Cena all’Osteria del topolino

Oggi vi voglio parlare di quando siamo andati a cena all’Osteria del topolino…

Io e Pietro siamo in giro a zonzo, è  la fine  di  settembre,  l’estate ha appena chiuso i battenti,  il sole torrido ed impossibile dell’Asia  è ormai un pallido ricordo, e qui, sul confine tra la Liguria e la Toscana, in questo lembo di costa paradisiaca,  un giorno scopriamo per caso una bella trattoria.

Sta arroccata  dentro un bellissimo borgo  antico, dominando la valle sottostante; da qui si vedono i monti  del vicino Appennino tosco-emiliano e vista la stagione mi sembra di sentirne  i  suoi profumi, odore di funghi, odore di muschio, odore di erba bagnata dalla rugiada.

Per la cena è ancora presto e dunque si gira in lungo ed in largo alla ricerca di un  rustico  che Pietro avrebbe  adocchiato su internet;  non che si voglia fare affari,  gli affari ormai li fanno   solo i ricchi, solo chi ne ha tanti di soldi, insomma,  dove praticamente piove sempre sul bagnato…noi abbiamo solo tempo da perdere, tempo da fare girare, almeno di quello ne abbiamo a volontà…

Qui siamo nel centro del mondo;  cosa mai potrebbe mancare a questa gente che vive tutti i giorni a contatto con la natura? Noi del nord siamo condannati a vita ad alzarci ogni mattina per andare a lavorare un lavoro ingrato in una città ingrata tra gente incazzata che  ogni istante  maledice d’essere nata qui,  ma loro, del centro Italia o quelli del sud, cos’avranno mai da lamentarsi? 

Già, è vero, dimenticavo la crisi,  dimenticavo  questo governo di merda,  dimenticavo  che ognuno ha i   suoi c… da fare girare   comunque,  dimenticavo tutto questo,  ma io so soltanto che se  avessi potuto scegliere dove nascere,  avrei scelto di nascere qui, dove è sempre primavera anche quando è inverno,  dove basta aprire gli occhi ogni mattina per  rivedere i colori dei boschi, delle colline, dei campi, dei fiori, per risentire   i  versi degli animali nei cortili dei borghi, dove la gente davvero può pensare che  non c’è nulla che conti  quanto  saper stare in armonia  con il resto del creato…

La vita privata  qui è salva, è protetta, ha una  marcia  in più;  chi ci vive male  è perchè  non si rende conto della propria fortuna,  e così  magari sognando  lo smog e lo stress della vita urbana  vorrebbe fare cambio con qualche  poveraccio  condannato  all’inquinamento…ma  solo perchè è una legge di natura,  si cerca sempre quello che non si ha  e si crede  sempre, sbagliando, che l’erba del vicino sia sempre più verde.  Solo  qui davvero l’erba del vicino  è sempre più verde; ma vi rendete conto del valore aggiunto di un paese che scandisce i suoi tempi, le sue ore, i suoi minuti, a misura d’uomo?

No, io non ho davvero dubbi,  meglio giusti  che  corrotti, meglio sconosciuti ma felici, meglio intelligenti   che stupidi, e se poi  arriva anche qualche soldo in più non è che ci sputiamo sopra, va  bene, tanto di guadagnato.

Girando girando   arriva l’ora di cena e ci presentiamo all’oste; già  ci conosce, avevamo   potuto  incontrarlo    in un’altra delle nostre precedenti escursioni,  e subito l’atmosfera diventa simpatica;  lui ha fatto il servizio nella marina,  ci racconta  che poteva rimanerci dentro e che se ci fosse rimasto  oggi avrebbe potuto già essere in pensione. Ci racconta che a Lerici,  dove lui vive, come  praticamente in tutta la zona delle Cinque terre,  quasi tutti   lavorano nella marina, perché quello è da sempre  il loro  mondo.

Ha  circa cinquant’anni, poco più,     e  sapendo  che siamo dei biker  ci chiede del nostro ultimo viaggio; Pietro diventa una voce inarrestabile,  racconta, racconta, racconta, e lui lo ascolta  incuriosito,  si legge   nei suoi occhi l’entusiasmo  di potere fare  simili viaggi dove  non ci sono confini, dove non ci sono paesi  troppo lontani, troppo inavvicinabili, dove non ci sono cose già viste e risapute ma tutto da scoprire e da conoscere…

Pietro è talmente preso dall’entusiasmo del racconto che intervengo per interromperlo,  immagino che ci sia il cuoco di là in cucina  che abbia bisogno di qualcosa, dell’aiuto del marito, per esempio, visto che il cuoco è sua moglie, una bella signora giovanile, cordiale e squisita,  proprio come i suoi piatti che sappiamo essere  gustosi  ed imperdibili.

Come menù ci lasciamo consigliare:  ci sarebbe un’ampia scelta di antipasti che prevedono assaggio di polenta condita, focaccia ligure a base di erbe e uova,  affettato locale,  frittelle calde e ripiene fatte con la  sfoglia, tomini a base  di funghi di stagione;  come primi piatti   tagliatelle fatte in casa con un ragù a base di lardo e naturalmente ancora  funghi, gnocchetti sempre fatti in casa conditi con il pesto ligure, quello doc,  tortelloni ripieni di magro conditi a piacere;  per secondo coniglio  disossato e ripieno, un’insalata   sempre a base di funghi di stagione, naturalmente patate e un vario genere  di verdura cotta; per finire  il dolce della casa a scelta,   la grappa   ed il  caffè.

Non ci abbuffiamo,  abbiamo imparato  che  tutto quello che si butta giù  di troppo poi diventa un problema  di  smaltimento, quindi mangiamo il giusto, magari qualcosina di più,  tanto ce lo possiamo permettere.

Noi eravamo  arrivati per primi   ma poi arrivano gli altri;  c’è un’intera famiglia, sei persone, e ci sono altre tre coppie di giovanotti sulla sessantina e oltre, ed altre due coppie  di baldi   fresconi,  tutta gente della zona, a giudicare dai saluti  scambiati e  dai commenti  fatti  nella sala.

Tra i giovanotti  attempati  si festeggia il compleanno di una delle tre signore,  i reciproci compagni si alzano  a turno dal tavolo per andare sul terrazzo esterno  a fumarsi la santa  beata  sigaretta di turno; dev’essere in quell’occasione che nella fessura rimasta aperta della porta s’intrufola un bel topino di campagna, quelli piccoli piccoli, magri magri, tanto simpatici…e che fa?  Lui ovviamente sente odore di cucina e vuole andare là da dove proviene   il buon profumo;  percorre in lungo in largo    lo stipite   della parete  al suo lato,  e poi procede intenzionato a passare il secondo ostacolo, la porta  in quel momento  chiusa  che lo separa  dalla sua meta:  la cucina.

Io, superato il disagio iniziale,   lo seguo con la coda dell’occhio; la mia prima preoccupazione è che nessuno dei presenti abbia ad accorgersi di lui,  succederebbe il finimondo, penso tra me, già mi prefiguravo il genere femminile  dei presenti  appollaiato   sopra i tavoli  inorridito  e urlante;  poi penso  all’oste,  che non ci avrebbe fatto davvero una bella figura,  ma poi  mi dico, tra  me e me,  una cosa del genere  sarebbe potuta   succedere anche  nei migliori  locali  che si dovessero trovare   in aperta  campagna…suvvia…era solo un topolino,  piccolo piccolo, magro magro, affamato affamato..

Ecco che la porta del desiderio si spalanca ed è la fine; la fine dell’attesa per il topetto che in un battibaleno  supera  la soglia  riuscendo ad entrare nel suo agognato    paradiso…

Beato lui che se la gode…

Quando cantare diventa raccontare la vita…

 

Hello Italia!

Hello  world, oggi entro anch’io nel pianeta  web…

Ciao carissimi,  cominciava  così, con questo saluto e con un’immagine di popolo in marcia  la mia avventura quasi un anno fa  nel mondo del web, ma da oggi cambio il titolo del mio blog; non più “La croce il tempo e la mente”  ma  invece  “Il cuore  il tempo e la mente”. 

Le ragioni che mi hanno portato a questa modifica, che considerei conclusiva dopo i vari passaggi intermedi,   sono semplici:  nei vari  post inseriti  si è molto parlato di   sentimenti, di passioni, di scelte, di impulsi,  di pulsioni,  oltre che di fede e di religione;  di pari passo,  ho  sempre riferito il mondo religioso  ad un universo singolare, intieriore, personale,    che ben si concilia con la sfera  del sentimento, delle scelte dei singoli e non dei gruppi. La mia idea di religione, ossia di croce, è sempre stata legata alla sfera privata dell’essere; non è credente chi manifesta con i riti e le cerimonie, quantomeno non prioritariamente e non essenzialmente; per me è religioso chi semplicemente ha Dio nel suo cuore, e dunque nel suo pensiero, e dunque nel suo agire.  La parola croce però a mio avviso farebbe più pensare a un pensiero  crociato, che si crede investito di verità indiscutibili e certe, e mi rendo conto  che rimane un termine non adatto, non consono allo spirito molto meno  assolutista di questo mio discorrere con chi si dovesse trovare ad   incrociarmi nella babilonia della rete.

Più adatta la parola cuore, parola  anch’essa legata alla fede e dunque alla croce  (si crede con il cuore e solo con il cuore, non basta il cervello),  consapevole del fatto  che  ora  il  rischio  del blog  è    di essere scambiato    per  un luogo  dove si  dà  spazio  allo sterile  sentimentalismo; lungi  da me questa orribile  caduta,  poiché  tanto   il rigido dogma di chi si crede nel giusto solo perchè abbraccia una bandiera  prestigiosa  che qualcuno gli ha illustrato e che viene accolta   senza una reale  adesione, quanto   il becero sentimentalismo di chi strimpella melodie asfittiche  e  posticce,  sono i due  terribili nemici da evitarsi,  se si vuole cercare la verità, se si vuole capire, se si vuole sapere partecipare al gioco della vita.

Anche le ragioni che mi hanno portato ad aggiungere la parola mente al titolo scorso “La croce e il tempo”  sono  assai semplici, l’ho anche implicitamente   spiegato nei post dove  parlavo appunto della mente attraverso l’elogio della psicanalisi:  per dirla tutta, all’inizio, ossia   il primo novembre  del 2009,  quando ho inserito  il primo articolo  in blogspot  di google,    il sito si chiamava  “La  lanterna di Socrate”  in omaggio  alla filosofia e in onore  a Socrate, che nella mia concezione filosofica   individuo come il padre del pensiero  moderno.

Dopo soli cinque giorni  ho scoperto il mondo di wordpress e l’ho ritenuto subito più idoneo alle mie esigenze di scrittura,  più minimalista, più essenziale, passando   così  ad una   grafica  forse meno  ampia, con minori effetti   speciali,  con minore  disponibilità di  widget  (sob sob…qualcuno in più non guasterebbe!), ma a mio avviso sufficiente  ad una editoria   che si propone semplicemente    di raccontare   e non di stupire o di incantare o di sedurre…

O meglio,  non mi dispiacerebbe sedurre i miei lettori,  ma non per  le immagini, o per i suoni, o per i colori, o per la grafica (anche se lo ammetto, aiutano molto!) o per gli slogan  di facile  commercializzazione… vorrei  riuscire a coinvolgere  più che altro e sopra a tutto per le parole, per i contenuti,  per le riflessioni proposte o suggerite…insomma, roba solida,  roba sostanziosa…più  sostanziosa di    una bella copertina sagomata   che però  alla fine passa e tutti ce ne dimentichiamo perché nel frattempo è arrivata    la copertina nuova, più lucida e  patinata…

In  conclusione, convertitami   il 5 di novembre a WordPress,  ho  cambiato il titolo dedicato a Socrate  con il nuovo La croce e il tempo  che poi si è coniugato con l’aggiunta della parola mente , per concludersi   in questo  ultimo con la sostituzione della parola croce.

Non che il blog   non rimanga nella mia intenzione un luogo dedicato alla filosofia ed alla teologia,  ma attraverso  un modo di parlare sul  pensiero  e sulla fede  che si mescola, che si intreccia, che si confonde con la realtà di tutti i giorni  e con il linguaggio quotidiano, quello che usano le persone della strada, che siano laureati o solo  provvisti di licenza, professori od operai, dirigenti o impiegati, giovani o  meno giovani.

In altre parole, non una filosofia  cattedratica, rigida, scolastica, specialistica, ricca di citazioni, di note, di approfondimenti,  per la quale già  esistono siti  meravigliosi e di gran lunga  inimitabili,  proposti per l’appunto  da emeriti  studiosi  che stanno sui libri  come un muratore  sta sulla calce e di cui io non ne sono degna…ma una speculazione  direi più artigianale, che non sa nemmeno lei  stessa quello che potrà  creare dalla tavolozza dei suoi colori,  cercando solo  di raggiungere delle buone tele,  di costruire  dei buoni  drappeggi;  una speculazione  quasi  antifilosofica nel senso  di antimetafisica, dove si privilegia l’idea  di   essere vivente e non  di  essere pensante.

Non che io abbia  qualcosa  contro i pensatori, gli intellettuali, anzi,  li  trovo  congeniali e molto  simili a quella  che è  la mia struttura   mentale.  E’    solo che non solo non se ne può più di retorica, di teorica  e  di  sapiente  teoretica,  ma la gente comune   ha bisogno di parole semplici e chiare, dirette.

Io sono stata uno studente adulto e lavoratore, quindi  ho avvicinato il mondo dell’università  già   con lo  sguardo    di chi  non   pensa  allo studio come ad una possibilità per fare carriera, ma come ad un bisogno  reale  di scoprire  accordi  di note,  accordi di popoli,  rimasti fino a quel momento sconosciuti.

E’ stato bello sedermi tra i banchi delle  aule   universitarie  senza l’angoscia di dovere rincorrere un posto  di lavoro  che già avevo,  ma ora che ho acquisito uno strumento straordinario di espressione, è l’esigenza del  lavoro stesso che  mi chiama all’esigenza  di poterlo migliorare…

La filosofia non mi ha migliorato la vita economicamente  parlando,  non mi ha purtroppo ad oggi nemmeno cambiato  lavoro,  semplicemente  mi ha fatto scoprire  il grande spazio della vita,   che è molto molto molto di più…

Stare negli atenei, anche se di passaggio, anche se solo  come   ospite temporanea  e non come   protagonista  permanente,   mi ha di sicuro cambiato  in meglio (lo dice chi mi conosce ed io mi limito a riportarlo…),  non perché negli atenei  si viva fuori dalla realtà, non perché là si stia tra i giovani  in un mondo  sempre in  perenne  movimento,   ma perché gli atenei esistono per dire ai suoi discepoli  che li  vivono  “Tu sei qui per diventare migliore e per rendere migliore il mondo che fuori di qui dovrai sapere cambiare”.

Parlare  di eccellenze piuttosto che  di non eccellenze  non è il mio scopo, il mio obiettivo;   è sotto gli occhi di tutti  lo sfascio che sta vivendo la   scuola italiana, basta andare in FB   come  nei blogs dei nostri migliori scrittori che si occupano di didattica (potete trovare i loro siti   sotto la voce Formazione nella pagina intitolata Le   buone  pratiche degli insegnanti) e se ne trovano di lamenti e di testimonianze che al confronto  i pianti del popolo di Israele  quasi  quasi  vengono messi in secondo piano.

Io dico semplicemente che laurearmi è stato per me magico, come è stato magico  fare poi il master, e come continua ad essere magico  continuare a fare formazione,  sia che abbia a rivolgerla   verso di me sia che dovessi rivolgerla ai  miei presumibili  alunni.

E  questo perché  i libri  insegnano, i libri di qualunque genere,  fossero  canonici o digitali, come insegnano i professori, quelli che sanno trasmettere l’amore del sapere, della ricerca,  dell’interrogarsi…;  non si diventa mai abbastanza saputi   da poter dire  “Ho letto abbastanza, ne so abbastanza”  e non si diventa mai abbastanza informati/formati      da  poter  sentenziare    aprioristicamente  “Quello non mi interessa, non  ne vale la pena, da lì non può venire nulla di buono…”. Potremmo con un certo disagio dovere retrocedere dalle nostre avventate posizioni!

Ne vale sempre la pena, quando si tratta di scuola, e ne vale sempre la pena  quando si tratta di  lavoro, che è il luogo  dove tutta la nostra  competenza  acquisita dovrebbe potere confluire…

Anche se si dovesse finire a fare un lavoro che non ci rappresenta,  che non riflette i nostri studi,  dovremmo comunque sapere accontentarci,  in tempi di crisi come questo;  e se invece  il potere fare quello per cui ci si è preparati   dovesse  rappresentare    un bisogno  impellente,  allora bisogna insistere, bisogna  cercare ovunque,  bisogna  anche  lottare  affinchè  non venga meno  lo stato sociale  che possa   permettere questo.

Io  sono  arrivata forse troppo tardi, forse non ce la farò  ad avere il lavoro  che mi rappresenta, ed intanto mi tengo quello che ho  senza farne  una grande tragedia;  un lavoro, anche se qualunque,  è meglio che essere disoccupato.

Molti altri  invece, giovani e non vecchi,  non stanno avendo   la mia   stessa fortuna.

Tra poco nel nostro paese  si    ritornerà a votare, almeno io lo credo. Che cosa voteremo quando saremo nel seggio e andremo a porre la nostra scheda nell’urna?  Il signor Grillo sta mettendo in piedi il suo nuovo partito, tutto nuovo, tutto suo;  in sostanza lui dice che i politici sono tutta spazzatura, che nessuno  è credibile  e che dunque tanto vale dare il voto a dei perfetti sconosciuti   del mondo  parlamentare  che però hanno  realmente  la  voglia  di   cambiare le cose.

Peccato che al di là  dello scuotimento  reale delle sua recitazione,  Grillo alla fin fine non ci faccia  più nemmeno  ridere;  l’abbiamo conosciuto come comico, come showman,  come  picconatore della politica, ed ora come scalatore  del Governo.

Ma  chissà, forse ha ragione lui. Se ipoteticamente dovesse prendere tutti i voti di quelli che in genere non vanno  a votare o di quelli che nel frattempo si sono stufati del solito teatrino e del solito spettacolo deprimente  offerto dall’indagato o dall’inquisito di turno…,  bè, potrebbe entrare  nello scenario politico.

Non credo molto nelle improvvisazioni;   l’elettorato  italiano    si ripete più o meno  coriacemente;  negli ultimi decenni  abbiamo visto delle oscillazioni  alternate  tra centro sinistra   e  centro destra,   ma poi   per questioni di liti interne alle maggioranze su temi personali che non hanno nulla a che fare con il bisogno delle riforme del paese,  anche governi in apparenza solidi  alla fine finiscono  per dovere dimettersi.

Anche questa volta staremo a vedere quel che succederà;  anche se  forse la corda  sta per essere tirata  in modo  eccessivo e  la sua  eventuale rottura non gioverebbe   molto a chi avrebbe bisogno di miglioramenti.

Questo blog ha parlato e continuerà a parlare di tutto questo, di come il nostro piccolo mondo locale   abbia bisogno di elevarsi  e non di deprimersi;  e per questo occorre il cuore, il tempo e la mente di tutti noi; con il cuore ognuno sceglie dove volere stare, con il tempo ognuno costruisce  quel che ha in mente di costruire,  con la mente ognuno ricerca e comprende  quello  che ha da modificare.

E dunque, dopo Hello world    ben venga      Hello  Italia,  noi siamo qui  per cercare  di fare qualcosa  di utile per tutti.  Semplicemente.

Con te partirò, sempre, di nuovo, ovunque…

Viva l’Italia ancora da fare

 

 Fratelli d’Italia
  
L’Italia s’è desta,
  
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
 
Dov’è la Vittoria?
 
Le porga la chioma,
 
Ché schiava di Roma
 
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte 
Siam pronti alla morte 
L’Italia chiamò. 

Noi siamo da secoli 

Calpesti, derisi, 

Perché non siam popolo, 

Perché siam divisi. 

Raccolgaci un’unica 

Bandiera, una speme: 

Di fonderci insieme 

Già l’ora suonò. 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò. 

Uniamoci, amiamoci, 

l’Unione, e l’amore 

Rivelano ai Popoli 

Le vie del Signore; 

Giuriamo far libero 

Il suolo natìo: 

Uniti per Dio 

Chi vincer ci può? 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò. 

Dall’Alpi a Sicilia 

Dovunque è Legnano, 

Ogn’uom di Ferruccio 

Ha il core, ha la mano, 

I bimbi d’Italia 

Si chiaman Balilla, 

Il suon d’ogni squilla 

I Vespri suonò. 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò. 

Son giunchi che piegano 

Le spade vendute: 

Già l’Aquila d’Austria 

Le penne ha perdute. 

Il sangue d’Italia, 

Il sangue Polacco, 

Bevé, col cosacco, 

Ma il cor le bruciò. 

Stringiamci a coorte 

Siam pronti alla morte 

L’Italia chiamò 

autore    Goffredo Mameli  1827/1849  poeta soldato e volontario garibaldino 

Avete letto il testo dell’inno italiano? Io lo trovo bello, adatto al nostro paese, perché racconta la nostra storia  e perché dunque ci appartiene  (ritorna il tema dell’appartenenza appena affrontato nel post precedente).

Non se ne parla dunque di doverlo cambiare o di doverlo sopprimere lasciando che sia solo la parte musicale a rappresentarci,  visto che è stata contestata  l’espressione “schiava di Roma”.

Dovremmo    proprio essere fuori di testa  se arrivassimo a mettere in dubbio  quello che è semplicemente la nostra identità comune;  contro Roma si può dire di tutto e di più, ma non può essere certo messa in discussione  la sua gloria, la sua bellezza, la sua storia, il suo significato, quello che è da  sempre per il mondo ancor prima che per gli italiani.

Per l’Italia rappresenta inequivocabilmente  la conquista dell’unità nazionale, il nostro diventare un solo popolo sotto la stessa bandiera.

Ogni altro riferimento è e rimane fuori luogo, semplicemente polemico e non pertinente,  non pertinente al contesto in cui la città eterna  viene citata nell’inno.

Dopo 150 anni dall’unità  del paese (relativamente pochi se confrontati con le unificazioni  accadute nei paesi confinanti)  purtroppo abbiamo ancora notevoli conflitti interni che dimostrano la veridicità della famosa frase pronunciata,   sembra da Massimo d’Azeglio,  che recitava  “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”

Gli italiani, è un dato di fatto, non si sentono tutti uguali, nel senso che non si riconoscono affatto partecipi dello stesso  destino; ci sono quelli del nord, quelli del centro e quelli del sud; al nord ci sono i mangia polenta  e i mangia usei,   i nostalgici della corona  ed i fomentatori di ogni moto possibile rivoluzionario; al centro ci stanno quelli sulle rive di levante e quelli sulle rive di ponente,  quelli che stanno un poco più a nord del centro e quelli che stanno un poco più a sud; al sud ci stanno quelli che lavorano quello che possono,  a costo di fatiche non indifferenti  e quelli che non lavorano per nulla perché si fanno mantenere dallo Stato (e guai a chi osasse pensare a un cambiamento), ci stanno  quelli che piuttosto  che chiedere assistenza   preferiscono mangiare pane e cipolla e quelli  che se non ricevono fondi dalla Comunità  Europea non s’inventano nessuna  “Operazione  S.Gennaro” .

E poi c’è la mafia, o meglio le mafie; ogni territorio ha la propria,  ci sono quelle tradizionali e di lungo percorso  come quelle  avanguardistiche  e  di nuova  generazione, quelle locali e quelle importate,  quelle silenziose e quelle che fanno tanto  rumore…in comune  hanno che non c’è stato governo  politico  che abbia saputo fermarle,  e che anzi, coloro che hanno saputo fare molto,  sono stati  abbandonati proprio dallo Stato.

E poi c’è il Vaticano, particolare unico  che realmente ci distingue  da ogni altro  stato  europeo;  qui i pareri si sprecherebbero,  perché ci sono quelli che dicono che la sede del   Vaticano in Roma  è la rovina della nostra politica,  come ci sono quelli che sostengono l’esatto contrario.

E poi  c’è la differenza di territorio  e di cultura; dalle Alpi  piemontesi alle coste   quasi  africane  della  Sicilia , dai ghiacciai maestosi  che   sono  il vanto  della nostra cultura montana ai cantieri navali  sempre  aperti  che occhieggiano dalle  coste  del nostro Mediterraneo;   dalle metropoli superaffollate   della  Lombardia alle zone desertiche e disabitate  della Sardegna, dalla nebbia padana  delle nostre campagne  antisismiche   alle foreste  sempre verdi ed oscure  della Calabria,  dai numerosi borghi antichi medioevali  testimoni  immutevoli del tempo  alle architetture   futuristiche   che svettano solari e  dinamiche  come veri gioielli del tempo moderno.

E poi ci sono i conflitti  di schieramento, terribili, mai risolti,  tra chi si sente di destra o di sinistra, conservatore o riformista, moderato  o terrorista, filo governativo  o  filo oppositore,  liberale o  rigidamente  ideologico, pro  ritorno al divieto dell’aborto e pro favorevole a che queste sacrosante conquiste sociali non vengano e non possano mai più essere perse…

Sì, l’Italia è lunga e stretta, è varia; ma non deve essere divisa e non deve dividersi.

Purtroppo in parte lo è, lo siamo, e si rischia  di diventarlo più di quanto già  non sia ;   per questo  è importante  non permettere che malumori  serpeggianti  ma non ben identificati  possano prendere il sopravvento su quello che deve rimanere un luogo  dove   si eserciti    soprattutto  la capacità  di  convivere e di trovare un punto  dì incontro.

Ecco che anche in politica si presentano   dominanti   le  questioni del cuore e non solo della ragione, della legge. Che poi che cos’è il cuore se non una forma di ragione personale, interna, specifica, che chiede di trovare la Sua collocazione  dentro  lo spazio comune, che è di tutti?

Vorrei  aggiungere,  per amore di completezza,  solo due osservazioni rivolte direttamente  ad altre due parole del testo  riportato che è quello originale, come ricevuto  dalla storia: nello scritto   si usano la parola Balilla,  alla  quale  parola  chiaramente si riferì il fascismo, e la parola vespri, di chiaro riferimento confessionale (oltre la parola Iddio/Signore).

Ordunque,  non si abbia la mala sorte di concludere con questo che l’inno è un inno di destra, e che l’inno è un inno cattolico e contrario al laicismo. Bisogna senz’altro collocare queste parole tutte  (Roma, Balilla  e Vespri in chiaro riferimento a Dio pronunciato più volte)  in quello che sono stati i moti del 1848, in quello che era l’Italia allora, e l’Europa allora, e l’uso del linguaggio allora.  Allora sarebbe stato  inimmaginabile pensare ad un governo laico che avesse in avversione ogni riferimento alla chiesa (non ne esisteva ancora la necessità), senza contare  che l’uso del termine vespro  è da intendere  in un senso elevato  e sacrale, non certo riduttivamente  confessionale;  vespro sta per benedetto, sta per benvoluto, sta per condiviso dalla volontà di tutti, sta per “suonano le campane, è giunta l’ora”

Senza  contare che laico sta  per “chi non permette alla religione di diventare questione di Stato” e tra questi ci mettiamo tutti i cattolici ed i  cristiani  che tengono la loro religione per sè, senza rinnegarla ma senza appunto farne una questione di condizione  sine qua non si possa ragionare…

Io cristiana,  considero il laicismo la maggiore conquista della politica, e dopo il laicismo ci metto le conquiste radicali sul diritto all’aborto e sul diritto al divorzio. Con questo non mi sento meno cristiana di altri  che si allineano sotto la posizione ufficiale della Chiesa; semplicemente dico che  in un paese ognuno deve essere libero di potere esercitare la propria libertà con leggi che lo aiutano a farlo, e da qui ecco che emerge tutta la fondamentalità della Legge,  quella legge che solo il cuore  può  fare giustamente interpretare.  Traduco:  non è detto che siccome c’è la legge che permette il divorzio, io abbia a divorziare; o ancora,  non è detto che siccome c’è la legge che permette l’aborto io abbia un giorno ad abortire…non è detto, ma rimane aperta la via nella perfetta legalità…è questo quello che conta. Le fedi si scelgono, non possono essere imposte; l’imposizione delle fedi è l’atto più bestiale che ogni Stato ha compiuto e potrebbe  tornare a compiere verso i suoi sudditi sovrani.  E’  sempre il complicato e delicato rapporto legge/cuore  già affrontato in chiave più psicologica nel post precedente. Le due sfere si influenzano, si rapportano in modo  naturale  nel singolo e condizionano la vita collettiva.

Non è detto che siccome non c’è una determinata legge,  un comportamento non contemplato possa venire condannato a priori;  sono le azioni nuove e a volte  destabilizzanti che permettono la stessa evoluzione della legge che per sè  rimane  un motore lento, rigido, burocratico,  al contrario del cuore che è un motore veloce, elastico, spontaneo.

E  ancora, allora sarebbe stato inimmaginabile prevedere che la parola Balilla, riferita ad un giovanissmo eroe della rivoluzione del 1746 che vide Genova  contro il dominio austriaco,   sarebbe poi diventata più tristemente associata ad altri eventi, ad altri  contesti,  non altrettanto  eroici…I  nostri avi  non possono certo essere responsabili  di quello che i loro  successori andranno forse  un giorno   ad inquinare o a manipolare.

Per favorire questo cuore, questa unità, questo senso  di appartenenza (sempre lei la protagonista) non si cerchi allora di  fare sempre i primi della classe quando si è solo quelli che portano a casa la sufficienza, non si continui  a fare divisione  quando  di tutto abbiamo necessità tranne che  di  vedere un nuovo conflitto  di  classi; anzichè fomentare  le idee secessioniste  (strettamente legate ad un federalismo  che dovesse essere solo fiscale e non culturale),  si cerchi  di incoraggiare  le idee  di uguaglianza,  ogni singolo individuo  (politico o non politico) si prenda il carico di se stesso  in questo compito, nella misura delle sue risorse, delle sue aspettative e delle sue opportunità.  Foss’anche  per dire  che l’inno non è perfetto ma  ci racconta e ci invita all’unione, proprio l’unione che  nella cultura ancora ci manca, che l’inno è legato a un tempo eroico del quale se ne sono perse le tracce, e che il problema del nostro cantare il canto di Mameli  è che non abbiamo più fedi, non abbiamo più eroi, non abbiamo più  bandiere pulite  a cui offrire la vita. Forse.

Voce del verbo appartenere, e non possedere

 

Come si può capire dal titolo di questo post oggi vorrei parlare con voi, amici carissimi, della sostanziale differenza che corre tra il termine appartenenza ed il termine possesso.

L’idea nasce da quella lunga serie di delitti che si sentono quasi quotidianamente dai vari telegiornali; uomini abbandonati che non accettano l’abbandono ed improvvisamente si trasformano in killer, in assassini spietati, spesso non solo della loro donna ma anche dei loro stessi figli, colpevoli solo di esistere.

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Voce del verbo litizzare

C’è una  donna  in televisione che ha licenza di  dire le cose più  inenarrabili, indicibili ed assurde che mai un cervello umano  possa pronunciare;   grazie alla sua  non bellezza e  non   genialità     riesce a farci ridere, riesce a bucare lo schermo, piace a tutti,  anche se ovviamente  si può,  anzi si deve dissentire  dalle  sue    analisi  allucinate  e deliranti;  riesce  dove  altri prima di lei,  meglio di lei e   più di lei  non  hanno  mai osato…si chiama  Luciana  Littizzetto  ed ha creato un nuovo genere di comunicazione televisiva:  giusto  per  littizzare  un pò…

Francesco Scrima, la scuola e la destra

 

Il mio sindacato è la Cisl, che vuol dire Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori.

Non sono una militante di lunga guardia, non sono politicizzata, sono solo una lavoratrice che vuol  sentirsi  rappresentata da qualcuno, e questo  serve sempre. 

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Marcel Veenendaal e un pò di musica

Abbiamo bisogno di un nuovo 68

” Venitemi intorno,

dovunque vaghiate

e riconoscete che le acque

sono cresciute

e che presto le avrete

alla gola:

e se credete che valga

la pena di salvarsi,

allora è meglio che

cominciate a nuotare,

ché sennò affonderete

come pietre

perché i tempi stanno

cambiando,

e colui che oggi è lo sconfitto

domani sarà il vincitore.”

Da The times are a changing (I tempi stanno cambiando)           

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A colloquio con Fidel

 Intervista a Fidel Castro (1ª Parte): “Si deve persuadere Obama ad evitare una guerra Nucleare”

Parto dall’intervista che ha fatto parlare di sè. Ecco il testo tradotto  così  come  ripreso   alla sua    fonte

Intervista a Fidel Castro (1ª Parte):

“Si deve persuadere Obama ad evitare una guerra nucleare”

● Fidel risponde alle domande della direttrice de La Jornada, del Messico, Carmen Lira Saade

– (Traduzione Granma Int.)

È stato quattro anni dibattendosi tra la vita e la morte. Entrando e uscendo dalla sala operatoria, intubato, ricevendo alimenti in vena  e  cateteri e con la perdita frequente della conoscenza.-

“La mia malattia  non è nessun segreto di Stato”, avrebbe detto poco prima che la malattia fosse crisi e lo obbligasse a “fare quello che doveva fare”: delegare le sue funzioni come presidente del Consiglio di Stato e, conseguentemente, come Comandante in Capo delle  Forze Armate di Cuba.

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Precari a vita

I precari riconsegnano i libri agli studenti

“Giustizia  è lasciare tutti equamente insoddisfatti”  ed aggiungo “Giustizia  è tagliare dove si deve e non dove   conviene   a chi taglia”

Ciao amici, il titolo di oggi  non promette nulla di buono  ma è quello che di meglio sono riuscita a tirare fuori dal cilindro.

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Non bruciare il Corano

 

11 Settembre 2010, nono anniversario di quel terribile  giorno che ha cambiato le condizioni di vita dell’occidente e la politica  internazionale.

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Riflessioni generali sulla rete

 

Amici carissimi,  ho appena finito di leggere alcuni post   raccolti qui e là dalle pagine di Facebook;  c’è  Mariaserena  Peterlin  che ci   delizia  con la sua lunga esperienza  di docenza, ci sono i Docenti Scapigliati che non perdono un colpo  per  tenerci aggiornati sull’involuzione dello stato  attuale del mondo insegnante,  c’è la significativa  ed oserei dire “storica”  testimonianza  di Rosalinda  Gianguzzi 

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La scuola riparte, ma per andare dove?

La  scuola ricomincia,  ripartiamo dunque dalla scuola.

La  realtà scolastica  che vivo e conosco  non è tra le più  problematiche;  personalmente posso dire  di avere  contatti con numerosi  docenti  tutti molto validi, tutti molto coscienziosi e scrupolosi;  per loro i ragazzi non sono numeri, nè  scocciature,  ma   impegnativi  personaggi  che   rendono  la  vita  tra i banchi  di scuola  effettivamente   varia, complessa, intrigata,  imprevedibile a volte, e detta con una sola parola,  mai banale.

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Diario di viaggio, piccole istruzioni per l’uso…

 

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Ecco il mio nome

 

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