condivisione, come anche rimanere un oggetto speciale  ma  banale dimenticato  in qualche cassetto della nostra casa.

Le scritte disseminate sui muri dicono”Il tempo che dedichi alla preghiera non è tempo buttato via”

So che raccontano una grande verità.

Ci lasciamo con la promessa di rivederci  e  ce ne andiamo via leggeri così come eravamo arrivati, carichi solo dei nostri pensieri taciuti e condivisi solo nel cuore.

I monaci e le monache sono persone stupende, pensiamo dentro di noi, io e Davide.

Si dedicano al ritiro dal mondo senza dimenticarsi del mondo; si dedicano alla riflessione della Sacra Scrittura  senza  perdere la capacità di coltivare un vocabolario di umanità condivisa; insomma, non sono mica marziani diversi da noi; sono bensì persone che essendosi innamorate della figura di Gesù, hanno deciso di stargli vicino, cercando di dedicare ogni attimo rubato alle necessità corporali,  alla scoperta della Sua inesauribile bellezza.

Non c’è nulla di simile nella religione islamica, e nemmeno nella religione ebraica. Sì, anche le altre religioni monoteistiche si cibano di misticismo, di  spiritualità, di  solitudine e di  separazioni, ma  non hanno  una Storia   così importante come è stato il monachesimo europeo.

Il monachesimo è una cosa tutta nostra, che ha contribuito a costruire l’Europa e a farla diventare quello che era  diventata.

Riuscirà ora, anche con il  nostro aiuto di semplici cristiani che vivono nel mondo,  a far ritrovare la pace dove detto mondo pacifico viene tutti i momenti messo a dura prova? Dobbiamo lasciare il problema della pace a chi la fede l’ha persa? a chi la fede la vive con la preghiera (e sono molto pochi)? o c’è bisogno anche di noi, uomini del mondo ma che aspiriamo alla vita eterna?

giovani studenti decapitati

Succede di nuovo, e proprio nel giorno della solenne Via crucis cristiana, alla vigilia della Santa Pasqua.
Succede di nuovo, e questa volta sono andati a prenderli dentro le aule universitarie, dove i giovani vanno per costruirsi un futuro.

“Eran forse 200, eran giovani e cristiani, e sono morti.”

Potremmo così intonare un canto di dolore e di disperazione universale, SE NON FOSSE CHE QUANTO ACCADE COSì LONTANO da noi, dalla nostra normalità, non ci permette di comprendere veramente, non ci permette di trovare parole adeguate, parole capaci, se non quelle di rito.
Accade in Kenya, e nessuno riesce a fermare la follia omicida contro i cristiani nel mondo.
La loro colpa? Quella appunto di portare una croce come segno della propria religione.
La nostra colpa? Quella di non riuscire a fare abbastanza per fermare l’orrore di un esercito che non ha dignità, nè onore, nè gloria, se non quello malvagio della menzogna.

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il popolo scomparso

Il 24 aprile sarà il centenario dello sterminio degli armeni.
Una strage di innocenti che si ripete, con scenografie diverse ma con la stessa ferocia, assurdità e follia.

Leggere “Il popolo scomparso” di Andrea Riccardi.

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Dall’orrore senza nome alla normalità di un popolo qualunque.

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Manoel de Oliveira

 

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