Articolo suggerito da I discutibili
IL PROCESSO
Un processo comporta grandi energie, sia di soldi che di tempo che di competenze.
Per non parlare delle motivazioni che ti devono portare a sostenerlo.
Esistono grandi varietà di cause processuali; le più ordinarie sono i divorzi, le separazioni coniugali; le più banali le liti tra vicini di casa o le liti condominiali; le più terribili e direi di triste attualità sono i cosiddetti femminicidi.
Le più scandalose e detestabiili quelle accadute contro gli infanti.
Io non voglio puntare l’occhio su nessuna di queste tipologie alcune delle quali interessanti e meritevoli.
A me interessano per ora le cause di lavoro; che ne so: un licenziamento senza giustificata causa; il datore che si comporta in maniera scorretta (abuso di potere) con il genere femminile delle sue dipendenti; lavoratori assunti con contratti fantoccio o da strozzini; gente qualificata e meritocratica che finisce per fare mansioni sottopagate e non pertinenti; e ancora: cervelli che fuggono all’estero perchè in Italia il lavoro ormai sembra essere scomparso; giovani e nuove generazioni che non sanno nemmeno dove comincia la cultura del lavoro, ma non per colpa loro; malati che tali rimangono o che tali diventano o che tali non riescono a sopravvivere per avere subito una situazione di cattiva sanità; situazioni paradossali di vera e propria persecuzione verso un singolo che diventa oggetto di mobbing e di vessazioni insostenibili…
Il lavoro e la sua etica, non che le sue possibilità di sviluppo, mi affascinano; il tempo moderno e contemporaneo, se da un lato sta attraversando una penosissima crisi occupazionale, ci ha anche liberati dalla schiavitù della fatica che i nostri nonni e in parte anche i nostri padri hanno fatto in tempo a conoscere, di quel passato dovere ridursi a bestie per potere portare a casa il quasi necessario per vivere…
Tra un giovane di oggi che per assumersi la responsabilità del proprio futuro deve prima decidere se è disposto a lavorare anche d’agosto, e mio nonno che non si faceva domande perchè alle cinque del mattino doveva andare in stalla (ad avercela la stalla) per finire alle sei della sera talmente stracco e marcio di fatica da non avere più la voglia di fare altro…, preferisco i nostri giovani che non hanno ancora deciso cosa faranno da grandi.
Ovviamente provo un profondo senso di rispetto e di considerazione e di riconoscenza verso questi nostri predecessori di ieri che hanno davvero costruito, loro, il nostro presente e quel poco che ancora sopravviverà.
E non per molto.
Amo talmente tanto l’idea ed il fatto di avere un’occupazione e di avere la mia autonomia, che quando mi sono trovato a dovere difendermi da una causa assai incresciosa, non l’ho fatto per averci un guadagno, non l’ho fatto per vendicarmi di chi mi aveva procurato un torto imperdonabile, ma l’ho fatto perchè offendendo me avevano offeso il mondo intero che avrebbe potuto essere casualmente lì al mio posto; per esepio mio figlio, se avesse potuto trovarsi nella mia stessa condizione ; o mia moglie , se avessi potuto immaginarla nei miei panni; oppure mio padre, che invece mai avrebbe saputo immaginare nulla di simile.
L’idea di fare un processo, di aprire una causa, di sporgere denuncia, per la verità non l’ho avuta subito.
All’inizio ero frastornato, pensavo di dovere sopportare e basta, pensavo che le cose si sarebbero messe a posto da sole, pensavo che l’equivoco si sarebbe chiarito, perchè diamine, siamo tra gente civile, tra gente adulta e vaccinata, gente di buonsenso…
Quando ho capito che delle mie considerazioni e che del mio punto di vista e che della “verità dei fatti” non importava un bel fico secco a nessuno, se non al sottoscritto, allora sono partito a razzo come un treno.
Possono recarti qualunque danno, in un posto di lavoro, contro il quale ci si può facilmente difendere, ma non possono farti passare per quello che non sei, senza metterti in una situazione assai pericolosa.
Nel momento in cui il sistema cerca di aggredirti per stritolarti e vedere le tue budella sbattute sul pavimento come fossero quelle di una pecora sgozzata, e tutto tra l’indifferenza generale, allora non è più tempo di tenere le mani in tasca.
Per vincere un processo, forse l’ho già detto da qualche parte in questo blog o altrove, ci vogliono almeno tre cose: la prima è essere dalla parte della ragione ( e scusate se è poco); la seconda è avere un buon avvocato (meglio se un amico, ma di quelli tosti); la terza è avere un’ottima ragione per portarlo a termine (visto che ci potrebbero essere momenti di scoraggiamento da sostenere).
Haime, già mi sento pernacchiare da ogni donde; e allora? tutti i processi storici che hanno mandato assolti per mancanza di prove o per prescrizione dei termini o per altro inghippo burocratico egregi ed eccellenti uomini mafiosi?
La legge non è uguale per tutti e nemmeno i tempi della fortuna, ed anche questo fa parte di questo complesso discorso.
Oggi tocca a me, subire la gogna, ma domani potrà accadere a qualcun’altro. Oggi tocca a un malavitoso gridare vittoria, ma domani questo stesso malavitoso sarà dietro una sbarra le cui chiavi potranno essere gettate in un pozzo profondissimo…
Se io invece vinco, e sono un cittadino qualunque che ha subito un grave torto imperdonabile, con me non vince solo il sig. Pinco Palla, ma l’uomo di strada, vince la speranza, vince la giustizia, vince la gioia di vivere e di urlare al mondo che mai il male potrà strafogarsi per un tempo troppo lungo sul bene.
Con questa semplice vittoria, si potrebbero superare tutte le nostre insensate paure, la nostra timidezza, la nostra latente propensione a prendere le cose con troppa calma ed eccessivo distacco.
Con la mia fortunata vittoria, di fatto ho potuto recuperare le spese del processo e nulla più, ma mi è andata bene comunque, visto che non l’avevo fatto per lucro.
Tutto il resto è stata una impagabile soddisfazione: vedere i tuoi nemici sconfitti al primo round, senza neanche andare in appello, perché loro ci hanno rinunciato ad andarci.
Con grande maestria mi ero procurato il medico legale numero uno, quello che di più qualificati sul territorio nazionale non ce ne possono essere, così che la controparte dovette procurarsene uno che non avrebbe comunque mai potuto competere…
Nemmeno hanno potuto prendersi questa seconda possibilità.
Con la mia vittoria di fatto, tutto il torto subito si è ridimensionato fino a scomparire.
Il tempo è tornato a scorrere libero, senza più tenaglie insostenibili.
Sono lentamente uscito da un tunnel che mi aveva tenuto imprigionato circa quattro anni, e sono stato fortunato che il mio processo è durato solo quattro brevi anni, dal momento che le cause di lavoro hanno un iter velocizzato, mentre quelle altre sai quando iniziano ma non sai quando finiscono.
Dentro questo periodo il giudice assegnatomi ha fatto in tempo ad assentarsi e quindi ad interrompere momentaneamente la causa, per maternità, io ho fatto in tempo a chiedere il trasferimento, voluto e scelto e non certo giammai subito.
E poi sono potute accadere molte altre cose; un corso di formazione per tenere la testa occupata per non impazzire; la nascita di nuovi progetti che cominciano a frullarti in capo e che arrivi a ritenere non più prorogabili, l’inizio e la fine di una assistenza psicologica che ti possa accompagnare nel percorso; e via discorrendo…
Di tutto il periodo processuale ricordo indelebilmente un momento specifico: quando il mio presunto datore di lavoro si è presentato davanti al giudice già alterato di alcool; era stato ben istruito dalla sua parte su quel che dovesse dire e come si dovesse comportare; peccato che però non gli avevano spiegato che non poteva presentarsi con le carte riportanti i capi di accusa stampate nero su bianco ed avute illecitamente dai suoi stessi superiori che evidentemente non avevano ritenuto necessario istruirlo di questa ovvia e palese precauzione…
Il giudice l’ha subito schernito ed apostrofato: “Lei non è ammesso a nessuna testimonianza; firmi e se ne vada”
Povero vecchio rincoglionito; in fabbrica faceva il leone, tra quel branco di porci e di mezze umanità che lo coprivano e lo giustificavano; ma davanti alla severa ed equa legge, si è solo sputtanato nel giro di un secondo e pace all’anima sua, che ancor prima dell’arrivo della sentenza passò a miglior vita.
Io non ce l’avevo a dir la verità con lui; un alcolizzato rimane solo e sempre un alcolizzato; nei posti di lavoro non dovrebbero esistere, come nella vita privata, come alla guida di macchine che sfrecciano sulle strade fuori controllo.
E quando si rendono responsabili di delitti più o meno gravi, c’è solo da pensare che hanno ucciso o leso senza nemmeno rendersene conto.
Io ce l’avevo col numero uno; il machiavellico regista che aveva operato dietro le quinte, con fredda e spietata cavillosità, senza pudore, senza ritegno, senza una nemmeno vaga etica professionale, lui, che tutti noi rappresentava, lui, che veniva pagato profumatamente per svolgere un ruolo che avrebbe degnamente dovuto saper svolgere.
In quanto ai colleghi, ai compagni di lavoro che si erano resi i soli e specifici ed originari artefici del grande pasticcio, verso di loro ho sempre solo provato una grande pena.
La grande sofferenza iniziale, di sentirsi tradito, umiliato e preso di mira proprio da chi meglio dovrebbe saperti rispettare in quanto a te simile, proprio da chi io stesso avevo più volte aiutato e sostenuto, si è trasformata con la vittoria in una glaciale superiorità e distacco.
Il tempo poi mi ha dato pienamente ragione.
“Nel nome della Repubblica Italiana, noi giudici qui riuniti in questo giorno e in questo luogo, così sentenziamo: il dottor Pinco Palla viene riconosciuto nella sua legittima richiesta di risarcimento per il danno subito. Gli siano pagate le spese processuali, gli siano pagati gli oneri a carico della sua difesa, gli sia riconosciuto un danno che può venire quantificato per la seguente cifra. Coloro che hanno causato questi eventi, saranno richiamati da chi di dovere ai relativi provvedimenti disciplinari”
Ed il signor Pinco Palla uscì dalla stanza.
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