

Insegnare è un lavoro meraviglioso e prezioso, l’importante è che non crei ansia e che non dia noia a chi lo esercita.
Se queste due condizioni d’animo mancano, sei già sulla buona strada della possibile realizzazione.
La prima dote che viene richiesta all’insegnante (qui mi riferisco nello specifico al maestro di scuola primaria) è di essere un buon osservatore; l’insegnamento richiede la capacità di comprendere quel che prioritariamente circonda il maestro, ossia i propri alunni, ognuno con la propria caratteristica.
La seconda cosa che mi è venuta invece da riflettere, facendo questo mestiere, è stato di fare paragoni tra i diversi maestri e maestre incontrate/i sul campo.
Ogni insegnante ha il suo stile o quantomeno il suo modo di gestire il gruppo classe e i conflitti di gruppo, come le problematiche dei singoli; tra i generi puri c’è l’autoritaria, che vuole controllare tutto e tutti, sempre perfetta, sempre integerrima, che non butta via (o quanto meno si impegna seriamente in questo proposito) neanche un minuto della sua giornata scolastica; c’è la materna che vede nei bambini i propri figli o qualcosa del genere, e vi si dedica con amor prodigo, senza eccessiva amministrazione tecnica o metodologica, per l’appunto, sentendosi più chiamata ad una vocazione che ad un normale mestiere; c’è la superficiale, chi si sente l’amicona dei bambini, che si mette quasi sullo stesso livello dei discenti, tranne poi ricordarsi che è e rimane l’insegnante solo quando la situazione sfugge di mano; questo tipo di docente usa spesso un linguaggio non idoneo al contesto, con la palese conseguenza che gli alunni, già di per sé privi di remore e di freni, non apprendono come dovrebbero le regole e la disciplina, nemmeno quella indispensabile per potere condurre in maniera sufficiente i compiti scolastici.
Quindi esistono tutte le varie mescolanze; chi è un po’ materna ma non troppo; chi tende ad essere confidenziale ma non sempre; chi si mantiene sul distaccato ma non come imperativo categorico.
Un aspetto che devo ancora approfondire è il mondo dietro le quinte dei genitori. Credo che spesso, una volta conosciute le famiglie dei nostri vivaci ragazzi, si possa capire perché certi alunni siano fatti in una certa maniera…
Qualunque sia il metodo o il non metodo che un maestro/a decide di utilizzare, a farne le conseguenze sarà sempre e comunque il gruppo classe ed i suoi singoli.
Gli alunni sono di per sé un variegato mondo di attitudini, capacità, caratteri, paure e mancanze; ci vogliono dei mesi per arrivare a conoscerli, ad approcciarli; poi ci vogliono dei mesi per costruire l’equilibrio della classe, poi quando finalmente si arriva a potere lavorare quasi bene insieme, arriva la fine dell’anno scolastico, e già sappiamo che nell’anno nuovo, per chi è precario, non ci sarà la continuità didattica e tutto il tanto o poco seminato verrà perduto (se non completamente almeno in parte).
Se ne lamentano i genitori, se ne lamentano forse gli alunni, ma di certo se ne lamentano moltissimo gli insegnanti, che si trovano compromessa la propria valorizzazione professionale.
Non parliamo poi della possibilità di fare aggiornamento.
Se c’è un ambito dove la preparazione continua è indispensabile è proprio l’ambito scuola. Eppure il docente, quello incontrato da me nei corridoi e nelle aule delle scuole primarie, non ha certamente la possibilità ossia il tempo, per aggiornarsi, se non per un millesimo delle sue reali esigenze.
Vietato chiedere permessi che non siano tra quelli annoverabili nel settore delle priorità assolute (malattie proprie o dei propri familiari, tanto per intenderci) e senz’altro a ben guardare di questo genere di assenze se ne preferirebbe farne a meno.
Quello che sei e che hai appreso te lo devi gestire dunque da solo, nell’orario extra lavorativo; tutto a proprio carico, anche se non tutto a proprio interesse, anzi; è solo l’interesse della scuola e della sua capacità realizzatrice a farne le eventuali spese come a beneficiarne dei crediti.
Nel domandarmi che figura di maestra intenda perseguire, la risposta si fa complessa.
Talmente complessa, che devo acquisire elementi aggiuntivi e meglio dettagliati per potere darmi una adeguata risposta. Il fatto è che non si può tanto scegliere a priori di essere un genere piuttosto che un altro, dipende dai singoli alunni il dovere approcciarli secondo una tecnica piuttosto che secondo un’altra…
Si cominci piuttosto a dividere le varie discipline (area linguistica ed espressiva, area motoria, area matematico-scientifica, area storia- geografia, area lingua straniera, area sostegno, area alternativa); poi si cominci ad individuare i target di riferimento (alunni normali- alunni con sostegno leggero- alunni con sostegno grave- alunni stranieri).
Fatta questa cernita di massima, la tuttologa maestra deve sapersi improvvisare come un buon prestigiatore dentro queste varie necessità che spaziano di fatto e di contingenza dalla A alla Zeta.
E di fortuna ne deve avere almeno un poco…credetemi.
E nonostante tutte queste incognite, insegnare rimane un lavoro estremamente scientifico, storico e primario per il futuro dello stato civile di un paese, anche se purtroppo la società civile non ne ha tenuto negli ultimi decenni affatto conto.
Sulla diatriba di quanto la scuola sia arretrata in un mondo ormai tecnologico ed informatizzato, è assolutamente vero, anche se io preferisco conservarmi le mie riserve; è vero che la scuola è ancora notevolmente arretrata, ma sono i bambini ed i ragazzi stessi che si auto-organizzano in questo senso, così che i docenti possono fare facilmente leva su questo loro naturale interesse, volontà permettendo. E la scuola si sta organizzando in questo senso. Nelle scuole mediamente attrezzate ci sono le sale internet, c’è l’ora di informatica, stanno divulgando (anche se con il conta gocce) le lavagne interattive multimediali, ci sono i progetti ministeriali (vedasi i vari clil o e-twinning…) che senza questo mezzo non potrebbero avere né sostanza nè l’efficacia che riescono a mietere, ci sono le auli virtuali facilmente improvvisabili con una normale conoscenza tecnica, ci sono i gruppi classe interattivi, ci sono le piattaforme formative come Indire e le sue evoluzioni, ci sono i più vari programmi/siti di operazione intermediale che facilitano l’apprendimento e lo scambio di ogni materia, di ogni competenza e di ogni campo (esempio: linkedin, skype, twitter, anobij, google con tutte le sue varie applicazioni, mimio, massenger, youtube, slide share, picasa, …), ci sono le mail istituzionali e personali per rimanere sempre in contatto in tempo reale, ci sono i social network specializzati in materia didattica, (e non solo il più noto Facebook di cui ricordo l’utilità di teachthepeople) ), uno tra i maggiori potrebbe essere LA SCUOLA CHE FUNZIONA (di cui io stessa faccio parte), ossia il wiki dedicato completamente al mondo insegnante; si sta formando in crescita una nuova generazione di docenti che lavorano sistematicamente con la rete (vedasi la nascita dei vari blog didattici e dei vari siti ad esclusivo utilizzo didattico); vuoi per personale attitudine, e vuoi per avere compreso le enormi potenzialità di questo mezzo di comunicazione e di lavoro.
Se non ci fosse stato il web oggi la scuola, con quello che ha operato la politica, sarebbe stata al collasso. Ed io non sarei tornata all’insegnamento, non in un mondo che respira senza il battito di internet, imprigionato dentro schemi antiquati, burocrati ed ipocriti.
Il web, a esclusione forse di chi vive per scelta ritirato dal mondo, è di fatto diventato indispensabile per tutti; per i formatori che così fanno e si fanno formazione; per gli alunni che vanno in rete per comunicare, per costruire le loro relazioni sociali, per studio, per gioco, per curiosità, per identificarsi con il proprio gruppo e per molto molto altro ancora; per gli stessi genitori, se vogliono rimanere al passo con i tempi e se vogliono comprendere le loro stesse figliolanze.
Il fatto stesso che i genitori cominciano a diventare tali in una età abbastanza tarda, restando di per sè giovani nel senso di aperti al cambiamento anche una volta fossero diventati educatori di figli, essendo cresciuti loro stessi come fruitori e consumatori di rete abituali, mescola le carte in gioco; ci troviamo di fronte una nuova generazione di madri e di padri che realmente detengono la possibilità di parlare una lingua abbastanza simile a quella dei figli in crescita.
C’è il rovescio della medaglia, cioè il rischio d’avere genitori sostanzialmente adolescenziali, con scarsa attitudine al ruolo di educatori.
Nonostante i paradossi di questi intrecci e di queste evoluzioni, la risorsa tecnologica rimane una porta senz’altro aperta, anzi spalancata, e facilmente spendibile all’interno del proprio metodo o, se si preferisce, delle proprie tecniche di insegnamento.
Non sto affatto facendo l’elogio gratuito del web, conosco perfettamente i rischi insidiosi che si celano dentro questo strumento (adescamento, sballamento, perdita del contatto reale, assenza di capacità critica, superficialismo, bullismo di rete…), ma proprio per questo occorre educare i minori al corretto e prudenziale utilizzo di questo mezzo che di fatto respirano dall’utilizzo del primo iphone o ipod o ipad…
D’altro canto a me interessa bensì diffondere tra i maestri stessi gli indiscussi benefici di questa tecnologia: si può produrre di più e meglio, si può condividere, si può trasmettere, si possono incentivare le collaborazioni, si può interagire, si può coinvolgere con immediatezza, si scoprono sempre risorse nuove, ci si può rendere trasparenti e raggiungibili, si creano librerie multimediali, si può mettere tutto in condivisione, ci si confronta in tempo reale, ci si scambiano idee, suggerimenti, problemi e competenze, si riescono a trovare linguaggi comuni e punti di incontro tra le diverse generazioni, e la partecipazione di tanti ad una stessa questione può portare ad un prodotto finale migliore di quello che sarebbe costruibile con le risorse di pochi.
Ci sono studi universitari in proposito; l’uso quotidiano e capillare del web rappresenta la più grande rivoluzione di massa dopo il divorzio, l’aborto e l’uso della pillola.
Lo stesso mondo amministrativo e burocratico oggi senza la rete verrebbe paralizzato come inghiottito da un black out senza via di scampo.
Per quasi concludere questa prima analisi sul mondo didattico, volevo spendere due parole anche sulla capacità dei docenti stessi di fare squadra, di fare team, di sapere lavorare in gruppo dentro la scuola stessa, cioè dentro lo specifico ambito lavorativo; laddove questa capacità esiste e viene incoraggiata ed alimentata (situazione ideale), i risultati percepibili non tardano a venire, il contesto generale se ne ritrova enormemente avvantaggiato; laddove questa capacità esiste solo in parte o viene addirittura scoraggiata con comportamenti di alcuni colleghi assolutamente inadeguati (situazione reale), allora si lavora con possibili intralci ed equivoci, con delle difficoltà che sinceramente gli insegnanti dovrebbero imparare ad eliminare e a superare, magari proprio con specifici e mirati corsi di formazione…
L’insegnante, con la penuria di personale docente che c’è sul campo, non si può davvero permettere di creare malintesi e di mettersi in una scorretta competizione con colui che rappresenta di fatto una risorsa preziosa di compensazione e di bilanciamento.
Chi usa l’intelligenza ed il buon senso lo sa. Chi conosce il valore del rispetto che occorre dare ad ogni singolo collega, lo sa.
Infine c’è la scoperta di quanto ogni maestro/a riesce a costruire anche in tempi relativamente veloci proprio grazie al lavoro di altri maestri che sono passati dallo stesso tracciato prima di lui; mai lavoro si costituisce tanto di squadra quanto quello insegnante!
Non m’interessa il banale disfattismo di chi si lamenta sempre e comunque di tutto, anche ed a ragione delle ultime riforme false che di fatto, per una mera esigenza di bilancio, anziché migliorare hanno solo distrutto.
Quando si entra in classe tutto il marcio che non va viene messo momentaneamente da parte; nell’aula rimane vigente solo il patto formativo che il maestro ha giurato (vedasi il GIURAMENTO) a se stesso nella sua etica del lavoro; fino a che l’insegnante avrà fiducia in questo progetto umano, personale e sociale, ogni genere di secondaria difficoltà potrà venire superata.
Potrà essere solo una speciale difficoltà primaria e categorica a mettere in forse questo suo dinamismo e questo suo irremovibile proposito.
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