A seguito di una Conferenza a cui ho partecipato sul tema “Cosa è stato il 68?…”, vorrei cercare di trarre dei punti centrali di riflessione utili per altri, oltre che per me.
Chi non vive il presente non può crescere ed evolvere, nè insegnare nulla di nuovo.
Chi vive nel passato non può che riprodurre nel suo futuro gli stessi schemi e legami che lo hanno determinato e fatto essere ciò che è stato.
Si nega dunque ogni possibilità di cambiamento.
Chi vive nel futuro si nega il suo passato, negandosi lo stesso futuro, ossia non è possibile vivere in un tempo che deve ancora venire, non senza un qualche radicamento nell’istante attuale.
Ognuno di noi dovremmo in definitiva sapere stare nel proprio attimo fuggente.
La bellezza dell’attimo che sfugge è come una possibilità di miracolo, di nascita e rinascita continua.
Noi siamo quello che abbiamo in testa e quello che conserviamo nel cuore.
Se nutriamo i nostri pensieri di rancori o di odio, di insoddisfazioni e di ignoranza, possiamo solo produrre nuovi rancori e nuove imperfezioni.
Occorre fare attenzione ai deliri che minacciano il nostro equilibrio psicofisico; la pratica del delirio sembra diventare una realtà abbastanza comune, e questo ci deve molto preoccupare.
Perchè una persona in apparenza del tutto normale e sana di mente dovrebbe ad un certo punto cadere in una condizione delirante?
Qualcosa è già stato detto. Sembra che le persone non siano più disposte a soffrire. O a soffrire oltre una certa soglia che un tempo era ritenuta accettabile, ma che ora viene percepita come eccessiva.
Il delirio autoprovocato, mi viene di chiamarlo in questo modo; non sarebbe che la provvida via di fuga che uno si crea e si concede.
Tragico presente, questo, che diventa seminatore di morte e di dannazione perenne.
Cercando di conservare la sanità del proprio oggi, preserviamo la riuscita del proprio domani.
Per conservare tale sanità, occorre essere uomini capaci, nel senso di adulti e responsabili. Nessuna debolezza deve attanagliarci o vincerci, se non la debolezza della paura di fallire, la quale paura è legittima e giustificata, soprattutto quando in palio c’è la vita di noi stessi e dei nostri cari.
E per ora chiudo l’argomento. 🙂 Buona Domenica a tutti.
…Domani faranno le prostitute, sempre che non vengano uccise prime…
Ieri sono stati giovani soldati che sono andati a morire per la libertà del loro paese; oggi si traducono in giovani donne che sono state sottratte al loro diritto di essere libere.
La loro sola colpa: andare a scuola, avere una vita troppo uguale a quella di tutte le donne del mondo, dove una persona di sesso femminile può diventare un medico, un avvocato, un giudice, uno scienziato o semplicemente aprire un negozio, fare commercio, fare politica, scrivere,pensare con la propria testa, ecc. ecc. ecc.
Scusate, ancora prigioniera dei luoghi comuni, mi sono dimenticata di aggiungere che una donna deve essere libera anche di andare a fare la prostituta, senza con questo rischiare la flagellazione o altro genere di giudizio. Del resto, la libertà serve a questo, a dare la possibilità di scegliere. Soprattutto considerando che il genere di prostituzione maschile è stato da sempre esercitato senza mai subire nessun ostruzionismo. Mi riferisco al loro prostituirsi nel cervello, nelle pratiche d’affari, nelle pratiche di profitto illecito, e nelle pratiche di convenienza sociale.
Quello che non si accetta, al limite, della prostituzione femminile, è la sua imbarazzante onestà.
Un corrotto è tale, ma oltre a farlo nelle segrete stanze, lo nega fino alla morte. Una prostituta è tale, ma oltre a farlo nelle pubbliche vie, non ci pensa a negarlo, lo manifesta. Ancor più lo manifesterebbe se fosse una sua libera scelta.
Insomma, la prostituzione potrebbe essere inquadrata come un lavoro pulito, che persino si adatterebbe a pagare le tasse (come accade in altri paesi). Verso la corruzione della politica e del commercio maschile non ci si sognerebbe di metterla pubblicamente in regola, per quanto si rimane colpevoli di lasciarla oscuratamente libera di organizzarsi.
Il fatto recente sopra riferito (eran trecento, eran giovani e forti, ma…), accade in Nigeria, ad opera dell’organizzazione di Boko Haram, dove la bestia nera dell’integralismo islamico fa razzia di carne umana considerata semplice merce da macello.
Solo una cosa vorrei precisare sull’integralismo: l’integralismo di Boko Haram odia la donna occidentale perchè è libera da certe costrizioni, tra cui quella di potere scegliere di prostituirsi, ma poi lui stesso conduce ragazze normali e sane verso un destino di morte, violenza e bruttura, nel nome della “guerra santa”, ossia nel nome di un mero sistema politico che non vuole mutare e scendere a patti con la uguaglianza di sesso.
Contraddizione nella contraddizione. Utilizza un argomento sacro per questioni di squallida violenza e usurpazione; il fatto che prima di loro l’abbia fatto anche l’integralismo cattolico , non giustifica nulla della loro inaudita violenza.
Si sbagliava ieri, si continua a sbagliare oggi.
Questo accade oggi in Africa, nel cuore del continente nero che nell’ immaginario di noi occidentali è un paese arretrato e violento, dove effettivamente tutto può accadere, soprattutto in presenza di gruppi estremisti fuori controllo o protetti da un governo dittatore.
Ma non è così. La Nigeria è il paese più ricco dell’Africa, non è arretrato. E l’integralismo rimane dentro nel nostro istinto al comando, al potere, al dominio. Imperversa ovunque, anche nella nostra civilissima Europa, che ha ridotto con la sua incompetenza ed arroganza secoli di storia e di democrazia in cammino, a una voragine di vuoto e di precarietà, non solo lavorativa, ma anche mentale e spirituale.
Il 25 maggio si andrà a votare. Vedremo chi e come si recherà nei seggi elettorali.
In un mondo globale quel che accade all’equatore o nelle fasce tropicali deve riguardare anche quel che accade in altre latitudini e longitudini della terra. Il problema è saper prendere e capire dal confronto le cose migliori e che servono, e non le cose peggiori e che non servono.
Il problema ancora più complesso è che non è possibile acquisire cose positive senza con esse portarsi dentro cose negative od ostili; è come l’acqua del mare dove tutto si mescola e si commista, si confonde, si contamina…
Di certo non ci si può occupare dei problemi lontani se non sappiamo occuparci nemmeno dei paesi vicini, nel senso che spesso si parla degli altri per non parlare delle nostre magagne, e spesso si rifiuta il problema altrui sempre perchè non sappiamo nemmeno affrontare il problema che ci compete.
Quando qualcuno dice “pensiamo prima ai nostri” senza avere fatto nulla di serio per evitare in patria leggi sciagura, oppure dice “non possiamo farci nulla, ognuno risolva le sue questioni”, chiudendosi in un opportunismo che non lascia spazio alla speranza, oppure ancora dice “apriamo le porte al vicino che muore” senza avere programmato e preteso un sistema collettivo capace di far fronte a una vera e incontrollata odissea di gente, fa sempre i conti a metà; o con la metà di cui dispone che però è insufficiente e dovrebbe sapersi allargare, o con la metà di cui vorrebbe disporre ma non ha e non si preoccupa di garantire..
Tornando alle trecento giovani ragazze che sono state strappate al mondo della normalità per essere gettate nello squallore di una vita senza nome, cosa può fare l’occidente malato, ferito e corrotto per loro? cosa possono fare i loro connazionali per loro stesse? cosa possono fare le voci dei potenti con i loro organismi complessi e sofisticati per questo ennesimo atto di barbarie inaudita?
Non abbiamo idea di quante cose si potrebbero fare!
Carissimi, oggi volevo parlare con voi di come il tempo che corre ci abbia introdotto in una società che sembra avere superato i canonici limiti della temporalità ed i canonici limiti della spazialità.
Molto spesso quando vado in Facebook, ma non solo, mi imbatto in articoli di vario genere postati da persone molto molto valide che sanno d’avere il mondo in mano, se non proprio il mondo, il proprio tempo ed il proprio spazio senza esclusione di dubbio.
Li guardo, li osservo e di loro mi viene da dire: “Ecco dei giovani che stanno nel posto giusto al momento giusto, che cavalcano la tigre nel fiore dei loro anni, pieni di entusiasmo, di sicurezza di sé, di virtù, di potenzialità, di fermento…” e concludo che è giusto, che è bello, che per molti le stagioni arrivano quando è doveroso debbano arrivare, probabilmente per la maggioranza di noi, per chi ha la fortuna di avere delle storie familiari normali, delle crescite emotive e formative e professionali nei tempi regolari.
Poi mi ricapita di rileggerli, di riosservarli, non posso dire di parteciparli, per quanto io posso condividere quello che dicono, ma un conto è condividere, un conto è farne parte…
Tra loro e me stanno almeno quindici anni di distacco, che non sono molti ma nemmeno pochi, sono quasi una generazione; loro sono giovani sul serio, a pieno titolo, io sono un po’ stagionatella, sì, potrei egregiamente vestirmi come loro si vestono, confondermi tra loro, persino pensare quello che loro pensano, ma dovrei camuffarmi nelle loro sicurezze verbali e comportamentali, e appunto, sarebbe solo un camuffamento, alla fine. Quello che io sento non è quello che loro sentono. Loro sentono senza avere nessuna radice, non hanno nessun maestro, sono come fuochi artificiali mirabolanti pronti a catturare gli sguardi di folle inebetite che hanno bisogno di venire distratte; io sento invece con tutte le mie radici, con tutti i miei maestri, quelli veri e quelli desiderati e mai avuti, sono non un fuoco artificiale ma una piccola luce, calda, calorosa, vivace, ma pur sempre piccola, quasi invisibile.
Insomma, io devo sempre e ancora misurarmi con qualcuno, con qualcosa, spesso con montagne che sanno d’essere montagne; loro no, sfrecciano come saette pungenti e sicure, argute, impertinenti e irriverenti come solo i giovani sanno essere.
Io ho accettato il tempo e le sue regole perché l’ho vissuto, mio malgrado e per mio piacere; chi non accetta il tempo che passa è un poveraccio che non può avere né passato e né futuro, mentre io adoro il mio passato, che sia stato quello che è stato perché comunque ho cercato di spenderlo bene, e non potrei farne a meno, ovunque io vado, qualunque cosa io faccio, il passato mi segue, ne fa parte; nello stesso tempo, adoro il mio futuro, perché è nel futuro che io devo e penso ancora dare la parte migliore di me, è quello che non ho ancora fatto che cattura incondizionatamente il mio interesse; infine mi muovo nell’unico tempo e nell’unico spazio che è concesso all’esperienza, ossia nell’oggi e nel qua, in questo luogo.
La rivoluzione tecnologica ha contribuito ad allargare a dismisura i confini spaziali e le contingenze temporali. Nell’era del web ognuno di noi può comunicare in tempo reale con un presumibile punto qualunque della terra (per ora ci dobbiamo limitare al nostro emisfero planetario) e sempre con l’aiuto della tecnologia può raggiungere fisicamente in tempi straordinariamente brevi , spazi ritenuti solo cinquant’anni fa inimmaginabili.
Come non comprendere la forma mentis delle nuove generazioni definite i nativi digitali, e dei giovani rampanti di cui sopra si parlava? E’ comprensibile che loro si guardino d’intorno ed abbiano a trovare tutto così obsoleto, tutto così ridicolmente vecchio e superato…E’ vecchia la nostra società ancora ingessata in schematismi assurdi ed imbecilli, è vecchio il sistema che continua a triturare con un movimento ebete le solite ritrite questioni, è vecchia la nostra scuola che ancora ripropone i soliti insulsi programmi ministeriali mentre che gli alunni in classe hanno la testa altrove, e purtroppo spesso non solo la testa. È vecchia la politica che non trova il coraggio di denunciare se stessa, di fare il salto di qualità, assente di una nuova generazione che abbia seriamente la volontà di fare rinnovamento, di fare progresso, di fare investimenti sul sociale.
Un grido solenne s’erge dalla platea: “Vogliamo rinnovare quel che non funziona più, vogliamo diventare protagonisti del nostro tempo e del nostro spazio che invece ci viene non tolto, non negato, ma bloccato, circoscritto, ingessato…”
Sono sicura che ci riusciranno, che ci riusciremo a portare a casa qualcosa, e questa è la prima cosa assolutamente positiva di questo complesso discorso.
Allora cerco di immaginarmi il dopo, come potrà essere questa società, per esempio tra trent’anni? Non riesco ad immaginarmi un tempo più lungo, visto che nei soli ultimi venti i punti di riferimento collettivi si sono talmente stravolti da non avere nessun precedente e nessun punto di paragone che possa aiutarci in questa delicata e un po’ abusiva analisi…
La prima cosa che mi viene in mente, è che la tecnologia avrà naturalmente portato sé stessa all’ennesimo grado, sì, ma con quali conseguenze, e con quali vantaggi, perché è chiaro che qui si sta sottolineando la conquista di saperi e di espressioni e non la critica sterile al progresso che non avrebbe dovuto esserci perché molto banalmente si stava meglio quando si stava peggio…
Io parto sempre dal presupposto che è il bisogno che fa maturare le scelte, i cambiamenti.
Di cosa avrebbe dunque bisogno il nostro tempo per evolversi e migliorarsi?
Non tanto di maggiori supporti tecnici, di quelli abbiamo compreso che l’uomo ne fa incetta, che non c’è bisogno di stimolarlo per condurlo sulla via di questo avanzamento; il nostro innato senso laborioso che mentre che produce non è obbligato a pensare e trova piena soddisfazione nella produzione di sé, avrà sempre uno cento mille uditori pronti a plaudirlo; così che possiamo già concludere fin d’ora che senza dubbio la lunghezza della vita media si sarà allungata, e che avremo sconfitto altre forme varie di malattie, e che avremo scoperto un modo di far partorire l’umanità il più possibile senza dolore, a dispetto di quel monito antico divino che recitava inquietante “Partorirai tra grida e lamenti…”.
E poi ancora, ci sarà più di tutto per una buona fetta di tutti noi, i mondi oggi ancora nel solco dell’arretratezza saranno senz’altro anch’essi un po’ meno arretrati; credo che si sarà anche in qualche modo maturato il senso di appartenere tutti ad un solo genere, per cui il sogno di Einstein che voleva un mondo libero da ogni pregiudizio e da ogni prevaricazione di sorta non dico che sarà oggettivo ma quantomeno svincolato da certi tabù ancora vagamente assillanti.
Non perseguiteremo senza venire perseguiti i gay o i diversi di qualunque grado, perché ci saranno leggi esplicite e severe ad impedirlo; saranno sempre più condivise le pari opportunità e le uguaglianze di diritto; le costituzioni nazionali dei paesi democratici (sempre maggiori) non saranno più solo fondate sul lavoro ma anche sul diritto alla felicità, diritto fino ad oggi sempre tenuto ascritto al privato e mai al pubblico.
Ci saranno piani di difesa internazionali sempre più consolidati nella garanzia alla tutela della pace, l’uso della tortura sarà bandito persino dalla Cina che credo in vent’anni troverà il modo di fare i propri conti anche con il proprio passato. Il terrorismo islamico sarà ancora una minaccia ma sempre più combattuto con tutti i mezzi informativi , strategici, diplomatici e militari.
Saranno stati fatti notevoli passi avanti contro la lotta all’aids, e contro la pratica indegna dell’infibulazione, e contro la pratica disumana della dilapidazione , e contro la vergogna dello stupro e dell’abuso all’infanzia…
Vivremo allora in democrazie finalmente diventate mature ed equilibrate?
No, questo no; per questo non bastano trent’anni, ma nemmeno duecento, ma nemmeno mille…e teniamo conto che queste evoluzioni saranno raggiunte inevitabilmente al prezzo di scontri e di lotte e di conflitti anche gravi…
Gli assassini continueranno ad esserci, come i ladri, come i parassiti, come i corrotti, come i mafiosi, stirpe di uomini incalliti che non avendo regole non hanno neppure alcun freno alle loro azioni, quindi non hanno nemmeno morbi interni che minaccino la loro sopravvivenza.
I miglioramenti maggiori verranno dalle fasce più deboli, quelle che hanno tanto da guadagnare e poco da perdere; dopotutto sono sacrosante leggi di natura, è il più affamato che corre al tavolo per primo (quando ce l’ha un tavolo a cui sedersi), a dispetto di chi si tronfia della sua opulenza o del suo non bisogno che lo fa tenere nelle ultime postazioni della fila, dimentico che l’immobilismo dovuto alla pigrizia non ha mai premiato nessuno.
La questione israeliana a dispetto di tutto questo pur cauto ottimismo non sarà invece ancora stata risolta. Si può immaginare un maggiore stato di tregua, di capacità di convivenza, nessuno più parlerà impunemente di non diritto di Israele ad esistere, però saranno ancora sempre aperti certi problemi di carattere politico-territoriale.
Credo che questo sia il conflitto di tutti i conflitti, il dolore di tutti i dolori, la guerra di tutte le guerre, e come già ho avuto modo di asserire altrove, quando in Israele ci sarà pace, il mondo sarà finalmente salvato.
Chi pensa ancora oggi che Israele sta là, lontano da noi, e che i problemi degli altri non centrano nulla con i propri, e che si può stare sul proprio pezzo di terra come se fossimo cellule isolabili ed isolate, e che è peggio per chi non vuol fare come dovrebbe se continua a poter decidere quello che vuole a casa propria, o che al contrario si possa andare a casa altrui a dettare legge quando non rispettiamo nemmeno le leggi a casa nostra….tutti questi individui pensano male.
Siamo veramente ormai un mondo unico, e vorrei sapere parlare tutte le lingue per potere capire i pensieri di chi pensa senza bisogno di averli tradotti, e vorrei con la scoperta di una lingua che sta nascosta sapere farmi intendere e vedere gli altri che si comprendono, che si rincorrono, che si dicono perché questo occorre dirsi : “io ho bisogno di te, tu per me sei importante…”
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.