Domani è il giorno di San Valentino, ma chi se ne frega, io amo un morto, ucciso dalla mafia e dall’avversione dello Stato. Il suo nome immortale è Giovanni Falcone.

Domani è il giorno di San Valentino, ma chi se ne frega, io amo un morto, ucciso dalla mafia e dall’avversione dello Stato. Il suo nome immortale è Giovanni Falcone.
Notizia che non può passare sotto silenzio.
E’ il primo vescovo e oltretutto teologo che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.
Di sentirsi cioè parte della Chiesa.
Immediata la risposta del Vaticano che lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.
Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.
E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.
E questo è un altro spinosissimo capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità? e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo che decisamente complica enormemente la questione.
Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”, ci mette un poco più in difficoltà.
Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.
Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora il giudizio non può che diventare irremovibile.
Di sicuro diventa più complesso.
Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua in parte felice omosessualità? Lo stravolgimento che gli cadrà addosso lo porterà verso quale via di risoluzione? E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.
Io credo che non c’è molto di scandaloso in un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…
Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…
Di fronte invece a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo, piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo per riflettere. E vorrei che ogni vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.
Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa. Aiuterebbero il sommo Vescovo a cercare e trovare risposte difficili alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione spirituale nel mondo temporale.
Non so se sono riuscita a farmi capire.
Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato in tutte le sue più importanti componenti ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.
Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.
La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.
Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza; è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere. Siamo sempre noi a dovere possedere loro. Possedere nel senso di governarle, ma anche nel senso di lasciarsene governare.
Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte), è il progetto che in quanto uomo come tutti noi lo obbliga a delle scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.
Ritorneremo sul tema con calma.
Da tanto tempo non si sentiva più parlare di scomuniche; da quando la Chiesa orribile e indegna perchè corrotta era quella cosa che ti faceva rigare dritto (nel senso ovviamente da lei inteso), che altrimenti erano guai…
Con i divorziati ci fu un atteggiamento rigido, del tipo “Togliamo loro il diritto della comunione”, che era sempre un fatto pesante per chi frequenta l’ambiente con abitudine; però questa della scomunica è un’altra cosa.
E’ il Capo della Chiesa cattolica che dice al mondo:”Tu sei sgradito, o ti penti o non considerarti dei nostri”.
E’ un messaggio forte, incisivo, chiaro ed inequivocabile.
E i mafiosi in carcere disertano la messa.
Giusto. Mi sembra giusto.
Che rimangano pure nelle loro celle impentiti e fieri di essere quello che sono.
Coerenza per coerenza.
Se poi qualcuno di loro si volesse pentire, che lo facesse sapere; la chiesa sarà felice di riabbracciarlo tra i peccatori consapevoli del loro stato.
Ma poi in processione in un bel paesino di terra di ndrangheta, il corteo che porta in giubilo la Madonna si ferma davanti alla casa del boss per onorarlo e dirgli ” Ave Cesare di questo nostro paese, che senza di te noi non saremmo…”
Gia, una volta i Cesari erano i Cesari, potenti, unici e indiscussi come la Storia li ha fatti; in questi paesi sottosviluppati i Cesari sono solo mafiosi, cioè malavitosi, cioè seminatori di morte, cioè feudatari moderni che non solo ti tolgono la terra ma anche il sangue e tutto il resto, se ti permetti di fare di testa tua e di crederti un cittadino di un Paese normale che si chiama Italia.
In parte questo è ancora il nostro sud.
E anche per questo la mafia resiste e trionfa.
Dico anche perchè ovviamente non è solo colpa di chi sta in basso, ma soprattutto di chi sta dentro i Palazzi e protegge questo stato di cose.
Forse il Papa dovrebbe chiaramente passare alla scomunica anche i colletti bianchi di questa politica malsana.
Tra voi non sarà così, ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27) anno zero
“Voi mi dite: “Ma tu sei il Papa” come per dire che sono diverso da voi. Non è vero. Io sono come voi, uno di voi” ( Papa Francesco giugno 2013)
Sulla liturgia dei potenti si è sempre consumata la storia della Chiesa e dello Stato; con la statalizzazione del cristianesimo (inizio dell’pera Costantiniana) è anche iniziata la corruzione e la conseguente parabola discensionale dello stesso.
Si sa, potere e verità non vanno mai troppo d’accordo; ma proprio grazie al potere la verità gestita dagli uomini ha avuto la pretesa di rendersi immortale.
Senza il potere, cioè senza l’abuso e il ricorso alla violenza, la Chiesa sarebbe durata duemila anni? Certo, mi si potrebbe obiettare che 2000 anni sono ancora nulla se paragonati al tempo di certi altri sistemi intergalattici, non sono che lo sputo di un rospo, ma se invece consideriamo che ogni grande civiltà è durata la media di qualche secolo, mi sembra di potere concludere che venti secoli sono un tempo di tutto rispetto.
Tuttavia io mi chiedo anche: “Ma il cristianesimo vale solo perché sembra che nulla riesca a delegittimarlo? Ma poi perché questo non è accaduto? Solo perché il potere sta alla Chiesa come il satanismo sta al male? E se invece dovessimo cominciare a volere, desiderare, progettare e sentire con determinazione una chiesa non potente? non persecutrice? non arrogante? non accentratrice? non ammantata di segreti inconfessabili? non dispensatrice di privilegi? non sorda e muta e ceca alla realtà degli uomini?
Fantascienza? Forse.
Però qualcosa sta cambiando: abbiamo per la prima volta nella storia un Papa gesuita, un Papa nemico della mondanità, un Papa semplice che rifugge il già conosciuto e il fuori discussione, un Papa fuori dalla curia malata e corrotta, un Papa che si privilegia di cose ordinarie e comuni come se fossero i soli tesori da perseguire aldilà dei lussi, delle cose esclusive e pretestuose.
Staremo a vedere come procede questo treno, quali saranno le prossime destinazioni e scelte che si avrà il coraggio di incoraggiare.
Per il momento sto leggendo con grande gusto Versetti pericolosi di Alberto Maggi edito da Campo dei fiori e poi ci risentiremo su quanto questo linguaggio avrà messo in movimento nel mio piccolo cuore…
Un paese che non si cura dei suoi cittadini
che ruba rubando al suo prossimo
che mente mentendo a se stesso
che tace quando dovrebbe urlare
che giudica quando dovrebbe cercare di capire
che assolve quando dovrebbe condannare senza mezzi termini
che non offre lavoro ai suoi giovani
che non offre garanzie nemmeno sulle cose più sacre
che detiene i suoi detenuti come nemmeno gli animali andrebbero gestiti
che lascia soli quando dovrebbe fare quadrato
che si mercifica quando dovrebbe prendere le distanze
che insozza il nemico perchè viene facile
che convive allegramente con la corruzione
che scarica di prassi le proprie colpe addosso agli altri
che parla parla parla senza mai fare i fatti,
io lo chiamo
un paese colpevole
Questo paese siamo noi.
Si è affacciato al balcone per mostrarsi ai suoi innamorati; ci ha colto tutti con stupore, nessuno aveva pensato a lui, a questo nome, Jorge Mario Bergoglio.
Timido, modesto, umile, spiazzante.
Molti uomini semplici pensano che basta comportarsi bene per avere in cambio cose buone; pensano che basta essere onesti per non avere nulla da temere dalla vita e dalla legge; pensano che come ci dicevano i nostri vecchi, “se male non fai, paura non avrai…”.
La ben triste storia di Ambrogio Mauri purtroppo smentisce questa santa solidità, questa solo prudenziale ovvietà. E se solo si trattasse della sola storia o di una vicenda isolata e sporadica, ci si potrebbe comunque rallegrare, ma purtroppo non è la sola, non si tratta di un caso isolato e sporadico.
I numerosi suicidi degli ultimi mesi, ma potremmo dire degli ultimi anni, causati da i dissesti economici e da corruzioni politiche ed amministrative che hanno messo e che mettono in ginocchio piccole e medie imprese produttrici e preziose per il territorio e per il paese, ci raccontano esattamente il contrario.
La vicenda Mauri è stata a tempo debito egregiamente celebrata dalla bravissima Milena Gabanelli che quando c’è da smuovere le coscienze non fallisce mai un colpo.
Restando nel campo delle ingiustizie commesse dallo Stato, mi viene puntualmente a memoria la più celebre strage che ha mandato a morire alcuni dei nostri migliori figli, Falcone e Borsellino; avrebbero dovuto essere protetti e difesi, ritenuti preziosi come la vita stessa della repubblica e della democrazia, e invece sono stati lasciati soli, orrendamente condannati alla morte perchè ritenuti scomodi.
Lo stesso è accaduto al buon cittadino sopra citato, potremmo chiamarlo il sig. enne, enne come nessuno, che voleva solo fare il proprio dovere, che voleva solo migliorare il tessuto economico ed ambientale, che voleva solo mettere al servizio della collettività il proprio spirito creativo e geniale, ostinatamente fiducioso, contro ogni logica di violenza e di prevaricazione, nella forza morale della legge sana e dello Stato giusto.
Ma la legge si è rivelata insana, costruita ad hoc per stritolare ed indurre al suicidio, e se non al suicidio, allo sfinimento e all’abbandono di ogni speranza; così il sistema corrotto ha prodotto la sua vittima di turno.
Lo Stato si è rivelato ingiusto, non volendo difendere i suoi uomini di valore, non sapendo proteggere gli onesti e i semplici, semplici di spirito e non certo di ragioni, perchè è la Ragione a stare dalla loro parte, perchè è la Verità a splendere sui loro corpi morti.
Non vorrei seminare sconforto là dove di certo di esso non ne abbiamo bisogno, ma è così; la solitudine appartiene a chi non si mescola con la massa becera e grondante di esibizionismi e pretese, una massa ordinaria, scontata, prevedibile e manovrabile, una massa che è quello che noi sconciatamente siamo o dimostriamo di condividere.
Certo che tra la capacità o l’ esasperazione di compiere gesti di protesta come quelli di altri nostri concittadini che si sono dati fuoco per manifestare contro un sistema fiscale e bancario incivile ed indegno di un paese evoluto, ed il lasciarsi banalmente corrompere dal ritornello “Così fan tutti e dunque solo il furbo vince”, ci può stare un’ immaginabile e salvifica via di mezzo.
Ci vorrebbero dieci cento mille Ambrogio Mauri, in tutte le città, in tutti i comuni, in tutti i paesi, in ogni rione, in ogni cortile, in ogni famiglia… Sarebbe più bello guardarsi in faccia la mattina, e l’aria sarebbe meno irrespirabile.
Prima di spararsi un colpo al cuore perchè stanco di lottare per nulla, il sig. enne scrisse queste parole alla sua famiglia e alla nostra società:
“Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore fortuna di me. Potrà sembrare un atto di egoismo. Non è così, sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza. Come tanti, ho cercato di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre. Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà, saranno anche onesti. C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile. P.S. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e sofferto molto”.
Ciao amici, oggi si parla di giustizia.
Ma quale giustizia? Quella dei tribunali?, quella processuale? O quella più generalmente intesa come senso positivo della vita? La mia attenzione riguarda quest’ultima.
Io non auguro al mondo felicità o ricchezza o potere o successo…tutte cose estremamente soggettive che lascio alle considerazioni personali, oppure estremamente oggettive che lascio alle considerazioni generali ; io auguro al mondo che possa avere la sua giustizia, semplicemente.
Già la premessa fa comprendere che di essa ce ne sia un grande bisogno, ovunque, sempre, da sempre.
Il fatto che questa emergenza o necessità prioritaria non si sia mai placata nella storia e nel tempo non è una buona ragione per ritenere archiviabile o secondario il tema di discussione.
La giustizia va amata di per se stessa perché è una meta, è un progetto collettivo ed universale che coinvolge tutto il tessuto della comunità.
Mentre il sentimento della felicità è qualcosa di assolutamente intimo e privato, quasi segreto o da segretare, mentre il successo è qualcosa di molto esteriore, di molto contingente, di molto visibile e concreto, per cui su di esso, sulla sua oggettività si è tutti generalmente d’accordo, la giustizia è un cammino, è un sentiero, è un percorso che solca tracciati impervi e spesso sconosciuti alla grande notorietà, senza per questo rimanere mai un fatto squisitamente privato, squisitamente del singolo.
Cercano giustizia tutti gli uomini che hanno ricevuto un oltraggio, un’offesa, un torto, una prevaricazione; cercano giustizia tutti gli esseri privi di parola, privi di capacità di difesa, privi di autonomia che per difendersi dalle offese devono ricorrere alla parola di chi sa e deve spendere voci per loro.
Cercano giustizia i carcerati nelle carceri, che si trovano a scontare una giusta pena in condizioni incivili ed ingiuste; cercano giustizia i perseguitati, gli scherniti, gli esclusi, i diversi, che per le più varie ragioni non si sono trovati garantiti i diritti più elementari e prioritari, sopratutti quelli che faticano a trovare riconosciuti i loro diritti anche dopo lunghe lotte e battaglie.
Cercano giustizia i normali, quelli che hanno sempre fatto il loro dovere e si sono sempre spesi per la giusta via di mezzo, ma che al posto di riconoscimenti si sono trovati solo negazioni, scorrettezze, squilibri; cercano giustizia.
Cercano giustizia gli incompresi e i calunniati, quelli che hanno agito bene ma sono stati accusati di avere agito male, quelli che hanno gito per l’interesse comune ma si sono trovati tacciati di avere agito per interessi personali; cercano giustizia gli infermi obbligati a condizioni di vita disumane e ben oltre il limite della sopportazione.
Cercano giustizia gli sfortunati che sono nati nella parte sbagliata del mondo, nel momento sbagliato, o nel modo sbagliato; cercano giustizia gli sfruttati, i raggirati, quelli che sono stati usati come oggetti e poi buttati via come pezzi di ricambio; cercano giustizia gli umili, gli ultimi, le persone normali ed ordinarie che a causa di leggi ingiuste o non perfette si sono trovati a pagare le colpe degli altri, della cattiva politica, della cattiva amministrazione.
Cercano giustizia quelli che non capiscono, quelli che devono fare appello a tutta la loro buona volontà per far tornare i conti che non tornano, quelli che non hanno mezzi adeguati per farsene una ragione e tuttavia se la inventano, se la sanno improvvisare.
Cercano giustizia quelli che stanno al palo, che per le più varie ragioni non sono dentro il circuito del mondo, e attendono, attendono, attendono che venga anche per loro il momento del salto, dello scatto, dell’involata.
Cercano giustizia quelli che danno cento e ricevono trenta, però continuano lo stesso a dare quello che sanno fare e costruire, perché le loro ragioni superano ogni forma di soddisfazione apparente.
E cercando dunque ovunque, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra, dalla mattina alla sera, si ha solo da sperare che non ci si stanchi mai di farlo.
Tra l’inizio di questa ricerca e la sua risoluzione il tempo che può intervenire nessuno può calcolarlo e prevederlo; vuoi perché i tempi stessi della sua realizzazione sono assai contorti, vuoi perché non è affatto garantita nessuna dirittura d’arrivo.
Nella ricerca di questa benedetta benedizione, corre la vita.
La vita di quegli stessi corridori che pensano solo a correre, a correre, a correre, correre sempre.
Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è intervallo, che non sia quello contingente ed inevitabile, giusto il tempo di riprendere fiato, di recuperare le forze, di riorganizzare il tempo.
Alla fine della corsa uno saprà la verità.
Qualcuno però non arriverà nemmeno a conoscerla, perché non arriverà alla fine della gara; anche loro cercano giustizia, perché non hanno potuto avere le loro occasioni.
Non crediamo a chi vuol scoraggiarci ; non crediamo a chi vuol depistarci dal nostro sogno; non crediamo a chi sembra già avere il paradiso nelle mani mentre ha solo palta e fango.
C’è da credere solo a se stessi e a quelle poche persone che abbiamo avuto la fortuna di conoscere perché ci hanno insegnato il vero senso della vita.
Tutto qui.
La giustizia insomma è solo una questione di volontà, che supera l’oggi, che supera lo ieri, che supera la paura del fallimento e della solitudine.
Dopo la famiglia aperta ha vinto la società spalancata.
Andiamo verso la società CONDIVISA, questo è il messaggio chiaro ed inequivocabile che arriva dal tribunale europeo.
Non a caso ho scelto il termine spalancata piuttosto che nuova; divenire un sistema di paesi dove la legge che deve regolamentare il matrimonio diviene unica e sottoscritta, significa aprire le frontiere che prima bloccavano la valdità di una legge all’ingresso di una nuova comunità, ma non significa divenire un sistema di paesi che comincia a pensarla effettivamente nella stessa maniera.
Questo è solo un segno di progresso pilotato, di invito al bisogno di dialogo.
Ognuno rimanga della propria convinzione religiosa od etica che sia, ma quando si tratta di regolamentare sotto il profilo legislativo e quindi comunitario le leggi che disciplinano una realtà imperitura e principe come quella della famiglia, allora occorre, per il bene stesso della distensione sociale, arrivare ad un punto di incontro.
Io ho interpretato in questo modo lo spirito di questo diktat.
Quali potrebbero essere altrimenti le conseguenze di eventuali irrigidimenti nei confronti di queste realtà diffuse?
Purtroppo le possiamo immaginare: discriminazioni, ghettizzazioni e persecuzioni nei confronti dei diversi di turno.
Oggi sono i gay sotto il mirino della censura e dell’odio, ieri lo sono stati gli ebrei, gli zingari, i malati di mente e i neri…
Rimane il fatto che l’Europa non è il mondo; fuori di questo pugno di terra c’è il pensiero musulmano che di certo ha ben altre attenzioni e direttive comunitarie, e questo significa semplicemente che siamo ben lontani dall’avere risolto un tabù, un pregiudizio, o qualcosa di simile, che credo mai verrà completamente divelto.
Siamo davanti ad un ostacolo veramente ostico.
Fino a che si diceva che i neri e i bianchi dovevano avere gli stessi diritti, si proclamava qualcosa di molto ovvio.
Fino a che si è detto che mai più bisognerà toccare il capo di un ebreo, si è detto qualcosa di molto sacrosanto…
Ma quando si viene fuori a dire “Io omosessuale ho diritto a sposarmi e a formare una famiglia con gli stessi diritti di un eterosessuale”, allora si viene asserendo qualcosa che va contro la natura stessa, che non è più tanto ovvia.
Mi spiego meglio: non è ovvio dire che l’uomo e la donna sono la stessa cosa, nel senso che è solo una questione di attitudine scegliere di essere una cosa piuttosto che un’altra, perchè si nasce già con una certa predisposizione, e la natura non è quello che si vede fuori ma è quello che esiste di dentro.
Come spiegare ad una persona normale, e sottolineo normale, che il sesso di una persona non è quello che ha o non ha , ma è quello che è o non è?
Siamo ancora abbastanza lontani dal poterlo comprendere.
Inutile fare il finto progressista, inutile fare lo snob che in pubblico finge d’essere equipaggiato a gestire certe realtà, ma poi nel privato può solo dire “In casa mia, non lo accetterò mai…”
Da che mondo è mondo noi diciamo “Il cielo è blu e la merda puzza…” perchè vediamo che il cielo è di quel colore e che di fatto i nostri escrementi non emanano un buon profumo.
Poi ci dicevano anche “La mamma fa i bambini ma il papà no”
E noi zitti perchè vedevamo che era proprio così, perchè sapevamo che così andava il mondo.
Ora qualcuno ci viene a dire che “Tu sei quello che provi e non quello per come sei fatto”.
STRAORDINARIO, RAGAZZI.
Ma allora questo è il Paradiso, dove finalmente viene riconosciuto il primato dell’invisibile sul visibile, del vero sul falso, dell’interno sull’esterno, e se questo è il Paradiso, perchè tutte le altre cose che andrebbero messe a posto ancora non funzionano?
Perchè questa antica discriminazione comincia a girare bene e tutte le altre rimangono sotto uno strato di letame che forse altri duemila anni potranno bastare a creare cambiamenti?
Cos’ha l’evidenza del sesso da smuovere le montagne che altre questioni assai urgenti e necessarie non hanno?
Forse è perchè nel sesso sta il nostro istinto alla vita?. O forse è perchè parlando di questo non si parlerà di altro? O forse è perchè “di con chi va a letto il mio vicino è una questione privata” e dunque non si deve invadere le volontà dei singoli?
E la vita non è mamma che fa bambini mentre papà deve fare altro, ma è un essere con un altro essere, di qualunque apparato sessuale siano, che si promettono amore eterno. Punto.
Tergiversiamo pure sull’amore eterno, che ad andare bene potrà essere solo più o meno duraturo, ma non si tergiversi su questo assoluto: l’amore non ha sesso, come non ha età, come non ha limiti.
Ce lo ha detto il Parlamento europeo, ed è bene che si cominci a riflettere seriamente la questione.
A me piacciono i confetti, da qualunque parte essi arrivino.
C’era una volta una chiesa assoluta, intollerante ed inquisitoria; oggi c’è una chiesa, e sto parlando sopratutto della chiesa cattolica, che cerca di replicare e di difendersi da orribile accuse emergendo come una comunità gerarchica senz’altro in difficoltà, sens’altro con qualche problema di troppo.
Ma cominciamo dall’inizio: Irlanda, Inghilterra, Stati Uniti, Olanda, Belgio (solo per citarne alcuni) e la stessa Italia sono diventati/e teatro di scandali e di delitti innominabili quali la profanazione dei bambini. Dagli anni cinquanta l’alta gerarchia fu informata di questo ma per timore di nuocere all’immagine intoccabile della Santa Sede e del suo massimo Vicario, tutto è sempre stato o messo a tacere o ridotto a semplice caso isolato e quindi non ritenibile degno d’attenzione.
In Thailandia sta accadendo uno scontro civile tra i sostenitori dell’ex premier politico Thaksin Shinawatra e l’attuale governo in carica rappresentato dal Partito Democratico. Chi è o chi era Thaksin Shinawatra? La sua figura oscilla tra un ricco e corrotto imprenditore che si è arricchito sembra anche grazie al suo potere politico ed un benefattore che ha dato con il suo modo di porsi e la sua capacità comunicativa speranza a una parte del popolo, quella meno istruita e preparata, di potere vedere la trasformazione dell’attuale sistema politico vigente in Thailandia e che effettivamente comincia ad essere visto come troppo restrittivo ed antiquato.
Centocinquant’anni fa nasceva l’Italia liberata dalle sue dominazioni interne ed intestine; un tempo relativamente breve se si pensa che le altre grandi nazioni sorelle dell’Europa avevano mosso i primi passi verso l’unità nazionale già nel 1200 all’interno dei grandi movimenti culturali del tempo.
Così che il nostro paese è un regno nel senso di “sovranità popolare” assai giovane, ancora privo delle sue essenziali riforme di cui tanto si ventila la necessità e ci si augura la programmazione. Riforme della giustizia, riforma del sistema elettorale, del sistema tributario, del sistema partitico, delle grandi infrastrutture e naturalmente riforma della scuola, che per quanto se ne sia detto dicendo il falso, naviga in acque assai poco sicure ed assai poco promettenti.
Con questo articolo vorrei riallacciarmi al post in cui si parlava della terribile capacità dell’uomo di perpetrare atti violenti, ossia a quell’articolo in cui si invitava a ripensare attraverso immagini storiche crude ed impietose a quanto si sia potuto e si possa spingere il senso dell’odio e della crudeltà umana. Un lettore attento mi fece osservare con grande correttezza che una di quelle immagini non era storica ma bensì cinematografica e relativamente recente. La ripresa cinematografica in questione riprendeva, vedi il caso e l’origine dell’equivoco, la stassa orrida pratica dell‘impalamento dei propri nemici, spesso donne o anziani (non riesco ad immaginare l’impalamento di bambini ma ritengo purtroppo che la realtà supera sempre la più fervida fantasia). Quando vidi quell’immagine in effetti non mi colpì tanto la donna indigena raffigurata nella sua misera condizione, quanto l’indifferenza o se si vuole il distacco o se si vuole la freddezza degli individui intorno a lei che la filmavano come per collezionare souvenirs da portare a casa da mostrare come trofei al mondo ritenuto cosidetto civile (per chi volesse avere in chiaro l’immagine può visionare il post intitolato appunto Ricordiamo. riguardiamo, ripensiamo… è la quarta foto in discesa…).
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