Lui è il piccolo Charlie. Tutto il mondo ne parla, per l’attenzione che è stata creata su caso. Chi potrebbe rimanere indifferente davanti a un cucciolo di uomo che è nato sfortunato, afflitto da un male incurabile che ne impedisce il normale sviluppo muscolare, e che sarebbe destinato a morire senza speranza?
C’è già una sentenza della suprema Corte inglese che ne avrebbe disposto la fine, ordinando la sospensione dell’accanimento terapeutico.
Ma Charlie è così piccolo, così indifeso, così assurdamente senza speranze, e allora sia il Vaticano che il presidente degli Stati Uniti si sono mossi per fare qualcosa per lui.
Lo vorrebbero entrambi nelle loro cliniche mediche all’avanguardia dove si tenterebbe una serie di esperimenti nella speranza di trovare una cura miracolosa contro questo male incurabile.
Detto così potrebbe risuonare come una specie di esperimento laboratoriale dove Charlie potrebbe diventarne la cavia. E in effetti un poco è quello che si andrebbe a tentare. E’ probabile che la vita artificiale di questo bimbo di un anno e poco più verrà inutilmente prolungata di un certo periodo che non porterà a nulla, ma sappiamo quanto sia difficile staccare la spina a un figlio che abbiamo messo al mondo volendogli regalare la promessa di una lunga vita, mentre lui fatica a tenere gli occhi aperti.
E alla fine Charlie nella disgrazia è persino privilegiato. Per lui si proverà tutto.
Anche che la suprema corte inglese riveda la sua decisione, e così Charlie potrà arrivare nelle mura vaticane, dove si predica la salvaguardia della vita nella misura in cui non diventi accanimento terapeutico. Tutto per rispondere alla richiesta dei suoi genitori che non si rassegnano all’idea di vederlo spegnere.
E allora forza Charlie, Charlie, sei tutti noi, e facci capire fino a quando Tu e proprio Tu avrai voglia di combattere.
Dietro la notorietà di questo infante rimane il destino di morte di migliaia di altri bambini di cui però nessuno sa nulla. Del resto non si è in grado di salvare tutti, di impedire tragedie, di……essere presenti ai problemi ovunque, di avere tutti i riflettori sistematici puntati addosso…
Anche la politica globale è afflitta da un male, questa volta curabilissimo, che però nessuno sembra avere la forza di risolvere.
Incontro attesissimo e felice tra la più alta religione non monoteistica e il nostro mondo cattolico.
Giovani e meno giovani, persone famose e qualunque, tutti sono stati attratti da questa personalità solare, gioiosa, giovane e piena di compassione per l’umanità.
Lei è una eccellenza della ricerca in campo medico.
Dava fastidio in Parlamento e quindi viene ingiustamente accusata di un fatto gravissimo e infamante.
Ci vogliono dieci anni di processo prima di arrivare alla assoluzione definitiva.
Alla fine la nostra eccellenza italiana non più motivata a rimanere in patria, ci dice addio a testa alta, si dimette da quel Parlamento che ha rappresentato per lei solo un incubo infinito (le sue testuali parole), e fugge in America.
Questo è uno spaccato del nostro Paese, purtroppo.
Mettiamoci nella testa che ovunque potremmo essere in pericolo.
E l’Unione europea cosa sta facendo a livello di interventi unitari e di strategie coordinate?
Ma il business legato all’immigrazione, a chi sta giovando? Forse le maggiori responsabilità di questo cataclisma in atto stanno proprio lì dentro.
L’ Isis ha rivendicato la paternità del gesto, e dimostra quello che è, cioè che la religione non conta nulla (il terrorista in questione era tutto tranne che un religioso) ma è solo una manovra per destabilizzare l’Europa, da noi; il mondo, altrove.
Si vuole una globale sottomissione all’Islam e alle sue regole; si vuole la rivalsa su quello che viene vista come una colpa dell’Occidente (di andare a fare guerre a casa degli altri, ma anche altre molte ragioni meno evidenti, più meschine e più sotterranee).
La Francia è nel mirino, ma nessuno è fuori dal gioco, abbiamo visto Bruxelles, ma poi il Bangladesh, lo stesso Pakistan, il recente tentativo di rivolta della Turchia dove una minoranza vorrebbe un potere laico ed uscire dalla teocrazia islamica.
Sappiamo che l’Inghilterra sta investendo moltissimo sulla sicurezza (forse per questo rimane ancora illesa?)
Sappiamo che Roma per il Vaticano è un bersaglio sensibile, anzi, ultrasensibile.
Ogni tanto anche negli Stati Uniti c’è qualche lupo solitario che agisce con la stessa strategia con cui ha agito il terrorista di Nizza, franco tunisino d’origine.
Gli Stati Uniti hanno già pagato un prezzo altissimo (anche per le loro scelte militari e di politica estera) a questa guerra sbagliata (come se ce ne fossero di giuste) e bisogna risalire al 2001; ormai si parla di quindici anni nei quali si sarebbe potuto fare di più per garantire/sviluppare/avviare un dialogo diplomatico tra le parti.
Nei territori in Medio Oriente tra l’Iraq e l’Afghanistan quotidianamente accadono atti criminali contro i cristiani o contro i musulmani appartenenti alla maggioranza sunnita che non viene riconosciuta legittimata a governare dalla minoranza sciita, la più fanatica dello jihadismo.. Prima era Al Qaeda, oggi è il sedicente stato islamico. Domani?
La Siria non esiste più, è stata spazzata via dal piano del gruppo di conquista, ed era il paese più tollerante in assoluto, dove convivevano diversi gruppi religiosi in assoluta tranquillità, tra ebrei, cristiani e musulmani (proprio per questo era da eliminarsi? perchè era di cattivo esempio?).
Per non parlare di quello che accade nella grande Africa, dove ieri gruppi militanti appartenenti a Boko Haram (una delle frange di questo organismo estremo) hanno rapito le studentesse frequentanti una scuola ad indirizzo occidentale, per impedire che il nostro stile di vita intacchi le loro donne e le loro ideologie; ma domani sentiremo di altri attentati contro il libero pensiero e contro le realtà diverse da quella islamica.
Dove attaccheranno la prossima volta? E chi sarà il terrorista? Un lucidosquilibrato che decide di suicidarsi in maniera “onorevole e gloriosa”, o un lucido commando di studenti borghesi che si saranno votati alle ragioni di non so quale ideologia?
Ex detenuti in cerca dei loro cinque minuti di gloria, o sedicenti uomini in apparenza pacifici e ben formati, che anzichè seguire ideali pacifisti, liberali e tolleranti faranno della violenza, dell’odio, della vendetta, dell’arroganza, della rabbia e della follia il loro campo (inglorioso) di battaglia?
Ma del resto loro sono più forti, ragazzi: più forti in numero, più forti in determinazione, più forti nel non avere nulla da perdere, più forti nell’avere ancora salda la loro identità culturale mentre noi abbiamo smarrito la nostra.
Ma il popolo islamico non comprende che se non comincia a fare sentire una voce corale di dissenso, inevitabilmente uscirà fuori il razzismo nei loro confronti? E che è proprio quello che lo Stato islamico vuole, metterci l’uno contro l’altro? Destabilizzare? Generare il caos?
Anche se non è una guerra di religione, e nemmeno culturale, ma solo una strategia di assalto ben pianificata che si avvale anche di libere e spontanee iniziative dove l’agire non richiede avere a disposizione un esercito: basta un uomo, un mezzo, qualche arma, un piano (e un lauto compenso magari, per essere più convincenti).
Ci stanno sbranando, assalendo, come farebbe un branco di iene o di avvoltoi che avendo avvistato un animale ferito decidono di farne carne per il loro pasto.
Come dunque uscirne con il minor danno possibile? Non saranno le ennesime manifestazioni di canto e di musica a salvarci. Non saranno le ennesime proclamazioni di sdegno.
Ci vuole una risposta chiara, unitaria e capace, disposta a fare scelte importanti, anche poco popolari, o di disturbo alle elites che manovrano nell’ombra indisturbate.
Altrimenti questa guerra andrà avanti ancora per molto molto molto tempo.
E’ il primo vescovo e oltretutto teologo che dichiara apertamente d’essere gay e di sentirsi in tutto un buon cristiano.
Di sentirsi cioè parte della Chiesa.
Immediata la risposta del Vaticano che lo ha già dichiarato sospeso dai suoi incarichi.
Questa Chiesa aperta e democratica non fa certo marcia indietro su quello che sono i principi secolari della dottrina ufficiale; la famiglia deve essere composta di un uomo e di una donna, le unioni omosessuali sono tollerate ma non possono pretendere il riconoscimento paritario con le altre.
E poi in questo caso c’è di mezzo il voto al celibato che è stato rigettato.
E questo è un altro spinosissimo capitolo; può un prete sposarsi o deve rimanere fedele al suo voto di castità? e se poi volesse sposarsi, che lo possa fare con un altro uomo è un problema aggiuntivo che decisamente complica enormemente la questione.
Ci piaceva di più il Papa che diceva “Chi sono per giudicare”, mentre quando ci dice “Sei licenziato, hai disubbidito, non rispetti la regola”, ci mette un poco più in difficoltà.
Il punto centrale di queste due figure, di questa presa di posizione, la prima morbida e la seconda rigida, sono probabilmente le due facce della stessa medaglia.
Se si tratta di ragionare di persone laiche e non consacrate, il giudizio deve essere e può essere di per sè concessivo; ma se si tratta di giudicare per lo stesso reato una persona non qualunque, non esterna, ma interna alla Chiesa, e per di più consacrata, allora il giudizio non può che diventare irremovibile.
Di sicuro diventa più complesso.
Cosa accadrà adesso a questo vescovo che ha deciso di fare coming out con la sua in parte felice omosessualità? Lo stravolgimento che gli cadrà addosso lo porterà verso quale via di risoluzione? E’ ovvio che non è il semplice destino di un singolo uomo in discussione, ma il destino di molti come lui che per convenienza rimangono nell’anonimato, che per onestà e coraggio dovrebbero fare la stessa confessione del loro collega, e che per numerosità obbligherebbero la Chiesa a risposte meno lapidarie e più riflessive.
Io credo che non c’è molto di scandaloso in un prete che dichiara d’essere omosessuale. Non si può certo mettere sullo stesso piano di un prete che nell’oscurità del male opera contro l’innocenza dei bambini…
Qui la capisco di più la severità del sommo Vescovo, Papa Francesco. Anzi, non c’è severità e parole e azioni e nulla di nulla che possa lenire lo squarcio di una Chiesa caduta così in basso…
Di fronte invece a questo Vescovo qualunque che ha voluto proclamare il suo amore davanti al mondo, piuttosto mi viene di tacere. Ne parlo solo per riflettere. E vorrei che ogni vescovo lo facesse, lo sapesse dire, sapesse venire fuori anzichè rimanere nel buio.
Ci aiuterebbero a riflettere meglio. Aiuterebbero la Chiesa a riflettere ancora più severamente su se stessa. Aiuterebbero il sommo Vescovo a cercare e trovare risposte difficili alla attualissima funzione religiosa dell’essere una Istituzione spirituale nel mondo temporale.
Non so se sono riuscita a farmi capire.
Trovo che parlare di Chiesa in un mondo così ormai dissacrato in tutte le sue più importanti componenti ci permette di non diementicarci della nostra innata sacralità.
Noi tutti siamo nati per la felicità, e non c’è giorno che debba passare sul calendario che noi si possa pensare di ritenerlo inutile a tale ricerca.
La felicità non è lo stato d’animo di un giorno che passa e poi ce ne dimentiachiamo.
Essa è una vocazione appartenente al genere umano; essa è un progetto che dura tutta la nostra personale esistenza; è l’insieme di atti e pensieri e situazioni che ci attraversano, che ci cambiano, ma che non ci devono possedere. Siamo sempre noi a dovere possedere loro. Possedere nel senso di governarle, ma anche nel senso di lasciarsene governare.
Questo vescovo forse ci ha detto d’essere gay come per chiederci aiuto, o per dare aiuto a persone come lui, o entrambe le cose. Il raggiungimento da parte di se stesso della propria felicità, evidentemente mai raggiunta o mai al sicuro (di sicuro nella vita c’è solo la morte), è il progetto che in quanto uomo come tutti noi lo obbliga a delle scelte, ma che in quanto vescovo lo abbliga a delle posizioni e responsabilità.
« Il naufragio è stato totale Ma è stato di una semplicità assoluta Lo sai perché ? Non c’è stata tempesta. Non c’è stata lotta, resistenza. Nessuna manovra di perizia marinara. Nessuna chiamata di capitano. Nessun avviso. Nessuna campanella. Non c’è stato innalzamento di onda. Niente che riguardasse il mare. Il mare è innocente. »
Il testo è di Lina Prosa, lei scrive per il teatro, un teatro dove la parola è la vera assoluta protagonista.
E’ italiana, anzi, siciliana, anzi, palermitana, anzi, un poco (molto) lampedusana.
Però viene messa in scena a Parigi o a Berlino, o domani, chissà, là dove la porterà il mare.
Leggi qui altre cose sul suo teatro, che oggi si occupa di naufragi, ma che si è occupata in passato di molto altro…
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