la fatica della fede

b. La fatica della fede ( perchè credere,  perchè non credere, lo storico e il soprannaturale, i dubbi della fede)

 

La fede si evolve? Sarebbe preferibile dire che la fede muta nel tempo e negli uomini, è una cosa viva, che necessita di essere conquistata, nutrita, sposata, amata, e che quindi rimane sempre una cosa incerta, dubbia, fragile, condizionata anche dalla cultura in cui si è cresciuti. Di sicuro è una testimonianza della storia che ci accompagna nel tempo.

Questa testimonianza storica all’inizio ridotta e limitata a pochi uomini, ma sempre sostenuta da un forza soprannaturale, diventa nel tempo folle, perché viene assecondata non più per esperienza diretta, non più per avere di persona conosciuto Cristo e la sua risurrezione, ma per un atto di fiducia riservato ai testimoni di Gesù. Il primo passaggio è questo: “ Io credo in Gesù che non ho conosciuto perché credo in te che l’hai conosciuto, che l’hai amato e che così me lo racconti”; il fedele da testimone diretto diventa testimone acquisito, la fede viene protratta di padre in figlio, di lettera in lettera, di tempo in tempo, di chiesa in chiesa, di miracolo in miracolo, di parola in parola, non come si può ereditare una casa, una cosa, ma come si eredita una promessa, un testamento spirituale; dopo circa venti secoli, quest’argomento della  risurrezione di Cristo è più che mai   attuale  ma ancora  disconosciuto.  Il mondo  cristiano  celebra quest’evento nel giorno più importante della sua liturgia, ma è solo ormai più per abitudine o per fede?

La  realtà  dei cosiddetti  miracoli,   cioè eventi straordinari che rimangono  non spiegati dalla ragione,  testimoniati dai grandi mistici viventi , ha aiutato e aiuta a tenere in vita  l’idea di quello che non è altro che un miracolo vivente, il miracolo per eccellenza:  un uomo che si auto-risorge dopo morto.  Si sa perfettamente che non è grande la fede che deriva dal miracolo; è grande la fede che al miracolo crede senza averlo visto ed  è solo l’amore  che lo rende possibile. Non è straordinario?  Quale forza, quale volontà, quale specie di illogicità    tiene vivo il pensiero di un morto ultrasecolare se non una ragione molto speciale?  Forse che non  ha  avuto una tomba ma subito il Paradiso?; eppure il corpo misterioso di Gesù è ancora di fatto per tutti i credenti sulla croce.

Ci sarebbe da chiedersi se è più l’uomo che   tiene a Dio o più Dio che tiene all’uomo perché altrimenti non si spiegherebbe un’istituzione religiosa millenaria che dopo tutto rimane solo una casa di sasso; tutto al mondo inizia e finisce, soprattutto l’amore umano che sempre dichiariamo eterno ma dura l’arco di una stagione; sarebbe morta anche questa realtà se fosse fatta solo da uomini che spesso  non sanno fare altro che raccontare menzogne; sarebbe morta se fosse stato per il clericalismo e per l’anticlericalismo; la chiesa  invece (qualunque chiesa monoteistica) nasce per non morire e comprendere il segreto della sua immortalità spirituale e non certo temporale è comprendere la  persona del nazareno  ed attraverso  lui  noi stessi, come sarebbe comprendere Dio l’inconoscibile.  Anche la casa di Dio  un giorno sarà distrutta perché sarà chiamata a risorgere,  ma questo la chiesa lo sa perfettamente, non proclamandosi eterna ed infallibile nel senso secolare del termine.

Intorno a quest’enigma ci sarebbe da chiedersi  perché un gruppo di uomini sarebbero andati in giro duemila  anni scorsi  raccontando una simile storia  se non fosse stata vera;  come è possibile che da duemila anni si continui a raccontarla senza che alcuna rivoluzione contraria  abbia potuto fare nulla  per metterla a tacere,  nonostante ci si abbia provato a rendere obsoleto il più che mai oggettivo bisogno di religione dei popoli? Si è ventilato l’avessero fatto per rendere immortale almeno il suo ricordo ma è poco sostenibile; se  alla base ci fosse stata una congettura sarebbe stata prima o poi smascherata dai suoi feroci oppositori che invece devono ammettere loro malgrado l’esistenza di molte testimonianze contrarie  e la ripetuta  manifestazione di segni inquietanti. Analizziamo le due possibilità: se si ammette  per ipotesi che questi uomini abbiano detto la verità allora,  se Gesù  è   risorto,  esiste per certo la vita eterna; se si ammette per ipotesi contraria che abbiano mentito, la vita eterna non esiste. Nessuna di queste due tesi è stata provata nel senso scientifico del termine. Da qui la fede del cristiano.  Un musulmano e un ebreo non necessitano di questa prova aggiuntiva per credere nella risurrezione o comunque nella loro idea di Paradiso, per loro la risurrezione è  da sempre un puro atto di fede; è solo il cristiano che  sostiene di avere visto Cristo risorgere dalla morte, o quanto meno d’averlo visto risorto, ossia il cristiano sostiene d’averne avuto la prova. Solo per questo la capacità di fede dei cristiani dovrebbe essere più ricca di quella degli altri che sostengono semplicemente, senza averne avuto riscontro, che un giorno si risorgerà. Non è così. L’uomo cristiano non solo non crede al Messia  che non ha visto coi suoi occhi dopo la morte e che non ha visto vivere, non crede nemmeno agli uomini che l’hanno veduto e l’hanno testimoniato al prezzo della loro stessa vita. A chi credere allora, se non crediamo nemmeno alla parte migliore di noi stessi? Lo scopo della fede è proprio quello di dare la fiducia, dare credito: se non si è in grado di dare credito, non esistono le premesse della fede. L’essere stato così intimo al Cristo ha indotto il cristianesimo a dare un’impronta fortemente razionale-scientifica al proprio credere; questo aspetto razionale della fede è proprio tipico della chiesa di Roma che eredita il martirio di Gesù in tutta la sua concretezza e fisicità nei propri geni, nel proprio dna storico, attraverso il martirio dei suoi apostoli maggiori. Questo stesso spiccato razionalismo unito nell’amore per il monoteismo costituisce la principale differenza tra gli stessi cristiani cattolici (razionalisti) ed i cristiani ortodossi (spiritualisti).  In un certo senso è come se ogni credente razionalista dicesse a Gesù “Dovevo esserci anch’io a vederti, a conoscerti, a toccarti, che se ci fossi stato ti crederei senza ombra di dubbio…, siccome non c’ero, lasciami almeno l’ombra del dubbio”.

Ma si provi a riflettere su quello che ci chiede la fede: perché un uomo di oggi crede  senza dubbio che c’è stata una Waterloo nella storia, o un assalto alle prigioni di Parigi nel 1789, e non  crede che questi uomini contemporanei di Gesù abbiano visto un uomo che era morto, auto-risorgersi dalla morte? E’ chiaro;  i primi fatti sono di carattere storico, quest’ evento  è di carattere storico-religioso, può essere inteso, appunto, solo con gli occhi della fede e gli storici in genere guardano ai fatti,  non al cuore, come i matematici guardano ai numeri e non ai sentimenti.

Proprio  questo è il punto: perché ci si dovrebbe limitare al  dato  tangibile, a ciò che si  vede e conosce, e non ci si  dovrebbe sforzare piuttosto  di aprirsi   a ciò che non si  vede e non  si conosce? Non è forse questo il cuore della conoscenza? Perché si ha la stupidità di bastare a se stessi, di credere  che il mondo è quello visibile e calcolabile, mentre di quello non visibile è meglio non occuparsene, è un di più non affidabile e necessario? Perché infine considerare le proprie competenze come pezzi auto-bastanti e non come anelli di un organismo unico  che necessita di più pareri, di più consulti, di porsi da un punto di osservazione sempre più sollevato e capace? Se c’è qualcosa di assolutamente necessario, questo qualcosa è  il Signore del mondo;   e se Dio è Dio, non può che avere la facoltà di fare risorgere dalla morte.

La chiesa cristiana ancora infante si è sentita colpevole per non essere riuscita a proteggere la sua perla più rara;  le ha costruito, in suo onore,  ovunque,  tombe alla sua memoria, tabernacoli nel nome di quest’uomo  morto  come un uomo  miserevole ma che era il Signore santo,  di cui nessuno s’era accorto.  E poi ha continuato  a farlo; ovunque,  e sempre con  maggiore sfarzo e  sfoggio di magnificenza,  quello che non ha saputo e potuto fare  per Gesù vivo, ha cercato di farlo per Gesù morto;  poi ha fatto anche cose orribili che con l’agnello sacrificale non centravano nulla,  ma  questo è accaduto quando  da infante era diventata ormai  potente, illustre, adulta e con sempre più interessi da difendere; diventando adulta ha perso la sua innocenza,  si è dimenticata  dell’autentico spirito cristiano della chiesa primitiva, della chiesa bambina, che non aveva potere ma con fatica solo la forza di nascondersi per salvarsi;  ed ha sbagliato , come tutti, perché così è l’uomo.

Di sicuro questo morto è diventato più vivo da morto che quando era in vita.  Perché? Perché solo morendo il Messia si distingue e si manifesta nella sua pienezza;  il Paradiso che solo a  parole si racconta di desiderare, non è qui, lo si sa, è là dove ora il Figlio di Dio vorrebbe trovare riposo, accanto a suo Padre ed a sua Madre e dove c’attende tutti, noi miserabili piccoli esseri  insulsi e boriosi, pettegoli e viziosi, egoisti e duri di comprendonio, indaffarati e preoccupati, malati e sofferenti, goderecci e distratti, pieni d’orgoglio e di prosopopea,  perché lui ama quest’umanità afflitta  come una madre ed un padre  con autentico spirito  materno e paterno amano i loro figli che vedono in difficoltà.

La differenza sostanziale tra l’amore divino e quello umano  è che il Messia  è frutto  dell’amore infinito di un Dio per la Bellezza (quando la bellezza si identifica nella Bontà), mentre gli esseri umani che da questa capacità di  vita provengono  sono frutto di un semplice atto sessuale che solo idealmente può aspirare  all’eterno. Gesù  è la perfetta e compiuta  garanzia storica  per gli uomini di quest’idealità filosofica. Egli non viene per schierarsi in un   gruppo,   per radicarsi in un paese, per sposare una donna, per avere  figli, ma per far conoscere a tutti  “questa bellezza”  senza tempo e senza nome. Non chiede a noi uomini di non entrare in partiti, di non abitare i nostri  paesi, di non sposarci, di non avere figli, di non difenderci, di non mangiare, di non avere una casa, perché non sarebbe possibile per noi  non essere ciò che siamo e che ci siamo condannati ad essere, né sarebbe stato amorevole imporci forme di vita ascetica, privativa, penitenziale; ci chiede  solo di non dimenticarlo  e di prepararci  a lasciare il mondo  per raggiungerlo in Paradiso che non è un luogo facoltativo e scansabile, ma il punto obbligato d’arrivo di un cammino; ci chiede di operare nel mondo con la nostra natura di uomini mortali ma con il nostro spirito di esseri destinati all’eternità; ci chiede di  essere uomini in viaggio tra due mondi, tra due rive, pronti a spiccare il volo, così che le nostre società dovrebbero essere consapevoli della loro  condizione a termine, le nostre città dovrebbero  essere frontiere aperte ai viandanti, le nostre famiglie  occasioni vitali di  scambio e non  case sbarrate, sprangate, sorde e mute, mutilate a qualunque richiamo. Perché dovremmo temere la globalizzazione?

Certo, porta problemi ma solo perché i politici se ne fregano di fare  la cosa giusta e noi abbiamo i politici che ci meritiamo o che in gran parte non ci rappresentano;  allora tutto può facilmente degenerare nel peggio. Ma se  invece  si facesse   qualcosa di buono? Se veramente si cominciasse a modificare la propria forma mentis utilitaristica a vantaggio di una forma mentis altruistica? Quanti modi di vita si potrebbero riscoprire, quanti sentimenti comuni si potrebbero condividere e quante occasioni d’esercitare la solidarietà cristiana si potrebbero accumulare secondo quell’incredibile ed infelice riformatore della Caritas diocesana che è stato don Luigi  di Liegro (un esempio tra i tanti) . La società che sembra avere tutto perché dovrebbe rinunciare al superfluo per favorire chi non ha il necessario? La mentalità è di pensare “Quello che ho me lo sono guadagnato: perché dovrei fare dei regali? Gli altri cosa hanno fatto per me?” Allora si potrebbe pensare: “Ma io cosa ho fatto per il mio prossimo? Che merito ho d’essere nato in Francia e non nel Burundi? Il mio stato quando è andato a colonizzare  ha depredato quello che non era suo! Sono mai venuti gli africani a depredare il mio paese? Certo, non l’hanno fatto perché non ne hanno i mezzi me se poi ne venissero a chiedere il risarcimento come già hanno cominciato a fare? Quale rinuncia dovrei mettere in conto per un sistema economico più equilibrato?

Si potrebbe obiettare che non solo il mio paese ha depredato, lo hanno fatto tutti quelli che potevano; è anche vero che portando le nostre colonie abbiamo anche portato cose positive, ma oggi sarebbe meglio un mondo dove non ci fossero attentati, epidemie, colera, stragi, repressioni di regime grazie al fatto che ogni popolo avrebbe il necessario per vivere, o è meglio un mondo come quello reale dove la ricchezza è abissalmente mal distribuita, dove il pensiero dei poveri è solo quello di diventare meno poveri e dove i nostri figli oggi stanno non meglio ma peggio di noi, grazie anche alla nostra politica?”  Ecco una possibile  risposta: “Dipende, se faccio parte dei popoli ricchi, mi va bene questo stato di cose, e per i figli, si arrangeranno, prederanno (ammesso che sia rimasto qualcosa da prendere) come abbiamo fatto noi”. Ma in questo modo stiamo diventando anche noi i paesi del terzo mondo! Se al contrario il terzo mondo, quello vero, arriverà a svilupparsi avendo acquisito la tecnologia per farlo? Se loro dovessero sopravanzarci grazie alle loro floride risorse mentre le nostre sono praticamente inferiori? E’ possibile reggere gli equilibri mondiali solo sulle reciproche capacità missilistiche ed atomiche? Basta la minaccia dell’atomica a permettere i giusti sviluppi? Trovandoci domani nel bisogno non potrebbe essere un poco tardi per pensare ad una politica collaborativa?

La politica del decolonialismo, al di là dei suoi fallimenti locali, di fatto è stata una scelta necessaria e vincente: lo si è visto con l’India, lo si è appreso con tutte le altre colonie d’Asia e d’Africa in cui Francia, Spagna, Portogallo, Belgio e Gran Bretagna hanno via via  concesso volenti o nolenti sistemi governativi locali autonomi. Nella grande scacchiera mondiale gli stessi paesi asiatici ed africani sono quelli che hanno ora più che mai infinite risorse da mettere in campo. L’Africa rimane senz’altro il continente più in difficoltà, vuoi per la sua spiccata cultura tribale, vuoi per la notevole mancanza di sviluppo, per la mancanza di una classe dirigente, di una economia organizzata, di sentimenti nazionali significativi, per l’estrema frammentazione, per lotte intestine strazianti e feroci, per l’arretratezza e per la mancanza di una adeguata alfabetizzazione. Anche sotto il profilo religioso non emerge una religione dominante, tipicamente africana, come è accaduto nei paesi  orientali ed occidentali. La loro religione animista non ha mai avuto pretese colonizzatrici, perché tra tutti i popoli gli africani sono gli unici che non hanno mai avuto pulsioni espansionistiche. Ci si potrebbe chiedere quale sarà l’Africa del futuro, anche questo paese deve avere una sua precisa collocazione all’interno dell’economia divina che non può ridursi a quella d’essere i mendicanti dell’umanità. E se l’Africa fosse la nostra faccia allo specchio? Tutte le volte che ci guardiamo vediamo quello che lasciamo esistere e che i nostri meravigliosi monoteismi non riescono a debellare. Si potrebbe replicare a nostra difesa che ci sono forme di impotenza, che l’essere non riesce a fare quello che dovrebbe, ma se è per questo non riesce neanche a fare quello che potrebbe…

L’uomo ha spesso l’occhio corto, troppo corto, mentre a Dio piace l’uomo  audace e dalle ampie vedute, capace di mettersi nei panni degli altri; l’essere così inteso non si stanca mai di mostrare la sua  diversità che risulta gradita al Padre solo se non offensiva per la sua morale che sarebbe l’unica morale legittimante ed autorevole; comprendere cosa Dio intenda per immorale è comprendere Dio stesso. Le leggi di Dio per gli ebrei sono indicate nelle tavole che furono consegnate a Mosè sul monte sacro dopo quaranta giorni di attesa e di preghiera; tutto quello che si differenzia   nello spirito offende il Signore ed offendendo Dio offendono l’uomo. Certo, le leggi sono per i musulmani quelle che Dio ha affidato a Maometto durante la sua intensa vita  di profeta e che Maometto attraverso i suoi consegnatari ha lasciato scritto nel Corano ed ha personificato con il suo esempio;  sono per i cristiani  le leggi tutte spirituali che Gesù ha personificato durante la sua breve vita di santo nella pienezza dei tempi e che gli evangelisti  ci hanno trasmesso come suoi testimoni. Dopo il noto Decalogo che raccomanda in sostanza ciò che non va fatto,  si aggiunge il canto delle Beatitudini che raccomanda in sostanza quel che va fatto,  e quindi arriverà il Corano che dirà come il volere di Dio va messo in pratica. Il Decalogo è di per sé una serie di divieti e di raccomandazioni assolute: è Dio che fornisce di sé l’alfabeto, la base su cui costruire le nostre case. Il Corano è una melodia, un canto di incomparabile bellezza che si allinea in tutto nello spirito alla legge di Abramo e all’amore di Gesù: questa preghiera vuole accompagnare per mano le persone che la recitano verso il compimento del bene.

Il canto delle Beatitudini è  un incensamento della bontà,  uno scritto sconcertante, poetico,  mistico, che il Signore rende noto alla moltitudine di gente qualunque, ignara di assistere ad uno dei momenti più significativi della storia dell’umanità, pervenuta  dalla Giudea, da Gerusalemme, dai litorali di Tiro e Sidone, gente semplice, contadina, dedita alla pastorizia, alla pesca, al piccolo commercio, gente per lo più incolta, senza nessuna formazione, accorsa   per curiosità,  per la fama dilagante di questo giovane profeta che guariva, sfamava, soccorreva gli ultimi, i più deboli. Sono alla ricerca della fede, sono bisognosi della speranza, almeno quanto della giustizia. La grande folla si aspettava parole comprensibili,  umane novelle, e si ritrova ad assistere nientemeno che al testamento spirituale di Gesù.  Ecco il Corano cristiano, ecco la  Torah cristiana, non tomi voluminosi, non lunghissimi aneddoti storici, non armoniose allegorie, non salmi gloriosi, non versi celesti da ripetere con devozione a memoria, non trattati di sapienza divina, solo le parole di un giovane  che sicuro di andare di lì a poco a morire per adempiere al proprio destino, confessa all’umanità di averla amata come se stesso e di essere pronto a morire per lei, aggiungendo con tutta la dolcezza di cui poteva essere capace: “Anche a voi capiterà lo stesso nel mio nome, nella mia memoria, ma non temete, il regno dei cieli è già vostro, dopo la morte per voi sarà solo gioia dopo tanto dolore, quando sarete nel Paradiso con me più nessuno vi toccherà un capello, più nessuno vi potrà fare del male, e mentre andrete a morire per me, io vi sarò accanto, non  sarete soli, farò in modo che il dolore non vi ottenebri la vista, farò in modo che sappiate sopportarlo, farò in modo che il vostro desiderio di giustizia e di verità sarà più grande della paura, più grande di tutto e farò in modo che una parte di felicità sia già vostra.”

Per quanto le leggi delle tre religioni monoteistiche si differenziano nella forma, nel contesto e nella lingua, non si contraddicono nella sostanza perché tutte ribadiscono semplicemente la centralità dell’amore, della fede, dell’essere sottomessi a Dio.

 

[1]‘Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?’ Gli rispose: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il più grande ed il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti.’

 

Il fatto che questi comandi siano sistematicamente ignorati da molti cristiani,  la dice lunga su come i cristiani di fatto siano tutti sempre “da costruirsi e da rinnovarsi”; il fatto che siano sistematicamente ignorate da alcuni ebrei, fa di questi due popoli qualcosa di simile, e lo stesso dicasi per l’islam che certo non manca delle sue colpe; solo il cristianesimo è vivo e vegeto, così come lo è l’islam  e l’ebraismo,  ma perché trascendono i cristiani, gli islamici e gli ebrei  stessi che spesso si guardano bene dal seguire le leggi di Dio o dal seguire lo Spirito delle leggi. Ecco dove Kant fallisce, dove sosteneva qualcosa di impreciso.

Bisogna distinguere due forme di peccato: quello pubblico e quello privato. Di quello pubblico nel senso di collettivo si può “serenamente” argomentare ed è ogni peccato di cui l’uomo è chiamato a darne ammenda pubblica; di quello privato, non è corretto  parlarne pubblicamente perché riguarda la persona e Dio, direttamente ed unicamente; ne può parlare solo l’interessato per sua libera scelta.  Nel mondo della comunicazione multimediale e mediatica  non si  tiene conto  di questa soglia che del resto è molto intima, facilmente calpestabile e si commettono nel nome di una falsa giustizia e di una falsa trasparenza  intrusioni e violazioni della vita privata delle  persone. Dove invece sarebbe necessario squarciare l’omertà , si rimane spesso defilati.

Il mondo religioso occidentale distingue alto clero, basso clero e popolo laico, attribuendo al primo certi caratteri di autorità, al secondo certi  caratteri di esecutività ed al terzo caratteri di sudditanza; l’uomo comune in genere  distingue gli uomini che non hanno potere da quelli che hanno un certo grado di governo;  solo Dio non fa queste  analisi gerarchiche, per lui esistono solo unicamente due categorie  assolute di persone: la persona che ha o che non ha fede, ossia la persona che vuole o non vuole essere giusto, cioè salvarsi.

L’uomo che è chiamato a vivere la “persona” che rappresenta,  tende spesso a negare il proprio dovere; prima della propria “missione” e della propria responsabilità c’è l’interesse,  la ragione, la paura,  l’inganno, l’ordinamento, il protocollo,  il calcolo,  l’impulso,  la famiglia, il partito, la stessa gerarchia, insomma c’è qualcosa di più importante; in genere alla persona non resta che soccombere. Le società dimostrano di necessitare di scale, di gradini, di ordinamenti per funzionare; tutto potrebbe essere positivo se questi ordinamenti non arrivassero a dimenticarsi del singolo.

Nell’atto di creazione  il Dio-Persona , detto, se si vuole chiamarlo alla maniera dei filosofi,  il Principio, l’Essere,  la Verità,  l’Uno , l’Ente o l’Origine, non essendo  ancora il Dio Padre che prenderà su di sé attraverso il Figlio le colpe del mondo,  avrebbe  dato in gestione  tutte le qualità  specifiche   agli esseri creati, tranne una , la più importante, che ha tenuto per sé; non per egoismo, non per esibizionismo, come un essere ordinario avrebbe fatto, ma per amore, solo per una scelta d’amore. Ha conservato presso di sé la padronanza della  caratteristica che più gli era propria, cioè la divinità, non potendola del resto  cedere a nessun altro essere perché incedibile; nel cederla avrebbe tradito la propria natura divina, avrebbe rinnegato se stesso in qualità di Signore Santo e Dio che si nega è un concetto inimmaginabile ed estraneo all’uomo sottomesso.  L’uomo  può  solo esperire Dio che viene negato e non Dio che si nega, giacché dell’Altissimo non si  può sapere nulla se non quello che  fa vedere di sé, a suo libero arbitrio;   l’immagine di un Dio che si nega genererebbe solo confusione nella già  limitata mente umana che Dio non lo ha mai veduto perché è l’Invisibile.

Solo L’Altissimo può lasciarsi negare senza rinnegarsi, solo Dio può lasciarsi uccidere senza morire ; nostro Signore  in croce si è “offerto”, non è stato obbligato. Lui ha accettato di morire per risorgere  e mostrare al mondo malato la sua infallibilità, lasciandola in dono a tutti gli uomini, ad una condizione: che a loro volta arrivino ad accettare  l’idea della morte come passaggio , morte mai imposta da Dio ma voluta dall’uomo. L’uomo ha scelto  la natura ed il suo corso fallibile di cui è anche  l’autore, ma sempre l’uomo grazie al Cristo vivente o a Dio misericordioso può  decidere di fare di meglio.

Questo progetto  divino naturalmente non solleva gli uomini dalle loro responsabilità; Dio non calcola giocando d’azzardo od obbligando a certi comportamenti, come se ci venissero programmati ad orologeria; semplicemente  ha preso atto della sua creatura desiderata libera ed  ha voluto garantirla. E’ una prova d’amore da parte di Dio, terribile, determinate per l’uomo; il Signore di tutti i mondi possibili e anche di quelli impossibili  si è fatto uomo   per amore;   l’uomo   dovrebbe  farsi simile a Dio per la stessa ragione e può farlo solo con l’aiuto stesso di Dio, non  certo da solo. L’Altissimo ha potuto farsi piccolo senza perdere nulla della sua grandezza; l’uomo può farsi grande senza perdere nulla della sua piccolezza , ma certo non  da solo.

La confusione di un Dio fallibile che non salva perché non ha salvato nemmeno se stesso è andata  a vantaggio dell’antitesi divina, del demonio, che di fatto si maschera come essere divino   e vuole unicamente con l’inganno, con l’esercizio della menzogna, distruggere l’opera di  Dio per distruggere il Signore , il suo nemico  immortale, non potendo direttamente infierire su Dio in persona, sulla sua autorità. Dio che si nega  rinnegandosi, Dio che uccide anziché lasciarsi uccidere,  non è che  satana, non è che l’anticristo che si impossessa degli uomini, ossia non è che l’invidia del male  che dice al Padre eterno : “Non ti riconosco come mio Signore, non farò mai quello che tu vuoi da me , io sono Lucifero e faccio quello che voglio”.

Dio in quanto Dio non se ne preoccupa minimamente, perché sa che il potere di Satana è nullo, fino a che Lui sarà  presente, cioè per l’eternità; è in quanto Padre che ne riceve grande angoscia. Il problema del diavolo è un problema escatologico e spirituale gestito da Dio e da Lui risolto all’origine; è la sua ricaduta nella storia degli eventi che sembra non trovare soluzione. Il Dio vivente sarebbe rimasto tale anche senza quello che è accaduto dopo; dopo l’Essere bastava  l’Essere. Solo in seguito e per gratuita scelta divina è nato  l’uomo e l’idea di creare il mondo al servizio della sua  creatura migliore (non perfetta).   A garanzia delle   stesse creature e    della loro salvezza, Dio  le ha fatte partecipi della sua divinità, ma non padrone della stessa.   Partecipare non è  ancora possedere; l’uomo partecipa della natura dell’Altissimo perché non  essendo come Dio  non  può possedere la divinità, ma parteciparla è la sua forma specifica di divinità, che lo fa essere  simile a Dio, simile, non uguale. L’uomo è divino nel senso che “appartiene” a Dio, altrimenti si bestemmia e si diventa come satana, che nel regno delle tenebre compie ogni genere di scempio pur di scandalizzare e ribellarsi al Bene.

Le tre conseguenze della divinità dell’uomo sono le tre qualità più alte che mai l’umanità avrebbe potuto sperare di sperimentare, ossia  l’essere libera, unita  ed immortale. Libera lo è di fatto pur nella contingenza e fino a quando l’uomo non tenta di schiavizzare il suo simile violando un aspetto sacro dell’essere, unita lo diventa per scelta, immortale lo sarà per conseguenza. Esattamente in quest’ordine. Appartenere a Dio è  la sola condizione per esistere in pienezza, non perché lo dice un credente, ma perché la realtà stessa della vita lo dimostra. E’ Dio  che non vuole presso di sé adepti colti dalla  convenienza, che non sono convinti di volere Dio, che non vogliono Dio e che lo seguono  semplicemente perché è conveniente farlo  ed è lo stesso Dio che se decide che un uomo deve appartenergli, quest’uomo gli apparterà senza che Lui abbia a dovere alzare un dito.

Si può negare l’esistenza di Dio come certezza,  non certo l’esistenza di Dio come necessità e comunque non è possibile seguire Dio per pura utilità nel suo senso materiale ; non si farebbe molta strada.  Un credente a suo Padre  confida: “ Non ti conosco ma Tu salvami lo stesso perché non esisto se Tu non esisti”. Per un non credente il proprio legame con Dio è sconosciuto, non inesistente, ossia ciò che non si ha  non è uguale a ciò che non esiste; bisogna distinguere se c’è in atto la scelta determinata del demonio che nega Dio o se c’è  solo il vuoto, il dubbio, il volere stare per sé nell’incertezza del vivere.  Un uomo di fede guarda al mondo come a un intero dove Dio ama senza condizione  mentre gli uomini fanno quello che possono e che vogliono. Per un uomo di fede, siamo tutti figli di Dio; per chi non crede, siamo tutti figli del caso o dell’incerto. L’hegelismo arriva a negare  questo legame stretto dell’uomo con Dio perché l’unica forma di  libertà che riconosce  è quella dettata dall’istituzione temporale, l’unica forma di fratellanza che accetta è quella del partito, l’unica forma di eternità che considera è quella  del tempo senza fine della temporalità , che è come parlare della velocità di una tartaruga. Il merito certo di questo pensiero  è  quello di volersi impegnare, di prendersi cura della storia. Ma in che modo?  Anche i farisei nel tempio hanno creduto di impegnarsi, mandando a morire  il Messia con la condanna di bestemmiatore. E per questo legittimo errore di giudizio dettato dall’ignoranza ma soprattutto dalla presunzione, si sono presi in eredità  una colpa  che nessun essere umano sano di mente  potrebbe essere capace di accettare per sé.

In modo prioritario non può accettarlo  il popolo ebreo che da popolo prediletto del Signore , non può passare alla storia come il popolo che avrebbe ucciso la  propria sola possibilità di salvezza.  Le tre qualità più alte dell’uomo , nessun essere o sistema  possono garantirle, se non Dio; per questo l’uomo onora il suo esse libero se si sottomette a Dio, esprime il suo  amore se si sottomette al Signore suo Dio, raggiunge il suo essere immortale se  si sottomette a Dio l’Altissimo, il Benedetto, il Santo, l’Immortale, l’Eterno.  Il Buono. Si tenga presente che si parla di Dio, solo di Dio, non di chiese, di organismi, di dogmi o altro. Per un istante si mettano da parte i luoghi comuni, i condizionamenti, le abitudini e si cerchi di pensare solo a quest’essere che è Dio, che potrebbe essere Dio. Se così è, allora questa vita su questa terra non è che il primo atto di una storia a due tempi; il secondo atto è  la vita dopo la morte, la vera vita dopo la morte. Il nostro culto della vita a tutti i costi, della vita come presenza sulla terra  liberata dal dolore, o quantomeno protetta dal dolore, è ciò che di più antitetico si può intendere nell’idea di divinità dell’uomo.

L’uomo diventa divino nel momento in cui si mostra capace di accettare la sofferenza; Dio si è mostrato divino al mondo nel momento in cui si è offerto alla morte accettando una sofferenza come paradosso  visto  che almeno lui se la poteva risparmiare, per poi uscire con le proprie gambe dopo solo  tre giorni  dal buio del sepolcro. A sua volta il mondo occidentale rimprovera l’orrore di cui risulta macchiarsi oggi un certo  mondo musulmano,  in quanto  la via verso il bene  non può essere esercitata con la violenza sugli innocenti;  non si può convincere giovani se non addirittura bambini che hanno tutta la vita davanti al suicidio e all’omicidio,  attraverso la falsa promessa di  trenta vergini che attenderebbero il sacrificante nell’aldilà, perché si compie una mistificazione.

Nel mondo dopo la morte sia l’ebraismo che il cristianesimo  concordano che non esisterà  più l’attività sessuale come accade  invece nella vita terrena; nel mondo celeste, se così si vuole chiamarlo, l’uomo e la donna ritorneranno ad essere  simili in tutto,  innamorati nello spirito, senza  alcune pulsioni sessuali,  pur conservando integro  il corpo risorto, unico legame  prezioso tra la terra ed il cielo, unica traccia del nostro passato di uomini caduti. Per l’islam questo modo di sentire dell’umanità sarà conservato, ma se anche così fosse, non è degno di Dio il pensiero di conquistarsi il Paradiso per questa ragione, uccidendo con l’inganno, persino se si uccidesse un essere  abbietto, figuriamoci esseri indifesi e innocenti.

Il Paradiso sarà  tale proprio perché si immagina non necessiterà  più né di pratiche terrene, né di sentimenti similmente terreni; l’uomo non sarà più condannato al lavoro, la donna non dovrà  più partorire, non ci sarà  più bisogno di pensare a nulla di contingente e di immanente ed il marxismo qui avrebbe trovato  o troverebbe la sua panacea o la sua inutilità; il Paradiso sarebbe il luogo del puro Spirito compiuto ed anche Hegel qui avrebbe trovato   la sua panacea o la sua inutilità;  un tale stato di trascendenza non è  comprensibile a mente umana che prima non abbia  accettato, ossia fatta propria, l’idea di soprannaturalità contrapposta all’idea di finitudine. Accettare Dio significa in altre parole  riconoscere la nostra fallacità senza per questo rassegnarci al male. Immaginarsi come angeli  non è facile, non è possibile, non è comprensibile, senza prima avere  sperimentato la tragedia dell’esistenza; nell’atto di creazione l’uomo e la donna erano già tali,  come maschio e femmina; i loro corpi non conoscevano la vergogna dei loro sessi, vergogna che subentrò solo dopo il peccato originale, la cui responsabilità non può essere imputata alla donna , che così entrerebbe nella storia come un essere maledetto mentre si è affermato che l’uomo è tutto uguale, degno della stessa dignità; sotto l’albero più famoso del mondo ci stavano l’uomo e la donna, insieme,  e se Eva sbagliava,  cosa stava facendo Adamo, mentre la sua compagna cadeva in inganno  tentata da un essere diabolico? Occorre a tal proposito ricordare che il popolo ebreo parla del peccato originale come del “peccato di Adamo”, non del peccato di Eva; ad Adamo Dio affida la sua compagna ma Adamo si dimostrerà non all’altezza del suo compito.

Eva, abbandonata a se stessa, cede alla tentazione  soggiogata dalla menzogna; Adamo  cederà ad Eva che non sa  di stare in un inganno; questo parallelismo piuttosto non fa onore ad Adamo che si presenta come dominato da una donna; ecco dove ha probabile origine il maschilismo del mondo e nello specifico il maschilismo del mondo islamico. L’uomo sarebbe negatore della donna perché cerca di dimenticarsi della sua debolezza originaria, oppure perché vede la donna come una rivale e non come una compagna, così come si potrebbe dire che gli atei per partito preso negano la divinità semplicemente perché sanno di non poterla possedere e dunque non la desiderano perché non sarebbe  gestibile come a loro gradirebbe di potere fare.

Se la donna ha sbagliato occorre dire a sua discolpa che ha pagato duramente il suo errore, senza dubbio più del dovuto; è stata a lungo sottomessa e a lungo persino tormentata;  è ancora sottomessa e tormentata; il suo errore è stato  perdonato solo da Dio che le restituisce piena fiducia creando un essere femminile senza peccato e destinandolo al riscatto non solo del genere  ma di tutta l’umanità.  Da qui si riparte da capo  e questa volta Eva non sbaglia, Maria non sbaglia e messa alla prova fa quel che è giusto si faccia. Ammettendo che prima della comparsa della madonna si poteva intuire un certo disaccordo tra i due sessi,  dopo la comparsa sulla scena del mondo della vergine Maria  ogni forma di conflitto dell’uomo sulla donna o della donna sull’uomo non è più considerabile comprensibile , da qui si sarebbe dovuto cambiare registro, da qui  la donna si è ritrovata al centro di un ruolo di tutto rispetto  che per lo più è passato sotto silenzio e certi sistemi sociali lo negano ancora apertamente. Le conseguenze dell’ateismo sono estremamente  complesse e serie tra cui si pone la  rottura   già dall’inizio del tempo tra l’uomo e la donna che da creature amiche concepite per il reciproco sollievo, diventano avverse e sospettose l’una verso l’altra, entrano nel mondo con un grave fardello e  sono  molto semplicemente il dramma di vivere  d’ogni essere che attraversa la negazione del progetto di Dio.

Tutti neghiamo il bene molte volte, nella nostra esistenza; Pietro, certo della sua fede,  rinnegò ostinatamente Gesù  prima che questi andasse al patibolo; se Pietro,  futuro fondatore dell’istituzione religiosa, ha negato l’Essere, chi siamo noi per non attraversare il calvario del dubbio e della paura? In onore di  Pietro occorre aggiungere  che  quando in seguito arriverà  per lui l’ora della croce, si farà mettere a testa in basso, perché non si riterrà degno di morire nello stesso modo  ascensionale  come il figlio di Maria  era spirato tra gli spasimi. E questo prova che è tanto importante come si vive quanto come si muore; che si vive solo per infine  morire da uomini  e quindi potere risorgere; che la vita si compie con la morte perché dopo si risorgerà. E che non si deve avere paura di morire.

[1] La Sacra Bibbia, CEI UECI, Roma, 1974, Mt., cap. 22, p. 1019 versi 36-40

nb:  questo capitolo segue  il punto   a  della prima parte di questo libro

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