Sveva e Andrea in città

Sveva Modignani e Andrea Vitali  sono venuti in città a presentare i loro ultimi libri.

Non li avevo mai visti nè li ho mai letti, in sincerità. Nessuna opera di questi due  autori nemmeno tanto giovani.    E invece sono due belle penne  della nostra bella Italia, che vendono bene, ma che a quanto pare scrivono anche in maniera  davvero  accattivante.

Se scrivono come si sanno presentare, dovrebbero essere dei geni.

Lei si definisce una vecchia signora  della scrittura,  lui  una persona fortunata che ha avuto il privilegio di fare un mestiere divertendosi.

Lei vive nella periferia di Milano  in una casina con un piccolo giardino, lui vive sul lago di Bellano, immerso nella pace di quei luoghi lacustri.

Lei  lavora in un piccolo studio che ai tempi  dei nonni  era adibita a saletta, lui trova ispirazione  in uno studiolo   da dove si può guardare fuori di una grande vetrata il lago e il suo paesaggio.

Tra una battuta e l’altra, tra una domanda  incalzata dalla conduttrice (che a dir la verità ha bisogno di intervenire ben poco, perchè i due ospiti si sanno perfettamente autogesttire) ed una che viene dal folto pubblico presente (la sala civica appena inaugurata è pienissima, e molti sono rimasti fuori)  le due ore a loro dedicate volano  in un lampo.

Si chiede la cosa più classica, cioè perchè uno scrittore scrive, e  come sono diventati tali. Rispondono  che  si scrive per raccontare delle storie, e che si arriva ad innamorarsi della scrittura dopo avere molto letto, dopo avere scoperto il piacere di leggere.

Però non si può imporre ad un alunno/studente/giovane   di leggere per forza, se non si vuole ottenere effetti contrari. Forse il trucco è nel fare leggere cose che ci possono conquistare o interessare. Forse il trucco è sapere scegliere.

Leggere è   scoprire mondi sconosciuti, come dice Sveva;  scrivere è tradurre in personaggi   suggerimenti che ci arrivano dalla vita quotidiana, dalla casualità,   e dalla nostra idea che abbiamo in testa, che ci frulla in capo e che via via prende corpo.

Si parla del legame che c’è tra lo scrivere ed il silenzio, o tra lo scrivere ed il rumore.

A proposito del rumore la scrittrice milanese ci racconta un episodio esilarante che le capitò  un giorno mentre che stava lavorando nel suo studio. Vicino a lei era arrivato ad abitare un meccanico che faceva spesso inevitabili  rumori fastidiosi. Quella mattina esasperata decide di andare a lamentarsi, ed il meccanico le risponde: “Vede cara signora, se io fossi ricco ed un meccanico importante  non sarei qui a lavorare ma avrei la mia officina ad Imola. Se lei fosse ricca  ed una scrittrice importante  non sarebbe qui a lavorare ma sarebbe in Monte Napoleone. Che ce vò fà…, semo poveracci, ci dobbiamo accontentare”….La sala esplode in una fragorosa  risata  collettiva…

La parola che più ricorre nella bocca di Sveva,  che ormai ha conquistato  la sala,   è fantasia accanto a quella di amore ;   la parola che più ricorre nella bocca di Andrea è divertimento  accanto a quella di storia.  I due romanzieri   riversano nel mondo della penna le loro abilità e/o i loro bisogni, un mondo complesso (quello della penna)   che necessita di elementari strumenti dove ciò che conta è la creatività  e la voglia di divertirsi o divertire. Certo, non solo divertire,  i personaggi che nascono come creature non di carta ma vive,  insegnano la loro verità, i loro sentimenti, fanno riflettere, fanno immedesimare.

Lo scrittore diventa una presenza estranea/esterna   che finisce per provare per loro  tenerezza, oppure   rabbia, a seconda del  contesto, a seconda della trama, che può essere inquadrata nel ventennio fascista   (il periodo preferito da Vitali)   piuttosto che nella nostra complessa modernità (il periodo preferito della  Modigliani)

I due artisti fanno squadra, l’uno fa da spalla all’altro, lei chiama lui il suo maestro, lui chiama lei  una  astuta maestra della penna;  lei  invidia lui per  avere già  avuto una panchina  alla sua memoria in quel luogo ameno del lago, lui le risponde minacciando di toccarsi parti poco eleganti, che  certe cose è meglio averle dopo morto che quando si è ancora in vita….(applauso e risate dalla sala)

Dal loro discorrere, vengono fuori accenni ai loro personaggi, e così mentre Sveva ci parla del professore  appassionato che dopo varie peripezie  s’ innamora  di una libraia  appassionata e da qui   pronti a vivere felici e contenti fino alla morte,  Andrea finisce per parlarci  di un circo dove l’attrazione principale   era una certa Principessa che però era un imeneo    e nessuno doveva scoprire la sua doppia identità  sessuale… (altra sonorosissima  risata dalla platea per come lui ce la racconta…)

Sveva, parlando degli insegnanti,    ne approfitta per lanciare un accorato appello   verso il lavoro di professore,  un mestiere grandissimo e sottopagato, per nulla riconosciuto, ingiustamente   disprezzato.

A  questo punto dalla platea la categoria presente si riconosce ed esplode in un battito di mani spontaneo  (questa volta senza risate),  come del resto lo sono stati tutti gli altri.

Siamo una modesta tranquilla  provincia, l’età media dei presenti è sui cinquanta, c’è qualche giovane ma non tanti, visto che magari   preferiscono passare la loro domenica pomeriggio   nelle piazze; ci sono molti anziani, che in genere si crede non leggano affatto, ma a quanto pare  a giudicare dal numero di persone che si fermeranno    all’uscita per ordinare i libri dei loro beniamini,  i lettori  di mezza età  sono maggiori di quello che si va da sempre lamentando.

La scrittura di Sveva  potremmo paragonarla ai romanzi di Liala  di inizio novecento, tradotti   in chiave moderna  e rivestiti di maggiore e più complesso contenuto;  lui potremmo paragonarlo  ai romanzi  di  Camilleri,  dove però non compare  come dominante  la tinta gialla, l’amore per il macabro  e i delitti di cronaca nera. Là c’è il mare, qui c’è il lago; là c’è la Sicilia, qui c’è  il nord;  là c’è l’intreccio tra vita normale e mafia; qui  c’è il gioco narrativo  tra la quotidianità e  lo straordinario.  Là c’è una notevole dose di erotismo,  qui c’è una notevole dose di poesia.   Mi sembra di intuire che  Vitali avrà   più possibilità di resistere nel tempo, dopo la loro dipartita,  anche se la Modigliani  è già entrata di diritto nella letteratura italiana.

Di certo non si legge mai abbastanza, ma poi non è importante leggere molto, ma leggere bene, io credo.  La letteratura proposta dai presenti è del generare  disimpegnato ma di gusto, romantico ma non banale,  leggero  ma ricco di originalità.

Come Sveva sottolinea,   la lettura è il luogo dell’incontro, della scoperta  casuale o  fortuita.

Ci racconta di come un giorno entrando in una libreria (che sono quei luoghi preposti all’esposizione  magistrale dei libri  dove uno può andare a sbirciare il libro che più lo attrae,  senza poi essere obbligato a comprarlo) le cadde l’occhio su un titolo di Andrea, per lei ancora sconosciuto; rimase colpita  dalla copertina, e dallo stesso cognome abbastanza  familiare,   decidendo   di comprarlo giusto per saggiarne la qualità.

Da quel giorno non ha più smesso  di leggerlo.

Ci si aspetta  che anche Vitali omaggi la scrittrice  della medesima gentilezza,  ma il maestro    non dimostra la stessa generosità  verso la collega.  Percepisco, ora che li ripenso e li rivedo là insieme sul palco,  un velo di tristezza in entrambi, come  se entrambi si fossero resi conto  che   tutto sommato appartengono, loro malgrado,   al passato, e che i venti della modernità li hanno già  sommersi e tagliati fuori dalle logiche  della scrittura tecnologica.

Perchè scrivere tecnologico non è solo avere sostituito  la penna col pc, o  la carta bianca con la carta   virtuale; è anche avere acquisito un pensiero  interconnettivo,  che non si può certo improvvisare o fingere di volere se non se ne sente affatto la mancanza.

Dal pubblico arriva la domanda d’obbligo: “Qual’è il vostro legame con il web? Cosa ne pensate  di questi scrittori che diventano famosi  andando a scrivere sui loro blog i primi capitoli dei loro libri, che  poi diventano  oggetto di discussioni pubbliche dove la gente  partecipa e fornisce suggerimenti, pareri, sviluppi….”

“Scusa, cos’è il web? Io non so nemmeno cosa sia…” risponde  diretto Vitali.

“Ma è internet, la rete…” si risponde  tutti…

“Ci mancherebbe che vado a  farmi dire dagli altri come devo fare finire o sviluppare i miei personaggi, se mi si toglie il piacere della fantasia  allora finisce il gioco, non saprei più scrivere…”  risponde tra il sorpreso e lo sconcertato   l’artista.

Se Sveva ha risposto qualcosa di suo, non me lo ricordo. Se lo ha fatto e non me lo ricordo, è perchè non deve avere aggiunto nulla di significativo.

E’  evidente che ci sono due generazioni  e due stili  di scrittura; quelli tradizionali che non utilizzano la rete, tanto  che Andrea disconosceva la parola web;  e quelli   tecnologici, che la rete la utilizzano in un senso collettivo e partecipativo, facendone un loro punto di forza.

Certo che scrivere è un’arte, che nasce forse dai geni familiari, dall’educazione ricevuta, dai maestri incontrati, dalle storie che ci hanno vissuto;  e leggere è un piacere, un bisogno, un  regalo che ci facciamo tutte le volte che apriamo le pagine scritte di un libro.

Quel libro che stava già da qualche parte con le pagine vuote, ma che per chissà quale alchimia  un giorno  si riempirà   di parole.

Lunga   Vita  alla   lettura! (e agli scrittori)