Kiske Maas e Nik Spatari

Cosa è stato il 68?

A seguito di una Conferenza a cui ho  partecipato sul tema “Cosa è stato il 68?…”, vorrei cercare di trarre dei punti centrali di riflessione utili  per altri, oltre che per me.

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passato presente futuro

Chi non vive il presente non può crescere ed evolvere, nè insegnare nulla di nuovo.

Chi vive nel passato non può che riprodurre nel suo futuro gli stessi schemi e legami che lo hanno determinato e fatto essere ciò che è stato.

Si nega dunque ogni possibilità di cambiamento.

Chi vive nel futuro si nega il suo passato, negandosi lo stesso futuro, ossia non è possibile vivere in un tempo che deve ancora venire, non senza un qualche radicamento nell’istante attuale.

Ognuno di noi dovremmo in definitiva sapere stare nel proprio attimo fuggente.

La bellezza dell’attimo che sfugge  è come una possibilità di miracolo, di nascita e rinascita continua.

Noi siamo quello che abbiamo in testa e quello che conserviamo nel cuore.

Se nutriamo i nostri pensieri di rancori o di odio, di insoddisfazioni e di ignoranza, possiamo solo produrre nuovi rancori e nuove imperfezioni.

Occorre fare attenzione ai deliri che minacciano il nostro equilibrio psicofisico; la pratica del delirio sembra diventare una realtà abbastanza comune,  e questo ci deve molto preoccupare.

Perchè una persona in apparenza del tutto normale e sana di mente dovrebbe ad un certo punto cadere in una condizione delirante?

Qualcosa è già stato detto. Sembra che le persone non siano più disposte a soffrire. O a soffrire oltre una certa soglia che un tempo era ritenuta accettabile, ma che ora viene percepita come eccessiva.

Il delirio autoprovocato, mi viene di chiamarlo in questo modo; non sarebbe  che la provvida via di fuga che uno si crea e si concede.

Tragico presente, questo, che diventa seminatore di morte e di dannazione perenne.

Cercando  di conservare la sanità del proprio oggi, preserviamo la  riuscita del proprio domani.

Per conservare tale sanità,  occorre essere uomini capaci, nel senso di adulti e responsabili. Nessuna debolezza deve attanagliarci o vincerci,  se non la debolezza della paura di fallire, la quale paura è legittima e giustificata, soprattutto quando in palio c’è la vita di noi stessi e dei nostri cari.

E per ora chiudo l’argomento.  🙂  Buona Domenica a tutti.

 

 

 

 

eran trecento, eran giovani e forti, ma…

…Domani faranno le prostitute, sempre che non vengano uccise prime…

Ieri sono stati giovani soldati che sono andati a morire per la libertà del loro paese; oggi si traducono in giovani donne  che sono state sottratte al loro diritto di essere libere.

La loro sola colpa: andare a scuola, avere una vita troppo uguale a quella di tutte le donne del mondo, dove una persona di sesso femminile può diventare un medico, un avvocato, un giudice, uno  scienziato o semplicemente aprire un negozio, fare commercio, fare politica, scrivere,pensare con la propria testa,  ecc. ecc. ecc.

Scusate, ancora prigioniera dei luoghi comuni, mi sono dimenticata di aggiungere che una donna deve essere libera anche di andare a fare la prostituta, senza con questo rischiare la flagellazione o altro genere di giudizio. Del resto, la libertà serve a questo, a dare la possibilità di scegliere. Soprattutto considerando che  il genere di prostituzione maschile è stato  da  sempre esercitato senza mai subire nessun ostruzionismo. Mi riferisco  al loro prostituirsi nel cervello, nelle pratiche d’affari, nelle pratiche di profitto illecito, e nelle pratiche di convenienza sociale.

Quello che non si accetta, al limite, della prostituzione femminile, è la sua imbarazzante  onestà.

Un corrotto è tale,  ma oltre a farlo nelle segrete stanze, lo nega fino alla morte. Una prostituta è tale, ma oltre a farlo nelle pubbliche vie, non ci pensa a negarlo, lo manifesta. Ancor più lo manifesterebbe se fosse una sua libera scelta.

Insomma, la prostituzione potrebbe  essere inquadrata come un lavoro pulito, che persino si adatterebbe a pagare le tasse (come accade in altri paesi).  Verso la  corruzione della politica e del commercio maschile non ci si sognerebbe  di metterla pubblicamente  in regola, per quanto si rimane colpevoli di lasciarla  oscuratamente  libera di organizzarsi.

Il fatto recente sopra riferito (eran trecento, eran giovani e forti, ma…),  accade in Nigeria, ad opera dell’organizzazione di Boko Haram, dove la bestia nera dell’integralismo  islamico  fa razzia di carne umana considerata semplice merce da macello.

Solo una cosa vorrei precisare sull’integralismo: l’integralismo di Boko Haram odia la donna occidentale perchè è libera da certe costrizioni, tra cui quella di potere scegliere di prostituirsi,  ma poi lui stesso conduce ragazze normali e sane verso un destino di morte, violenza e bruttura, nel nome della “guerra santa”, ossia nel nome  di un mero sistema politico che non vuole mutare e scendere a patti con la uguaglianza di sesso.

Contraddizione nella contraddizione.  Utilizza un argomento sacro per questioni di squallida violenza e usurpazione; il fatto che prima di loro l’abbia fatto anche  l’integralismo cattolico , non giustifica  nulla della loro inaudita violenza.

Si sbagliava ieri, si continua a sbagliare oggi.

Questo accade oggi in Africa, nel cuore del continente nero  che nell’ immaginario  di noi occidentali è un paese arretrato e violento, dove effettivamente tutto può accadere, soprattutto in presenza di gruppi estremisti  fuori controllo o protetti da un governo dittatore.

Ma non è così. La Nigeria è il paese più ricco dell’Africa, non è arretrato. E  l’integralismo  rimane dentro nel nostro istinto al comando, al potere, al dominio. Imperversa  ovunque, anche nella nostra civilissima Europa,  che ha ridotto  con la sua incompetenza ed arroganza  secoli di storia e di democrazia in cammino,  a una voragine di vuoto e di precarietà, non solo lavorativa, ma anche mentale e spirituale.

Il 25 maggio si andrà a votare.  Vedremo chi e come si recherà  nei seggi elettorali.

In un mondo globale quel che accade all’equatore o nelle fasce tropicali deve  riguardare anche quel che accade in altre latitudini e longitudini della terra. Il problema è saper prendere e capire dal confronto   le cose migliori e che servono, e non le cose peggiori e che non servono.

Il problema ancora più complesso è che non è possibile acquisire cose positive senza con esse portarsi dentro cose negative od ostili;  è come l’acqua del mare dove tutto si mescola e si commista, si confonde, si contamina…

Di certo  non ci si può occupare dei problemi lontani se non sappiamo occuparci nemmeno dei paesi vicini, nel senso che spesso si parla degli altri per non parlare delle nostre magagne, e spesso si rifiuta il problema altrui  sempre perchè  non sappiamo nemmeno affrontare il problema che ci compete.

Quando qualcuno dice “pensiamo prima ai nostri” senza avere fatto nulla di serio per evitare in patria leggi sciagura, oppure dice “non possiamo farci nulla, ognuno risolva le sue questioni”, chiudendosi in un opportunismo che non lascia spazio alla speranza, oppure ancora dice “apriamo le porte al vicino che muore”  senza avere programmato e preteso un sistema collettivo  capace di far fronte a una vera e incontrollata  odissea di gente, fa sempre i conti a metà;   o con la metà di cui dispone che però è insufficiente e dovrebbe sapersi allargare, o con la metà  di cui vorrebbe disporre ma non ha e non si preoccupa  di  garantire..

Tornando alle trecento giovani  ragazze che sono state strappate al mondo della normalità per essere gettate nello squallore di una vita senza nome, cosa può fare l’occidente malato, ferito e corrotto  per loro? cosa possono fare i loro connazionali per loro stesse? cosa possono fare le voci dei potenti con i loro organismi complessi e sofisticati  per questo ennesimo atto di barbarie inaudita?

Non abbiamo  idea di quante cose si potrebbero fare!

Lo sconcerto è che non si fanno.

 

 

 

 

 

 

Tu per me sei importante

Carissimi, oggi volevo parlare con voi  di come il tempo che corre  ci abbia introdotto in una società che sembra avere  superato   i canonici  limiti della temporalità  ed i canonici limiti della spazialità.

Molto spesso quando vado in Facebook, ma non solo,  mi imbatto in articoli    di vario genere  postati  da persone molto molto  valide che sanno d’avere il mondo in mano,  se non proprio il mondo,  il  proprio tempo ed il  proprio  spazio senza   esclusione  di dubbio.

Li guardo, li osservo e di loro mi viene da dire: “Ecco dei giovani  che stanno nel posto giusto al momento giusto,  che cavalcano la tigre nel fiore dei loro anni,  pieni  di  entusiasmo, di sicurezza di sé, di virtù, di potenzialità,  di fermento…”  e concludo che è giusto, che è bello, che per molti  le stagioni arrivano  quando è doveroso  debbano arrivare, probabilmente per la maggioranza  di noi, per chi ha la fortuna di avere  delle storie  familiari  normali,  delle crescite  emotive  e  formative e professionali  nei tempi regolari.

Poi  mi  ricapita  di  rileggerli,  di riosservarli,  non posso dire di parteciparli,  per quanto io posso condividere quello che dicono, ma un conto è condividere,  un conto è farne parte…

Tra loro e me stanno almeno  quindici anni   di distacco, che non sono molti ma nemmeno pochi, sono quasi una generazione;  loro sono giovani sul serio, a pieno titolo,  io sono   un po’  stagionatella,  sì, potrei egregiamente vestirmi  come loro si vestono, confondermi tra loro, persino pensare quello che loro pensano,  ma dovrei  camuffarmi  nelle loro  sicurezze verbali e comportamentali,  e  appunto,  sarebbe solo un camuffamento, alla fine. Quello che io sento non è quello che loro sentono. Loro sentono senza avere nessuna radice,  non hanno nessun maestro, sono come fuochi artificiali  mirabolanti pronti a catturare gli sguardi  di folle inebetite  che hanno bisogno di venire distratte;  io sento  invece con tutte le mie radici,  con tutti i miei  maestri, quelli  veri e quelli desiderati e mai avuti,  sono  non un fuoco artificiale  ma  una piccola luce,  calda, calorosa, vivace,  ma pur sempre piccola, quasi invisibile.

Insomma,  io devo sempre e ancora misurarmi  con qualcuno, con qualcosa, spesso con montagne che sanno d’essere montagne; loro no, sfrecciano come saette pungenti e sicure,  argute, impertinenti  e irriverenti  come solo i giovani  sanno essere.

Io  ho accettato  il tempo  e le sue regole perché l’ho vissuto, mio malgrado e per mio piacere;  chi non accetta il tempo che passa  è un poveraccio che non può avere né passato e né futuro,  mentre io adoro il mio passato,  che sia stato quello che è stato perché comunque  ho cercato  di spenderlo bene, e  non potrei farne a meno,  ovunque io vado, qualunque cosa io faccio, il passato mi segue, ne fa parte;  nello stesso tempo, adoro il mio futuro, perché è nel futuro che io devo e penso  ancora dare la parte migliore di me, è quello che non ho ancora fatto che  cattura incondizionatamente il mio interesse;  infine  mi muovo nell’unico tempo e nell’unico spazio che è concesso  all’esperienza,  ossia  nell’oggi e nel qua,    in questo luogo.

La  rivoluzione tecnologica  ha contribuito  ad allargare  a dismisura   i confini spaziali e le contingenze  temporali. Nell’era del  web  ognuno di noi può comunicare in tempo reale con un presumibile punto qualunque  della terra (per ora ci dobbiamo limitare al nostro emisfero planetario)   e sempre con l’aiuto della  tecnologia  può raggiungere fisicamente    in tempi straordinariamente  brevi ,  spazi  ritenuti solo  cinquant’anni fa  inimmaginabili.

Come non comprendere  la   forma mentis  delle nuove generazioni   definite i nativi   digitali, e dei giovani rampanti  di cui sopra si parlava?  E’  comprensibile  che loro  si guardino d’intorno  ed abbiano a trovare tutto così obsoleto, tutto così ridicolmente  vecchio e superato…E’  vecchia la nostra società  ancora ingessata in schematismi  assurdi  ed imbecilli,  è vecchio il sistema  che continua a triturare con  un movimento ebete  le solite ritrite questioni, è vecchia la nostra scuola  che ancora ripropone i soliti insulsi  programmi ministeriali mentre che gli alunni in classe  hanno la testa altrove, e purtroppo spesso non solo la testa. È vecchia la politica che non trova il coraggio  di denunciare se stessa, di fare il salto di qualità,  assente  di una nuova generazione  che abbia  seriamente la volontà di fare  rinnovamento, di fare progresso, di fare  investimenti sul sociale.

Un  grido  solenne s’erge dalla platea:  “Vogliamo rinnovare quel che non funziona più,  vogliamo  diventare protagonisti  del nostro tempo e del nostro spazio  che invece  ci viene  non tolto, non negato,  ma bloccato,  circoscritto,  ingessato…”

Sono sicura che ci riusciranno, che ci riusciremo a portare a casa qualcosa,  e questa è la prima cosa assolutamente positiva  di questo complesso  discorso.

Allora  cerco  di immaginarmi il dopo,  come potrà  essere  questa società, per esempio tra trent’anni?  Non riesco ad immaginarmi  un tempo più lungo, visto che nei  soli   ultimi venti    i punti di riferimento  collettivi  si sono talmente  stravolti   da  non avere  nessun precedente e nessun punto di paragone che possa aiutarci  in questa delicata e un po’ abusiva  analisi…

La  prima cosa che mi viene in mente,  è che la tecnologia  avrà naturalmente portato  sé stessa all’ennesimo grado,  sì,  ma con quali conseguenze, e con quali vantaggi,  perché è chiaro  che qui si sta sottolineando  la conquista di  saperi  e di espressioni e non  la critica sterile  al progresso che non avrebbe dovuto esserci perché molto banalmente si  stava meglio quando si stava peggio…

Io parto sempre dal presupposto che è il bisogno che  fa  maturare  le scelte,  i cambiamenti.

Di cosa avrebbe   dunque bisogno il nostro tempo per evolversi  e migliorarsi?

Non tanto  di maggiori supporti  tecnici,  di quelli abbiamo compreso  che  l’uomo  ne fa incetta,  che non c’è bisogno di stimolarlo  per  condurlo sulla via  di questo avanzamento;   il nostro innato senso  laborioso  che mentre  che produce  non è obbligato a pensare e trova piena soddisfazione  nella produzione di sé,  avrà sempre  uno cento mille  uditori  pronti  a plaudirlo;   così  che possiamo  già concludere  fin d’ora che  senza dubbio la lunghezza della vita media si sarà allungata,    e che avremo sconfitto altre forme varie  di malattie,  e che avremo  scoperto un modo di far partorire l’umanità  il più possibile senza dolore, a dispetto di  quel monito antico divino  che recitava  inquietante “Partorirai tra grida  e lamenti…”.

E poi ancora,   ci sarà più di  tutto per una buona fetta  di tutti noi,  i mondi oggi ancora nel solco  dell’arretratezza   saranno senz’altro anch’essi un po’ meno  arretrati;  credo  che si sarà  anche in qualche modo  maturato  il senso  di  appartenere  tutti  ad un solo genere, per cui il sogno di Einstein che voleva un mondo   libero da ogni pregiudizio e da  ogni   prevaricazione di sorta non dico che sarà oggettivo  ma quantomeno svincolato  da certi tabù ancora  vagamente  assillanti.

Non perseguiteremo senza venire   perseguiti   i gay   o i diversi di  qualunque  grado, perché ci saranno leggi esplicite e severe  ad impedirlo;  saranno sempre più condivise le pari opportunità  e le uguaglianze di diritto;  le costituzioni nazionali  dei paesi democratici (sempre maggiori)   non saranno più solo fondate  sul lavoro  ma anche sul diritto alla felicità,  diritto  fino ad oggi sempre tenuto ascritto al privato  e mai al pubblico.

Ci saranno piani di difesa internazionali  sempre più  consolidati  nella garanzia  alla  tutela  della pace,  l’uso della tortura  sarà bandito  persino  dalla Cina  che credo  in vent’anni  troverà il modo  di fare i propri  conti  anche con il proprio  passato. Il  terrorismo islamico  sarà  ancora una minaccia  ma  sempre  più  combattuto  con tutti i mezzi  informativi , strategici, diplomatici e   militari.

Saranno stati fatti notevoli passi avanti contro  la lotta all’aids, e contro la pratica indegna  dell’infibulazione, e contro la pratica disumana  della dilapidazione , e contro la vergogna dello stupro  e dell’abuso all’infanzia…

Vivremo allora  in  democrazie finalmente diventate  mature ed equilibrate?

No,  questo no;  per questo non bastano trent’anni, ma nemmeno  duecento, ma nemmeno  mille…e teniamo conto che queste evoluzioni saranno raggiunte inevitabilmente    al prezzo di scontri e di lotte e di conflitti  anche  gravi…

Gli assassini continueranno ad esserci, come i ladri, come   i parassiti,  come i corrotti, come  i mafiosi,  stirpe  di  uomini incalliti  che  non avendo regole  non hanno neppure alcun freno  alle loro azioni, quindi  non hanno nemmeno  morbi interni  che minaccino la loro sopravvivenza.

I miglioramenti  maggiori  verranno dalle fasce più deboli,  quelle che hanno tanto da guadagnare e poco da perdere;  dopotutto sono sacrosante leggi di natura,   è il più affamato che corre al tavolo   per primo (quando ce l’ha un tavolo a cui sedersi),  a dispetto di chi si tronfia  della sua  opulenza  o del suo non bisogno  che lo fa tenere nelle ultime  postazioni della fila, dimentico che l’immobilismo dovuto alla pigrizia  non ha mai premiato nessuno.

La  questione israeliana  a dispetto di tutto questo pur  cauto  ottimismo  non sarà invece ancora stata risolta. Si può immaginare un maggiore stato di tregua,  di capacità  di convivenza,  nessuno più  parlerà impunemente  di  non diritto di Israele ad esistere,  però  saranno ancora  sempre aperti   certi problemi di carattere  politico-territoriale.

Credo che questo sia il conflitto  di tutti i conflitti, il dolore di tutti i dolori, la guerra di tutte le guerre,  e come già  ho avuto  modo di asserire altrove, quando in Israele ci sarà pace, il mondo sarà finalmente salvato.

Chi pensa ancora oggi  che  Israele sta là, lontano da noi, e che i problemi degli altri non centrano nulla con i propri, e che si può stare sul proprio pezzo  di terra come se fossimo cellule  isolabili ed isolate,  e che è peggio per chi non vuol fare come dovrebbe se continua a poter decidere quello che vuole a casa propria,  o che al contrario  si possa andare a casa altrui  a dettare legge quando  non   rispettiamo nemmeno le leggi a casa nostra….tutti questi individui pensano male.

Siamo veramente ormai un mondo unico, e vorrei sapere parlare tutte le lingue  per potere capire  i pensieri  di chi pensa  senza bisogno di averli tradotti, e vorrei  con la  scoperta   di una lingua  che  sta  nascosta   sapere farmi intendere  e vedere gli altri che si comprendono,  che si rincorrono, che si dicono perché questo occorre dirsi : “io ho bisogno di te,  tu per me sei importante…”