Socrate, Montessori e Milani: maestri del futuro

 

Quando ho avuto modo di cominciare   a far parte  con grande entusiasmo  alla stesura del    Manifesto degli insegnanti,   sono entrata dentro  questo florido e generoso  gruppo di docenti  sognatori  mentre   praticamente stavano limando le parole, la scelta dei contenuti,  il soppeso  dei termini e  delle espressioni…che   era maggio, quando la comitiva di folli stava in carreggiata già dal  settembre prima…

Dove ero stata  fino a quel momento?  Perché  non mi ero  accorta fino a quell’istante   della loro  dinamicità?  Mi son detta:  “Che fortuna ,che bellezza,  guarda quanta bella gente che ha voglia di fare cose buone mentre tutti si lamentano e fan tante cose stupide che non   servono…”

Nel forum aperto  sulla questione  del Manifesto   si è ragionato lungamente sulla  scelta di alcune dichiarazioni  che potevano sembrare troppo forti,  si è ragionato molto sulla sua  forma  singolare o plurale, si è ragionato  sul fatto che  il testo dovesse  rappresentare tutti e non solo una parte della categoria,  si è ragionato molto sui concetti, vari e complessi,  che dovevano  essere tutti inclusi,    infine si è ragionato molto  sul titolo inteso come il simbolo stesso  del Documento  finale.

Sul titolo  sostanzialmente il popolo del forum   si è diviso su due fronti:  chi lo voleva chiamato “Il giuramento socratico”  e chi lo voleva detto    “Il manifesto del nuovo  insegnante”

Spiego  il  perché   del  “Giuramento socratico”:

  • Perché   giurare è per se un’attività solenne  che riflette  tutta la gravità dell’atto da compiere
  • Perché  Socrate è stato il fondatore della filosofia moderna, nonché martire del sapere)   e a lui ancora sono intitolate molte scuole  che  utilizzano a tutt’oggi   il metodo maieutico dell’insegnamento
  • Perché richiamava il giuramento di Ippocrate  da sempre  utilizzato dai medici nell’atto  in cui si  investono  dell’autorità  di curatori  della vita contro il pericolo della morte

 

Ora spiego il perché  del  “Manifesto  del nuovo insegnante”:

  • Perché il termine Manifesto  è un termine moderno e attuale   che ben riflette il nostro pensiero  e la nostra società  fatta di individui multipli, autonomi  e perfettamente integrati o integrabili
  • Nuovo perché quel nuovo voleva essere la cesura tra il tempo passato ed il nuovo  tempo   che avrebbe avuto  il privilegio di ospitare  il rinnovamento della scuola
  • E naturalmente insegnante  perché agli insegnanti si rivolgeva, alla loro missione e all’assunzione consapevole  del loro  mandato

 

Alla fine  il nostro  insieme  di  voci  e di  capisaldi   ha voluto chiamarsi  semplicemente  Manifesto degli insegnanti,  senza bisogno di specificarli nuovi o giusti o veri o altro…dopotutto  un insegnante chi è  se non un maestro ed un maestro è uno che insegna e basta,  non c’è bisogno di definirlo né nuovo, né giusto, ne vero…

Nel cuore e nello spirito di molti di noi che  hanno sottoscritto  i 13 punti  del tredicalogo    rimangono un giuramento, per me dedicato a Socrate, padre della sapienza e non solo della scienza metafisica;   nel cuore e nel sentire collettivo   il testo è per l’appunto una Dichiarazione  solenne  di impegno, una serie di punti cruciali e  seriosi    che manifestano  nulla di meno  e nulla di  più  l’agire  dell’insegnante.

I più feroci oppositori a questo titolo  hanno bocciato Socrate  e con Socrate chiunque altro  avesse avuto la pretesa  di sostituirlo,   perché a loro dire  l’insegnante   di oggi non ha nulla da spartire con l’insegnante di ieri,   ancora impelagato  nella sue retorica, nella sua soffocante immagine,  espressione di  un’ autoritarismo  burocratico, antiquato   e ben poco  collaborativo.

Ho accettato  di buon grado, per amore della democrazia che discute e che si confronta con  equilibrio,   l’esito finale, ma  non mi dissocio  dall’antico sentire e dal mio amore per  i grandi maestri: io credo che i veri maestri  non passino mai di moda, credo che se un insegnante è stato grande nel suo tempo, continua ad esserlo anche nel tempo futuro,  nonostante il tempo futuro abbia aggiunto al sistema  scuola strumenti di lavoro e di conoscenza  che il maestro in questione non ha minimamente conosciuto e sperimentato, semplicemente  perché inesistenti nel suo contesto.

Facciamo  l’esempio  di  Socrate che quando accusato di corruzione morale,  piuttosto che  fuggire e mettersi in salvo,  si lascia giustiziare da innocente solo per amore della stessa  verità  tanto da lui amata, proprio come sanno fare i nostri politici   che quando accusati giustamente nemmeno si dimettono.  Addirittura Socrate non pratica   l’uso della scrittura, usando solo la parola parlata,   dialogata,   raccontata…e pur con un centesimo  degli strumenti usati da noi oggi,  riesce a fare con i suoi discenti   cose che noi anche  con l’uso di internet non sappiamo fare…Sarà Platone ad ereditare il pensiero socratico  e a fondare uno stile di ragionamento  che ancora oggi vive all’interno dei nostri atenei, insieme all’atro capisaldo del pensiero, l’aristotelismo.

Facciamo l’esempio  di Maria Montessori  che  rivoluziona e sconcerta, secondo la propria  società,  le logiche dell’insegnamento,  riconoscendo al bambino il suo ruolo di protagonista e di essere  senziente e libero. Addirittura lei elimina la figura della maestra, i bambini sono i maestri di se stessi perché se ben guidati all’inizio  possono da soli capire ciò che è bene e ciò che è male…sarebbe quasi da suggerire alla Gelmini che ha avuto problemi con il maestro unico.

Nota bene, Montessori si cimenta con  bambini di tutte le estrazioni sociali, dal miserabile orfano cresciuto  negli ospedali psichiatrici alla stregua dei malati di mente,  ai bambini privilegiati figli di famiglie medio borghesi  ai quali era stata riservata da sempre  ogni   genere di attenzione. E con tutti ottiene ottimi risultati  a dispetto delle leggi ministeriali  che  non si raccapezzano davanti  a tanta bravura  e a tanta diversità  indecifrabile…

Facciamo  l’esempio di Lorenzo Milani  che raccoglie nella sua scuola gli scarti   del mondo scolastico,  quelli che la scuola  dello Stato  bocciava o quelli che il sistema sociale  privava della più elementare forma di educazione  e di istruzione  solo perché    appartenenti  a famiglie  di contadini o di operai non in grado  di mandare i propri  figli  a studiare. Addirittura lui abolisce il tempo normale per creare il tempo continuo, altro che tempo pieno o prolungato;  non ci sono feste che possono interrompere il piacere ed il bisogno del sapere, non ci sono distrazioni che possono giustificare la perdita di tempo,  per chi il tempo ce l’ha contato…

Ma  quale istituto scolastico italiano  ha fatto nel  proprio comune  quello che l’esiliato  prete di Barbiana ha saputo fare per il suo umilissimo borgo  montano?

Quale  scuola d’eccellenza italiana ha saputo fare per i propri alunni  quello che la Montessori seppe fare  in un tempo storico affatto facile e tenero, soprattutto con le donne,  per i bambini  che  ebbe la fortuna, il privilegio e la sfida  di accogliere e di formare secondo un metodo  di apprendimento  che di fatto non aveva nulla di metodologico  e di astratto.

Mi si potrebbe venire a dire che    però oggi nelle scuole c’è internet,  c’è la Lim, ci sono i blog di classe  e c’è Facebook , ed io rispondo prontamente  : “E  allora?”   Se loro avessero avuto internet  chissà cosa sarebbero riusciti ad inventarsi,  chissà quale magie avrebbero saputo costruire intorno al complicato problema dei libri di testo che ormai sono diventati  un ingombro, un ostacolo, un incubo  e non più uno strumento  pedagogico;  o intorno al complicato problema  dei programmi  che sono obsoleti e che non interessano da sempre  gli scolari  che a scuola si annoiano e che vivono il tempo passato  tra i banchi  come una tortura o come una prigione…

Mi si potrebbe venire a dire che oggi non basta il talento,  che ci sono dei meccanismi contorti e complessi   che non danno speranze, che non permettono nessuna facile illusione e che siamo in tanti, in troppi;  che c’è molta concorrenza; che c’è la crisi economica…ed io rispondo prontamente: “E allora?”  Forse che Montessori e Milani  non hanno avuto i loro ostacoli, le loro inimicizie nascoste  e nemmeno   dichiarate, i loro guai economici e non solo, i soprusi di un sistema  che voleva metterli a tacere e mortificarli? Tanti dubbi e  poche   certezze?    Certo che hanno avuto tutto questo, ma non hanno mollato e non si sono fermati a criticare; hanno pensato a fare fare fare, perché le cose potessero funzionare…   

Altro che essere diventati sorpassati  e non più attuali;   così che io avrei volentieri  chiamato il giuramento  socratico  anche Il giuramento del maestro in onore alla straordinaria figura pedagogica di Maria,  o anche La  promessa  di  Lorenzo   in onore  al  sacrificio  umano e professionale  di  questo inimitabile sacerdote   che ha dato tutto  alla sua  idea di scuola vista come luogo laico ed  autentico   di vita e di crescita e di confronto…

Il popolo del network  La scuola che funziona non ha voluto  esempi , non ha voluto padri o madri,   punti di riferimento del passato, ed ha scelto d’essere semplicemente  un momento di svolta, di passaggio, di auto assunzione  del proprio ruolo sociale.

Per me i veri   maestri sono maestri del futuro, non muoiono mai, ce li portiamo  nel cuore se li abbiamo conosciuti,  ce li portiamo nel cervello  se li abbiamo studiati…

Ed io ne sono comunque felice;  felice che  qui si possa essere in molti che ogni giorno crescono,  felice che qui  si possa essere in tanti  che si confrontano, consapevoli  che il pericolo di  vedere incepparsi il meccanismo  è sempre possibile, ma qualora si dovesse inceppare, pazientemente ne troveremo la falla, pazientemente lo rimonteremo.

Per concludere  ecco chi ha studiato il metodo   Montessori  cosa dice a proposito del suo essere antiquato:

il metodo montessori

e cosa si dice della  inattualità  della scuola di Barbiana

la scuola di Barbiana

Vorrei che la mia scuola, quella reale che viviamo tutti i giorni,  potesse essere un poco inattuale come loro…

Il mondo capovolto

 

Il mondo capovolto

Cosa accomuna  i conflitti  esistenti in  terra  santa  con  i conflitti esistenti in terra di camorra o di mafia?

Forse nulla,  se non che sono entrambi problemi scottanti e storici che possono avere un diverso ordine di priorità ed un diverso   ordine di impatto.

Il sinodo in questi giorni si è appena espresso sulla questione medio orientale, prendendo le distanze dagli estremismi e dalle violenze di cui Israele si è fatto ripetutamente protagonista.

Mi è sembrata una dichiarazione doverosa e necessaria, che semplicemente si attiene alla valutazione dei diritti di tutti nessuno escluso.

Le parole esatte del pontefice, come riportate da Repubblica, sono state:

“Da troppo tempo nel Medio Oriente perdurano i conflitti, le guerre, la violenza, il terrorismo”. La pace, che è dono di Dio, è anche il risultato degli sforzi degli uomini di buona volontà, delle istituzioni nazionali ed internazionali, in particolare degli stati più coinvolti nella ricerca della soluzione dei conflitti”. Non bisogna mai rassegnarsi alla mancanza della pace. La pace è possibile. La pace è urgente. La pace è la condizione indispensabile per una vita degna della persona umana e della società. La pace è anche il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal medio oriente. ‘Chiedete pace per Gerusalemme’, ci dice il salmo (122,6). Preghiamo per la pace in Terra santa”.

Benedetto XVI non dimentica neppure di sottolineare che in certi luoghi di là dal mediterraneo non hanno esattamente una precisa tolleranza verso culti differenti dal loro, mentre che occorre permettere e divulgare ovunque la libertà religiosa che non è solo banalmente libertà di culto ma libertà di coscienza.

Poi mi sento di dovere accantonare questa questione così speciale per me che sono radicalmente filo cristiana e filo ecumenica, perché mi rendo conto che comunque Israele è lontano, è il nostro problema numero due, mentre abbiamo il problema numero uno, quello di avere numerosi comuni, numerosi territori, dal nord al sud, che sono terreno mafioso, che sono gestiti dalla mafia in tutte le sue varie espressioni e collusioni con la politica.

Si è mai espressa la Chiesa su questo delicatissimo ed urgentissimo e secolare  tema  tutto nostro?

Non si nega che l’abbia fatto, sia attualmente che nel passato, ma ritengo che l’impegno profuso per debellare questa piaga possa essere e debba essere da parte sua ancora infinitamente maggiore e più incisivo.

Quanto potrebbe una chiesa presente e radicata sul territorio incidere con più vigore sulla sensibilità della gente che da sempre per necessità convive con la mafia nei luoghi della sua vita quotidiana.

Non sto dicendo che il problema è solo della chiesa, abbiamo anche tutte le nostre regolari istituzioni che stanno facendo, sembrerebbe, la loro parte. (come  non menzionare l’eccellente lavoro portato avanti  con rigore  dai vertici dell Dia  e della Digos  in territorio  di mafia?)

E’ proprio di questi giorni l’arresto del boss mafioso Geraldino Messina, latitante da oltre undici anni; se ne stava tranquillo e beato nel suo covo a Favara, nel centro della sua terra e dei suoi interessi economici.

Sembrerebbe di potere gridare alla vittoria, ma non serve illudersi, se l’hanno trovato è forse perché qualcuno ce lo ha fatto trovare, perché ha pianificato già la sua successione, il suo subentrante, come è giusto che sia in una organizzazione che è il massimo dell’efficienza, della funzionalità e del radicamento sul territorio.

Non a caso     Blogsicilia, solo per citare  una delle fonti locali,  non festeggia, non sbandiera nessun telo trionfatore, rimane critico e lontano da ogni facile entusiasmo, come infatti si può evincere da questo articolo riportato da chi conosce da vicino la questione.

Fatti accaduti il mese scorso al sindaco di Cesa (Caserta) Vincenzo De Angelis  non sono certo una novità, non sono affatto isolati, non si possono certo ritenere motivo di festeggiamento e di abbassamento del livello di guardia.

Più ripenso a tutti i nostri problemi, ai nostri conflitti, alle nostre sciagure, e più il problema mafioso mi appare di gran lunga il più terribile, il più allucinante, il più satanico; mi si passi questo termine così cataclismatico  ed apocalittico,   a volte abusato; quando uso l’espressione satanico intendo proprio caricare qualcosa della peggiore delle sue negatività.

E’ satanico qualcosa che utilizza l’astuzia per raggiungere il proprio criminale profitto  finendo  per apparire  la parte buona del sistema  che opera  per il bene stesso degli altri.

Potremmo dire  che il satanismo (ossia  l’arte del male)  ci consegna letteralmente  un mondo  rovesciato, al contrario,  dove i valori  diventano  difetti  ed i vizi diventano   virtù.  Gli sprovveduti   ne diventano vittime  perché plagiate  da una forza a loro superiore;   i capaci  malintenzionati ne diventano protagonisti.

La mafia è sostanzialmente questo, un’organizzazione criminale perfettamente gestita, che non conosce fasi di arresto e di declino, nonostante i relativi e pur cospicui avanzamenti da parte delle forze dell’Ordine e da parte delle forze giudiziarie che hanno già sacrificato cadaveri eccellenti sull’altare di questa battaglia nostra, battaglia vicina, e non lontana.

E come non ripensare all’esperienza assolutamente tutta vivente e presente di   Roberto Saviano, che da quando ha denunciato la camorra della sua terra è stato oggetto di continue minacce e di continui attacchi mediatici e non solo, contro la sua stessa credibilità, come se fosse lui  il criminale da smascherare e non il libero e comune cittadino da proteggere?

Ma poi Saviano è solo   il più noto  di questi uomini coraggiosi per quanto  normali,  ce ne sono molti altri che agiscono con meno notorietà  ma non per questo con meno valore ed impegno. Come non menzionarli?  Come non sentirci  corresponsabili  di questa realtà   che tutti ci riguarda?

Come si pronuncia la Chiesa su tutto questo? Perché allora   non si fanno sinodi aperti anche su questa questione vicina e non lontana, ripeto  nostra e non di tutti, dolorosamente e vergognosamente   produttrice di morte e non di vita e di nessuna liberazione, alla quale piaga la stessa tacita presenza se non collaborazione della chiesa locale ha in parte  contribuito e dato la sua parte ?

Dov’è la terra promessa nella nostra bella Italia?  Chi sono gli israeliani integralisti  del nostro bel paese che non vanno a buttare bombe  (sempre per legittima difesa, questo è ovvio,  nessuno osi dire il contrario), non quelle fisiche, non quelle  che fanno stragi visibili,  ma quelle ben più silenti ed invisibili  che  tacendo  fanno comunque  danno,  fanno  rovine, fanno testimonianza al negativo,  perché lasciano un vuoto che viene  riempito  dagli altri,  che viene gestito da chi ha gli strumenti e gli interessi e l’organizzazione per farlo.

Una nuova via  che ci venga mostrata  con  un segno forte, incisivo, come solo la Chiesa  delle pastorali e delle omelie  e dei concili e delle bolle papali e delle encicliche e delle scomuniche  …. sa fare,  quando fa propria una causa ; del resto ce lo deve  visto  che  da sempre si è  arrogata   la funzione di guida dell’umanità.

Mentre  che lei   riflette   soppesa calcola pianifica e …pontifica, noi poveri mortali ci arrangiamo come possiamo.

Credo che il nemico numero uno sia   proprio e sostanzialmente lo stare in silenzio, il tacere, il far finta di nulla,  addirittura a volte il depistare,  lo scoraggiare  ogni forma di rivolta, il proteggere  ogni forma  di  partecipazione,   il condividere di fatto  l’atteggiamento  di omertà che le persone di strada, spesso  poco armate, spesso sole, spesso abbandonate a se stesse, quando non esplicitamente indifferenti e partecipi, adottano come unica forma di garanzia della propria incolumità.

Occorre  invece  rompere il silenzio, incoraggiare le testimonianze, le denunce, le ribellioni; ma poi lo Stato è pronto concretamente  e non solo per enunciati  a fare la sua parte? Ma se non ci sono nemmeno i soldi per la cultura e per la scuola e per la sanità e per le forze dell’ordine, come si può pensare che ci saranno i soldi per i piani di protezione e di difesa di chi anche volesse denunciare e liberarsi dal peso della convivenza e della connivenza con il diavolo?

Si torna sempre qui, alla questione dei soldi che stanno dove occorre trovare la capacità di andare a prenderli.

Chi si candida a questo progetto? Quanto è disposta la Chiesa a finanziarlo? Quanto e come è disposta la politica a garantirlo?

Tutte le candidature sono bene accette.

Antonella dall’omo

Una famiglia normale per una storia orribile

Mi sono abbastanza stupita   che l’evento  di cui in questi giorni da settimane ormai  parlano praticamente sempre e ovunque  tutti i programmi televisivi  delle reti, a qualunque ora e  su qualunque  titolo,   non sia stato invece oggetto di una particolare attenzione  da parte dei  social network  in generale.

Forse la cosa è dipesa  dal fatto che si sta parlando di un delitto e dunque di indagini e sviluppi assolutamente ancora in corso e passibili di modifiche e di smentite in ogni momento…; o forse perché  non è facile parlare di un fatto di cronaca nera come  questo, a botta calda,  senza cadere nel banale e nel già ripetuto o già ascoltato.

Io ho voluto parlarne,  invece, perché mi ha colpito  l’evento in sé per le sue  molteplici  significanze.

Significanze che vorrei un attimo riprendere e precisare  in questo nuovo piccolo post.

Riprendo in breve gli eventi  anche se sono ormai  tristemente  notissimi e purtroppo anche abusati: l’adolescente Sarah  Scazzi  è morta,  e ci siamo già fatti più o meno l’idea di come possa essere stata uccisa;  sembra che ci sia stata la compartecipazione della  cugina con lo zio.

All’inizio  si era addossata tutta la responsabilità  solo il  padre di Sabrina,  che sarebbe invece  la seconda responsabile entrata in scena,  devo dire per quel che mi riguarda,  senza nessuna meraviglia…

Questo volto così duro,  così distaccato, così  aggressivo nel modo di porsi e di relazionarsi,  non mi aveva convinto,  contrapposto poi all’immagine  più sottomessa, docile e  se si vuole,  rispettosa  del prossimo,  del sig.  Michele.

Si sta profilando l’identikid    di una giovane  che era gelosa della piccola  cuginetta,  molto più bella, molto più  femminile, molto più dolce ed amorevole;  haime,  purtroppo molto più ingenua,  meno pratica della vita e delle cattiverie  del mondo,  molto meno capace di difendersi da sola e con la sola colpa  di non essersi  confidata  in tempo  con la famiglia,  se non con la famiglia,  con qualcuno che avrebbe  potuto  allarmare, preventivare…

Del resto, come si potrebbe preventivare  qualcosa di così mostruoso?  Ma nemmeno  nell’area più delinquenziale  di una metropoli  al limite, dove non esiste nessuna legge se non quella del branco. E  qui siamo ad Avetrana, un paesino anonimo, per bene,  tranquillo, immerso nella  normalità più assoluta della   campagna…

Non  conta sottolineare  l’errore  spregevole del padre di Sabrina,  quello di avere  allungato le mani  sulla giovanissima nipote  che da quel momento ha rappresentato un pericolo  per la salvaguardia dell’onore di famiglia,  e forse tutto parte proprio da qui,  da questo  problema   che  sarebbe stato  possibile gestire  in maniera  razionale  e controllata  se ci fossimo  trovati di fronte  ad una realtà  familiare  più  equilibrata  di quella  che evidentemente riguarda   la famiglia Misseri.

Chi è allora la famiglia Misseri?  Per quel che ci riguarda una famiglia assolutamente normale, come ce ne sono  moltissime in giro nelle nostre regioni, ma non solo nelle nostre campagne, anche nelle nostre città,  non è la campagna che ha creato il mostro, non è la campagna  che imbruttisce e che isola le persone nelle loro ossessioni e nelle loro  possibili  perversioni  fobiche  o attrazioni fatali…

La cosa che per il momento rimane  sostanzialmente oscura  è quella che originariamente aveva colpito in assoluto l’opinione pubblica,   ossia il fatto che il sig. Michele si fosse denunciato di  un successivo  stupro  sul  cadavere  ( qui si aggiungerebbe il fatto necrofilo  con riferimenti   a dir poco inquietanti),  ma  siccome questo evento non può essere dimostrato  dalla scientifica,  forse per questo l’imputato  ha pensato bene di ritrattarlo.

Lasciamo perdere questo particolare agghiacciante e delicatissimo, facciamo finta che non ci sia, diamo il tempo alla giustizia  di fare il suo corso in merito,  e concentriamoci invece  sul semplice delitto, l’atto dello strangolamento  di questa possiamo   dire,  bambina che si affacciava alla vita.

Allora cerchiamo di capire le problematiche aldilà degli eventi: qui stiamo parlando

  • Di un delitto che accade nelle pareti  domestiche  (purtroppo molti delitti accadono all’interno della famiglia)
  • Di un delitto  assurdo perché colpisce una bambina
  • Di un delitto terribile perché operato da un’altra giovanissima su una giovanissima
  • Di un delitto che getta in maniera  drammatica   i riflettori  su come  l’apparire non corrisponde affatto all’essere delle cose e delle persone
  • Di un delitto che coinvolge  una realtà in apparenza normale, ordinaria, non a rischio, non considerabile   pericolosa  o da monitorare
  • Infine di un delitto che il caso vuole venga comunicato in diretta alla stessa madre, presente in quel momento a un programma televisivo che aveva lo scopo di portare luce  su questa scomparsa  ancora  senza  soluzione

Bene,  quello che m’ interessa riflettere e su cui vorrei portare a riflessione chi mi legge,  spero siano dei giovani o dei giovanissimi,  perché sono loro i protagonisti  di questa vicenda,  è soprattutto  questo:

  1. il fatto  che  la cerchia di amicizie  di cui Sarah era circondata  non è stata capace, nonostante forse qualcosa avesse percepito,  di prevedere ed impedire  la sciagura
  2. il fatto  che  la paura  di quello che potrà “dire la gente”  (oltre la già citata gelosia)  è stato il motore principale  di questo delitto
  3. il fatto  che se questo delitto è accaduto in questa famiglia,  moltissime altre famiglie   potrebbero diventare, se  ne avessero l’occasione,  teatro di delitti simili (e non credo affatto di stare esagerando)
  4. il fatto che stiamo assistendo ad un processo mediatico  che abbrevierà enormemente i tempi reali  processuali  ma  che espone i singoli cittadini  a dinamiche  persecutorie  a volte molto pericolose  e che il cittadino è chiamato  ormai  ad   imparare  a   gestire e ad imparare a denunciare  egli stesso
  5. il  fatto  che una quantità enorme di imbecilli  si sia in questi giorni  recata sul luogo della disgrazia, persino con bambini al seguito,  per potere fotografare la casa di qui, la casa di là, ed il pozzo di su e via discorrendo…

Per   quanto riguarda il primo punto    mi asterrei da qualunque giudizio;  eventi simili sono per l’appunto imponderabili,  tuttavia,  con il senno di poi,  forse  i genitori di Sarah  si sarebbero potuti  preventivamente allarmare…chissà  ( nel senso che chi sapeva (ammesso che qualcuno sapesse)   poteva allarmare la famiglia totalmente ignara, perché in questi   casi  i familiari stretti   vengono informati   purtroppo  sempre per ultimo…)

Per il secondo punto  direi  che siamo  in generale vittime  dell’opinione altrui, del pregiudizio sociale, ma  in questo caso specifico, del sentimento di vergogna  che si prova  a sapere di avere qualcosa di sporco e di  indegno   da nascondere. Quindi  pur di nascondere la vergogna si elimina il problema alla fonte, chiaro no?

E’ una millenaria  paura della verità che ci affligge; le verità scomode fanno male dunque occorre negarle, e ci si dimentica che proprio quello che cerchi di seppellire  cerca in altri modi  di essere portato alla luce,  perché è una legge di natura, i pesi  capaci di galleggiare  vengono  a galla,  e la verità  è tra questi.

Per il terzo punto  direi  che  siamo veramente dentro una gran bella società;  nulla è come appare, oggi più di ieri e ieri più di l’altro ieri, nulla può essere dato per scontato,  nessuno è fuori pericolo e tutti siamo dei potenziali  assassini  se ci dovessimo trovare in situazioni  che ci stringono,  che ci mettono all’angolo.  Argomento questo  delicatissimo,  pesante,  doloroso, complesso,  ma le verità vanno dette, affrontate   (vedasi il punto sopra) prima che siano le verità stesse a travolgerci.

Per il quarto   direi  che   non serve molto fare l’ennesimo processo all’utilizzo  forsennato e sciagurato  dei mezzi di comunicazione;  i giornalisti  sono per lo più degli sciacalli che farebbero di tutto pur di far vendere il loro giornale, lo sappiamo,  ma è anche vero che   se non ci fosse una libera comunicazione  avremmo problemi  ancora maggiori e più pericolosi.

Qui è il singolo, è il privato, è il comune cittadino che deve imparare  a  sapere destreggiarsi  qualora  dovesse cadere per caso o non per caso  in un circuito di questo genere. Purtroppo la nostra società sempre più tecnologica lo impone.

Chi continua a ignorare ostinatamente questi  aspetti del reale,  è solo uno sprovveduto avulso dalla realtà.

E’ come quando  sappiamo  di dovere andare in montagna  per scalare una cima:  saremmo folli  a partire  senza l’adeguato equipaggiamento,  non credete?  Noi di pari passo  sappiamo  perché  dobbiamo sapere   di stare in un mondo   dove  si può rimanere vittima  di questi  meccanismi; di conseguenza bisogna imparare a conoscerli per poterli neutralizzare o quantomeno  controllare. Bisogna comunque   anche chiedere leggi  che pongano  dei limiti allo strapotere delle televisioni  che devono essere chiamate  alle loro responsabilità dirette.

Per il quinto e ultimo punto di questa riflessione non ci sono giudizi particolari   da aggiungere  ma ne avrei;  siamo un popolo di imbecilli,  incivili, stolti,   deliranti,  ignoranti,  pettegoli,  venduti , pavidi  e schifosi   per cui abbiamo bisogno di  aspettare la domenica  per portare la propria  famiglia  a vedere  lo spettacolo  dell’ultima altrui  famiglia  di turno  caduta in disgrazia.

E per fortuna che adesso il Sindaco di Avetrana   si è dissociato da questo scenario  ed  è corso   finalmente   ai ripari (proibendo da oggi l’ingresso dei pullman del turismo dell’orrore   nel paese…)  

Scusaci Sarah  infinitamente   di tutta questa nostra  miserabile  miseria…

Antonella dall’omo

Una meravigliosa giornata allo SMAU

 

Mercoledì  scorso  sono andata con  Gianni Marconato    allo SMAU  di Milano   a presentare  il nostro gruppo,  LSCF,  insieme alla nostra   perla più rara, il Manifesto;   è stato molto   interessante.

Grazie dunque  a chi ci ha invitato e a chi ci ha permesso di  divulgare anche attraverso  questo piccolo passo  la nostra visibilità sul territorio.

  Qui  potete   trovare  l’evento   e  di seguito   potete consultare  il contenuto delle slide presentate  a una piccola ma significativa platea di  una trentina docenti.

Prima di noi presentava    Noa Carpignano    insieme a   Maria Grazia Fiore  sui libri di testo  liquidi ossia su un nuovo modo di intendere la lettura e l’uso dei libri di testo;  testi che non sono più quelli tradizionali, dove si leggono i capitoli in ordine di successione e per aree distinte che si collegano come un filo d’Arianna,  ma  testi  a misura di li legge, a tela di Aracne, che a secondo di come li approcci essi possono essere uno nessuno centomila, ossia trasformarsi, cambiare  forma  (da cui l’uso del termine liquidi),  dire cose diverse pur senza contraddire nulla di quello  che  ovviamente trasmettono ed insegnano; insomma,  è l’insegnante  che fa il libro e non che lo subisce e che lo  adotta  come qualcosa  di chiuso e di rigido;   nello stesso tempo capita qualcosa di simile anche allo studente  che  si trova realmente in questo scenario  al proprio posto, nel proprio ruolo, quello di  apprendista,  apprendente,  conoscente, conoscitore, scopritore e  ricercatore del sapere…insomma,  si è parlato di lettura spaziale e  non più temporale, che svilupperebbe certe facoltà di apprendimento   che il sistema  occidentale  tradizionale ha lasciato dormienti.

Per capirci meglio,  le culture  orientali hanno un metodo di studio e di lettura  impostato  su questo schema  e non è un caso che loro  abbiano una comprensione della matematica  infinitamente superiore alla nostra.

In  questo contesto   inoltre   davvero il libro di testo farebbe   il libro di testo, e l’insegnante  farebbe   l’insegnante    e lo studente farebbe    lo studente…

Prima ancora  di Noa   c’era in agenda  la presentazione  dell’editore   non chè  docente  Mario Guaraldi   intorno  la   sua idea  ancora pionieristica  per noi italiani  di editoria open ed     che pubblica  ad un costo  ragionevole, on demand,  ad un pubblico ristretto, di nicchia, che può  avere i più  vari interessi, le più impensabili necessità senza  per questo trovarsi escluso  dal mercato editoriale.

In poche ore mi sono  vista sciorinare il meglio del meglio del settore, sono  personalmente rimasta  estasiata, non chè entusiasta,  come un bambino che si trova improvvisamente catapultato  nel regno dei balocchi…

Non sono competente dei settori ma posso riportare dei link dove potere reperire  notizie giuste  su   queste questioni di scuola ordinaria  che ci riguardano tutti perchè tutti abbiamo dei figli  che praticano la   scuola o perchè molti di noi sono essi stessi studenti in perpetua formazione,  come è giusto che sia.

Per esempio     qui   si può leggere quello che fa e chi è  Mario Guaraldi    con  la sua capacità profetica  di pensare una forma avanzata  di  stampare i libri e di diffondere il sapere, di fronte alla quale la sonnecchiosa    editoria  tradizionale  dovrà prima o poi fare i conti  e ripensare il proprio ruolo  all’interno  della catena  libraria.

  Qui    l’intervista  datata 2008  da lui rilasciata   sul suo operato in corso  e qui  qualcosa di più che ancora ci   racconta  della sua personalità e del suo pensiero editoriale.

 Ecco invece   in  sintesi  il contenuto delle slide presentate, riportate sotto  in formato word   ma scaricabili  in  originale    sul sito    di LSCF   nel forum  intitolato   :  la scuola che funziona

Milano, 20-22 ottobre – Fieramilanocity                                                

 La scuola che funziona

CHI SIAMO 

•SOCIAL  NETWORK    DI  INSEGNANTI E DI OPERATORI DELLA SCUOLA 
•CHE  SI SONO INCONTRATI IN RETE   GRAZIE ALL’INIZIATIVA  DI CHI DA ANNI  SI OCCUPA  DI  COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE 
•CHE  VUOLE CONDIVIDERE NELLA MIGLIORE FILOSOFIA  LE PRATICHE  DELLA  SCUOLA  CHE FUNZIONA TRA LE MILLE DIFFICOLTA’  OGGETTIVE  E STORICHE  CHE CI CONSEGNANO  UN  MONDO SCOLASTICO IN PROFONDO DISAGIO
COSA FACCIAMO
 
•PARLIAMO  DI SCUOLA NEI VARI NUMEROSI FORUM CHE NASCONO  SPONTANEI  MA  NON SOLO
•DISCUTIAMO DI TUTTE LE NOSTRE PROBLEMATICHE ANCHEPRATICHE E GESTIONALI   A 360 °
•CI CONFRONTIAMO SU TEMI  SCOTTANTI E DELICATI  PERCHE’  NON VOGLIAMO ESSERE AVULSI DALLA REALTA’
•CREIAMO GRUPPI   DI LIBERA ADESIONE IN CUI POTERE
APPROFONDIRE LE SPECIFICHE AREE DI INTERESSE 
(UN VERO LABIRINTO DI  INFORMAZIONI E  DI  CAMPI)
AULA VIRTUALE E MATERIALE IN RETE
 
•CI CONFRONTIAMO IN DIRETTA ATTRAVERSO LA NOSTRA AULA VIRTUALE 
•CONDIVIDIAMO  TUTTO QUELLO CHE RITENIAMO  BELLO  CONDIVIDERE ( DALLE FOTO, AI VIDEO, AI LAVORI DEI NOSTRI ALUNNI, ALLE LORO POESIE, AI NOSTRI TESTI, AI NOSTRI  DUBBI, COMPRESI I BLOG  ED I NOSTRI LIBRI  CHE RIFLETTONO LE  DIVERSE IDEE DI ORIENTAMENTO VISTE NON COME OSTACOLO MA COME  INTEGRAZIONE
 
COSA CI IDENTIFICA
 
 
 
IL TESTO DEL MANIFESTO
 
—1. Amo insegnare. Amo apprendere. Per questo motivo sono un insegnante.
—2. Insegnerò per favorire in ogni modo possibile la meraviglia per il mondo che è innata nei miei alunni. Insegnerò per essere superato da loro. Il giorno in cui non ci riuscirò più cederò il mio posto ad uno di loro.
—3. Insegnerò mediante la dimostrazione e l’esempio, il riconoscimento dei miei errori illuminerà il mio percorso.
—4. Accompagnerò i miei alunni alla scoperta della realtà che li circonda, assecondando e stimolando in ognuno di loro la curiosità e la ricerca, le domande e la passione.
—5. Non potendo trasmettere ai miei studenti la verità, mi adoprerò affinché vivano cercandola.
—6. Incoraggerò nei miei studenti l’impegno e la volontà di migliorarsi costantemente e di non rassegnarsi mai di fronte alle difficoltà. Io stesso provvederò a formarmi e aggiornarmi continuamente.
—7. Farò in modo che la scuola sia il mondo, e non un carcere.
—8. Non trasmetterò ai miei studenti saperi rigidi e preconfezionati. La mia visione del mondo mi guiderà, ma non sarà mai legge per loro. Il dubbio e la critica saranno i pilastri della mia azione educativa.
—9. Promuoverò lo studio per la vita e contrasterò lo studio per il voto.
—10. Raccoglierò elementi di valutazione, rifiutando approcci semplicistici e meccanici che non tengano conto delle situazioni di partenza, dei progressi, dell’impegno e della crescita complessiva del singolo alunno.
—11. Lotterò affinchè la scuola sia la scuola di tutti, la scuola in cui ogni studente possa apprendere seguendo tempi e tragitti individuali. Farò in modo che i miei studenti mi scelgano e non mi subiscano.
—12. Aiuterò i miei alunni a illuminare il futuro leggendo il passato e vivendo in pienezza il presente. Li aiuterò a stare nel mondo così com’è, ma non a subirlo lasciandolo così com’è.
—13. Resterò fedele a questi punti in ogni momento della mia azione educativa, pronto ad affrontare e superare tutti gli ostacoli formali e burocratici che si presenteranno sulla mia strada.
 
LE  RAGIONI DEL MANIFESTO 
 
•PERCHE’ I DOCENTI NE ERANO  PRIVI MA NE URGEVANO
•PERCHE’ IL DOCENTE CURA LO SPIRITO DELL’UOMO COSI’ COME IL MEDICO  NE CURA IL  CORPO
•PERCHE’  LA SOTTOSCRIZIONE DI UN MANIFESTO
LIBERA E NON IMPOSTA E QUINDI VERA E NON FITTIZIA
INCORAGGIA E COSTRUISCE  UNA IDENTITA’  CULTURALE
•PERCHE’ IL 70% DI SEMIANALFABETISMO FORSE E’ UN SEGNALE  CHE DICE  CHE IL SISTEMA  FORMATIVO  HA ANCHE BISOGNO DI INIZIATIVE COME QUESTA
 
I PASSI CHE ABBIAMO FATTO
 
–Ad oggi  sono 1019  i firmatari  del Manifesto dopo nemmeno quattro mesi di  vita ( il  Manifesto è stato  presentato al BarCamp  di Venezia il 2 luglio scorso ), e sono   1364  i membri del network dopo un anno  dalla sua  nascita
–Il nostro sito/Manifesto  viene  condiviso  su  DELICIOUSFACEBOOK,  TWITTER …e in tutte le SCUOLE  d’Italia attraverso i suoi stessi aderenti, scuole di ogni ordine e grado
–Il Manifesto  è stato tradotto in diverse lingue  ed è diventato oggetto di riflessione  da parte di altre  realtà scolastiche  con le quali  potranno nascere proficue collaborazioni
 
I NOSTRI OBIETTIVI    IN CORSO
 
•Diffondere capillarmente il Manifesto su tutto il territorio
•Aprire collaborazioni con Istituti e con Università in modo da allargare la rete e farne qualcosa di efficiente e di  radicato
•Diventare un interlocutore/protagonista   della scuola e per la scuola  italiana
 
COSA ABBIAMO  IMPARATO SUL SOCIAL NETWORKING?
 
•10   e più   “regole”
…nel   FORUM INTORNO ALLA NOSTRA  PRESENZA ALLO SMAU ABBIAMO  PARLATO DI  :
•LSCF  come soggetto  collettivo-  plurale
•LSCF  come luogo che nel reale non c’è
•LSCF  come luogo della collaborazione, della  condivisione, della costruzione autentica
•LSCF   come luogo utile
 
1. Quantità per fare qualità 
2.Ambiente  Governato  sul piano  organizzativo
3. e    Spontaneo nei contenuti
4.   Leader schip  Trasparente
5. Valorizzatrice  di contributi spontanei
6.  Autorità mobile
  7.     Attività focalizzata su “prodotti”
8.     Target  e tema  focalizzato 
9.    Identità  riflessa   come Appartenenza
10. e    Autoriconoscimento  
  I  nostri  valori  ossia:
 11.   Le diversità
12.    I moti spontanei
13.     L’utilità 
14.     Alleanza  contro  vs.    Alleanza  per
15.     Mediazioni   vs.  condivisione
firmato
•www.lascuolache funziona.it
Grazie per la vostra  partecipazione
Antonella Dall’Omo
Gianni Marconato
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Dalle slide si può evincere    che  il nostro  discorso  di presentazione  si è distinto in due momenti sostanziali:  quello in cui si è detto  per l’appunto chi siamo, cosa facciamo, cosa ci distingue e cosa faremo…e quello in cui si è detto  quali  sono le regole  che permettono un buon  socialnetworking…
Il nostro piccolo uditorio    fatto   per l’appunto di docenti  venuti a sentire le novità dal mondo scuola   ha assistito  direi interessato e fin troppo attento    a tematiche scottanti e così profondamemnte  attuali  come quella che riguarda lo stato dell’insegnante  nel momento storico che stiamo attraversando.  E’ ovviamente questo che ci ha fatto enormemente piacere,  il vedere  che c’è chi si interessa  in modo reale e non solo virtuale e per nulla  inconcludente   al mondo della formazione,  chi si preoccupa di vendere/recepire/condividere   idee e non solo prodotti  tecnologici  verso  i quali  rimaniamo  fruitori  e non dipendenti,   grati  verso  tutti   quegli insegnanti   che sentono il loro lavoro come un’ effettiva  missione  che ogni docente serio, e ce ne sono moltissimi di docenti seri,   sente gravare su di sè, contro una    politica   che grazie a certa disinformazione  e vilipendio mediatico  ha contribuito a gettare  discredito, prevenzione e condanna  verso una professione  che è il mestiere ,  se non il  più bello (perchè ognuno dovrebbe potere  pensare al proprio lavoro come al più   desiderabile),  senza dubbio   il  più importante    per il futuro della società
antonella dall’omo

 

Tu per me sei importante

Carissimi, oggi volevo parlare con voi  di come il tempo che corre  ci abbia introdotto in una società che sembra avere  superato   i canonici  limiti della temporalità  ed i canonici limiti della spazialità.

Molto spesso quando vado in Facebook, ma non solo,  mi imbatto in articoli    di vario genere  postati  da persone molto molto  valide che sanno d’avere il mondo in mano,  se non proprio il mondo,  il  proprio tempo ed il  proprio  spazio senza   esclusione  di dubbio.

Li guardo, li osservo e di loro mi viene da dire: “Ecco dei giovani  che stanno nel posto giusto al momento giusto,  che cavalcano la tigre nel fiore dei loro anni,  pieni  di  entusiasmo, di sicurezza di sé, di virtù, di potenzialità,  di fermento…”  e concludo che è giusto, che è bello, che per molti  le stagioni arrivano  quando è doveroso  debbano arrivare, probabilmente per la maggioranza  di noi, per chi ha la fortuna di avere  delle storie  familiari  normali,  delle crescite  emotive  e  formative e professionali  nei tempi regolari.

Poi  mi  ricapita  di  rileggerli,  di riosservarli,  non posso dire di parteciparli,  per quanto io posso condividere quello che dicono, ma un conto è condividere,  un conto è farne parte…

Tra loro e me stanno almeno  quindici anni   di distacco, che non sono molti ma nemmeno pochi, sono quasi una generazione;  loro sono giovani sul serio, a pieno titolo,  io sono   un po’  stagionatella,  sì, potrei egregiamente vestirmi  come loro si vestono, confondermi tra loro, persino pensare quello che loro pensano,  ma dovrei  camuffarmi  nelle loro  sicurezze verbali e comportamentali,  e  appunto,  sarebbe solo un camuffamento, alla fine. Quello che io sento non è quello che loro sentono. Loro sentono senza avere nessuna radice,  non hanno nessun maestro, sono come fuochi artificiali  mirabolanti pronti a catturare gli sguardi  di folle inebetite  che hanno bisogno di venire distratte;  io sento  invece con tutte le mie radici,  con tutti i miei  maestri, quelli  veri e quelli desiderati e mai avuti,  sono  non un fuoco artificiale  ma  una piccola luce,  calda, calorosa, vivace,  ma pur sempre piccola, quasi invisibile.

Insomma,  io devo sempre e ancora misurarmi  con qualcuno, con qualcosa, spesso con montagne che sanno d’essere montagne; loro no, sfrecciano come saette pungenti e sicure,  argute, impertinenti  e irriverenti  come solo i giovani  sanno essere.

Io  ho accettato  il tempo  e le sue regole perché l’ho vissuto, mio malgrado e per mio piacere;  chi non accetta il tempo che passa  è un poveraccio che non può avere né passato e né futuro,  mentre io adoro il mio passato,  che sia stato quello che è stato perché comunque  ho cercato  di spenderlo bene, e  non potrei farne a meno,  ovunque io vado, qualunque cosa io faccio, il passato mi segue, ne fa parte;  nello stesso tempo, adoro il mio futuro, perché è nel futuro che io devo e penso  ancora dare la parte migliore di me, è quello che non ho ancora fatto che  cattura incondizionatamente il mio interesse;  infine  mi muovo nell’unico tempo e nell’unico spazio che è concesso  all’esperienza,  ossia  nell’oggi e nel qua,    in questo luogo.

La  rivoluzione tecnologica  ha contribuito  ad allargare  a dismisura   i confini spaziali e le contingenze  temporali. Nell’era del  web  ognuno di noi può comunicare in tempo reale con un presumibile punto qualunque  della terra (per ora ci dobbiamo limitare al nostro emisfero planetario)   e sempre con l’aiuto della  tecnologia  può raggiungere fisicamente    in tempi straordinariamente  brevi ,  spazi  ritenuti solo  cinquant’anni fa  inimmaginabili.

Come non comprendere  la   forma mentis  delle nuove generazioni   definite i nativi   digitali, e dei giovani rampanti  di cui sopra si parlava?  E’  comprensibile  che loro  si guardino d’intorno  ed abbiano a trovare tutto così obsoleto, tutto così ridicolmente  vecchio e superato…E’  vecchia la nostra società  ancora ingessata in schematismi  assurdi  ed imbecilli,  è vecchio il sistema  che continua a triturare con  un movimento ebete  le solite ritrite questioni, è vecchia la nostra scuola  che ancora ripropone i soliti insulsi  programmi ministeriali mentre che gli alunni in classe  hanno la testa altrove, e purtroppo spesso non solo la testa. È vecchia la politica che non trova il coraggio  di denunciare se stessa, di fare il salto di qualità,  assente  di una nuova generazione  che abbia  seriamente la volontà di fare  rinnovamento, di fare progresso, di fare  investimenti sul sociale.

Un  grido  solenne s’erge dalla platea:  “Vogliamo rinnovare quel che non funziona più,  vogliamo  diventare protagonisti  del nostro tempo e del nostro spazio  che invece  ci viene  non tolto, non negato,  ma bloccato,  circoscritto,  ingessato…”

Sono sicura che ci riusciranno, che ci riusciremo a portare a casa qualcosa,  e questa è la prima cosa assolutamente positiva  di questo complesso  discorso.

Allora  cerco  di immaginarmi il dopo,  come potrà  essere  questa società, per esempio tra trent’anni?  Non riesco ad immaginarmi  un tempo più lungo, visto che nei  soli   ultimi venti    i punti di riferimento  collettivi  si sono talmente  stravolti   da  non avere  nessun precedente e nessun punto di paragone che possa aiutarci  in questa delicata e un po’ abusiva  analisi…

La  prima cosa che mi viene in mente,  è che la tecnologia  avrà naturalmente portato  sé stessa all’ennesimo grado,  sì,  ma con quali conseguenze, e con quali vantaggi,  perché è chiaro  che qui si sta sottolineando  la conquista di  saperi  e di espressioni e non  la critica sterile  al progresso che non avrebbe dovuto esserci perché molto banalmente si  stava meglio quando si stava peggio…

Io parto sempre dal presupposto che è il bisogno che  fa  maturare  le scelte,  i cambiamenti.

Di cosa avrebbe   dunque bisogno il nostro tempo per evolversi  e migliorarsi?

Non tanto  di maggiori supporti  tecnici,  di quelli abbiamo compreso  che  l’uomo  ne fa incetta,  che non c’è bisogno di stimolarlo  per  condurlo sulla via  di questo avanzamento;   il nostro innato senso  laborioso  che mentre  che produce  non è obbligato a pensare e trova piena soddisfazione  nella produzione di sé,  avrà sempre  uno cento mille  uditori  pronti  a plaudirlo;   così  che possiamo  già concludere  fin d’ora che  senza dubbio la lunghezza della vita media si sarà allungata,    e che avremo sconfitto altre forme varie  di malattie,  e che avremo  scoperto un modo di far partorire l’umanità  il più possibile senza dolore, a dispetto di  quel monito antico divino  che recitava  inquietante “Partorirai tra grida  e lamenti…”.

E poi ancora,   ci sarà più di  tutto per una buona fetta  di tutti noi,  i mondi oggi ancora nel solco  dell’arretratezza   saranno senz’altro anch’essi un po’ meno  arretrati;  credo  che si sarà  anche in qualche modo  maturato  il senso  di  appartenere  tutti  ad un solo genere, per cui il sogno di Einstein che voleva un mondo   libero da ogni pregiudizio e da  ogni   prevaricazione di sorta non dico che sarà oggettivo  ma quantomeno svincolato  da certi tabù ancora  vagamente  assillanti.

Non perseguiteremo senza venire   perseguiti   i gay   o i diversi di  qualunque  grado, perché ci saranno leggi esplicite e severe  ad impedirlo;  saranno sempre più condivise le pari opportunità  e le uguaglianze di diritto;  le costituzioni nazionali  dei paesi democratici (sempre maggiori)   non saranno più solo fondate  sul lavoro  ma anche sul diritto alla felicità,  diritto  fino ad oggi sempre tenuto ascritto al privato  e mai al pubblico.

Ci saranno piani di difesa internazionali  sempre più  consolidati  nella garanzia  alla  tutela  della pace,  l’uso della tortura  sarà bandito  persino  dalla Cina  che credo  in vent’anni  troverà il modo  di fare i propri  conti  anche con il proprio  passato. Il  terrorismo islamico  sarà  ancora una minaccia  ma  sempre  più  combattuto  con tutti i mezzi  informativi , strategici, diplomatici e   militari.

Saranno stati fatti notevoli passi avanti contro  la lotta all’aids, e contro la pratica indegna  dell’infibulazione, e contro la pratica disumana  della dilapidazione , e contro la vergogna dello stupro  e dell’abuso all’infanzia…

Vivremo allora  in  democrazie finalmente diventate  mature ed equilibrate?

No,  questo no;  per questo non bastano trent’anni, ma nemmeno  duecento, ma nemmeno  mille…e teniamo conto che queste evoluzioni saranno raggiunte inevitabilmente    al prezzo di scontri e di lotte e di conflitti  anche  gravi…

Gli assassini continueranno ad esserci, come i ladri, come   i parassiti,  come i corrotti, come  i mafiosi,  stirpe  di  uomini incalliti  che  non avendo regole  non hanno neppure alcun freno  alle loro azioni, quindi  non hanno nemmeno  morbi interni  che minaccino la loro sopravvivenza.

I miglioramenti  maggiori  verranno dalle fasce più deboli,  quelle che hanno tanto da guadagnare e poco da perdere;  dopotutto sono sacrosante leggi di natura,   è il più affamato che corre al tavolo   per primo (quando ce l’ha un tavolo a cui sedersi),  a dispetto di chi si tronfia  della sua  opulenza  o del suo non bisogno  che lo fa tenere nelle ultime  postazioni della fila, dimentico che l’immobilismo dovuto alla pigrizia  non ha mai premiato nessuno.

La  questione israeliana  a dispetto di tutto questo pur  cauto  ottimismo  non sarà invece ancora stata risolta. Si può immaginare un maggiore stato di tregua,  di capacità  di convivenza,  nessuno più  parlerà impunemente  di  non diritto di Israele ad esistere,  però  saranno ancora  sempre aperti   certi problemi di carattere  politico-territoriale.

Credo che questo sia il conflitto  di tutti i conflitti, il dolore di tutti i dolori, la guerra di tutte le guerre,  e come già  ho avuto  modo di asserire altrove, quando in Israele ci sarà pace, il mondo sarà finalmente salvato.

Chi pensa ancora oggi  che  Israele sta là, lontano da noi, e che i problemi degli altri non centrano nulla con i propri, e che si può stare sul proprio pezzo  di terra come se fossimo cellule  isolabili ed isolate,  e che è peggio per chi non vuol fare come dovrebbe se continua a poter decidere quello che vuole a casa propria,  o che al contrario  si possa andare a casa altrui  a dettare legge quando  non   rispettiamo nemmeno le leggi a casa nostra….tutti questi individui pensano male.

Siamo veramente ormai un mondo unico, e vorrei sapere parlare tutte le lingue  per potere capire  i pensieri  di chi pensa  senza bisogno di averli tradotti, e vorrei  con la  scoperta   di una lingua  che  sta  nascosta   sapere farmi intendere  e vedere gli altri che si comprendono,  che si rincorrono, che si dicono perché questo occorre dirsi : “io ho bisogno di te,  tu per me sei importante…”

Racconto perchè sono diventata filosofa

 

Quando  ero ragazza  non mi pesava andare a scuola, non mi è mai pesato stare sui libri, leggere, scoprire cose nuove, pormi delle domande,  perché la mia natura è senza dubbio curiosa e riflessiva.

Al magistrale pensavo:  “Potrei portarmi il letto da casa  e dormirei volentieri qui, perché qui gira il mondo, qui è il centro del movimento…”

Erano gli anni 70, anni caldi, anni terribili; forse questa mia serietà  caratteriale mi ha tenuta lontana dal finire in qualche  movimento  pericoloso  che a quel tempo non era difficile  incontrare ma mi ha anche

“ impedito”  di potere iscrivermi a Brera per coronare le mie qualità  artistiche.  Mia madre,  santa donna ma che del mondo non capiva nulla,  temeva per me,  temeva potessi finire in qualche giro di droga o di perdizione…ed io sono stata troppo ubbidiente  per sapermi ribellare.

Come tutti i bravi giovani del mondo,  da adolescente al massimo  ho sognato, sognavo  di fare o l’attrice o la cantante, insomma dei lavori   creativi, che sapevano stimolare la mia fervida  fantasia ed immaginazione.

In me non vibra la linfa del genio,  ormai su questo mi sono rassegnata, che altrimenti non ci sarebbe stato incidente di sorta o  destino  recondito   che m’avrebbero  potuto  tenere lontano  dall’essere e dal fare   quello che amavo e che amo sempre,   ma  una  cosa  devo comunque riconoscermela, a dispetto di ogni cattiva ventura:  alla fine  quello che uno è e pensa e vuole  viene fuori,  forse ci vorrà per alcuni più tempo,  forse  certe cose nel cammin facendo vengono anche irrimediabilmente perse, ma che centra, che importa perdere le briciole o se si vuole anche tutto l’antipasto…?  L’importante è essere al tavolo della festa  quando arriva, io credo, almeno  la torta.

C’è sempre tempo per dire: “Adesso ci sono anch’io…”

Mi rivolgo  ai giovani che   si sentono già vecchi e non riescono a spiegarsi il perchè,  o ai non più giovani  che  credono  d’avere sacrificato inutilmente  gli anni migliori al servizio di qualcuno che a malapena  ricordava   il loro nome,   o   ai vecchi  che non hanno mai vissuto una vita vera  e  che non hanno nessuna intenzione  di farsi  mettere  da parte  solo perché la loro data anagrafica così lo chiederebbe.

Ragazzi,  siamo tutti nella stessa barca. Rifiuti dell’umanità ribellatevi?  No,  certo che no,  non rifiuti dell’umanità  ma   esseri  semplici   che fino ad oggi siete semplicemente stati per le più varie ragioni  in silenzio,  fate da oggi  sentire la vostra voce.

In genere,  i  giovani  hanno a loro vantaggio una montagna di energia  di cui    certamente un fisico  che comincia  ad avere accumulato qualche decade  di  lavoro  si trova a dover   difettare,  ma questi ragazzi  ormai  attempati  possono avere   dalla loro  qualche cellula cerebrale  più  collaudata  e  dunque   possono riuscire  a sopperire  alla mancanza di  dinamismo fisico  con  la presenza  di dinamismo intellettuale (sempre che il loro cervello  abbia saputo  non solo svilupparsi  ma  educarsi  all’esercizio  della  riflessione). 

Poi ci sono quelli che anche da giovani  hanno  qualche problema  non solo di rendimento  fisico  ma soprattutto di  rendimento  mentale,  e    questo è un altro  discorso,  è  il problema  della società  che non educa, della religione che è morta  nel senso  che non è viva  dove dovrebbe vivere,   e    della politica che è corrotta…

Sempre in genere,  non parliamo poi dei vecchi che sono diventati le vere superstar  della    nostra bella società,   loro che ormai sulle soglie della pensione riscoprono quanto è bello tornare a vivere  ed avere di nuovo tanto tempo a disposizione per sé, loro che scoprono  di non avere nessuna  intenzione di lasciare la cadrega,  ossia il loro diritto  di stare nel mondo, di avanzare  il loro spazio e tutto il resto,   a dispetto  di chi  quel posto, sinceramente, potrebbe occuparlo a maggior titolo…

Quando sento parlare  di vita ultracentenaria  garantita per tutti mi vengono i brividi; io amo la vita, e non ho particolari problemi  verso nessuna fascia  del genere umano,  ma c’è una categoria (forse più di una)  che mi fa  per istinto  irritare: è la categoria di quelli che  quando incontrano il prossimo dice loro con aria pia  e sottomessa “Prego il Signore che mi faccia morire  perché  intanto ho già vissuto abbastanza…”  e poi in realtà pensano “Tutti devono crepare prima di me,  almeno la soddisfazione  di vedermeli passare davanti,  nella loro fossa…”

Come  sarebbe  bella l’umanità  che dice sempre quello che pensa, non lo trovate? E se proprio non può dirlo che almeno sappia tacere!  Ma  forse è più divertente scoprire  quanto noi uomini sappiamo essere mendaci,  che altrimenti   con troppa trasparenza  in circolo   la filosofia  potrebbe finire  in soffitta…

Partiamo allora dal punto primo sopra esposto: la società non educa, e perché non educa? Perché non investe sulla cultura. E perché non investe sula cultura? Perché  è governata da logiche di puro profitto. E perché è governata da tali logiche?  Perché ci sono i monopoli dei grandi business e dei grandi marketing…e la politica  è solo un luogo dove andare a fare scempio del denaro pubblico,  e la religione  rimane  una questione  molto molto  privata  che agisce  nel privato dei singoli,  come è giusto che sia.

In tutto questo scenario  l’unico  dato che mi sembra positivo  è proprio quello  del dover confermare che la religione è sì non solo morta,  ma anche sepolta,  se per religione  si vuole  intendere  quel tempo in cui   la chiesa teneva soggiogata l’umanità  nel dire ad essa cosa doveva pensare, cosa doveva votare, come doveva fare sesso, perché si doveva sposare,  perché doveva accettare di soffrire e così via…

Proprio per questa sua insopportabile   invadenza  e per questa sua arroganza e per questa sua  onnipresenza  non richiesta e non gradita,  il mondo moderno  ha degnamente  saputo metterla a tacere.  Non che  per questo luna parte di essa   oggi abbia  a sentire la nostra mancanza, giammai, piuttosto  questa parte    avrebbe solo un grande piacere  che si potesse tornare correndo tra le sue amorevoli braccia  piagnucolando  “Quanto avevi ragione, noi siamo cattivi  e solo tu ci sai governare…”

E invece il mondo reale, questo nostro cazzutissimo  mondo  pieno  di morte e di lordume di ogni genere,  com’ è rassegnevole   che sia,  non ha nessuna  intenzione di correre  dalla mamma,  visto  che  le madri o si amano perché sanno farsi amare, o  si ammirano quando si impara a conoscerle,    o si detestano  incondizionatamente.

Quando dico rassegnevole, intendo dire  che occorre essere obiettivi; ma un conto è la rassegnazione, un conto  è la resa.  Posso rassegnarmi  a che un assassino  tale rimanga per il resto della sua vita, ma non per questo mi devo arrendere all’idea che ogni uomo sia  o possa diventare  un assassino.

Dunque  ecco il ruolo  straordinariamente  vitale della filosofia oggi;  come  da una lente di ingrandimento   vengono osservati  attraverso di essa  i vari pezzi  della questione,  magari smontati  per poterli  analizzare meglio.  Essere filosofi non è che essere osservatori della realtà, così come lo scienziato osserva la natura nelle sue leggi fisiche, meccaniche,  dinamiche e via discorrendo…

Quando  mi sono iscritta all’università  non ho pensato per un solo istante a un bel corso di economia, o di lettere, o di storia, o di ingegneria (per l’ingegneria non mi avrebbero nemmeno ammesso  visto che nessuno ha saputo farmi amare la matematica, che invece credo sia una scienza  straordinaria) ,  tutte materie  interessantissime  e pregevoli,  ma a mio avviso  ancora troppo specifiche e circoscritte.

Ho pensato al sapere di tutti i saperi, ossia  a cosa  porta l’uomo  al pensiero e cosa porta il pensiero all’uomo.  L’uomo  va al pensiero  per il suo innato bisogno  di sapere il suo senso  ed il pensiero sta nell’uomo  perché oltre la materia  di se stesso, destinata alla fine,  sta in lui  il suo desiderio  di sopravvivere  alla morte.   Quindi  in poche parole  sono diventata filosofa perché amo l’immortalità.

Oggi credo che grazie a questa mia scelta speculativa strettamente legata alla sua scienza gemella, ossia la psicologia,  io possa essere in grado, meglio di ieri,  di governare  il mio mondo   e di inserirmi nel governo  del mondo. Credo che il pensiero  non abbia mai ad invecchiare; è l’unica  forma di  espressione umana  non sottoposta  alle leggi  impietose del tempo.

Ciò che mina le facoltà mentali  degli anziani non è il pensiero invecchiato  ma il loro  cervello ed il loro sistema nervoso   a  rischio  di  involuzione  e di indebolimento,  e non certamente  la limpidezza  della  forza  speculativa   che non conosce  arresti  fisici  di sorta  essendo lei stessa  afisica,  distaccata  dal  contingente.

Come altrimenti spiegare l’assoluto vitalismo di esseri che pur nel totale immobilismo hanno una vita cerebrale  florida  ed incontenibile?  Mi si dirà che sono un’eccezione  che  confermano la regola   e   che l’uomo medio  vuole per sé  la normalità  e non la  straordinarietà,  tuttavia  è l’eccezione  che detta i principi  e non certamente il contrario.

Oggi  mi posso  sentire e ritenere  senza più fardelli.   Senza più zavorre.

I fardelli e le zavorre sono stati un lungo periodo  che mi hanno  impedito  di  voleggiare,   come mi hanno  temprato  nel carattere  e nel  sapere  dare il giusto  peso  alle cose.  Nulla è perduto.  Tutto ritorna utile. 

Ma è la leggerezza,  è la libertà  liberata  che mi fa conoscere e mi farà riconoscere  i vitalismi  e le volontà  costruttiviste  degli esseri,  comprese  le mie.

Un pò di pietoso rispetto per Sarah

 

E’ di questi giorni un fatto di cronaca terribile, l’uccisione e la violenza libidinosa esercitata sul povero corpo ormai privo di vita di una ragazzina di quindici anni,  Sarah  Scazzi, avvenuto  in un piccolo paese del nostro sud.

Il mostro è stato, come nel più classico degli orrori, lo zio, lui stesso padre di altre due figlie più o meno della stessa età.

La sfortunata è stata seppellita di fronte ad una folla oceanica di gente, compaesani e non, che sono voluti andare, vuoi forse anche per miserevole curiosità ma spero   soprattutto per umano rispetto , ad onorare questa giovane salma, giovane vita spezzata con il peggiore dei delitti, la più allucinante delle colpe.

Di Sarah i media nazionale ne parlavano ormai da oltre quaranta giorni, ossia da quell’infelice pomeriggio  d’agosto in cui la giovane si stava recando proprio dalla cugina  per andare al mare.

Sarah era bella, solare, ed era innocente, ingenua, ignara delle brutture del mondo; certo non era una che se interrogata su certi temi non avrebbe avuto le sue ben precise risposte, era esattamente come tutte le ragazzine di oggi che vanno su Facebook, che hanno i loro sogni  per la testa, con certo tanta fretta di crescere, di far vedere che dietro la loro giovanissima età ci sono comunque dei caratteri,  delle adolescenti che stanno per diventare donne…

Su FB aveva anche scritto frasi che senza dubbio  esprimevano un desiderio acceso di lasciare il proprio piccolo borgo, sentito come una piccola prigione che avrebbe impedito a chicchessia , ma soprattutto ad una giovane che si vuole proiettare   nel mondo, di crescere, di fare esperienze nuove, interessanti, meravigliose, che solo una nuova città ed una nuova vita avrebbero reso possibili. Forse.

Ma Sarah avrebbe dovuto parlare, avrebbe dovuto confidarsi con qualcuno, avrebbe potuto allarmare così le persone che le volevano bene di quanto lei fosse in pericolo, salvandosi così la vita. Lo zio era recidivo, aveva già cercato di abusare di lei, ed aveva comprato il suo silenzio con qualche spicciolo, come si può fare con il bambino della vicina di casa, testimone involontario ed occasionale di qualcosa che non avrebbe dovuto vedere.

Ed invece questa figlia del suo tempo, ma anche figlia del nostro, di tempo, non sì è confidata, e se l’ha fatto è stato con la persona che non ha saputo aiutarla, salvarla,  perchè l’informazione l’ha tenuta per sé, mascherandola e facendosi così complice dello sciagurato assassino che in un pomeriggio d’agosto in una mezz’ora di follia si è distrutto l’esistenza, non solo la propria, non solo quella di Sarah, ma anche quella dei propri familiari  e di qualche altra famiglia ancora…

Questo paese, Avetrana, ormai entrerà nella memoria collettiva come il paese di Michele Missari che ha prima strangolato e poi violentato, da morta, il povero corpo ancora adolescente di una giovanissima  ridotto alle fattezze di una squallida  preda intrappolata  nell’orditura  oscura e folle di una tela.

In televisione per tutti i giorni che hanno interessato la sua scomparsa si è visto di tutto, a riguardo di questo volto: Sarah che balla, Sarah che ride, che gioca, che si trucca come una donna adulta, giocando con la sua voglia di crescere, che canta, che sorride, che parla con i suoi grandi occhi sgranati di chi sta appesa al mondo come un bambino fattosi quasi grande che guarda impaziente fuori dall’uscio di casa…

S’è  anche detto di tutto; che non andasse d’accordo con la madre, che avesse litigato con gli amici, che fosse la povera Cenerentola di casa, che se ne volesse andare dal paese, anzi, che era stata vista di là, di qua, di su , di giù….dove sarebbe senz’altro stato preferibile lei fosse davvero scappata, finita, per il suo bene.

Nulla di vero. Per tutto questo tempo infinito questa bambina, perché questo era ancora dopotutto, è rimasta sola, morta, nuda, infreddolita, violentata, profanata, tumefatta, decomposta, ridottasi irriconoscibile, in fondo a uno squallido pozzo a poca distanza dalla sua casa e dalla casa del suo assassino.

Ma l’orrore non finisce qui; la povera madre che non ha mai voluto credere all’idea che fosse addirittura stata uccisa, l’ha cercata fino alla fine, l’ha chiamata fino alla fine, l’ha invocata fino all’ultimo istante, l’istante in cui davanti al mondo, in una maschera di sconcerto e di dolore, ha saputo pronunciare solo un fievole   no, apprendendo in diretta l’ incredibile  quanto  tamburellata  notizia della sua vita ritrovata spezzata.

Anche di questa madre nel frattempo qualcuno tra i più superficiali   avrà  chiacchierato cose strane, cose sospette; che potesse avere una doppia vita, che non sapesse capire la figlia, che fosse equivoca, e magari solo  perché  appartenente  a quella diffusa  setta religiosa che si fa chiamare   I Testimoni di Geova.

Come è facile finire “chiacchierati   e sospetti ” per il mondo;  da anonimi siamo ancora e sempre noi stessi, ma basta andare su un giornale per vedersi storpiata la propria unica e privatissima esistenza. Non mi sto ovviamente riferendo a chi fa dei media il proprio strumento di lavoro o di mercificazione…

Al funerale lei, la madre,  è arrivata dopo, non credendo nel rito funebre cattolico; il grande paese per un giorno si è trasformato in una grande chiesa, dove tutto un popolo si è ritrovato unito a porgere l’ultimo affettuoso abbraccio alla loro cittadina, per un giorno diventata la figlia di tutti.

Anche la  gerarchia  ecclesiastica  per questo giorno speciale, ha dato un nulla osta   speciale; potere celebrare il rito religioso per un’anima che non aveva ancora ricevuto il battesimo ma che l’avrebbe accolto  tra poco, al compimento dei suoi diciotto anni, come lei stessa aveva già dichiarato di   intendere.

Questo piccola riflessione  non ha lo scopo di documentare i fatti che possono essere di per sé riconsultati e rivisti  per l’ennesima  volta su qualsiasi  pagina di internet,  ma ha lo scopo di porsi e di porre delle domande  che riterrei   urgenti  se non sconsolanti:  come possono accadere  queste disgrazie  in un paese come il nostro   che non è esattamente  l’ultima  delle frontiere  dell’inciviltà?  Come può essere  che i familiari di  Michele  Missari  non si siano accorti di nulla e non abbiano saputo dare l’allarme? Come può essere che se Missari  non avesse deciso di farsi prendere,  di farsi trovare,  è probabile che il corpo di Sarah  magari sarebbe rimasto  celato  nel tempo  per chissà quanti  anni,  lasciando impunito il suo  o  i  suoi  colpevoli? Cosa scatta,  in apparenza  improvvisamente , nel cervello  di un uomo  che per il mondo, per la sua famiglia  è stato  fino a quel momento  per tutti  una persona  normale,  tanto da trasformarlo  in un essere  indefinibile,  allucinante,  degno soggetto  della più   inquietante   indagine  psichiatrica?

La   stessa famiglia non fa che ripetere  che Missari non è pazzo,  che Missari  ha semplicemente sbagliato  e che dovrà pagare per il resto della sua vita.  Tutti sappiamo già che questo  “resto della vita”  potrebbe  venire  tra  alcuni anni  rivisto…ma non tutti  ci rendiamo conto  che  non è  civile, che non è giusto  sentenziare  su quest’uomo  (perché haimè,  un uomo rimane)   frasi del tipo: “Dovrebbero darti in mano agli ergastolani, loro saprebbero cosa farti”

In tutta onestà  non  riesco  a migliorarmi   aggiungendo bestialità a bestialità, sarò fatta male, sarò una imbecille, sarò da commiserare,  ma  non mi farebbe stare meglio questa eventualità,  questa  soluzione.

Per quanto riguarda  la psichiatra,   ancora  deve dirci  il suo punto di vista, ma anche qui, per essere sincera,  credo che ognuno di noi si sia già fatta la propria di opinione;  o siamo tutti dei possibili criminali,  o  la scienza  della mente  non serve a nulla, perché non ha saputo  fermare questo  “malato”, non solo non lo ha saputo fermare, ma non lo ha nemmeno saputo  individuare, riconoscere, curare…

Sarà  senz’altro così,   ma l’idea  che le nostre vite, i nostri  equilibri, le nostre normalità  possano finire  per chiunque in un istante,  per la più  bestiale  delle ragioni,  o per la   più antica  delle colpe,  come l’invidia,    non  ci deve lasciare  molto  tranquilli né soprattutto  indifferenti.

Libera SCIENZA in libero STATO

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La  Chiesa  attraverso Papa  Giovanni Paolo  II  ha da poco chiesto scusa per il delitto  Galilei,  che nuovamente ci ricasca…

Da   Radio Vaticana

”     “Inaccettabile soppressione embrioni”. A Radio Vaticana, Lucio Romano sottolinea “l’inaccettabilità delle tecniche di fecondazione in vitro, che comportano la selezione e soppressione di esseri umani allo stato biologico di embrioni”. “Teniamo conto – spiega il professore ai microfoni dell’emittente del Papa – che Edwards segna la storia, perché pratica il passaggio delle tecniche dal mondo degli animali all’ambito umano. Vale a dire dove, nell’applicazione degli allevamenti, venivano già da tempo messe in essere tecniche di fecondazione artificiale. Ma questo non significa assolutamente che ciò, nel suo complesso, rappresenti un progresso dell’uomo nella sua visione globale”. Secondo l’esperto interpellato da Radio Vaticana, il Nobel per la medicina “è un premio che deve essere assolutamente preso in considerazione in ragione di un’analisi anche di ordine etico”, mentre quest’anno “attraverso un’assegnazione così decisa del premio stesso, viene a disattendere tutte le problematiche di ordine etico ad esso connesse”.   ”
così si legge su  Repubblica  a proposito  della condanna  ecclesiastica sulla fecondazione in vitro.

L’opinione di  padre  Gonzalo  Miranda

“Strumentale ridiscutere Legge 40”. Sul tasto dell’etica batte anche padre Gonzalo Miranda, docente di bioetica all’università Pontificia ‘Regina Apostolorum’ a Roma. Per il quale, la fecondazione in vitro “lascia aperti molti dubbi, a partire dallo spreco di vite umane che si realizza con gli embrioni, spesso prodotti già in partenza con lo scopo di non far nascere” bambini. Ecco perché, “Edwards non meriterebbe certo il premio Nobel all’etica, semmai ce ne fosse uno”. Ma ci sono altri punti controversi, secondo padre Miranda, che non devono essere “offuscati dall’assegnazione del Nobel. Ad esempio, i figli devono essere il risultato di un atto d’amore non di un atto medico”. E ancora, perplessità “sulla diagnosi preimpianto nonché sul congelamento degli embrioni, vera e propria patata bollente che fa desistere dall’andare avanti molti professionisti del settore. Si tratta di milioni di embrioni crioconservati che non sappiamo che fine facciano”. E su chi ha sollevato dubbi in queste ore sulla Legge 40, invitando governo e legislatore a riaprire il dibattito sul provvedimento, “si tratta – a detta del bioeticista – di una polemica strumentale. Una società moderna e sensibile come la nostra deve fissare dei paletti. L’embrione non è semplice materiale biologico e va garantito il suo diritto alla vita, esattamente come la Legge 40 tenta di fare”.

L’opinione  di monsignor  Carrasco

“Irrisolto problema dell’infertilità”. Monsignor Carrasco elenca le ragioni della sua opposizione al Nobel a Edwards. “Innanzitutto, senza di lui non ci sarebbe il mercato degli ovociti con il relativo commercio di milioni di ovociti. Secondo, senza Edwards non ci sarebbe in tutto il mondo un gran numero di congelatori pieni di embrioni che nel migliore dei casi sono in attesa di essere trasferiti negli uteri, ma che più probabilmente finiranno per essere abbandonati o per morire. E questo è un problema la cui responsabilità è del neo-premio Nobel”. Infine, sottolinea il presidente dell’Accademia per la Vita, “senza Edwards non ci sarebbe l’attuale stato confusionale della procreazione assistita, con situazioni incomprensibili come figli nati da nonne o mamme in affitto”. “In conclusione – afferma Carrasco – Edwards non ha in fondo risolto il problema dell’infertilità, che è un problema serio, né dal punto di vista patologico né epidemiologico. Insomma non è entrato nel problema, ha trovato una soluzione scavalcando il problema dell’infertilità. Bisogna aspettare che la ricerca dia un’altra soluzione, anche più economica e quindi più accessibile della fecondazione in vitro, che tra l’altro presenta costi ingenti”.

Ho riportato  il testo integrale  delle  opposizioni del Vaticano  pubblicate su   Repubblica     perchè si abbia poi la possibilità  di   valutarle obiettivamente.  Vediamo come:

La  chiesa ci dice:  

  • Vengono sprecati un mare di embrioni e questo è un olocausto di possibili nascituri
  • e   la scienza rimanda : quando   l’ovulo   fecondato    inizia  per la scienza ad essere considerabile   una persona?  Vedasi l’articolo su    Quando inizia un nuovo individuo

 

  • Non c’è nulla di etico in questa scoperta  scientifica 
  • e   la scienza risponde che  si cerca solo di permettere   in un modo   assolutamente  controllato,  il concepimento  di figli  là dove  ogni altro tentativo  normale è andato  fallito, e questo anche nel rispetto di uno dei comandamenti  divini che invita   espressamente  alla procreazione e alla  moltiplicazione della specie

 

  •  Non  viene  in questa maniera migliorata la vita  
  • e   la scienza risponde a nome di tutte  le donne diventate madri che grazie all’opera di questo scienziato  loro  hanno assolutamente avuto la vita migliorata,  assolutamente in bene, e non solo loro, ma anche  i loro stessi figli che oggi sono adulti che a loro volta sono diventati madri e padri felici  che non hanno avuto bisogno di ricorrere a nessun aiuto  scientifico  per coronare il loro desiderio di fertilità

 

  • la  riproduzione dev’essere frutto di un atto  d’amore
  • e   la scienza risponde che è per amore  dell’uomo e della sua felicità  che   è stata fatta  questa  scoperta come  sempre per lo stesso principio se ne faranno altre…

 

  • l’embrione viene a tal scopo congelato che è una prassi per sè   antinaturale
  • e   la  scienza risponde che lo fa per dare spazio ad una nuova vita che altrimenti non  verrebbe mai alla luce, e non c’è nulla di innaturale  nel volere arrivare  all’atto  riproduttivo  con tutti i mezzi possibili  purchè  legittimi  ossia disciplinati da una  legge

 

  • questo premio nobel non fa che gettare  ulteriore confusione nel mondo della procreazione assistita che ha già dato spazio a situazioni al limite della tollerabilità  (nonne madri, uteri in affitto…)
  • e   la scienza risponde  che  non è mai      lo strumento pericoloso per sè, è sempre chi lo usa e come lo usa, allora sarebbe pericoloso anche   andare in macchina visto che esiste una buona possibilità di subire un incidente,  ma non per questo  l’umanità  chiede di tornare  all’età della ruota…

 

  • questa scoperta non ha risolto il problema  dell’infertilità
  • e  la scienza   risponde  che    ancora milioni di malattie  sono rimaste incurabili ma non per questo l’uomo rinuncia  a trovare soluzioni alternative,  anzi,  sono i tentativi della ricerca  che produce quando meno te lo aspetti scoperte così rivoluzionare  da  farci capaci  di debellare quello che solo  un momento prima   era ancora definibile   impensabile;     quando  Galileo  Galilei  andò asserendo quello che sosteneva solo per vedere quello che c’era da vedere e per ragionare quello che c’era da ragionare ,  tu Chiesa  hai  urlato allo scandalo, all’abiura,  alla vergogna,  condannando un uomo  geniale    che amava  Dio  e che amava il sapere del creato come Dio lo aveva fatto,  ad una vita di miseria, mortificazione, degrado, solitudine   ed infamia. Non sei forse tu contraddittoria  che  accusi il nostro piccolo conoscere di non essere abbastanza capace, quando però  chi in passato ha mosso i primi passi in questo senso tu lo hai  ridotto al silenzio come ancora stai cercando di fare  non appena ti accorgi  dell’autonomia del mondo  dalla tua  mai  abiurata    presunzione di poterlo controllare e dominare?

 

Allora siamo noi, uomini e donne che vogliamo diventare padri e madri senza infrangere nessun regolamento etico, ad avere delle questioni da presentare a questa  Chiesa  che continua di fronte al progresso ad essere ceca ed ostile nel  momento in cui  la  scienza libera dalla sofferenza e dai limiti apparenti  di una   natura  che non funziona come dovrebbe funzionare:

  • perchè Chiesa  non accetti l’intelligenza umana  di sapere fare dei progressi, accettandoli solo quando secondo il tuo parere  non vanno ad infrangere  l’equilibrio della natura, scambiando per disordine e  immoralità   quello che è soltanto un rimedio meccanico  a una macchina vivente  che dimostra  di non funzionare come Dio avrebbe nella sua bontà  idealmente   disposto?

 

  • perchè  Chiesa non accetti che gli esseri umani conquistino la felicità con tutti i mezzi loro concessi, compresi la sperimentazione scientifica  che non va a priori  ad oltraggiare nessun equilibrio precostituito  esistente se non nei pregiudizi mentali?

 

  • perchè  Chiesa vuoi rimanere chiusa a quelle che sono le richieste legittime e comprensibili  di chi vuole coronare il proprio sogno di  maternità e di paternità, sostenendo  che  il rischio di errori e deviazioni è maggiore dei benefici  che se ne possono ricavare? Ma tu Chiesa come fai a giudicare l’esigenza della maternità visto che ti sazi di uomini e di donne  votati/e  alla castità per cui  essi stessi   si autoprecludono, per   tua  prima precisa  esigenza e volontà,  alla procreazione?

 

  • perchè Chiesa non riconosci una volta per tutte l’autonomia del sapere, l’autonomia  del volere umano, il libero arbitrio  dell’uomo  che già  ti è costato scismi ed inenarrabili  sofferenze  di popoli  e di innocenti  di cui dimostri di non avere   ancora compreso  l’errore, se non in sporadici e  non condivisi  momenti  di  autoammenda  da parte di soli alcuni tuoi membri  appartenenti  alla  tua  comunità di eletti, membri che osanni quando ti fanno comodo e che torni ad ignorare nel momento in cui ti disturbano?

 

  • perchè Chiesa pretendi nell’era della sofisticazione tecnologica  di pontificare  sulle faccende  della vita ordinaria, della vita secolare,  come se ne avessi   ancora l’autorità, come se ne  avessi ancora l’investitura,  ignorando le tue  ben più gravi malattie e deviazioni   interne  alle quali non hai mai saputo e voluto adeguatamente  porre rimedio?  non ritieni  di diventare ridicola? o forse credi che il tuo immenso potere temporale  e secolare che certamente tu conservi ti diano l’autorità  di dettare legge, di scomunicare e di inveire contro i poveri mortali  che da te sono certo messi al  bando ma che solo a Dio spetterà di giudicare?

 

Cari amici, io amo la Chiesa,  ne parlo in questi termini proprio perchè so che lei è imbattibile, che lei risorgerà sempre dalle sue macerie, che lei è la prediletta del Signore che sta nei cieli ma anche tra gli uomini che soffrono, come tutti noi, e che lei in quanto fallibile, può fallire;  ne parlo in questi termini perchè io non posso  certo  nuocerla, per una poverella che  la richiama   alle sue responsabilità  ci sono mille e mille voci corali pronte ad osannarla, a rivestirla d’oro, ad incensirla con ogni genere di lode; una Chiesa così  forte dunque può sopportare tutto, anche che la si critichi, che la si  contrasti, perchè la mia voce non è che  il solletico irrisorio   al suo piccolo  mignolo;    lei, immensa  e maestosa  nemmeno lo percepisce.

E’ la scienza che io mi sento portata a difendere, invece, perché è lei la più debole, è lei la più bisognosa, è lei più in pericolo;  io non sono una scienziata, che di  cose  chimiche e fisiche e meccaniche  ci capisco poco o nulla…ma so solo  che   quando sto male è la scienza che mi cura,  e quando ho freddo, è la scienza che mi scalda, e quando ho fame, è la scienza che mi nutre, e quando vorrei diventare madre e non ci riesco, è la scienza  che mi soccorre, come può, al meglio delle   sue migliorabili possibilità.

La  scienza non è che il mio cervello  che mi indica la via;  il cervello ci è  stato dato proprio perchè possa essere usato, e non al trenta per cento delle sue possibilità,  ma nel pieno delle sue  facoltà  ed aspettative.

E  dunque,  se la Chiesa sta immobile  perchè questo è il ruolo incomprensibile   che si è  cucita addosso,  bene, noi lo rispettiamo,   ma   la  scienza cammina e l’umanità  con essa;  sia dunque  viva  allora   una  libera  Scienza in un  libero Stato.

Ha solo una gamba, facciamogli l’altra

Dunque, vediamo di fare il punto della situazione.

Partiamo dall’ultima notizia: occorre ribadire, per chi ancora non l’avesse capito,  che  i tagli alla scuola  hanno gravemente ridotto il personale di sostegno nelle classi.

Eclatante la recente  testimonianza   della mamma  che  dichiara  d’essere costretta ad andare  in  classe  con il figlio disabile perchè altrimenti il ragazzo non avrebbe nessuno disponibile ad accompagnarlo in bagno.

E non perchè si sia perso il lume della ragione, ma perchè  questo incarico o viene ottemperato come si è sempre fatto, da un docente incaricato  per questa assistenza specifica su un programma di lavoro personalizzato, il cosiddetto Piano  educativo  individuale,  oppure in alternativa  per queste specifiche esigenze circoscritte interviene un collaboratore scolastico che  per chi non lo sapesse ancora, sono i famigerati bidelli che non stanno nella scuola solo per pulire le aule ed i bagni dove ogni giorno  i nostri figli  si recano, forse per loro  disgrazia,  ma per assistere gli alunni e per fare sorveglianza.

Ebbene, i tagli hanno inciso in modo  serio sia sul sostegno , che sulla presenza ausiliaria,  che sull’offerta formativa, che sulla presenza docente, ed  infine sulla presenza amministrativa e tecnica del comparto scuola. Il  personale scarseggia, si fa allora quello che si può, mi sembra ovvio.

E’ giusto però che la  gente   lo sappia e non si lasci menare via da cronache  e da slogan   che non dicono la verità. Quelli che non hanno i loro figli nelle scuole private o nelle scuole all’avanguardia,  e che pur mandandoli   nelle    scuole  dello  Stato  vorrebbero un servizio adeguato, devono sapere quello che succede.

In molte scuole i bidelli che sono diminuiti    devono fare l’orario spezzato per garantire    la pulizia dei locali, perdendo l’ennesimo  banale  privilegio che spetterebbe loro da contratto    e questo, cosa ben più grave,    a discapito della stessa sorveglianza. Gli amministrativi che  sono diminuiti   proprio quando il lavoro arretrato del vecchio Provveditorato è ricaduto  tutto sulle loro spalle (vedasi lo  smantellamento degli Uffici scolastici che non svolgono più le funzioni di  direzione centrale),  non possono  garantire al personale, docenti in primis,  la loro Ricostruzione di carriera, che vuol dire che rimarranno senza un adeguato stipendio…;  i tecnici  che sono diminuiti    non possono garantire l’assistenza adeguata   nei laboratori  che si sposta  a  carico del  solo docente che a sua volta ha un aumento di utenza  da soddisfare ed anche minore disponibilità di  supporto  da parte dei colleghi. Insomma, è tutto un giro di boa.

Abbiamo sentito riferirci da ogni dove che  la coperta è troppo corta e che se si cerca di coprire le spalle rimangono scoperti i piedi e così via.

L’altro ieri è arrivata nel mio istituto  una nuova docente proveniente da Napoli alla sua prima assunzione annuale nello Stato. Per lei è un periodo di festa e non di lamenti; ci racconta che per fare punteggio e riuscire ad ottenere  questa sua prima nomina,  ha dovuto lavorare per dieci anni gratis  nelle scuole private della sua regione, perchè là funziona così,  siccome non c’è lavoro  per i precari o ti adatti a fare volontariato  con la speranza di raggiungere la vetta della nomina  annuale,  o rinunci ad insegnare. Ecco che il precario diventa una figura ricattabile, che evidentemente  fa comodo averla così…

Bisogna decidere  una volta per tutte se la scuola   è importante oppure no, se i docenti servono oppure no, se la crisi debba flagellare proprio la formazione insieme alla sanità oppure no, o non debba piuttosto andare a colpire i privilegi  (quelli sì veri, quelli sì insostenibili e scandalosi) di  questa classe di buffoni  che ci governa da troppo tempo.

E non è per dare spago a  Grillo  che non ha certo bisogno della mia piccola voce,  ma  per testimoniare il mio disgusto all’ingiustizia  palese di questo stato di cose.  I  veri privilegiati ed intoccabili da una parte, quelli che  fanno finta di governare, e i poveri cristi  nullatenenti  e nullaparlanti  dall’altra.

Al protocollo arrivano le domande salvaprecari; ognuno ha la sua storia da raccontare, di gente sposata con figli  che  non sa ancora ad oggi, dopo un mese dall’inizio dell’anno scolastico,  se quest’anno lavorerà oppure no.

D’accordo, il sistema scolastico  non è un ammortizzatore sociale, d’accordo,  nel pubblico c’è sempre stato un andazzo  di fancazzismo  che    tra le tante ragioni  ci ha portato  a questa  cattiva  situazione;  ma allora,  se dobbiamo punire i fancazzisti,  perchè punire tutti a pioggia, perchè punire  anche chi ha sempre lavorato con onestà, perchè punire  chi  ha sempre dato alla scuola le sue migliori risorse,  e vi assicuro che ne conosco varia  di questa gente; e perché punire solo la scuola? Anzi , proprio la scuola?

E  mentre che i plessi, i circoli, gli istituti, le università e così via  sono state   prese  a  sprangate (metaforicamente parlando), cosa fa il governo?  E’ tutto riunito in Parlamento a votarsi la fiducia; fiducia per cosa? qual’è l’oggetto del contendere?

Sì,  apriamo  proprio  gli occhi una   volta per tutti.  Ci sono due  realtà di cui un paese civile e progredito  necessita, io credo: di un buono stato sociale  e di una sana piccola imprenditoria   che   possa  svilupparsi  e dare lavoro  (oltre la forza industriale  delle grandi risorse).

Riforma fiscale? riforma elettorale? riforma della giustizia?  si certo,  tutte urgenti,  ma dopo due anni di governo non se n’è ancora vista traccia.

Io personalmente non ci credo più, mi sembra evidente che non siamo non dico nel cuore ma nemmeno  nel cervello della politica, e che là dove ci potremmo stare mancano delle regole, degli strumenti e delle capacità  a farsì che  il paese riesca ad essere saggiamente governato.

La macchina che si occupa di formazione  è un motore assai  complesso.

Facciamo esempi concreti; io sono inserita nelle graduatorie dello Stato come amministrativa di ruolo e come docente non di ruolo; secondo la normativa  posso accedere all’insegnamento solo  ottenendo incarichi annuali, che però in un momento come questo non mi arrivano, visto che riesco ad ottenere solo domande di supplenza   temporanea che non posso accettare.

Sono anche inseribile  in una graduatoria della regione Lombardia come tutor,  ma di fatto la regione   Lombardia  non sta attingendo  a questa graduatoria  fantasma preferendo utilizzare il personale già in servizio  che naturalmente pur di fare di più si rende sempre  disponibile andando a danneggiare chi avrebbe solo alcune limitate possibilità di lavoro.

Sono anche inseribile in  una graduatoria che prevede il profilo dei cosiddetti Vicari, che sono i vice direttori amministrativi,  ma di fatto questa cosa è solo per il momento solo sulla carta (parlo di nuovi profili emergenti ma ancora non disciplinati).

In  tutto questo intreccio di  graduatorie e meccanismi contrattuali, ci si chiede: ma  perchè dare, quando possibile,   a qualcuno troppo lavoro e ad altri niente? Primo problema.

Secondo problema:  la scuola non è un’azienda, non prioritariamente e non solo:  non per nulla sono state conservate  anche dopo l’ingresso del DSGA   le due figure dirigenziali, il cosiddetto Dirigente scolastico, ex preside,  ed il cosiddetto  Direttore dei servizi generali amministrativi, il cosiddetto ex segretario, figura   numero due del quadro direttivo.

Il primo si occupa di didattica, il secondo si occupa di bilancio; con l’Autonomia scolastica  entrata a regime  nell’anno 2000,  la scuola è sì diventata una sorta di  azienda  che deve  rendere conto di ogni sua entrata e di ogni sua uscita,  nel senso che  il controllo fiscale  da parte dell’Ufficio  scolastico e dei suoi Revisori dei Conti   è diventato   di fatto  la sola  cosa  funzionante e garantita, almeno nelle Regioni dove c’è produttività,  dove c’è  la cultura dell’impresa,  dove c’è forza lavoro e dove c’è trasparenza e controllo. Insomma, dove esiste lo Stato.

Ma è ai dirigenti   che io espressamente mi rivolgo; loro non sono contabili, con la contabilità devono sì confrontarsi  ma non arrendersi;  loro  sono ex insegnanti  che smettono di insegnare tra i banchi ma che continuano a farlo da un ufficio, apprestandosi    a  mettersi alla guida  di un  motore  che ha come finalità prima la formazione dei propri alunni. Punto.

Sul territorio nazionale  emerge  una realtà a macchia di leopardo;  territori  di eccellenza  contro territori, la scorsa  citata realtà  campana,   di degrado  e di oscurantismo generale.

La tendenza scaturita dall’autonomia  è  la  divisione delle competenze;  i comuni hanno competenze sulla  scuola dell’infanzia e di primo grado,  le province hanno competenza sulle scuole di secondo grado, la nazione ha competenza sulle direttive generali..

Da una logica di programmazione rigida e calata dall’alto si è passati, sempre con le riforme passate, quelle vere,  ad una logica di programmazione  differenziata, sperimentale, che ha dato forma a diversi indirizzi, alcuni molto molto validi,  altri forse  decisamente dispersivi  e comunque dispendiosi sotto il profilo  del tornaconto, della ricaduta spendibile    nel  mondo del lavoro.

E’ noto che il problema primo della scuola è il suo scollamento dal mondo dell’impresa.  Da qui si può comprendere l’urgenza del   novello riordino   degli istituti  di ordine professionale sui quali   la Regione reclama  il suo legittimo  interessamento.

Ammesso che alcune Regioni possano realmente fare da gestori di queste realtà (ma sono una stretta minoranza) vi sono tutte le altre regioni che  non hanno gli strumenti e la cultura  di questa forma di imprenditoria formativa. Cosa fare di queste situazioni?  Si è tanto conclamata l’importanza del sapere fare accanto all’importanza del sapere, a patto che il saper fare  non diventi solo il fare a conseguenza dell’annullamento del sapere.

All’incontro di  venerdì primo ottobre,  organizzato dalla Cisl Scuola  con tutti gli attori sociali coinvolti  del territorio  ed  intitolato  Scuola e Lavoro  in Brianza,   ci sono tutti: l’assessore della   neonata  provincia, il rappresentante di Confindustria, la rappresentante   delle pari opportunità della Regione, il segretario generale Cisl Monza e B., il seg. Generale Cisl Scuola,  il direttore del neonato Ufficio Scolastico Provinciale  di Monza, la dirigente scolastica   di un circolo didattico d’eccellenza, la Confcommercio, il presidente dell’ANCI   ed   un rappresentante dell’ex  Provveditorato  di Milano, che però rimane in sala senza prendere parola,  quasi ad essere venuto solo per potere fare da semplice referente.

Ognuno porta la sua analisi,  concepita secondo il proprio taglio, la propria priorità; dal modo di relazionare emerge  anche la personalità del relatore  di turno;  chi si pavoneggia con un eccesso di protagonismo quasi disgustoso; chi  molto praticamente  riporta dati sull’indice di disoccupazione e sulla   disponibilità  di posti lavoro   che rimangono senza  offerta,  sull’evoluzione culturale che è passata   dalla visita guidata allo stage lavorativo ed  all’alternanza  scuola lavoro.

Le logiche dominanti   sono  accorpamenti e   razionalizzazione delle   spese,   mancano invece servizi sociali adeguati, servizi familiari  che possano fare bene conciliare le esigenze della famiglia con le esigenze del lavoro; manca anche  una cultura  che veda  il peso della gestione dei figli parimenti suddiviso tra i due genitori e non solo sempre solo sulla madre che viene di gran lunga penalizzata.

Si parla di progetti pilota che nascono  in  Lombardia  per sperimentare il modello francese, molto attento alle esigenze della famiglia;    si parla dell’importanza  del lavorare in rete, nel senso del  lavorare in squadra, dove tutti gli attori interessati    vengono coinvolti e motivati a dare il meglio di sé.   Qualcuno accenna al progetto  vincente   l’Isola che non c’è…e  si parla della crescita zero della natalità italiana  se non si conta la natalità che proviene dalle famiglie  di   derivanza   straniera.

Quando parla la dirigente del  quarto  circolo didattico di Monza,   la dottoressa Anna Cavenaghi, emerge tutta la reale conoscenza di  chi la scuola la vive  dalla base  da oltre vent’anni; con il viso arrossato  di chi non è avvezzo a sedersi ai tavoli illustri  ma solo avvezzo a stare tra i banchi dei propri alunni,   concitatamente  parla di uno stato di trincea;  da un lato elenca  una serie di  iniziative locali che hanno dato la possibilità di garantire    alcuni servizi indispensabili, tutto come conseguenza dell’impegno di liberi professionisti  che solo per coscienza professionale ed umana si prestano a garantirli,   come l’assistenza al problema del disagio giovanile ed infantile,  dell’integrazione razziale e  del sostegno        ( sono nate   in questo clima le educazioni  stradali, le ed. sessuali,   le ed. alimentari e lo sportello  di consulenza psicologica);  dall’altro lato elenca  le inefficienze del sistema scuola che si deve avvalere di un meccanismo  di assunzione farraginoso e non efficace, dove il precario è precario a vita, e non si capisce il perché, visto che il servizio lo offre, e se lo offre vuol dire che serve…per non parlare della retrocessione al maestro unico e al tempo pieno dato solo per scelta della maggioranza locale,  che detto così sembra una cosa legittima, ma significa retrocedere dalla qualità   e nella capacità d’essere competitivi. La dirigente ci porta dati  precisi: dell’intera popolazione scolastica  il 35% è svantaggiata, il 25 è straniera, il 5 è disabile  e solo  il 35 è cosiddetta  normale.  Forse per chi non lavora in questo mondo    tutto  questo sarebbe  motivo  di resa  e di inagibilità, ed invece  questo incredibile mondo della  nostra società  ha imparato da tempo a convivere, quando la si lascia lavorare tranquilla,   con i suoi mille problemi.

Per   nulla togliere alle singole iniziative felici di qualche illuminato, la dottoressa accenna al progetto   CREI ( Centro Risorse  dell’Educazione  Interculturale)   voluto dal dott. Dutto, all’epoca   direttore generale   del Centro Scolastico Amministrativo  di Milano,  quindi   denuncia un sistema inefficace;  il sistema è inefficace perché  l’autonomia  è più solo sulla carta che nella concretezza dell’azione e perché esiste una classe dirigente scolastica   non adeguatamente  formata  al  sapere fare il bene della scuola e non il bene  della propria immagine; il sistema è inefficace  perché la categoria docente è stata denigrata, infangata, svilita, data in pasto all’opinione pubblica  che invece, prima di  essere coinvolta   dovrebbe essere informata  di tutto, e tutto  tra l’indifferenza dei politici  (e dei sindacati)   che avrebbero dovuto fare un’  effettiva opposizione; il sistema è inefficace perché c’è lo scollamento tra categoria Ata e categoria docente, che invece dovrebbe lavorare  comunque   in simbiosi; l’ammutinamento del  personale Ata potrebbe mettere in ginocchio qualunque seppur   faraonico progetto educativo,  e questo alcuni   stessi docenti ancora  faticano a capirlo. Come già detto,  ormai tutto il lavoro che facevano una volta gli ex  provveditorati è ricaduto sulle   singole scuole, sul personale  specifico; da qui il bisogno di una   specifica formazione allargata   al personale  medesimo,  mentre invece si tagliano fondi e risorse e si continua a parlare sempre e soltanto di personale docente come se il personale Ata non esistesse e non fosse un anello protagonista  del mondo dell’istruzione.

Anche l’intervento di Confindustria è illuminante;  nello stile di chi  è avvezzo a fare i conti,  si dice  che il problema primo è l’abisso  presente tra il mondo della scuola fatto di pensiero, di continuità, di garanzie, di progetti medio  lunghi, con il mondo  del lavoro fatto di azione, di cambiamenti repentini, di rinnovamento continuo, di progetti a medio-corto termine, di flessibilità.

E poi ci sono i lavori che vanno sempre di moda come il ragioniere e quelli che mancano ma ce ne sarebbe un grande bisogno, come i meccanici e gli esperti di  tecnologia alternativa.

E poi c’è il rischio della dispersione scolastica che è anche dispersione economica.

E poi c’è l’incoerenza già sottolineata   tra la riduzione degli organici e del piano offerta  formativa (POF)  con il bisogno  di fare una nuova  e più efficace programmazione,  la sola  capace di rispondere alle esigenze del territorio  che non è   per nulla uguale ovunque e con il suo bisogno di rimanere sempre all’avanguardia,   perché se da noi non si fa ricerca ci sono gli altri che la faranno al nostro posto, a nostro discapito.

Solo   sotto l’ottica dell’integrazione scuola lavoro sono nati    i progetti di orientamento, di sportello designer, di learning  week e di sostegno all’imprenditoria adulta, ossia di chi non più giovane vuole cimentarsi  in questa avventura ricevendo  delle sovvenzioni. 

Il  mercato richiede per  il 25% laureati, per un altro 25   persone senza specifica  formazione, per un altro 40 persone diplomate e   per  il restante 10  liberi professionisti.

Sotto l’avvento delle nuove tecnologie per la prima volta sono i giovani che hanno da insegnare  ai vecchi, ai loro maestri  più attempati. Emergono  nuove figure di esperti; si ribadisce ennesimamente  la centralità della circolazione dei saperi e dello scambio delle competenze.  Lavorare in squadra,  soprattutto nel pubblico, significa vincere, ma purtroppo questa buona pratica  non è  ancora patrimonio  della  cultura lavorativa che i dirigenti non incoraggiano abbastanza.

Le cose da dire sono state talmente varie che le quattro   ore di presentazione volano via.

Verso le tredici   e trenta ci si alza per andare al buffet.

Dunque, vediamo di fare il punto della situazione.

Partiamo dall’ultima notizia: occorre ribadire, per chi ancora non l’avesse capito,  che  i tagli alla scuola  hanno gravemente ridotto il personale di sostegno nelle classi.

Eclatante la recente  testimonianza   della mamma  che  dichiara  d’essere costretta ad andare  a scuola con il figlio disabile perchè altrimenti il ragazzo non avrebbe nessuno disponibile ad accompagnarlo in bagno.

E non perchè si sia perso il lume della ragione, ma perchè  questo incarico o viene ottemperato come si è sempre fatto, da un docente incaricato  per questa assistenza specifica su un programma di lavoro personalizzato, il cosiddetto Piano  educativo  individuale,  oppure in alternativa  per queste specifiche esigenze circoscritte interviene un collaboratore scolastico che  per chi non lo sapesse ancora, sono i famigerati bidelli che non stanno nella scuola solo per pulire le aule ed i bagni dove ogni giorno  i nostri figli  si recano, forse per loro  disgrazia,  ma per assistere gli alunni e per fare sorveglianza.

Ebbene, i tagli hanno inciso in modo  serio sia sul sostegno , che sulla presenza ausiliaria,  che sull’offerta formativa, che sulla presenza docente, ed  infine sulla presenza amministrativa e tecnica del comparto scuola. Il  personale scarseggia, si fa allora quello che si può, mi sembra ovvio.

E’ giusto però che la  gente   lo sappia e non si lasci menare via da cronache  e da slogan   che non dicono la verità. Quelli che non hanno il loro figli nelle scuole private o nelle scuole all’avanguardia,  e che pur mandandoli   nelle    scuole  dello  Stato  vorrebbero un servizio adeguato, devono sapere quello che succede.

In molte scuole i bidelli che sono diminuiti    devono fare l’orario spezzato per garantire    la pulizia dei locali, perdendo l’ennesimo  banale  privilegio che spetterebbe loro da contratto    e questo, cosa ben più grave,    a discapito della stessa sorveglianza. Gli amministrativi che  sono diminuiti   proprio quando il lavoro arretrato del vecchio Provveditorato è ricaduto  tutto sulle loro spalle (vedasi lo  smantellamento degli Uffici scolastici che non svolgono più le funzioni di  direzione centrale),  non possono  garantire al personale, docenti in primis,  la loro Ricostruzione di carriera, che vuol dire che rimarranno senza un adeguato stipendio…;  i tecnici  che sono diminuiti    non possono garantire l’assistenza adeguata   nei laboratori  che si sposta  a  carico del  solo docente che a sua volta ha un aumento di utenza  da soddisfare ed anche minore disponibilità di  supporto  da parte dei colleghi. Insomma, è tutto un giro di boa.

Abbiamo sentito riferirci da ogni dove che  la coperta è troppo corta e che se si cerca di coprire le spalle rimangono scoperti i piedi e così via.

L’altro ieri è arrivata nella mia  scuola una nuova docente proveniente da Napoli alla sua prima assunzione annuale nello Stato. Per lei è un periodo di festa e non di lamenti; ci racconta che per fare punteggio e riuscire ad ottenere  questa sua prima nomina,  ha dovuto lavorare per dieci anni gratis  nelle scuole private della sua regione, perchè là funziona così,  siccome non c’è lavoro  per i precari o ti adatti a fare volontariato  con la speranza di raggiungere la vetta della nomina  annuale,  o rinunci ad insegnare. Ecco che il precario diventa una figura ricattabile, che evidentemente  fa comodo averla così…

Bisogna decidere  una volta per tutte se la scuola   è importante oppure no, se i docenti servono oppure no, se la crisi debba flagellare proprio la formazione insieme alla sanità oppure no, o non debba piuttosto andare a colpire i privilegi  (quelli sì veri, quelli sì insostenibili e scandalosi) di  questa classe di buffoni  che ci governa da troppo tempo.

E non è per dare spago a  Grillo  che non ha certo bisogno del mia piccola voce,  ma  per testimoniare il mio disgusto all’ingiustizia  palese di questo stato di cose.  I  veri privilegiati ed intoccabili da una parte, quelli che  fanno finta di governare, e i poveri cristi  nullatenenti  e nullaparlanti  dall’altra.

Al protocollo arrivano le domande salvaprecari; ognuno ha la sua storia da raccontare, di gente sposata con figli  che  non sa ancora ad oggi, dopo un mese dall’inizio dell’anno scolastico,  se quest’anno lavorerà oppure no.

D’accordo, la scuola non è un ammortizzatore sociale, d’accordo,  nel pubblico c’è sempre stato un andazzo  di fancazzismo  che    tra le tante ragioni  ci ha portato  a questa  cattiva  situazione;  ma allora,  se dobbiamo punire i fancazzisti,  perchè punire tutti a pioggia, perchè punire  anche chi ha sempre lavorato con onestà, perchè punire  chi  ha sempre dato alla scuola le sue migliori risorse,  e vi assicuro che ne conosco varia  di questa gente; e perché punire solo la scuola? Anzi , proprio la scuola?

E  mentre che la scuola è stata presa  a  sprangate, cosa fa il governo?  E’ tutto riunito in Parlamento a votarsi la fiducia; fiducia per cosa? qual’è l’oggetto del contendere?

Sì,  apriamo  proprio  gli occhi una   volta per tutti.  Ci sono due  realtà di cui un paese civile e progredito  necessita, io credo: di un buono stato sociale  e di una sana piccola imprenditoria   che   possa  svilupparsi  e dare lavoro  (oltre la forza industriale  delle grandi risorse).

Riforma fiscale? riforma elettorale? riforma della giustizia?  si certo,  tutte urgenti,  ma dopo due anni di governo non se n’è ancora vista traccia.

Io personalmente non ci credo più, mi sembra evidente che non siamo non dico nel cuore ma nemmeno  nel cervello della politica, e che là dove ci potremmo stare mancano delle regole, degli strumenti e delle capacità  a farsì che  il paese riesca ad essere saggiamente governato.

La macchina che si occupa di formazione  è un motore assai  complesso.

Facciamo esempi concreti; io sono inserita nelle graduatorie dello Stato come amministrativa di ruolo e come docente non di ruolo; secondo la normativa  posso accedere all’insegnamento solo  ottenendo incarichi annuali, che però in un momento come questo non mi arrivano, visto che riesco ad ottenere solo domande di supplenza   temporanea che non posso accettare.

Sono anche inseribile  in una graduatoria della regione Lombardia come tutor,  ma di fatto la regione   Lombardia  non sta attingendo  a questa graduatoria  fantasma preferendo utilizzare il personale già in servizio  che naturalmente pur di fare di più si rende sempre  disponibile andando a danneggiare chi avrebbe solo alcune limitate possibilità di lavoro.

Sono anche inseribile in  una graduatoria che prevede il profilo dei cosiddetti Vicari, che sono i vice direttori amministrativi,  ma di fatto questa cosa è solo per il momento solo sulla carta (parlo di nuovi profili emergenti ma ancora non disciplinati).

In  tutto questo intreccio di  graduatorie e meccanismi contrattuali, ci si chiede: ma  perchè dare, quando possibile,   a qualcuno troppo lavoro e ad altri niente? Primo problema.

Secondo problema:  la scuola non è un’azienda, non prioritariamente e non solo:  non per nulla sono state conservate  anche dopo l’ingresso del DSGA   le due figure dirigenziali, il cosiddetto Dirigente scolastico, ex preside,  ed il cosiddetto  Direttore dei servizi generali amministrativi, il cosiddetto ex segretario, figura   numero due del quadro direttivo.

Il primo si occupa di didattica, il secondo si occupa di bilancio; con l’Autonomia scolastica  entrata a regime  nell’anno 2000,  la scuola è sì diventata una sorta di  azienda  che deve  rendere conto di ogni sua entrata e di ogni sua uscita,  nel senso che  il controllo fiscale  da parte dell’Ufficio  scolastico   è diventato   di fatto  la sola  cosa  funzionante e garantita, almeno nelle Regioni dove c’è produttività,  dove c’è  la cultura dell’impresa,  dove c’è forza lavoro e dove c’è trasparenza e controllo.

Ma è ai dirigenti   che io espressamente mi rivolgo; loro non sono contabili, con la contabilità devono sì confrontarsi  ma non arrendersi;  loro  sono ex insegnanti  che smettono di insegnare tra i banchi ma che continuano a farlo da un ufficio, apprestandosi    a  mettersi alla guida  di un  motore  che ha come finalità prima la formazione dei propri alunni. Punto.

Sul territorio nazionale  emerge  una realtà a macchia di leopardo;  territori  di eccellenza  contro territori, la scorsa  citata realtà  campana,   di degrado  e di oscurantismo generale.

La tendenza scaturita dall’autonomia  è  la  divisione delle competenze;  i comuni hanno competenze sulla  scuola dell’infanzia e di primo grado,  le province hanno competenza sulle scuole di secondo grado, la nazione ha competenza sulle direttive generali..

Da una logica di programmazione rigida e calata dall’alto si è passati, sempre con le riforme passate, quelle vere,  ad una logica di programmazione  differenziata, sperimentale, che ha dato forma a diversi indirizzi, alcuni molto molto validi,  altri forse  decisamente dispersivi  e comunque dispendiosi sotto il profilo  del tornaconto, della ricaduta spendibile    nel  mondo del lavoro.

E’ noto che il problema primo della scuola è il suo scollamento dal mondo del   lavoro.  Da qui si può comprendere l’urgenza del   novello riordino   degli istituti  di ordine professionale sui quali   la Regione reclama  il suo legittimo  interessamento.

Ammesso che alcune Regioni possano realmente fare da gestori di queste realtà (ma sono una stretta minoranza) vi sono tutte le altre regioni che  non hanno gli strumenti e la cultura  di questa forma di imprenditoria formativa. Cosa fare di queste situazioni?  Si è tanto conclamata l’importanza del sapere fare accanto all’importanza del sapere, a patto che il saper fare  non diventi solo il fare a conseguenza dell’annullamento del sapere.

All’incontro di  venerdì primo ottobre,  organizzato dalla Cisl Scuola  con tutti gli attori sociali coinvolti  del territorio  ed  intitolato  Scuola e Lavoro  in Brianza,   ci sono tutti: l’assessore della   neonata  provincia, il rappresentante di Confindustria, la rappresentante   delle pari opportunità della Regione, il segretario generale Cisl Monza e B., il seg. Generale Cisl Scuola,  il direttore del neonato Ufficio Scolastico Provinciale  di Monza, la dirigente scolastica   di un circolo didattico d’eccellenza, la Confcommercio, il presidente dell’ANCI   ed   un rappresentante dell’ex  Provveditorato  di Milano, che però rimane in sala senza prendere parola,  quasi ad essere venuto solo per potere fare da semplice referente.

Ognuno porta la sua analisi,  concepita secondo il proprio taglio, la propria priorità; dal modo di relazionare emerge  anche la personalità del relatore  di turno;  chi si pavoneggia con un eccesso di protagonismo quasi disgustoso; chi  molto praticamente  riporta dati sull’indice di disoccupazione e sulla   disponibilità  di posti lavoro   che rimangono senza  offerta,  sull’evoluzione culturale che è passata   dalla visita guidata allo stage lavorativo ed  all’alternanza  scuola lavoro.

Le logiche dominanti   sono  accorpamenti e   razionalizzazione delle   spese,   mancano invece servizi sociali adeguati, servizi familiari  che possano fare bene conciliare le esigenze della famiglia con le esigenze del lavoro; manca anche  una cultura  che veda  il peso della gestione dei figli parimenti suddiviso tra i due genitori e non solo sempre solo sulla madre che viene di gran lunga penalizzata.

Si parla di progetti pilota che nascono  in  Lombardia  per sperimentare il modello francese, molto attento alle esigenze della famiglia;    si parla dell’importanza  del lavorare in rete, nel senso del  lavorare in squadra, dove tutti gli attori interessati    vengono coinvolti e motivati a dare il meglio di sé.   Qualcuno accenna al progetto  vincente   l’Isola che non c’è…e  si parla della crescita zero della natalità italiana  se non si conta la natalità che proviene dalle famiglie  di   derivanza   straniera.

Quando parla la dirigente del  quarto  circolo didattico di Monza,   la dottoressa Anna Cavenaghi, emerge tutta la reale conoscenza di  chi la scuola la vive  dalla base  da oltre vent’anni; con il viso arrossato  di chi non è avvezzo a sedersi ai tavoli illustri  ma solo avvezzo a stare tra i banchi di una scuola,   concitatamente  parla di uno stato di trincea;  da un lato elenca  una serie di  iniziative locali che hanno dato la possibilità di garantire    alcuni servizi indispensabili, tutto come conseguenza dell’impegno di liberi professionisti  che solo per coscienza professionale ed umana si prestano a garantirli,   come l’assistenza al problema del disagio giovanile ed infantile,  dell’integrazione razziale e  del sostegno        ( sono nate   in questo clima le educazioni  stradali, le ed. sessuali,   le ed. alimentari e lo sportello  di consulenza psicologica);  dall’altro lato elenca  le inefficienze del sistema scuola che si deve avvalere di un meccanismo  di assunzione farraginoso e non efficace, dove il precario è precario a vita, e non si capisce il perché, visto che il servizio lo offre, e se lo offre vuol dire che serve…per non parlare della retrocessione al maestro unico e al tempo pieno dato solo per scelta della maggioranza locale,  che detto così sembra una cosa legittima, ma significa retrocedere dalla qualità   e nella capacità d’essere competitivi. La dirigente ci porta dato precisi: dell’intera popolazione scolastica  il 35% è svantaggiata, il 25 è straniera, il 5 è disabile  e solo  il 35 è cosiddetta  normale.  Forse per chi non lavora in questo mondo    tutto  questo sarebbe  motivo  di resa  e di inagibilità, ed invece  la scuola ha imparato da tempo a convivere, quando la si lascia lavorare tranquilla,   con i suoi mille problemi.

Per   nulla togliere alle singole iniziative felici di qualche illuminato, la dottoressa accenna al progetto   CREI ( Centro Risorse  dell’Educazione  Interculturale)   voluto dal dott. Dutto, all’epoca   direttore generale   del Centro Scolastico Amministrativo  di Milano,  quindi   denuncia un sistema inefficace;  il sistema è inefficace perché  l’autonomia  è più solo sulla carta che nella concretezza dell’azione e perché esiste una classe dirigente scolastica   non adeguatamente  formata  al  sapere fare il bene della scuola e non il bene  della propria immagine; il sistema è inefficace  perché la categoria docente è stata denigrata, infangata, svilita, data in pasto all’opinione pubblica  che invece, prima di  essere coinvolta   dovrebbe essere informata  di tutto, e tutto  tra l’indifferenza dei politici  (e dei sindacati)   che avrebbero dovuto fare un’  effettiva opposizione; il sistema è inefficace perché c’è lo scollamento tra categoria Ata e categoria docente, che invece dovrebbe lavorare  comunque   in simbiosi; l’ammutinamento del  personale Ata potrebbe mettere in ginocchio qualunque seppur   faraonico progetto educativo,  e questo alcuni   stessi docenti ancora  faticano a capirlo. Come già detto,  ormai tutto il lavoro che facevano una volta gli ex  provveditorati è ricaduto sulle   singole   segreterie,   dove lavora il personale  specifico; da qui il bisogno di una   specifica formazione allargata   al personale  medesimo,  mentre invece si tagliano fondi e risorse e si continua a parlare sempre e soltanto di personale docente come se il personale Ata non esistesse e non fosse un anello protagonista  del mondo dell’istruzione.

Anche l’intervento di Confindustria è illuminante;  nello stile di chi  è avvezzo a fare i conti,  si dice  che il problema primo è l’abisso  presente tra il mondo della scuola fatto di pensiero, di continuità, di garanzie, di progetti medio  lunghi, con il mondo  del lavoro fatto di azione, di cambiamenti repentini, di rinnovamento continuo, di progetto a medio-corto termine, di flessibilità.

E poi ci sono i lavori che vanno sempre di moda come il ragioniere ( sempre il saper fare di conto  che aiuta) e quelli che mancano ma ce ne sarebbe un grande bisogno, come i meccanici e gli esperti di  tecnologia alternativa.

E poi c’è il rischio della dispersione scolastica che è anche dispersione economica.

E poi c’è l’incoerenza già sottolineata   tra la riduzione degli organici e del piano offerta  formativa (POF)  con il bisogno  di fare una nuova  e più efficace programmazione,  la sola  capace di rispondere alle esigenze del territorio  che non è   per nulla uguale ovunque e con il suo bisogno di rimanere sempre all’avanguardia,   perché se da noi non si fa ricerca ci sono gli altri che la faranno al nostro posto, a nostro discapito.

Solo   sotto l’ottica dell’integrazione scuola-lavoro sono nati    i progetti di orientamento, di sportello designer, di learning  week e di sostegno all’imprenditoria adulta, ossia di chi non più giovane vuole cimentarsi  in questa avventura ricevendo  delle sovvenzioni. 

Il  mercato richiede per  il 25% laureati, per un altro 25   persone senza specifica  formazione, per un altro 40 persone diplomate e   per  il restante 10  liberi professionisti.

 Sotto l’avvento delle nuove tecnologie per la prima volta sono i giovani che hanno da insegnare  ai vecchi, ai loro maestri  più attempati. Emergono  nuove figure di esperti; si ribadisce ennesimamente  la centralità della circolazione dei saperi e dello scambio delle competenze.  Lavorare in squadra,  soprattutto nel pubblico, significa vincere, ma purtroppo questa buona pratica  non è  ancora patrimonio  della  cultura lavorativa che i dirigenti non incoraggiano abbastanza.

Le cose da dire sono state talmente varie che le quattro   ore di presentazione volano via.

Verso le tredici   e trenta ci si alza per andare al buffet.

Solo una riflessione personale:   noi siamo in Lombardia,  e se le cose vanno malino qui,  come stanno andando    altrove,  Napoli a parte?