Ho appena terminato di leggere il libro di Osho intitolato “Amore, libertà e solitudine”.
Ero curiosa di approcciare lo spirito buddhista che è profondamente diverso dal modo di pensare occidentale, anche se ovviamente rimangono dei punti di aggancio tra le due culture.
Mi sembra d’avere capito queste poche cose capitali: noi Occidente abbiamo un approccio materialistico e consumistico della vita, tendiamo per la nostra nevrosi possessiva a ridurre le persone a cose e a considerarle quindi delle proprietà.
Nel nome dell’amore assoluto arriviamo a commettere atti terribili che nulla hanno a che fare con l’amore, perchè la cultura sociale dominante non ci insegna il concetto di rispetto dell’altro, il concetto di meditazione della vita, il concetto di amore come donazione e non come acquisto di qualcosa che può essere anche l’affetto di una persona scambiato per conquista.
Detto materialismo è assolutamente presente anche nella civiltà indù, ma totalmente assente nel pensiero buddista che predica appunto l’ascesi, il distaccarsi dalle cose, il lasciarle fluire verso la loro naturale direzione.
Per Osho i legami matrimoniali non dovrebbero proprio esistere perchè legano dentro un contratto due persone che si promettono amore eterno, senza considerare che l’amore non può essere messo dentro un contratto, in quanto per essenza impalpabile, etereo, non circoscrivibile, libero e mutevole come il vento.
In merito al problema dei figli, Osho sostiene che una società a misura d’uomo si prende cura dei bambini in quanto tali, sapendoli assistere e crescere durante tutte le tappe della vita con qualunque cosa possa accadere ai loro genitori.
Una specie di comunità stile hippy, dove tutto è aperto, tutto è ammesso, se per tutto si intende che le persone non si devono sentire in nessuna maniera obbligate a fingere quello che non pensano e non provano più.
Sul piano della natura, critica il vivere dentro città super popolate dove si è in tanti ma tutti condannati all’isolamento; condanna anche le piccole comunità dove vige la regola della castrazione, del doversi auto-controllare, auto-reprimere. Distingue l’isolamento (pessimo) dalla solitudine ( utile e buona) perchè sapere stare da soli con se stessi è una vera virtù, è una cosa bella e preziosa, da non vedersi come asocialità.
Sul piano dello Stato condanna ogni forma di politica, compresa quella gerarchica della Chiesa e dei suoi preti, perchè intesi come strutture padrone e prevaricatrici che avrebbero la pretesa di dirci cosa fare, chi essere, come pensare…
Sul piano della Scienza condanna ogni forma di ricerca futile ed assurda, come l’andare su Marte a discapito della distruzione dell’ozono e quindi a discapito della salute della Terra destinata di questo passo all’implosione e al surriscaldamento.
Sul piano della fede condanna ogni forma di credo disciplinato dentro una Chiesa, nessuna esclusa, perchè dette chiese avrebbero tradito il vero mandato spirituale di Gesù e di Maometto, che era ed è un messaggio di amore puro.
Sul piano del lavoro, non comprende gli uomini che si dedicano anima e corpo alla carriera sacrificando ad essa tutto di se stessi, fino a diventare dei robot, assenti ai veri bisogni e ai loro cari.
Sul piano dell’economia la circolazione del denaro dovrebbe sparire e dovrebbe subentrare l’uso del baratto.
Che dire. In linea di massima come si può essere contrari a queste belle considerazioni?
Peccato che non sono attuabili, non su scala mondiale, ma il tutto si può ridurre alla scelta di singoli uomini che scelgono per sè il cammino iniziatico del diventare un Budda; peccato che il mondo rimane legato alle sue Nazioni ed ai suoi Nazionalismi, al potere del denaro che è l’unico che non subisce mai crolli.
Comunque è utile leggere di pensieri così liberi e sganciati dalla nostra pesantissima struttura storica, fatta sempre di cause ed effetti, di obblighi e rispetto delle leggi, comprese quelle ingiuste.
Ma ecco che arrivo da dove ero partita: per Osho non è che Dio è amore, ma è ovviamente l’amore stesso ad essere Dio.
Lui dice che c’è una sostanziale differenza. Se si parte da Dio mettiamo Dio fuori di noi, e Dio ci dominerà; se si parte invece dall’amore, mettiamo l’amore davanti a tutto e quindi Dio stesso in noi, noi stessi diventiamo Dio grazie all’amore che è in noi e fuori di noi.
Personalmente concluderei così: ognuno faccia come meglio crede, l’amore è sempre buono se è sganciato dall’idea di possesso. Certo che essendo e sentendomi figlia della mia cultura, della mia cultura accetto l’idea di un Dio che sta fuori di me e che non percepisco come il mio Padrone, ma come il mio Custode.
Del resto, so anche che Dio sta dentro di me, e non può stare solo fuori, e quindi io stessa sono Dio nel senso che partecipo della sua bellezza e forza. Senza questo Dio esterno, secondo me si rischia di perdere di vista la trascendenza, riducendola ad estasi, ad ascesi, ad esperienza mistica umana, temporanea e fine a se stessa.
Non per nulla il buddismo prevede la reincarnazione, il ciclo metempsicotico della vita.
Con un Dio esterno si parla invece di resurrezione, di un ciclo che inizia, si evolve e si compie. Ognuno scelga quello che sente più proprio.
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