E’ stata lei, Virginia Raffaele, bella donna, bravissima attrice e imitatrice di personaggi famosi, direi l’equivalente al femminile di Crozza. Ci farà ancora stupire nel tempo…
Virginia Raffaele: via la maschera come se stessa
in Carla Fracci
E’ stata lei, Virginia Raffaele, bella donna, bravissima attrice e imitatrice di personaggi famosi, direi l’equivalente al femminile di Crozza. Ci farà ancora stupire nel tempo…
Virginia Raffaele: via la maschera come se stessa
in Carla Fracci
« Il naufragio è stato totale
Ma è stato di una semplicità assoluta
Lo sai perché ? Non c’è stata tempesta.
Non c’è stata lotta, resistenza.
Nessuna manovra di perizia marinara.
Nessuna chiamata di capitano.
Nessun avviso. Nessuna campanella.
Non c’è stato innalzamento di onda.
Niente che riguardasse il mare.
Il mare è innocente. »
Il testo è di Lina Prosa, lei scrive per il teatro, un teatro dove la parola è la vera assoluta protagonista.
E’ italiana, anzi, siciliana, anzi, palermitana, anzi, un poco (molto) lampedusana.
Però viene messa in scena a Parigi o a Berlino, o domani, chissà, là dove la porterà il mare.
Leggi qui altre cose sul suo teatro, che oggi si occupa di naufragi, ma che si è occupata in passato di molto altro…
a teatro con un clic
Oggi niente cose tristi e strazianti; solo pensieri positivi.
Come una casa nuova appena finita e tutta da riempire di cose nuove e pimpanti, allegre.
Vediamo cosa ci può essere di allegro, a cui pensare.
La compra di piccole cose che non costano nulla ma che, come si suol dire, arredano.
La migliore offerta è la storia di una truffa colossale.
C’è un pollo molto molto molto ricco che va spennato, ed una regia perfetta studiata nei minimi particolari riesce a sbancarlo.
Con il sistema più infallibile e banale del mondo.
Catturando i sentimenti.
Quelli profondi, lancinanti, assoluti, che ti sconvolgono e che ti rapiscono la mente il cuore i sensi…
Ed il gioco è fatto; la buona riuscita del furto è assicurata.
Ma lo spettatore non lo immagina, forse lo sospetta, qualcosa mette nel poco chiaro, tuttavia fino alla fine rimane indotto a credere nella veridicità dei fatti.
Tornatore torna a stupirci e ad affascinarci: vuoi per la bellezza delle immagini, vuoi perché tutto il racconto si snoda tra incantevoli e inestimabili opere d’arte, vuoi perché veniamo calati in un mondo prestigioso al quale noi tutti vorremmo potere appartenere almeno per un giorno, vuoi perché effettivamente la trama è inedita, mai vista e sentita, nemmeno vagamente ipotizzabile, tanto sconcertante da sembrare incredibile (ma in verità assolutamente possibile).
I romantici alla fine potrebbero rimanere un poco delusi, per via del fatto che di autentico in questo film ci stanno solo i falsi, ma a pensarci bene anche in questa gigantesca menzogna il sentimento vince, il sentimento costituisce l’anello portante, l’ingrediente che permette tutto e che tutto rimette in discussione, sempre e comunque.
L’unica cosa che ci farebbe tornare a guardare questo film.
L’imperturbabile uomo d’affari d’arte, dopo avere truffato per tutta la vita il prossimo, vendicandosi egregiamente di una cattiva sorte, rimane anch’esso vittima dello stesso delitto. Ma di questa lezione ne sa fare una virtù.
Ne valeva la pena. E non se ne pente. Tornando indietro lo rifarebbe.
Una bella giovane e misteriosa donna servita sopra un piatto di cristallo, tra tante ferraglie vecchie e misteriosi meccanismi automatici, ne vale sempre la pena, soprattutto se ci si trova in quella fascia d’età per cui si sa di non potere più avere molte altre occasioni, soprattutto se questa donna è legata a quella idea di bellezza alla quale si è sacrificato tutto, ogni svago, ogni debolezza, ogni cedimento, ogni illusione…
Soprattutto se per questa improvvisa e non calcolata tentazione si sta mettendo tutto in discussione, irrimediabilmente.
La migliore offerta rimane la migliore offerta.
E lui gioca come sempre, rischiando tutto, come è interessante che si faccia.
Il vero e unico protagonista della trama è proprio lui, non è la donna; di lui ci interessa il passato, il presente ed il futuro, della donna ci stupisce come il suo infantilismo e la sua arroganza giovanile non scoraggi l’amante innamorato tenuto fuori dalla porta.
La ragazza, nonostante la sua bellezza e tutto il resto, rimane fino alla fine sullo sfondo; vuoi perché ci viene presentata come una donna malata, sofferente e dunque in un certo senso che con la vita ha sempre perso, dove la malattia viene subita e non combattuta; vuoi perché quando ne scopriamo la verità, ci appare tutto sommato nella sua piccolezza e nella sua mediocrità, per quanto vincente.
Bella forza, avere sconfitto un vecchio, facilmente feribile nell’unico suo punto debole.
Ma che vecchio.
Davanti alla sorpresa finale non batte ciglio, non una lacrima, non una imprecazione, non una parola. Nemmeno un infarto, come invece avrebbe colpito una persona vagamente normale. Solo silenzio, solo uno sguardo allucinato che sembra perdere momentaneamente il senno. Ma non è follia, la sua.
E’ il bisogno di recuperare il fiato. E’ solo il bisogno di incassare il colpo, e di voltare pagina.
Questo matusa truffato e derubato della sua vita consumata dietro all’arte più bella, si riprende e non si lascia mettere da parte.
L’amore conosciuto e donato l’ha cambiato per sempre, l’ha tenuto vivo e legato alla vita più che mai. Alle segrete stanze dove non arrivava la luce del sole, sostituisce il mondo, le persone, le strade, i rumori della quotidianità, i racconti delle persone amate fatti propri, le cose semplici della vita, fosse anche lo stare nel dolce far niente del tempo sospeso.
Intanto lui se lo può comunque permettere, se l’è guadagnato il suo tempo ora finalmente libero e prima solo rubato.
Non lasciamoci ingannare dal suo sguardo che non ci concede nessuna emozione. Forse tardi ha scoperto quello che c’era da scoprire, me meglio tardi che mai. Forse qualche segno del tempo di troppo si coglie dalle sue rughe, ma quest’uomo maturato e stagionato, è più giovane di un ragazzo, ha dimostrato d’avere più spirito dei suoi giovanissimi compagni di ventura.
Con qualche certezza di meno, ma molto coraggio di più, decide di continuare ad andare incontro alla luce del domani, dell’oggi, dell’attimo fuggente, liberatosi dalle sue ossessioni che lo tenevano aldiquà di ogni possibile ponte; mentre degli altri non si trapela nessuna vitalità, nessun ulteriore notizia degna di nota.
Su di lui si apre la prima immagine; su di lui si spegne l’ultima; e c’è da credere che questo giovane vecchio, se solo tornasse a parlare di sè, ne avrebbe ancora di sorprese da riservarci, ben oltre uno spettacolare scantinato dove dormivano i sogni imprigionati nel buio.
Un “ciao” speciale a una donna empatica, autoironica, intelligente, poliedrica, divertente, teatrante, piena di entusiasmi, generosa, cinematografica, straordinaria, affascinante, trasformista, elegante, vera, diretta, coraggiosa, sperimentatrice, speciale, spiritosa, imperdibile…ed espressione dell’Italia nel mondo.
una grande tra grandi per sempre tra noi
Aspettando Godot di S. Beckett
Vivo tutti i miei giorni aspettando Godot,
dormo tutte le notti aspettando Godot.
Ho passato la vita ad aspettare Godot.
Nacqui un giorno di marzo o d’aprile non so
mia madre che mi allatta è un ricordo che ho
ma credo che già in quel giorno però
invece di poppare io aspettassi Godot.
Nei prati verdi della mia infanzia
nei luoghi azzurri di cieli e acquiloni,
nei giorni sereni che non rivedrò
io stavo già aspettando Godot.
L’adolescenza mi strappò di là,
e mi portò ad un tavolo grigio,
dove fra tanti libri però,
invece di leggere aspettavo Godot.
Giorni e giorni a quei tavolini,
gli amici e le donne vedevo vicini,
io mi mangiavo le mani però,
non mi muovevo e aspettavo Godot.
Ma se i sensi comandano l’uomo obbedisce,
così sposai la prima che incontrai,
ma anche la notte di nozze però,
non feci nulla aspettando Godot.
Poi lei mi costrinse ed un figlio arrivò,
piccolo e tondo urlava ogni sera,
ma invece di farlo giocare un po’,
io uscivo fuori ad aspettare Godot.
E dopo questo un altro arrivò,
e dopo il secondo un altro però,
per esser del tutto sincero dirò,
che avrei preferito arrivasse Godot.
Sono invecchiato aspettando Godot,
ho sepolto mio padre aspettando Godot,
ho cresciuto i miei figli aspettando Godot.
Sono andato in pensione dieci anni fa,
ed ho perso la moglie acquistando in età,
i miei figli son grandi e lontani però,
io sto ancora aspettando Godot.
Questa sera sono un vecchio di settantanni,
solo e malato in mezzo a una strada,
dopo tanta vita più pazienza non ho,
non posso più aspettare Godot.
Ma questa strada mi porta fortuna,
c’è un pozzo laggiù che specchia la luna,
è buio profondo e mi ci butterò,
senza aspettare che arrivi Godot.
In pochi passi ci sono davanti,
ho il viso sudato e le mani tremanti,
è la prima volta che sto per agire,
senza aspettare che arrivi Godot.
Ma l’abitudine di tutta una vita,
ha fatto si che ancora una volta,
per un momento io mi sia girato,
a veder se per caso Godot era arrivato.
La morte mi ha preso le mani e la vita,
l’oblio mi ha coperto di luce infinita,
e ho capito che non si può,
coprirsi le spalle aspettando Godot.
Non ho mai agito aspettando Godot,
per tutti i miei giorni aspettando Godot,
e ho incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla morte,
ho incominciato a vivere forte,
proprio andando incontro alla morte.
Cosa vi ispira questo celebre testo?
Per quel che mi riguarda, che contano solo le azioni e non affatto i soli pensieri.
Ciao a tutti.
Preciso che la mia presenza sul web è legata all’avere o non avere cose nuove da scrivere. Quando non ho nulla da dire ovviamente non mi troverete mai, perchè per me è solo questione di esserci quando si ha qualcosa da nuovo che ci smuove di dentro; se non si ha nulla da condividere, da esternare, oserei dire da vomitare, meglio stare in silenzio, e se questa regola venisse osservata in generale da tutti coloro che scrivono o fanno reportage, o altro, sentiremmo meno banalità in giro, saremmo meno nauseati dalle parole e dagli uomini e potremmo supporre un livello di sanità mentale generale più promettente.
Vi immaginate un telegiornale che riportasse solo notizie intelligenti dette in maniera intelligente? O una televisione che sapesse fare solo trasmissioni di un certo contenuto e di un certo spessore? Non sto dicendo che bisognerebbe fare solo comunicazione impegnata, ma una comunicazione informata, quello sì.
“Informare”: leggo sul vocabolario il suo senso principe che sarebbe “mettere al corrente, portare notizie…”
A costo di tornare ad una televisione ad orario, o che si impegni a ripetere la stessa cosa più volte per dare la possibilità a tutti di ascoltare, assistere, partecipare.
Con la rivoluzione digitale è poi accaduta la meravigliosa condizione (non mi stancherò mai di celebrarlo) che ognuno di noi, chiunque lo desiderasse, si può rendere il trasmettitore di contenuti, a proprio rischio e pericolo, prendendosi le responsabilità delle proprie parole.
Il vuoto televisivo (che del resto già esiste di fatto, perché parlare del nulla è come non dire niente…) non sarebbe (e non è) dunque di certo avvertito ma ben compensato e completato, se si vuole, da tutte queste trasmittenti libere che ormai felicemente impazzano sulla rete (quanto meno nel mondo occidentale e libero).
Non dimentichiamoci poi della radio che contrariamente alla televisione non deve sottostare a rigide ed assolute (quanto assurde) leggi di sopravvivenza; esistono variegate voci che ci dilettano, che si prendono cura e a cuore particolari e mirati argomenti e settori, e mi riferisco in particolare a tutte le piccole iniziative locali che spesso rimangono sconosciute al grande pubblico ma che invece meriterebbero tutta la nostra attenzione ed il nostro rispetto.
Giusto per fare il punto, è di questi giorni la trita e ritrita attenzione rivolta alla crisi economica mondiale che ormai attanaglia il pianeta da diversi anni; non intendo sprecare fiato sull’inettitudine e l’idiozia di quasi tutta la nostra classe dirigente che ha ampiamente dimostrato d’essere solo attenta ai propri interessi personali e politici, oltre che di casta; vorrei invece che nei telegiornali ci fossero esperti che ci facessero capire da dove nasce questa crisi profonda, quali sono i rimedi che ogni paese dal suo canto ha messo in opera, quali sono i vantaggi che sembrerebbero avere percepito, quali sono le incognite che rimangono a previsione zero, di cosa occorre avere sostanzialmente timore e come ogni singolo cittadino nel suo piccolo potrebbe farsi propositore e protagonista di azioni migliorative. E poi c’è il discorso spinoso ed urgente delle responsabilità.
Le responsabilità di quel che si è fatto e di quel che non si fatto; sotto tutte le visuali, sotto tutte le bandiere.
A cosa servono altrimenti i notiziari? Chiediamo gente seria, gente qualificata, gente che lavora sul campo, GENTE VERA CHE CI PARLI DEI PROBLEMI REALI e che conosce bene come gira il sistema. Vogliamo questa gente nelle televisioni, e che la si faccia finita con i programmi spazzatura. E non solo sulle tv pubbliche, ma anche su quelle private, perchè sarà pur vero che nel privato ognuno fa quel che vuole, ma non quando questo privato in qualche modo si fa pubblico.
Forse quando la misura del vuoto (in senso generale) sarà colma, forse quando veramente si andranno a mettere in crisi su ampia scala benefici sacrosanti e prioritari, qualcosa riuscirà effettivamente a smuoversi e a smuovere le acque?
Non voglio nemmeno assolvere senza critiche le reti pubbliche; possono fare di meglio, devono fare di meglio.
Non ci sono paesi europei o extraeuropei di stampo occidentale che io abbia sostanzialmente ad invidiare; siamo tutti discretamente ipocriti, contraddittori e corrotti, ma è pur vero che c’è gente che sa il fatto suo nei palazzi del potere, e se non stanno proprio dentro i palazzi, agiscono però sul territorio con competenza e tenacia. Che ci vengano a raccontare le loro esperienze e le loro situazioni…NOI VOGLIAMO SAPERE, NOI VOGLIAMO CAPIRE.
Potendo scegliere dove andare a vivere, fondamentalmente penso che tutti alla fine decideremmo di rimanere nel proprio stato d’appartenenza, salvo la comparsa in tali luoghi di improvvise condizioni particolari eccezionali e contrarie. Questo la dice lunga sulla condizione di crisi collettiva. Giusto solo i giovani possono credere che l’erba del vicino possa essere più verde, per la banale ragione che non hanno ancora mai dato e non si aspettano possibilità dove sanno non esserci nell’immediato.
In quanto all’eventualità di potere conoscere mondi diversi, sono i paesi non occidentali che decisamente trovo più interessanti ed intriganti, come tutta l’Africa (ma soprattutto quella centrale) e come tutta l’Asia.
Paesi che possono essere osservati sotto due ottiche: quella che li porterà progressivamente ad occidentalizzarsi sotto certi aspetti (nell’uso per esempio condiviso della tecnologia), e quella che li manterrà, io credo, fedeli alla propria natura.
Una natura selvaggia ed indomita, stravolgente e lussureggiante (quella dell’Africa), una natura bistrattata e misconosciuta, misteriosa ed indecifrabile (quella dell’Asia).
In Europa ed in America, come spetterà all’ Australia, la natura è stata messa ormai al servizio dell’uomo o quantomeno così ci piace credere.
Alla natura soverchiante abbiamo sostituito la nostra lunga e millenaria civiltà, che sono sostanzialmente sempre briciole di universo se paragonate alla lunghezza del tempo risalente fino ai suoi primordi.
Allo spettacolo ineguagliabile dei tramonti nelle savane o delle steppe abbiamo sostituito lo scenario dei nostri meravigliosi teatri, o delle nostre celebratissime riprese cinematografiche.
E certo come possiamo tacere sulla nostra stupenda e rinnovabile capacità di raccontare storie, di farci commuovere e divertire, facendoci sentire dei popoli in cammino verso obiettivi sempre più alti e condivisibili?
Quando andiamo al lavoro possiamo raccontare al nostro compagno di giornata dell’ultimo film che quel grande regista (perché per noi è grande) ha saputo mettere in scena, o raccontiamo dell’ultimo spettacolo musicale che abbiamo avuto l’occasione di ascoltare.
Quello di cui ci vergogniamo viene tenuto per noi stessi; non ci verrebbe mai certo di raccontare in un contesto ordinario “Ieri sera mi sono scolato sei birre e dopo ero praticamente ciucco perso” oppure “Sono andato a casa ed ho bastonato mia moglie perché non capisce mai un cazzo” oppure “Mi sono trombato l’amica di mia moglie mentre lei era in vacanza”, oppure “Domani devo andare a farmi pagare il pizzo da quei coglioni che stanno nel quartiere nord”, oppure “Ho sparato a quel figlio di mignotta che così impara che ognuno si deve fare i cazzi suoi” …
Queste ricreative esperienze di vita è il cinema che ce le confessa. Il cinema o la letteratura o il teatro. Andiamo agli spettacoli per rivivere in forma indiretta le nostre tensioni, i nostri dubbi, le nostre angosce; nell’agorà della piazza le maschere recitanti parlano per noi, parlano come in un sogno, in un delirio. Loro recitano e noi ci svegliamo dal sonno.
Perché poi il cinema (ed il teatro) ci racconta tutto, ci sa mettere a nudo, ci mette allo specchio, ci fa riflettere con tutti i nostri annessi e connessi, senza mezze misure, senza mezze parole. E’ capace di metterci sulla giusta via, addirittura. Persino ci racconta di uomini meravigliosi che sanno essere tali solo per avere saputo banalmente accettare se stessi, vedere ben chiaro dentro di sè. A volte ci sono esseri così corretti, così speciali, così sensibili, così diversi dalla massa, che piuttosto che ferire il prossimo sanno se necessario mettersi da parte, anche quando persino dovrebbero osare qualcosa di più, dovrebbero chiedere qualcosa di irrinunciabile anche per sè. E forse attendono anch’essi di poterlo fare.
Alla fine le parole di un amico o di un viandante occasionale diventano più illuminanti di qualunque strizzacervelli, o di qualunque specialista di qualunque apparato del nostro complesso organismo che abbia la pretesa di sostituirsi alla nostra insostituibile ed incedibile facoltà di decidere.
Decidere, signori, decidere, amici cari, ecco il problema.
Decidere ogni giorno perchè essere ( e non solo chi essere), cosa fare, cosa progettare.
Solo così rimane bella la vita!
Vi abbraccio, come sempre
Antonella dallomo
Siamo a Gerusalemme, culla delle tre grandi religioni monoteiste, ai tempi delle Crociate. L’ebreo saggio e illuminato Nathan, che ha perso moglie e figli in un pogrom antisemita, ha adottato Recha, orfana di nascita cristiana. Durante un incendio, la ragazza è tratta in salvo da un Templare che non è colui che crede di essere…
Nathan il Saggio, capolavoro drammatico di Lessing, diretto da Carmelo Rifici e interpretato tra gli altri da Massimo De Francovich, è un’opera di denuncia dell’intolleranza religiosa, costruita intorno all’idea di stampo illuminista dell’esistenza di una religione naturale.
“Come se le tre grandi religioni monoteiste fossero l’espressione di un patrimonio di verità che l’uomo ha progressivamente scoperto nel corso della sua evoluzione”, suggerisce Rifici, che nel testo legge un messaggio affascinante: la tolleranza religiosa e l’armonia fra gli uomini possono nascere dalla consapevolezza di vivere alla ricerca della conoscenza, intesa come verità, una verità che nessuno possiede, ma cui tutti aspirano e che, non per forza, dev’essere “unica”. Il testo originale di Lessing, scritto in versi e qui tradotto in una prosa agile e ritmata, è avvolto da un’aura fiabesca, che lo spettacolo conserva e valorizza, svelandone il fascino profondo. Molti sono i generi letterari che si fondono e si esprimono, dalla poesia lirica al romanzo di agnizione: si crea allora un interessante gioco di tematiche e di stili che, in scena, si traduce con levità e ironia. I codici espressivi si mescolano in modo sapiente e giocoso, nel segno della molteplicità. Ai dilanianti conflitti tra gli uomini si oppone il miracolo, sperato e sognato, di una convivenza pacifica.
Perché vederlo?
Perché è una bellissima fiaba che regala speranza e serenità, divertendo con intelligenza e trasmettendo un insegnamento profondo.
Qualcuno ha già detto di lei….
E solo per completare, lo sottoscrivo in tutto…da vedere assolutamente per ridere di cuore su un tema per nulla comico.
Lo stagismo è il primo passo per la conquista del mondo.
Non amo che le rose che non coglietti
There is always something to be thankful for in your life. Being alive is absolutely one of them!
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