Lui è un talentuoso medico sikh, e si trova a dovere combattere tra il suo credo religioso, ossia la sua identità di popolo, contro le esigenze del suo sistema lavorativo che non considera minimamente nel bilancio le credenze private e personali.
Il dilemma diventa: “Bisogna rimanere quello che si è sempre stati, o cercare di cambiare nel nome di quello stesso ideale che comunque il nostro credo religioso ci porta a perseguire, proprio e anche attraverso la nostra professione?”
Quanto conta per un sikh portare quel turbante in testa che lo identifica tale tra tutte le persone diverse?
Quanto conta per una società moderna sapere riconoscere gli altri, chiunque essi siano, e portare rispetto per tutte le differenze, senza cadere in stupidi pregiudizi?
Fino a che punto si deve e si può accettare il compromesso nella realtà quotidiana, che ci porta a dovere accettare situazioni ingiuste e a volte profondamente dolorose?
Il protagonista di questa bella storia lo capisce da sè, prima decidendo di buttare via il superfluo del suo passato, e poi decidendo di recuperarlo dopo averlo scoperto affatto superfluo.
E tutto questo senza mai perdere la bussola.
Un bell’esempio di coraggio, di energia, di coerenza, di impegno sociale e di amore per la vita, da riflettere profondamente.