MARI, MARINAI, MARINE…VOGLIA DI MARE

Tempo, cuore, mente

Solo ora

che ho costruito

la mia libertà

posso  viverla

ed  insegnarla

agli altri

Solo ora

che  posso  scegliere

 la conoscenza

posso conoscere

e fare conoscere

Solo ora

che afferro

la vita

posso vivere

e far vivere

e questo

può accadere

nella vita di un uomo

solo quando è il suo tempo

Tempo tempo tempo

cuore cuore cuore

mente mente mente

tre fratelli

in un solo spirito

All’uomo sta solo

di lasciarli  essere

nell’ora che arriva

25 novembre: giornata contro la violenza sulla donna- purchè non sia solo retorica

In  onore alle donne morte per opera di  uomini che non sono mai stati  uomini

L’UOMO E’ MORTO, PASOLINI OGGI

DAL SITO PASOLINI

SITO ITALIANO

INEDITI IN MOSTRA

VIVA IL BISOGNO DI RACCONTARE LA DIDATTICA

Il pastore e la figlia del re

BREVE SINTESI DI

 DIRE LA PRATICA BRUNO MONDADORI AUTORI TACCONI DUSI GIRELLI SITA’

UN SALTO FUORI DAL CERCHIO

  • INVESTIGARE IL SAPERE DEI PRATICI
  • INVESTIGARE LA DIDATTICA CON METODI MORBIDI E GENTILI
  • TESSERE RELAZIONI ETICHE
  • FARE RICERCHE SOCIALI QUALITATIVE
  • OGNI RICERCA CERCA LA PROPRIA ESSENZA, OSSIA CI SONO ESSENZE TEORICHE ED ESSENZE LEGATE ALL’ESPERIENZA, ALLA COSA IN SE’, ENTRAMBI SONO IMPORTANTI E BISOGNA TENERLE COLLEGATE
  • QUANDO SI FA RICERCA SI EVIDENZIANO LE QUALITA’ COMUNI , ESTESE, PARZIALI E PUNTUALI
  • BISOGNA ESSERE FEDELI AL REALE
  • INTERVISTARE SIGNIFICA RENDERE LA PROPRIA MENTE OSPITALE ALL’ALTERITA’ DELL’ALTRO
  • IL METODO EURISTICO SI DIVIDE TRA PRINCIPI FENOMENOLOGICI E FATTI REALI- E’ UN PROCEDERE INDUTTIVO E NON DEDUTTIVO FATTO DI PASSIONE E NON DI MERO INTERESSE
  • CI VUOLE LA LEGGEREZZA DEL MUOVERSI TRA LA PESANTEZZA DELLE COSE REALI
  • BISOGNA RIMANERE APERTI ED EVITARE DEFINIZIONI CONCLUSIVE
  • LA COMPRENSIONE DELL’ALTRO E’ UNA RICERCA SENZA FINE
  • BISOGNA COMBATTERE SEMPRE LA RESISTENZA INTRINSECA DEI DOGMATISMI SOPRATTUTTO QUELLI NOTI E MENO NOTI
  • L’IMPORTANZA SOSTANZIALE DELLO SCAMBIO E DEL CONFRONTO
  • USARE IN MODO ESSENZIALE ED IDONEO LE PAROLE
  • LA POESIA COME ECCELSA MAESTRA DI LINGUAGGIO

METTERE AL CENTRO L’ESPERIENZA

  • INSEGNARE E’ OSSERVARE COME I BAMBINI LAVORANO
  • COME I BAMBINI SI MUOVONO
  • E’ COMPRENDERE DI COSA HA BISOGNO IL GRUPPO CLASSE
  • PARTIRE DALLA REALTA’ PER ANDARE PIU’   OLTRE
  • IL TEATRO COME ECCELLENTE METODO DI INSEGNAMENTO perché IL BAMBINO è UN ATTORE SPONTANEO
  • COSTRUIRE NARRAZIONI CON I BAMBINI
  • IL BAMBINO PICCOLO IMPARA GIOCANDO/FACENDO E QUELLO GRANDE IMPARA DISCUTENDO
  • DEVE ESSERE IL BAMBINO A PROPORRE, A SCOPRIRE, IL MAESTRO è IL MEDIATORE, IL PRESENTE NON PRESENTE, QUELLO CHE LASCIA FARE ED INTERVIENE PER FARE IL PUNTO
  • E’ Più IMPORTANTE FARE CON QUALITA’ CHE FARE CON QUANTITA’
  • MAI IMPORRE
  • SAPERE CONVOLGERE, MOTIVARE, FARE SENTIRE ALLA CLASSE CHE TU CI SEI, CHE SEI CON LORO
  • APRIRE LA SCUOLA AL MONDO ESTERNO
  • PENSARE E’ AGIRE E AGIRE   E’ PENSARE
  • OSSERVARE IL MONDO PER CAPIRLO ATTRAVERSO TUTTE LE DOMANDE CHE GENERA
  • FARE UNA PEDAGOGIA LENTA CHE PENSA A PORTARE AVANTI TUTTI
  • FARE GRUPPI DI LAVORO DI DIVERSE TIPOLOGIE ALTERNATE
  • FARE LAVORARE IN AUTONOMIA COME IL METODO MONTESSORI
  • NON FORZARE MAI   NESSUNO A QUALCOSA
  • NON TEMERE DI FAR VEDERE CHE ANCHE IL MAESTRO NON SA LE COSE…SE IL MAESTRO NON LE SA E’ UNO STIMOLO A SCOPRIRLE DA SE’
  • COSTRUIRE SAPERI LEGATI CHE SI INTRECCIANO

AVERE CURA DEL PENSARE

  • PENSARE PER CRESCERE
  • COSTRUIRE SINGOLE PERSONALITA’ ATTRAVERSO IL RUOLO SOCRATICO
  • FONDAMENTALE LO STIMOLO PERSONALE
  • NON PREOCCUPARSI MAI DEL TEMPO CHE VUOLE ANDARE DI FRETTA
  • SENTIRE IL SAPERE SE SI VUOLE UN SAPERE UTILE
  • CONTA PIU’ IL PENSARE DEL FARE
  • RIPENSARE SEMPRE TUTTO QUELLO CHE SI FA IN CLASSE
  • GIOIRE INSIEME QUANDO   UN BAMBINO FA PROGRESSI
  • NO AL PENSIERO PARADIGMATICO, Sì AL PENSIERO RIFLESSIVO E INTERPERSONALE
  • ESSERE UN MODELLO PER I BAMBINI
  • RIPENSARE PER RIFLETTERE RICOSTRUIRE AUTOVALUTARSI RIELABORARE
  • SAPERE ATTENDERE I RISULTATI
  • CONOSCERE PER ESSERE LIBERI
  • INSEGNARE LE REGOLE, POCHE MA CERTE
  • AIUTARE A PROBLEMATIZZARE, FARE PROBLEM SOLVING

TROVARE UN SENSO A QUELLO CHE SI FA

  • TROVARE UN SENSO A QUELLO CHE SI FA
  • QUANDO I BAMBINI STANNO BENE VUOL DIRE CHE IL MAESTRO FUNZIONA
  • FAR CAPIRE AI BAMBINI CHE TUTTO SERVE
  • SOSTENERE IL PROTAGONISMO DEI BAMBINI
  • COCOSTRUIRE LA LEZIONE IN CLASSE
  • ACCETTARE IL FUORI PROTOCOLLO, L’IMPREVISTO
  • COSTRUIRE LE TAPPE DELLA GIORNATA: DAL MOMENTO DELLE SORPRESE AL MOMENTO DEL RACCONTO…AL MOMENTO DEL FAR SCEGLIERE…
  • COSTRUIRE L’ARCHITETTURA DELLA CLASSE
  • VALUTARE CON SENSO E NON PER ESERCITARE UN POTERE – LA VALUTAZIONE E’ UN ATTO FINALE, CONCLUSIVO

COSTRUIRE COMUNITA’ DOVE SI IMPARA ATTRAVERSO LA RELAZIONE

  • LA SCUOLA COME LUOGO DI TUTTI
  • AVERE RISPETTO E NON OFFENDERE MAI
  • NON DIMENTICARSI DI NESSUNO
  • GENERARE FIDUCIA
  • ESSERE SENSIBILI, SENTIRE L’ALTRO
  • NON ESSERE ANAFFETTIVI
  • SUPERARE I COMPRENSIBILI MOMENTI DI RABBIA
  • ASCOLTARE, DIALOGARE
  • MAI CHIUDERSI NEL PROPRIO ORGOGLIO
  • AVERE POCHE REGOLE MA BUONE E CERTE
  • FARE CERCHIO, CIOE’ FARE IL PUNTO
  • NON FARE PREDICHE
  • EVITARE LE NOTE E LE AZIONI PUNITIVE CHE NON SERVONO
  • PROPORRE PUNIZIONI SOCIALMENTE UTILI
  • FARE SPESSO CAMBIARE DI BANCO PER FARE SOCIALIZZARE TUTTI CON TUTTI
  • LAVORARE IN GRUPPO
  • MESCOLARE I GRUPPI

STARE IN DIALOGO CON LA SITUAZIONE

  • PENSARE ALTROVE
  • PENSARE SEMPRE
  • PENSARE IN SITUAZIONE
  • IMPORTANTE PROGRAMMARE, PROGETTARE
  • PROGETTARE NON E’ INSCATOLARE
  • IMPARARE SENZA ANNOIARSI
  • BISOGNA COGLIERE I FUORI PROGRAMMI
  • NON VEDO E NON SENTO PUO’ A VOLTE FUNZIONARE
  • PROCEDERE PER TENTATIVI
  • LA FORZA DELL’INTUIZIONE
  • IL RAPPORTO D’EMERGENZA: UNO AD UNO
  • LA PROGRAMMAZIONE DIFFERENZIATA
  • OSSERVARE OSSERVARE OSSERVARE SEMPRE

ESSERE IN RICERCA

  • PENSARE PER INSEGNARE
  • LA SCUOLA REALE E’ TROPPO BUROCRATICA E PIENA DI REGOLE
  • LA NUOVA FORMA DI VALUTAZIONE E’ UN SEGNO DI REGRESSIONE E NON DI PROGRESSIONE
  • FARE AUTOFORMAZIONE CONTINUA
  • FARE RICERCA IN CLASSE CON I RAGAZZI
  • NON SOLO FARE MA ESSERE PER FARE
  • SAPERSI METTERE SEMPRE IN DISCUSSIONE
  • STARE DALLA PARTE DEL RAGAZZO
  • IL BAMBINO NON E’ UNO SCOLARO, E’ UNA PERSONA
  • AVERE ATTEGGIAMENTI ETICI
  • STARE CON I RAGAZZI DEVE ESSERE UN PIACERE
  • SI IMPARA PROVANDO
  • MAI ALZARE LA VOCE, NON SERVE
  • IMPARARE DA CHI HA PIU’ ESPERIENZA
  • LA TEORIA SERVE PER POTERLA RIELABORARE
  • OGNI INSEGNANTE HA IL SUO STILE
  • ESSERE SOSTENUTI NELLA FORMAZIONE

 

COSTRUIRE PROFESSIONALITA’/TESSERE ALLEANZE

  • INTEGRARE LE DIVERSITA’
  • ESSERE UN TEAM DI LAVORO
  • I CONFLITTI SERVONO PER CRESCERE
  • PER AGIRE OCCORRE AVERE L’INTENZIONE
  • L’IMPORTANZA DELLO SPORTELLO GENITORI
  • IL GENITORE E’ UN MESTIERE DIFFICILE
  • SAPERE DIRE LE COSE SENZA OFFENDERE
  • STRINGERE PATTI EDUCATIVI

La guerra di Antonio, di Roberto, di…ieri oggi domani

Il vaticano ha aperto al contraccettivo?

Ecco quello che diceva il Pontefice nel 2008      no ai contraccettivi

Ecco quello che diceva il Pontefice  sull’uso dei contraccettivi contro l’Aids in Africa

Ecco la  critica  del mondo  alle sue parole      su la  Stampa    

e la critica dell’UAAR

Ecco come reagisce il cattolicesimo alle aperture dei cattolici che prendono le distanze dalla posizione ufficiale   della Chiesa cattolica:  visita    il commento di Paolo Deotto al pensiero di Don Verzè

Ma cosa dice il Pontefice oggi?

Si può leggere l’articolo della     Stampa

Qualcosina,  piccola piccola, può cambiare.

Una piccola goccia nel mare.

Per quel che mi riguarda,  gli uomini contano più delle etichette che si vogliono appiccicare addosso  e che addirittura pretendono  di appiccicare   addosso agli altri.

Se i nazisti avevano  voluto rendere visibili  gli ebrei con l’esibizione sull’abito  della loro stella gialla, la stella di Davide a  sei punte, simbolo di peste e di quarantena,  riprendendo un’antica forma  di ghettizzazione     messa in pratica    fin dal Medioevo  dalla Chiesa di allora,  come  si potrebbe pensare  oggi   di rendere visibili  i   presunti  traditori  del cattolicesimo  inquisitore?

A  voi la  libera  risposta.

Un mondo ordinato

 

Amici  carissimi, se mi dovessero chiedere ad oggi qual è il periodo  della mia vita  che io ricordo con più nostalgia, risponderei senza esitare: “la mia infanzia”

Non solo perché quando si è bambini è tutto così speciale e magico,  non solo perché  da bambini si guarda il mondo  con occhi    che poi  dimentichiamo,  ma perché da bambino  io sono  stato decisamente felice.

La  mia felicità  si chiamava  “Casoni”  che era il nome della contrada  montanara  in cui io e la nostra   numerosa  famiglia   parentale ci si trovava  per il periodo  dell’estate, finita la scuola…

Dire montanara  è un po’ eccessivo;  700 metri d’altezza  sono più collina che montagna,  sono quasi ancora campagna,  ma l’aria è più buona,  non c’è mai la nebbia  se non pochi giorni l’anno,  quando  le piogge continue di più giorni fanno alzare dal terreno il calore  del suolo  ed allora si forma  lo scontro  tra la terra  calda e l’aria fredda della valle…

La  mia felicità si chiamava nonna Giuseppina,   una vecchietta che il tempo  arido ed  ingrato  avevano trasformato in un piccolo ammasso  di curve, di rughe e di gobbe…la nonna  stravedeva  per me,  ero il suo pupillo;  io avevo il privilegio   di dormire nel suo lettone,  io avevo il privilegio di vederla e sentirla recitare il rosario da sotto le coperte la sera, prima della lunga veglia notturna, io avevo il privilegio  di  seguirla nell’aia  dietro le galline  mentre lei le rincorreva    e le chiamava  alla mensa…

La  mia felicità  si chiamava correre nell’orto a raccogliere le carote,  andare alla pozza  a prendere l’acqua fresca per il pranzo, stare con i miei cugini sotto l’ombra del grande ciliegio, giocare a cucco la sera  con i ragazzi più grandi  che   non si  facevano mai  trovare   ed alla fine vincevano sempre…perché baravano…

Ricordo la luna, la grande  luce bianca  della  luna  nella frescura delle sere di luglio,  ricordo il canto dei grilli  mai stanchi di   richiamarsi   nell’aria, ricordo i tramonti dalla collina del monte rosso, ricordo  le vacche  che  passavano  con i loro campanacci  da sotto le finestre  delle stanze della casa, la nostra casa, il nostro mondo;  ricordo  il sole,  il grano, il raccolto e la trebbiatura,  ricordo  le grandi feste  domenicali intorno ad una bella crescentina  calda  condita con un po’ di  formaggio e salame…

Quanti ricordi  assordanti che non si vogliono spegnere e che credo, non si spegneranno mai…

Oggi  vorrei potere   sostituire  quel periodo  lontano  e finito  con una felicità nuova,  tutta fresca  e rinnovata,  perché non ha senso   che una volta diventati adulti, dopo avere vissuto un’intera vita,  si abbia  a   scoprire  di dovere mettere questa parola  così importante tra quelle  desuete.

Certo, da bambini  abbiamo una contentezza   inconsapevole,  da adulti  la  nostra ricerca del sole,  dello stare bene nel mondo e con il mondo,   diventa   consapevole, metodica, puntigliosa, quasi  scientifica, per non dire di capitale importanza.

Di tutto si può fare a meno  tranne che della felicità. Lo sanno i medici, lo sanno gli analfabeti, lo sanno a nord  del pianeta come nel profondo sud, lo sanno tutti,  eppure  socialmente parlando  tanto non si fa nulla  per  insegnarla,  per trasmetterla,  per coltivarla  come  garantito  patrimonio   dell’umanità.

Io mi sento un ricercatore  che sta dentro il suo laboratorio  tra tante ampolle  effervescenti  e colorate;  c’è quella che  rumoreggia, c’è quella  che scoppietta, quella rossa, quella verde, quella gialla, quella grossa, quella stretta, quella con il collo a imbuto;     io con grande maestria e curiosità   le mescolo, le doso, le registro, le osservo, le pondero, le catalogo, se fossero viventi nel senso di organiche  le sezionerei…e poi  traggo le mie valutazioni.

Vi è mai capitato  di  scoprire  che quello che cercavate lontano lo avevate vicino?

Vi è mai capitato di concludere che quello che avevate fatto  con tanto convincimento e fatica e costanza e senso del dovere, alla fine si rivela quasi un estraneo  che vi guarda  dall’alto verso il basso  e vi chiede:  “Ma tu chi sei?  Ma  tu che vuoi?…”

Vi è mai capitato  di rendervi conto di avere buttato via un sacco di tempo in un’attesa che pensavate fruttifera  e lusinghiera,  tanto di quel tempo  che   un giorno vi svegliate  sudati nel letto nel pieno della notte, e vi trovate a chiedervi: “Ma io che ci faccio qui, dove sono i miei amici? Dove  ho lasciato il ricordo  del mio ultimo sorriso? Dov’è la luna? Dove sono finiti i grilli  che cantavano???”

Come un fantasma, un’entità  mai vissuta,      vi trascinate  nel  centro della  stanza, alzate lo sguardo al cielo  in cerca della luna, fino a che la trovate, là,  spiattellata  nel centro del firmamento,  che vi guarda bonaria  e vi  sorride dicendo: “ Amico mio, io stavo qui,  sono sempre stata qui,  per te che oggi hai deciso  di acchiapparmi, e per chi lo farà domani, e per  chi l’ha già fatto e non è più tornato indietro…”

Voi vorreste rispondere che  non stavate dormendo,  che stavate solo cercando, che avete atteso tutta la vita quell’incontro e che finalmente  non avete  più lacrime da versare…

Io voglio la luna,  eccome se la voglio;  la voglio a tal punto che non ho più nemmeno  bisogno  di  spiegarmi il perché  della vita, della morte, del dolore, delle scelte…tutto è ormai superato,  con una veste leggera  sei già fuori della stanza  confuso   con le pareti   del cielo,  non fa più freddo, anche se piove o tira vento o avanza  l’inverno…

Quello che era prima abbandono e solitudine oggi è una strada piena di gente; quello che era prima  noia mortale  oggi  è  una ghirlanda colorata che promette ogni genere  di  sorprese; quello  che prima  era confusione  e smarrimento  oggi  è chiarità assoluta,  volontà cristallina di fare, di saltare in groppa alla    stella più  bella che c’è…

Mio Dio,  come ho potuto stare tutto questo tempo  senza la tua  bellezza,  o  mia felicità?

Come ho potuto  soffocare i singhiozzi  perché  non  fossero sentiti  per così lungo tempo???

Perché,  dolcissimo  Gesù,  hai voluto questo da me?   Come hai  potuto   lasciarmi solo   nel grande pozzo  mentre che il mondo correva, rideva, si divertiva, schiamazzava, indifferente ed ignaro  di chi  non ha gambe per camminare, bocca per ridere,  possibilità  di incontro    alcuno….?

Ci si potrebbe chiedere come è possibile che nell’era del tutto concesso,  nell’era del web  che ci ha portato il mondo in casa e le case nel mondo,  ci siano vite prestigiose  e preziose   a cui non viene concesso nulla perché mai nulla è stato concesso, se non di illudersi  per una breve stagione,   se non di respirare l’aria che viene selezionata per loro, o di pronunciare parole  che possano stare bene con le parole di chi ascolta,  o  di  progettare cose  che siano null’altro che il riflesso  di cose di altri…

Non importa, non importa più nulla,  quello che è stato è stato. Oggi è morto e sepolto.

Da ora,  si abita  un mondo finalmente   ordinato.

La mia libertà

 

Amico,

la cosa più bella è essere liberi

e mettere la propria vita al servizio degli altri

perchè l’amore viene e finisce

forse

il potere  viene e finisce

forse

gli amici  possono farti compagnia

quando hanno tempo

la fortuna  oggi ti guarda

domani chissà…

ma

la mia libertà

il suo profumo

la sua veste leggera e leggiadra

conquistata oggi

al prezzo del mio pianto

rimane qui

nel mio cuore

è solo mia

per sempre…

Essere  uomini

è semplicemente  farsi liberi.

Ecco il mio leader della sinistra

 

Se Vendola mi chiedesse di lavorare per la sua idea,  io accetterei  correndo…a dispetto di chi lo vede come un cattocomunista e pure …almeno lui  è autentico, è coinvolgente,  è  …..

ESSERE MONDO, ESSERE VITA, SEMPRE, COMUNQUE

L’amore assoluto, l’amore bello…

 

Partiamo, amici  carissimi, dal titolo  pretestuoso e un po’ ingombrante, di questo post:

“L’amore assoluto, l’amore bello…”

Dunque,  badate bene,  da nessuna parte sta scritto che l’amore  è perfetto, l’amore perfetto non esiste, è solo degli angeli, ossia di creature non corporee che hanno già raggiunto una dimensione tutta spirituale,  tutta tesa verso l’alto, fuori dalle contingenze della vita reale.

Per chi è credente  gli angeli esistono, ed esistono  in quanto  creature semidivine, cioè appartenenti alla sfera  del divino;  essi ci osservano, ci guardano, ci proteggono. Addirittura ci sono gli asceti ed i mistici che dicono di vederli, di potere parlare con loro, di potere sentirli.

Non  appartengo  a questo genere d’umanità;  tutto quello che io so apprendere e rielaborare e trasmettere   è frutto di un’esperienza empirica, legata alla materia.

E’ pur vero che in quanto noi stessi creature semidivine, cioè appartenenti a Dio nel senso create  da Dio, siamo tutte chiamate a quella sfera, solo che noi dobbiamo passare attraverso la materia, loro, gli angeli, non devono sottostare a  questo passaggio.

Per chi non è credente, le parole appena dette sono aria; non hanno nessun senso, e per questi è addirittura scontato  pensare e vivere in termini di pura contingenza.

Di certo anch’io che non sono materialista,  della materia  mi devo fidare perché senza di essa io resterei   un emerito   nulla di fatto.

E’ pur vero  che lo stesso stare legati all’esperienza  ci porta a consumare  condizioni di vita non esattamente  educative, non esattamente  costruttive,  non  esattamente  auspicabili.

Tanti sono gli esseri umani distinti nella loro unicità e singolarità,  tanto sono le possibili esperienze che gli individui potrebbero   in un libro immaginario  raccontare di sé. Se ci fosse questo libro immaginario, esisterebbe di per sé un sapere  trasmissibile  prezioso  ed indagabile, che certo renderebbe l’umanità migliore e migliorabile.

Il problema sta dunque nel fatto  che l’uomo non si racconta: lo fa quando  deve creare uno spettacolo  teatrale o musicale,  lo fa quando deve scrivere un libro su un determinato argomento che però non coinvolge in genere  la sua diretta esperienza,  lo fa quando  deve creare uno spettacolo cinematografico, lo fa quando  deve documentare la propria esperienza lavorativa per uno scopo scientifico,  lo fa quando  deve  comunicare dati e valori e contenuti  spesso di carattere  generale, universale, teorico ed astratto.

Quando però si tratta di dire: “Questa è la mia vita, questo è il mio vissuto, io lo racconto perché voglio che diventi patrimonio del sapere, occasione di scoperte e di ricerca per tutti, condivisione  razionale ed emotiva,  costruzione di comunità…” bè,  siamo sinceri, la cosa un po’ ci imbarazzerebbe,  ci lascerebbe interdetti, perché è contro le più elementari leggi del vivere allo stato naturale.

Perché dico stato naturale?  Perché  raccontare, narrare, diventare per l’altro un libro  vivente  che parla  non è un gesto spontaneo,  richiede  cultura, richiede sapere, richiede conoscenza, richiede apertura, richiede  pluralismo,  cioè richiede evoluzione.

E’  dunque la tutela del primitivo, del non evoluto,   il maggiore flagello  del genere umano;  non ci si può esporre, non fino in fondo, perché non siamo in una comunità di angeli, ma di demoni  che attendono un passo falso da parte  del nemico  per poterlo sotterrare, con qualunque mezzo.

Il nemico ti sta di fronte, è lui l’idiota  che invidi, ma sta attento,  il mondo potrebbe  accorgersi  di tutto questo e cominciare a dare il giusto peso alle cose.

E’ pur vero  che nel rispetto  della privacy  è possibile  trasmettere  comunque il patrimonio personale del proprio sapere, e chi lo fa  non è certo un ingenuo o uno sprovveduto; è qualcuno che vede nella condivisione  una fonte di benessere e non di perdita, è qualcuno che aspetta di trovare altri che come lui sappiano mettere in gioco  saperi, contenuti, bellezze,  per amore stesso del genere umano e per amore  stesso della vita.

Tornando al tema dell’amore assoluto cioè bello,  esso è tale quando è pronto a qualunque sacrificio; quando è mosso da ragioni non egoistiche e banali, ma vitali, fondate sulla donazione di sè;  quando rende le due persone coinvolte  (e dunque di riflesso anche il mondo) migliori e più forti; quando sa vedere i limiti reciproci e li sa accettare senza riserva; quando  viene costruito nel cuore e nella mente  e non nel mero atto sessuale; quando arriva all’atto sessuale come conclusione naturale di sé dopo un percorso  di costruzione, di vitalismo, di confronto,  che può richiedere  decostruzioni; quando si alimenta di quotidianità, dello scorrere del tempo;  quando non teme la noia perché anche la quotidianità è occasione di amorevole compagnia; quando non teme il passare del tempo perché si invecchia, più o meno, insieme; quando rimane giovane nonostante il passare degli anni attraverso la condizione mentale  aldilà  di quella fisica;  quando disconosce la finzione perché tutto viene condiviso e non c’è necessità di nascondere; quando c’è la fiducia dell’altro e per l’altro. E tutto questo senza un tempo  a termine   conosciuto,  semplicemente  fino  a che l’amore ama.

Conclusione:  tutti i legami che non contemplano tutte le condizioni   sopra elencate, non sono legami assoluti e dunque belli, che significa  che il 95%   delle unioni amorose non sono assolute e dunque non sono belle.

Ma questa siamo noi, è l’umanità mediocre,  che non vuole legami assoluti vissuti come totale perdita del sé e commistione con l’altro. L’io e l’altro rimangono due entità  distinte e contrapposte  che si scambiano    semplicemente  servizi, favori, doveri, obblighi, sia di natura morale che materiale.

Sono cioè compromessi, intese, alleanze, più o meno riuscite, più o meno  lunghe nel tempo.

E’ pur vero che anche la coppia  peggio riuscita si può in qualunque momento ravvedere, si può in qualunque momento  ricostruire.  E’ sempre una questione di fare il salto.

E’ sempre comunque  la questione di stare nel posto giusto al momento giusto, e a discolpa  di quel 95% d’umanità che siamo noi  che bazzichiamo nel caos, occorre dire  che essere una coppia bella (e non una bella coppia che è un’altra cosa)  non è una scelta,  ma una necessità.

E non si può essere in assoluto  quello che si vorrebbe arbitrariamente  essere.

Si può solo accettarsi, ed ognuno  nella propria  specifica  condizione  diventa  una presenza  comunque  preziosa, ineliminabile, afferente la sfera  del divino per un credente, la sfera della vita organica per un non credente.

La  molteplicità  dell’universo  mondo è un dato oggettivo; accettare il mondo  significa accettare  la sua  diversità, il suo mare magnum di conflitti  insanabili ed eterni nel senso  di sempre ripetitivi e ripresentabili. Se dunque  solo il 5%   dell’umanità  è chiamata all’amore assoluto e dunque bello, il rimanente 95%  del genere umano  è comunque parte sostanziale  di questa piccola frazione.

Non ci sarebbe questo  piccolo mondo senza tutto il peso dell’universo   che sta nella  vasta  circonferenza; il peso di questo  unimondo   è la realtà  nella sua immediata contingenza, quella che non vuole cambiare, che non vuole cedere il passo, che al semaforo  vuole superarti perché lui conta e tu no, quella che si ritiene  già perfetta  di suo  e che pensa per logiche conservatrici e non innovatrici, quella  che non si mette mai in discussione, quella che  concepisce l’abbandono di sé come momento  di sconfitta e non di  evoluzione.

Insomma, è il postino che ci porta la posta e che dalla vita non desidera altro, il macellaio  che ci fornisce la carne e si considera il più furbo del paese,  l’insegnante che ci istruisce il figlio senza preoccuparsi  di farlo bene, la suocera che speriamo debba sempre rimanere alla porta,  l’amico con cui ogni tanto andiamo a farci una birra e poi tutto finisce lì, il nostro capufficio  che ci lascia vivere senza opprimerci la giornata  ma solo perché vuole che a lui si faccia  lo stesso,   il vicino di casa che ci fa incazzare perché non mette  la pattumiera come  dovrebbe metterla  ma solo  perché è analfabeta, il prete della parrocchia che nel momento della messa ci chiede l’offerta  ma poi si dimentica d’essere cristiano, l’extracomunitario che al semaforo  dell’incrocio  ci chiede la moneta mentre noi avremmo l’istinto di investirlo, il cronista del telegiornale che ripete per l’ennesima volta la stessa notizia già data, la puttana che sta giù all’angolo  della strada  perché non sa come sbarcare il lunario,  nostro fratello  che avrebbe voluto tutta l’eredità solo per sé   e   invece   ha  dovuto vederla divisa tra  servi e servitori…

Investito   di  questo diritto  è il cadavere  che facciamo finta  di non vedere   solo perché metterebbe  in   crisi tutto il nostro labile  sistema di certezze,  è la paura che abbiamo nel cuore e che rischia   di tenere lo stesso 5% del genere  umano dentro “ il pozzo della normalità”.

Dopotutto alla  fine  è solo una questione  di collocamento.

Il piccolo mondo che corre  sta in cima la collina,  tutto il resto viaggia in orizzontale  o in sottocoperta.

E   l’umanità  ha bisogno   di questo piccolo   bacino  di speranza  e di luce.

FILOSOFIA FILOSOFIA FILOSOFIA E INTERNET

SMAU, SCUOLA E NUOVE TECNOLOGIE DIDATTICHE

SMAU, SCUOLA E NUOVE TECNOLOGIE DIDATTICHE

LSCF@+SMAU+2010[1]

Destra, sinistra e altra umanità…tutti insieme per obiettivi comuni

Viva la Birmania libera

I fiori e le lacrime di lady Aung "C'è un tempo per parlare"

E’ accaduto un miracolo

La Birmania ad una svolta

Fenomenologia di un sentimento, fenomenologia di un mestiere

 

Con questo articolo vorrei riprendere il tema  dell’analisi dei sentimenti,  tra cui in particolare mi rivolgo al sentimento per eccellenza, il sentimento amoroso  della coppia,  inteso  come momento  di incontro con l’altro, di esaltazione della mescolanza, di perdita del sé, di riflessione del sé e dell’altro, di  consapevolezza  e accettazione del reale, di cambiamento  continuo metafisico e fisico, di comprensione del tempo e di progettazione del futuro,  secondariamente annesso  all’importanza e all’arte dell’insegnamento.

Sono quelle sopra citate   le complesse fasi che interessano ed accompagnano   ogni fenomeno di innamoramento quando per innamoramento si intende l’incontro di  due persone che si rivelano  e si scoprono essere fatte l’una per l’altra.

Per deduzione a questo principio cardine ed universale  che riguarda il sentimento amoroso,  non può essere detto amore tutto quello  che   fuoriesce da questo  schema, da questa griglia, da questo puntiglioso tracciato.

Possiamo  ben comprendere  perché migliaia e migliaia di rapporti  finiscono anche dopo brevissimo tempo,  o anche dopo un lunghissimo tempo, o finiscono nonostante eccellenti  premesse,   o non riescono a decollare nonostante eccellenti  condizioni,  o ancora,  non si evolvono come dovrebbero evolversi,   cadendo in forme di pseudo amore,  dove la coppia è solo apparenza più che sostanza, o dove la coppia è compromesso, o convenienza, o ragion di stato, o abitudine,  o incapacità  all’esercizio della verità.  O  infine  resistono e si rinsaldano   tenacemente  nonostante  prove innumerevoli  e di lungo  percorso…

Ecco la prima condizione che il sentimento amoroso incontra e richiede:  il suo essere vero, il suo essere assoluto, il suo aspirare alla bellezza, il tendere al miglioramento continuo, il suo volersi proteggere da ogni possibile contaminazione, il suo sapersi donare dentro il cerchio e fuori del cerchio relazionale, il suo esigere chiarezza, il suo essere onesto e sincero, umile e modesto,  giocondo  e spensierato, geloso e fiducioso, gentile e coraggioso, intelligente  e  riflessivo.

Prima condizione dell’essere innamorato è dunque avere la possibilità, occasione, fortuna, contingenza che dir si voglia,  di incontrare   la persona giusta.

Ci si può chiedere con  ragione  come sia possibile riconoscere con certezza la persona che dovrebbe essere fatta per noi. Questa è la prima enorme difficoltà.  Se si sbaglia questo preliminare, che oltretutto  capita accidentalmente  perché non può essere in alcun modo pianificato,  si sbaglierà poi conseguentemente  tutti i passaggi successivi.

Non sapere riconoscere la persona giusta, o non saperla  scegliere, sono  errori  di una tale gravità ed imperdonabilità  che vengono pagati con  un prezzo  altissimo, ben peggiore di qualunque perdita finanziaria, anche la più disastrosa, come di qualunque  perdita d’immagine.

Forse questa sconfitta   è meno visibile,  è meno conclamata, è meno  soppesata dal sistema  sociale in cui ci troviamo immersi,  ma  vive ed impera  nel tessuto interiore  delle persone, dei singoli, degli individui,  che a loro volta costituiscono la nostra società.

E’  come se noi fossimo calati in un contesto urbano o non urbano  che tiene conto del nostro conto in banca, del nostro aspetto fisico,  del nostro lavoro e della nostra rete  relazionale, ma non tiene in minimo conto  la nostra  vita privata  forse proprio perché  privata e dunque appartenente  alla sfera  del non detto, del taciuto,  del riservato.

Chiariamo allora subito  in che senso il privato è privato e tale deve rimanere,  e in che senso il pubblico è pubblico  e deve essere  funzionante al privato e viceversa.

L’essere, l’io, la persona, il singolo, come infine l’individuo,  è fatto di questa mescolanza:  ha una suo sentire  interiore ed un suo essere calato nel mondo quotidiano che si interfacciano e non si scindono mai spontaneamente.

L’armonia, l’integrazione, l’equilibrio, la complementarità di queste due sfere che sono  concentriche  costituiscono  il presupposto della felicità.

Che vuol dire che non basta la coppia  a determinare la propria felicità,  perché la coppia stessa vive nel sociale,  vive nella pluralità  del tutto, necessita  del suo inserimento in tale sistema  condiviso;  ecco perché  il privato, che tale deve rimanere,  ha comunque un peso enorme per il benessere del pubblico.

Facciamo esempi concreti:  abbiamo avuto un litigio o uno scontro  con il proprio compagno,  e diventiamo intolleranti o nervosi anche  sul posto di lavoro  con i propri colleghi  o con chi avremo la sventura  di  incontrare.

Non che ci inventiamo occasioni di scontro,   semplicemente reagiamo alle normali    situazioni critiche  che  incontriamo  nel modo peggiore, per il verso meno favorevole, con un atteggiamento di chiusura e di   critica  distruttiva o impietosa.

In condizioni psichiche e personali   diverse  certamente reagiremmo in modo differente.

Così  come tutto il sistema pubblico   si appoggia  sulla consistenza  del sistema privato,  anche  lo sviluppo  del sapere  e lo sviluppo del sociale  si appoggiano sulla nostra personale capacità di costruire  relazioni personali.

Da questo risaputo principio  si può dedurre  che se il sistema pubblico e sociale non funziona è perché non funziona il nostro sistema privato, ossia   non funzionano i singoli che non sanno costruire le proprie vite in maniera funzionante, efficace e costruttivista.

Sorge spontanea la domanda:  ma c’è un sapere, un corso  di laurea,  che insegni alla vita?  Che insegni  la vita? Abbiamo  i corsi di psicologia, di sociologia, di filosofia, di teologia, ma non abbiamo  corsi  di  studio  della vita, della vita reale e quotidiana, che a sua volta è una mescolanza di tutti questi saperi.

Sarebbe interessante, perché no,  che qualche università  si interessasse  di questo  argomento; le domande oggetto di ricerca potrebbero essere molteplici,  per esempio:   perché  gli uomini  (nel senso delle persone) interrompono legami  matrimoniali ormai consolidati nel tempo? Perché gli uomini  amano avere relazioni  extraconiugali? Perché gli uomini  si sposano con estrema leggerezza  o evitano il matrimonio  come se fosse la peste? Perché  i figli sono lo specchio parziale  della coppia?  Perché la società  non difende e tutela adeguatamente  la famiglia  che è la sua perla più preziosa? Perché  tra genitori e figli è sempre esistito il cosiddetto conflitto  generazionale?  Perché  gli equilibri  di coppia  si raggiungono attraverso percorsi ad ostacoli  che fuoriescono e si sottraggono ad ogni genere di giudizio definitivo? 

Quanti argomenti, quanti aspetti,  quanti angoli  sconosciuti e misteriosi che potrebbero  essere fonte di saperi  estremamente utili e produttivi.

Vorrei   collegare questo mio argomentare ad uno studio che sto facendo  sul Dire la pratica  all’interno  di un eccellente studio di ricerca iniziato presso l’Università  di Verona   da giovani e meno giovani ricercatori  che   si vogliono occupare  dell’arte dell’insegnamento, arte antica quanto  sconosciuta nel senso di mai indagata  come prassi.

Si è appena concluso il convegno intitolato a questo tema  delle narrazioni didattiche   il 12 novembre scorso; erano presenti in sala presso lo storico edificio di Via Cantarane   le migliori eccellenze  universiterie del settore  internazionali e non, l’aula era gremita tanto che abbiamo dovuto cambiare la stanza  per potere dare a tutti i presenti  la possibilità di sedersi…(molti giovani studenti   che forse un giorno  saranno insegnanti  migliori di come lo siamo  stati noi nel passato anche grazie a questa preziosa risorsa aggiuntiva che la ricerca ha saputo mettere in campo nonostante la crisi  e nonostante le cattive politiche finanziarie…)

I  corsi di laurea  hanno da che mondo e mondo una impostazione teoretica/astratta.  Il saper fare, l’arte del creare, dell’improvvisare, dell’interagire nell’attimo e sull’attimo attraverso  le ordinarie  occasioni  di vita,  sono sempre state oggetto  di silenzio e di disattenzione, per non dire di sminuimento.

L’insegnante  fino a poco tempo fa  è sempre   stato colui che possiede il sapere delle parole intese nella loro  concettualizzazione , che possiede il sapere  dei contenuti  oggettivi;  dopo alcuni anni  in cui si è dato spazio   a valenti ricercatori e ricercatrici  che hanno cominciato ad occuparsi del come, del verso chi e  del perché   si fa didattica  (e non più   del quando     o      del dove   o del      su che cosa…)  si è scoperto  che  anche e soprattutto il mestiere  di insegnante  ha bisogno    della sua  prassi, cioè  della sua narrazione  delle pratiche didattiche.

Questi esperimenti d’aula  anzichè di laboratorio  vanno scritti, vanno osservati, vanno conservati, vanno documentati, esattamente come si farebbe con  un problema di carattere prettamente scientifico. E naturalmente  indagati con metodo scientifico,  con rigore, con fedeltà,  con attenzione  verso l’altro,  visto che qui si ha a che fare anche nella fase  iniziale e non solo in quella finale  con esseri umani,  con soggetti viventi,  con vite  che pulsano  e  chiedono  di  continuare  a pulsare  migliorando la qualità  della loro vita.

I  medici hanno il racconto dei loro casi clinici, gli avvocati hanno il racconto dei loro casi giudiziari, l’architetto ha il racconto  delle sue costruzioni  architettoniche, tutti accedono normalmente  agli archivi di loro competenza…solo  per  gli insegnanti  si è sempre dato per assodato  che avessero  già  acquisito in sé  l’arte del saper insegnare,  magari solo per avere fatto qualche settimana  di stage  sul campo,  cosa assolutamente non vera  e non certa, non precostituita  e predata.

Questo volume, Dire la pratica,  edito da Bruno Mondadori,  è l’excursus  di un team  che ha saputo incontrarsi (qui non c’è la coppia ma c’è il gruppo),  che ha saputo incontrare (qui non c’è  la società genericamente intesa ma  un tassello  della società stessa,  quella che riguarda nello specifico   il mondo della formazione)  , che ha saputo  porsi  delle domande  utili e preziose   a cui  finalizzare la propria ricerca (come si insegna? Esiste un metodo valido sempre e comunque? Cosa varia    e cosa non varia? Quanto conta la soggettività del docente?…),  che ha  voluto (sempre per riprendere  il legame stretto  tra  sapere, volere e potere) essere un’occasione di aiuto e di sostegno ai docenti  che ogni giorno  si trovano a combattere sul campo come se andassero in trincea,  più preoccupati  loro malgrado e per loro mortificazione,   di portare a casa la pelle che di portare a casa   conquiste.

Se poi si pensa  che  queste conquiste non sono altro che il benessere psico-fisico, spirituale ed intellettivo i nostri figli, dei figli  che nasceranno dai nostri , e così discorrendo,  si può ben comprendere l’urgenza, la gravità, la sostanzialità,  la vitalità ed il vitalismo  di questa riflessione.

Mi  riservo  di riprendere questo tema ambivalente  e strettamente  legato a mio avviso,  tra l’essere una persona felice e l’essere un buon insegnante,  quando avrò  acquisito  maggiori elementi  oggettivi e soggettivi  per  potere tornare  sul tema.

Anch’io sono una neofita, anch’io sono una che è arrivata come molti altri per ultimo,  per la mia gigantesca inesperienza forse non avrei nemmeno diritto di parola,  ma è pur vero che se non ho una lunga  esperienza come insegnante,  ho però una lunga esperienza  di vita vissuta sempre all’interno del sistema scuola e sempre all’interno  del sistema   società. Ovviamente non solo di  vita vissuta, ma anche di   vita metariflessa,  condivisa, discussa, osservata…

Nel frattempo  già in queste poche parole sono emersi, a mio modesto parere, spunti di riflessione  con cui lascio il  lettore  a  certe  proprie valutazioni.

Hello, hello, hello, mondo

Dopo hello mondo  del 5 novembre 2009 ecco hello mondo del 2010

Auguri   auguri auguri   a tutti   noi

Andiamo avanti  così…

che cosa c’è…io come un gentiluomo, tu come una sposa…

 

Omaggio al teatro, alla musica, alla poesia

 

Fare teatro  è imparare a vivere e chi impara  a   vivere,  insegna  a  vivere    anche agli altri…

 

 

La sagrada familia consacrata e la protesta gay… Cosa fa più notizia oggi?

BARCELLONA - La Sagrada Familia

la sagrada famiglia

Il Papa consacra la Sagrada Familia: "Matrimonio base della vita umana"

Papa/ A Barcellona la protesta del bacio collettivo coppie gay

Duecento gay e lesbiche si baciano a Barcellona al passaggio di Ratzinger

Una coppia gay si bacia al passaggio del papa a Santiago

Sindicato Agricola Gandesa: muri e pilastri in mattone all'interno della cooperativa

Gay e lesbiche protestano con un bacio all'arrivo del Papa (Apcom)

Amo essere italiana, amo essere, amo amo amo… e basta

 

i più grandi registi ci raccontano…noi li amiamo per questo

 

Omaggio all’arte che è il motore della vita

van gogh

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