
Mi è capitato in questi giorni di visitare per puro caso un Castello degno di nota, dalla storia un pò bizzarra e dal nome alquanto significativo che mi piacerebbe raccontarvi.
Si tratta del Castello dell’Aquila che non porta questo nome perchè aquilano, ma perchè svetta tra le alte valli della Lunigiana a ben 800 metri sopra il livello del mare.
Dovete sapere che questa storica dimora affonda le sue radici documentate intorno al 1300, ma si sa per certo che ha precorsi longobardi e romanici, quindi potrebbe essere (tolgo il potrebbe e ci metto un bel deve) anche anteriore.
Solo circa vent’anni fa era più che altro un rudere abbandonato che subiva tra l’incuria ed il sciacallaggio locale la perdita dei suoi tesori e lo svilimento della sua antica austerità.
Succede che le sorti di questa maestosa residenza finiscono nelle mani e nei sogni di una signora di circa cinquantanni, allora insegnante di lettere, che decide di licenziarsi per trasferirsi arma e bagagli tra i rovi selvaggi di questo luogo che hanno mangiato nei secoli pezzi interi di mura e di torrioni.
La cosa che attira la dolce donzella, la quale dietro il suo aspetto gentile e raffinato nasconde un coriaceo desiderio di vedere rinascere il luogo, non sono certo i sassi implosi su stessi e le mille difficoltà previste da doversi affrontare nella ristrutturazione: dietro il progetto un pò folle di comprarsi questa casa ancora non abitabile è che il costo di questa impresa equivarrebbe l’acquisto di un appartamento di lusso nel nord d’Italia, e quindi, spesa per spesa, l’idea di avventurarsi nella rinascita di un bene storico nazionale, porta in sè quel valore aggiunto che fa vincere ai suoi occhi ogni resistenza.
La ristrutturazione prevede il beneficio di fondi finanziati dall’Unione Europea, più ovviamente propri capitali, più il progetto di mettere a regime il Castello una volta riportato al suo splendore.
Mettere a regime significa andare ad utilizzare e quindi capitalizzare gli spazi ristrutturati per scopi mondani privati e di utilità pubblica, che significa andare ad organizzare dentro le mura cerimonie, piuttosto che matrimoni, meeting ed altri eventi di vario genere, con tanto di cappella intra le mura benedetta.
Nel giro di vent’anni tutto si compie a puntino; ad aggiungere una nota misteriosa a tutta la vicenda, come se non bastasse il recupero rocambolesco di un cotanto ostello, ci si mette una tinta di orrore; mentre che si sta scavando per predisporre lo spazio di un bagno viene ritrovato un osso umano.
Tutto si blocca; improvvisamente i riflettori delle Sovraintendenze alle Belle Arti piuttosto che dell’Università di non so quale eccellenza americana, nonchè lo stesso gruppo dei Ris operante in Italia, intervengono con il loro staff di antropologi piuttosto che di biologi ad analizzare la conformazione delle ossa capaci di raccontarci a quale secolo/periodo deve essere collocato il cadavere del defunto rinvenuto.
All’inizio si vociferava fosse il corpo di un ex partigiano qui rifugiatosi e poi ucciso in tempo di guerra, ma il responso è ben differente e non lascia ombra di dubbio: si tratta di un cavaliere risalente al 1200, morto per essere stato impallinato nientepopodimeno che da una balestra che va a conficcarsi con tutta la sua violenza proprio nel mezzo della sua gola dove vi si ficca facendolo morire nel giro di pochi secondi.
Tutto ricostruito sapientemente e con grande efficacia da un video a posteriori e dato in visione ai visitatori.
La perizia aggiunge anche che il povero cavaliere, probabilmente ucciso per ragioni di contese di corte a noi rimaste oscure ma immaginabili, viene subito seppellito in quattro e quattro otto proprio sul luogo della sua decapitazione (ma dovrei dire altra parola che non mi sovviene), al fine di farlo sparire repentinamente alla vista.
Il cavaliere è alto quanto poteva essere un uomo di quel tempo, ma viene sacrificato in un angolo angusto e dentro una terra argillosa (non c’è il tempo e il modo di trasportarlo altrove); questa sua tomba improvvisa, ignota e segreta riesce a conservare perfettamente lo scheletro fino ai giorni nostri. Viene analizzata con cura anche la parte di metallo rinvenuta nel cranio, ed è proprio questo materiale a far risalire l’evento intorno al 1200.
Non mi stupirei di cominciare a sentire vociferare di luoghi maledetti o segnati da eventi infelici, dove di notte si potrebbero udire i lamenti dei fantasmi, se non fosse che il Castello che io mi sono trovata a girare in lungo e in largo in una soleggiata giornata settembrina è a dir poco fantastico, maestoso, accogliente, stupendamente restaurato, immerso nel silenzio della valle, solare e per nulla tenebroso, dove la visuale sottostante è da mozzafiato, e dove davvero ci si può aspettare di vedere il cielo ed i boschi silenti e verdeggianti sorvolati da regali e maestose aquile.
Fin qui tutto bene, sembrerebbe che la moderna castellana innamoratasi del suo ranocchio trasformatosi in un meraviglioso principe possa oggi cantare vittoria; ma non è così: c’è un ma da raccontare.
Tutto sembrerebbe precipitare davanti all’ostacolo insormontabile di una strada che conduce dalla valle fin su nella cima del luogo: la strada che attraversa il bosco in certi punti diventa molto stretta e ci possono passare le macchine in alternanza, prima per un senso e poi per l’altro.
Voi direte, e che sarà mai? Basta organizzare un servizio di passaggio, oppure basterebbe allargare un poco la strada, in modo da risolvere il problema alla fonte.
Ma la strada è del Comune, ed il Comune non ha soldi da investire, e così non se ne viene fuori; la nostra nobildonna incompresa ormai comincia ad avere una certa età, e non ha più la forza (e la voglia) di lottare e di sperare in tempi biblici che risuonano da subito di carte bollate.
A fine anno lascerà la sua dimora al suo destino, sta già predisponendo lo svuotamento dei locali sapientemente arredati, e tornerà da dove era venuta, con tanta amarezza nel cuore ma anche, io credo, parecchia nostalgia di un sogno fuori del comune che ha avuto modo di vivere così lungamente e che l’ha cullata nelle lunghe notti vissute al solo chiarore della luna.
Possibile che tutto questo debba finire per l’apparente inconciliabilità di una signora, del suo Castello e di un Comune che non vuole saperne di lei e dei suoi problemi di viabilità (almeno così sembrerebbe)?
Ma come si può definire un Paese che ignorasse e lasciasse morire le sue bellezze, i suoi splendori, la sua storia, le sue radici, i suoi tesori?
Qualcuno giovane e forte ( e con qualche denaro o arma diplomatica in più) vuol farsi avanti in questa faccenda che senz’altro potrebbe trovare con buona pace di tutti il suo lieto fine?
“Castello cerca strada disperatamente.”
Il Castello dell’aquila che presto chiuderà i battenti.
Visitatelo finchè ne avete modo.
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