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Sono già tre gli stati arabi che hanno chiaramente preso una posizione militare contro l’ISIS, ossia contro il fanatismo islamico che vorrebbe uno stato islamico indipendente dove la sharia possa diventare l’ unica ed incontrastata legge dello Stato, messa in pratica nel suo senso più nefasto e distruttivo.
Dopo il decadimento progressivo dello stato siriano, che è diventato un unico campo di battaglia senza più passato e senza un visibile futuro ( ma dove rimane in corso una significativa capacità di resistere da parte della minoranza curda), dopo il terribile rogo del pilota giordano, dopo l’ennesimo sgozzamento degli oltre venti copti egiziani in terra di Libia, sembrerebbe che i paesi islamici coinvolti non hanno molta intenzione di subire la tracotanza e la ferocia terroristica di questo esercito spietato in sensibile crescita, senza reagire.
Anche il mondo occidentale, dopo lo storico assalto alle torri gemelle di New York, dopo il recente assalto a Parigi e dopo il recentissimo assalto a Copenaghen ( ma non si contano gli eventi degli ultimi anni che forse hanno avuto meno clamore, ma non certo minori conseguenze) sembra mobilitarsi in modo globale ed unitario avverso questi scellerati che di sicuro non hanno nessuna intenzione di fermarsi, per il momento in un senso assolutamente diplomatico che di certo non deve mancare in uno scenario di guerra e di tensioni così complesso e così in perpetua evoluzione.
Anzi, è proprio di questo armarsi intellettuale che l’Europa e non solo ha un assoluto bisogno.
Uno stato musulmano che si dovesse formare con le premesse del terrore si prefigura come qualcosa di terribile, di allucinante, di assolutamente folle. Eppure questa presunta follia sembra reclutare giovani appassionati che si votano al martirio, posseduti dall’idea che è meglio morire in gloria che vivere nella mediocrità e nell’ipocrisia.
La colpa del vecchio mondo cristiano o normalmente islamico sarebbe quella di non convincere più, di non risultare più affascinante o degno di attenzione e rispetto.
Da occidentale non certo corrotta e non certo entusiasta della nostra assai debole e fragile democrazia, vorrei dire a questi giovani soldati pronti a morire che si stanno semplicemente sbagliando.
Vorrei dire loro che si stanno offrendo ad una regia altrettanto falsa e mascherata, che nasconde secondi fini affatto nobili.
Vorrei dire loro che il loro odio per la vita e per l’umanità non può essere giustificato da nulla, nemmeno da presunti possibili e reali crimini.
Vorrei dire loro che se di violenza si fanno portavoce, solo di violenza si fanno espressione, e nulla più.
Poi che facciano pure quello che credono.
Da soli troveranno le loro risposte, così come da soli o in cattiva compagnia non hanno saputo farsi le giuste domande.
Come se non bastasse, c’è la questione ucraina a preoccupare gli equilibri mondiali; e persiste una profonda crisi economica che ha come protagonista da diverso tempo una sorvegliata speciale, la Grecia, nella quale più o meno (alcuni molto meno, altri molto più) tutti i paesi dell’Unione temono di doversi identificare.
Ragazzi, c’è da farsi venire il giramento di testa…
Qui ci vuole davvero molto sangue freddo, molta capacità di ponderare, ma soprattutto la sincera e determinata voglia di cercare soluzioni, da parte di chi è preposto a trovarle.
Per fortuna qualcuno che sa farlo io voglio credere, rimane ancora in circolazione.
Dopo avere parlato del coraggio e della resistenza, non si può non parlare, di questi tempi, di quello che sta accadendo in medio oriente, e della minaccia incombente rappresentata dal terrorismo islamico.
In questo articolo riportato dal sole 24 ore il deputato Giovanni Di Battista ha lanciato l’ipotesi di un bisogno di dialogo con i movimenti ( oggi questo, ieri un altro…) estremi che per farsi giustizia o per realizzare un loro progetto di vita e di sistema paese, ricorrono alla logica spietata e disumana della prevaricazione sociale, militare e politica.
Questo, si sa, ha sollevato una marea di contestazioni, per lo più comprensibili ma anche altrettanto superficiali, in quanto sappiamo che non si risolve un pericolo oscuro e incompreso lasciandolo tale.
Di Battista ha detto una cosa molto assennata e lungimirante, senz’altro degna di rispetto e di considerazione, almeno a mio avviso.
Quello che mi fa sconcerto non è questa elementare verità, ma l’estrema difficile realizzazione di questa necessità.
Non è certo pensabile che un sistema così complesso e lontano dal nostro (ma non per questo non simile) si voglia mettere a dialogare con il proprio presunto nemico, senza avere per questo adeguati interlocutori capaci di rappresentare, agli occhi di questa frangia che rischia sempre più di diventare sovrastante, un punto di confronto e di riferimento.
Innanzitutto bisogna guadagnarsi “l’attenzione” delle persone con cui si intende andare a negoziare. E poi prima della negoziazione occorre tutto quel cammino di vita comune, di problematiche sociali, di occasioni di confronto, che sono di per sè ardue all’interno di uno stesso sistema di vita, figuriamoci dentro due realtà così divergenti e percepite come antagoniste.
Forse è questo il problema numero uno; l’opinione comune percepisce che il mondo islamico non sarà mai abbastanza evoluto da comprendere le logiche del mondo occidentale, nè il mondo occidentale ammette che il suo stesso sistema abbia dimostrato d’avere fallito e d’essere dunque passibile di critiche severe e necessarie.
E poi dove sono i leader che potrebbero programmare e perseguire questa necessità di sapersi sedere ad un tavolo comune, come si dovrebbe fare in ogni comunità funzionante?
Non sto dicendo che la cosa è impossibile; sto solo dicendo che questo conflitto dovrà durare ancora moltissimo moltissimo tempo, prima di potere intravedere una via d’uscita.
In verità già molto si potrebbe e si può fare a partire dall’educazione che si impartisce ai propri figli. Se si insegna che il popolo arabo (preso a simbolo di diverso dal proprio) è un qualcosa che va solo controllato utilizzato e tenuto in disparte, è chiaro che mai e poi mai questa gente ci potrà vedere come qualcosa che rimane degno di rispetto, nè i nostri figli potranno crescere in uno spirito interculturale.
Lo stesso dicasi per la cultura del Medio oriente; se si insegna ai bambini a scuola che l’occidente è per antonomasia il nemico storico, è l’usurpatore, è quello che vive senza Dio, è quello che vuole solo distruggere le civiltà diverse e non controllabili, è chiaro che mai e poi mai noi occidentali potremmo abbandonare l’idea di volerci proteggere a qualunque costo, con qualunque mezzo da questa specie di cancro che ci divora le membra, nè i giovani musulmani potranno imparare a vederci, dalle loro terre, come possibili fratelli.
Dov’è il mio nemico? Il mio nemico è il terrorista, non un sistema di vita semplicemente diverso dal mio. E perchè nasce il terrorismo? Per tanti ragioni. Alcune imputabili a torti subiti e quindi a offese perpetrate; altre imputabili a ideologie ben manovrate e mosse a regia da chi ci vuole guadagnare in potere e a volte ricchezza.
Il terrorista vince perchè costruisce intorno a sè un terreno di omertà, come la mafia, dove le persone vengono appunto terrorizzate, indotte al silenzio e all’accettazione.
Il terrorista vince perchè si trasforma in un meccanismo disumano imbottito di odio e di desiderio di rivalsa.
E questo terrorista a volte veste i panni di un occidentale che si converte a questo fanatismo. Detto così, sembrerebbe che questo modo di agire assai criminale, non possa che avere i giorni contati, ed invece sappiamo che non si vede via d’uscita, che se non si riesce ad umanizzare il problema, coinvolgendo le volontà della stessa popolazione locale, non si troverà nessuna duratura guarigione alla malattia.
Ma perchè un occidentale, cresciuto nel nostro mondo, imbottito di libertà e concessioni, oltre che di violenza sottile e velata, perpetrata con eleganza ed ipocrisia, dovrebbe un giorno decidere di passare sul fronte opposto?
E’ ovvio, la risposta sta già nella domanda.
La nostra violenza sarà meno apparente e visibile di quella araba (uso questa parola per indicare una entità generica di riferimento), ma di sicuro non è meno feroce.
Noi uccidiamo sistematicamente i nostri cittadini migliori che hanno solo il difetto di essere deboli, con la leggerezza delle leggi, degli ostruzionismi, delle caste, dei privilegi e dei ladrocinii.
E nessuno ci chiama per questo terroristi.
E’ orribile la morte dell’inviato americano in Iraq; è orribile vederlo inginocchiato, vestito di arancione, abito che in quella circostanza rappresenta il potere ridotto a colpevole di un crimine o di una serie di crimini, rappresenta il nemico sconfitto e umiliato, rappresenta l’animale non più umano che deve andare alla morte, rappresenta lo stesso colore che gli stessi americani fanno indossare ai loro carcerati che sappiamo possono essere soggetti alla pena di morte.
E’ orribile che i suoi familiari debbano piangerlo, trovando consolazione nella misericordia.
E’ orribile che ci si possa sentire inermi e indifesi.
Ma è proprio quello che loro ( il nemico) vogliono ottenere.
Ed è ancora più orribile pensare che i torti starebbero tutti da una parte soltanto, è orribile pensare che le guerre passate non ci abbiano ancora insegnato nulla sul bisogno di fare strategie di integrazione e non di invasione o conquista.
Certo, l’integrazione occidentale in terra d’oriente in questo momento sta toccando i minimi storici; sembra di essere riprecipitati in quei secoli dove la mezzaluna faceva scempio dei cristiani che non accettavano di convertirsi all’islam.
Certo, la nostra capacità di integrazione dello straniero è senz’altro superiore e favorita da una cultura libertaria che forse il mondo musulmano non possiederà mai.
Ma se stesse proprio in questa palese realtà la nostra speranza?
Come mondo occidentale dobbiamo riconoscere che il nostro liberismo ci ha portato contestualmente anche la perdita di valori importanti, che dobbiamo assolutamente recuperare; lo stesso mondo arabo deve riconoscere di avere ancora un sistema sociale troppo rigido e ancora precluso alle loro donne che vengono private vergognosamente dei diritti più elementari, tra cui il diritto alla salute, il diritto all’uguaglianza di genere, il diritto alla libertà.
Ripartiamo da qui. Dal farsi reciprocamente coming out.
Si facciano sentire e vedere le persone che contano.
Comincino loro a dare coraggio, a fare chiarezza, a uscire allo scoperto.
Ritroviamo i fili persi di questo conflitto che affonda le sue origini nel tempo.
Naturalmente non sto dicendo che quello che questi fanatici stanno facendo debba essere giustificato; sto cercando di pensare che non sarà con nuovi ed ennesimi bombardamenti che potremo recuperare in capacità di rispetto reciproco.
Ci vogliono ipotesi nuove, che aprano spiragli, che creino ponti, possibilità di incontri.
Magari nello stesso tempo ridurre tutti i rischi della non più possibile convivenza. Mettere in salvo tutte quelle persone che in questa situazione non si sentono più al sicuro.
Contattare gli esponenti democratici (se ci sono) capaci di influire e di creare una forma di dissenso locale. Contattare, per l’appunto, gli stessi terroristi in crescita, secondo dei canali superpartes ed umanitari, individuandoli a priori non come spazzatura con la quale non è ammesso nessun confronto, ma come il nemico dichiarato e degno di considerazione.
Infine, io direi, credo che se questi luoghi del mondo hanno deciso di dichiarare nella loro forma meno nobile e meno democratica possibile, guerra all’occidente, l’occidente debba essere abbastanza sensato da accontentarli.
In che maniera? Abbandonandoli, a nostra volta.
Forse, quando si troveranno chiusure e ostracismi totali il più possibili significativi, forse cominceranno a riflettere più sui vantaggi della mescolanza che sul bisogno di vedere distrutto il popolo americano da loro percepito come il demonio assoluto.
E’ solo l’ultimo attacco di turno che denuncia l’ intolleranza ed il terrorismo verso gli ebrei e verso l’occidente che li protegge.
Tre bambini ed un soldato morti in un luogo sacro dedicato alla cultura ed alla pace.
E le vittime dovevano essere molte molte di più.
Lui è un fanatico della guerra santa, Mohammed Merah, e si considera un martire della verità e della libertà, un vendicatore delle ingiustizie inflitte ai bambini arabi uccisi nei vari attentati in terra di Palestina, ma la rappresentanza palestinese in terra di Francia ne condanna la ferocia e la scelleratezza, mentre persino la madre non sa come prenderlo, come parlargli per farlo ragionare…
Ci sono persone completamente invasate, che non ne vogliono saperne di ragionare.
Le autorità interessate non ne riconoscono le rivendicazioni, lo spirito folle e squilibrato.
L’articolo precedente parlava proprio di un grande bisogno di giustizia nel mondo, ma non al prezzo della vita di innocenti, e non per opera di terroristi.
Non è questo il modo di fare tornare i conti che non tornano.
In Iran è stato arrestato Jafar Panahi, regista scomodo perchè espressione e denuncia del regime di stato iraniano.
Su Reuters Italia è possibile prendere visione delle prime informazioni che emergono dagli uffici stampa.
Immediate le reazioni di Parigi e del Giornale come di tutte le varie testate giornalistiche che condannano lo stato di oppressione civile del popolo iraniano.
Qualche notizia in più sui testimoni scomodi perseguitati dai relativi movimenti estremisti posti al governo dei loro paesi:
leggi il il pen club
leggi il Foglio
Ciao a tutti, scusate infinitamente per l’orrore delle immagini del precedente articolo, ma era doveroso testimoniare con la verità degli occhi e non solo delle parole la presenza continua del male che abita il nostro mondo reale. Continua a leggere
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