La tragedia di Giulio Regeni

Lui  era Giulio Regeni, un giovane ricercatore universitario che stava portando avanti la sua ricerca   di dottorato per conto degli inglesi    Al Cairo, in Egitto.

Un anno fa proprio oggi, il 25 gennaio 2016, il suo corpo martoriato veniva ritrovato  senza vita,  torturato in ogni sua parte, tanto che la madre  disse, nel vederlo “Aveva intatta solo la punta del naso”

Su questa morte il governo egiziano ha cercato di raccontare le più varie versioni, tutte del resto inverosimili.

Prima ci fu detto che Regeni aveva subito un incidente automobilistico.

Poi ci fu detto che il giovane Regeni era finito in uno strano giro di omosessuali.

Quindi che era finito in uno strano giro di droga.

Quindi che era stato rapito da una gruppo di sbandati malavitosi    che ne volevano chiedere il riscatto.

Dopo questa ennesima  versione  assurda e poco credibile,  che ci ha fatto molto incazzare per il fatto di venire presi in giro  da un paese straniero che ritenevamo amico,  ecco l’ultima apparente verità.  Regeni andava in giro a fare domande poco  opportune,  assoldato dai suoi capi inglesi dell’Università,  e quindi  è stato denunciato  per patriottismo  alla polizia egiziana dal capo del sindacato autonomo  degli ambulanti,   accusato   di essere una  pericolosa  spia  che andava eliminata.

Esiste un video che ritrae Giulio nove giorni prima di venire fatto sparire.

In questo video il sindacalista gli chiedeva del denaro, ma lui risponde che non può dare denaro per una ricerca universitaria i cui finanziamenti non dipendono   da lui, di cui lui certo non ha nessun  interesse privato e personale.

Allora come sarebbe andata a finire? Il sindacalista lo vende alle forze dell’ordine perchè non avrebbe ottenuto il compenso desiderato?

E perchè questo video compare solo oggi? E chi manovrava dietro  questo video?

Il sindacato o i servizi segreti? O entrambi?   Regeni era già stato avvistato da tempo   come una persona indesiderata che andava in giro a fare troppo domande scomode?

Ma perchè l’Università inglese che gioca un ruolo di primo piano in questa vicenda non fa sentire la sua chiara versione? Che non l’abbiano voluto fare i servizi segreti egiziani è abbastanza comprensibile.  Ma gli inglesi?

Regeni era consapevole di quanto stava rischiando in questa vicenda? Era consapevole di stare in una paese per nulla democratico  che certo avrebbe mal digerito il suo andare in giro a fare domande pericolose?  In che modo la stessa Università inglese  è in parte responsabile di  mandare suoi accademici dentro situazioni certamente scomode e troppo a rischio?

Al Cairo ogni giorno spariscono di media tre giovani sotto tortura e sotto repressione.

Giulio Regeni per  questo governo    era solo ed è stato solo un personaggio   che andava eliminato e che poi andava  scaricato nella maniera più opportuna e più indegna.

Per esempio, cercando di infangarne la memoria ed il merito, memoria e merito che non è stata in nulla scalfita da tutti questi 365 giorni  che ci dividono da quel tragico evento.

Credo che presto la totale verità verrà fuori. E  credo che  in questa storia gli inglesi giocano un ruolo non minore. Non si vuole sminuire la gravissima responsabilità del governo egiziano, un governo dittatoriale e violento,  che non poteva venire in alcun modo sottovalutato.

Di certo c’è solo che un giovane italiano brillante e coraggioso (forse fin troppo)  è stato eliminato tra le peggiori sevizie  nel compimento del suo lavoro, nel compimento del suo dovere, nel compimento della sua missione universitaria.

La sua famiglia ne porterà il dolore per sempre.

Noi possiamo solo  prenderne atto. E riflettere sull’immediato futuro. Anche con scelte internazionali mirate e accorte. Nel nome di questo nostro meritevole  italiano.

 

 

 

L’orco, la verità e i bambini

Lui è l’orco cattivo che i bambini se li mangia dopo averli abusati.

Gli adulti lo sanno, ma non dicono nulla.

Sentono  e vedono il pianto degli innocenti, ma  raccomandano di fare silenzio,  che tutto passerà….

Allora gli amici bambini dei bambini mangiati, raccontano tutto  alla fata buona che arriva per salvarli.

E la piccola Fortuna  finalmente riesce ad avere da morta  l’attenzione  che tanto si meritava d’avere  da viva.

 

scusa Falcone, ieri era la tua festa

 

70 anni dopo

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narcos e desaparecidos

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la notizia

viva peppino tra noi

Quando ho visto il film che ci racconta la vita e la morte di Peppino Impastato, oltre essermi commossa per la bellezza di questa persona che ha vissuto in maniera coerente e coraggiosa, mi sono sentita catturare  da  una scena  specifica, che tutto dice del personaggio e del suo modo di pensare e di sentire.

Saremmo naturalmente  portati a immaginare  che sia  quando viene ucciso, o  quando mette la sua vita in serio pericolo, con le sue incontenibili e straordinarie provocazioni che non conoscevano pudore e paura di sorta…(in apparenza).

E invece no.

Mi colpì  moltissimo, come continua a colpirmi ogni volta che la rivedo, la scena di quando si mette a litigare con il fratello più piccolo, più normale, più discreto, più rispettoso delle regole e del quieto vivere…(che così faceva  per non fare soffrire troppo i genitori, che per quanto criticabili, sono sempre e sempre rimangono carne della nostra carne).

Si mette a urlare, a urlare, a urlare tutta la sua rabbia, la sua voglia di ribellarsi, di rompere uno schema sempriterno, mentre che il povero miserrimo cercava di calmarlo e avrebbe voluto sparire sessanta metri sotto terra.

Peppino Impastato dichiara al mondo,  in una  maniera che non dà possibilità di ritorno, il suo essere diverso,  il suo essere contro la mafia, contro la società dell’omertà e della condiscendenza, e lo fa contando i cento passi che separano la sua casa dalla casa di chi tiene soggiogato un intero paese, un intero popolo, con tutte le miriadi di vite che contiene, le vite delle sue donne, dei suoi uomini, dei loro figli e dei figli  dei loro figli…


 

Questo giullare della verità  probabilmente aveva messo in conto di venire ucciso, prima o poi, probabilmente in cuor suo se n’era fatto un’idea,  sull’eventualità; ma mai se lo sarebbe immaginato così presto, così improvvisamente, così vigliaccamente, con tutta quella inaudita e bestiale violenza.

Non è violento  che Peppino muoia; non è violento che Peppino venga trucidato, preso a sassate come un porco che deve essere scuoiato; è violento e inaccettabile che Peppino muoia  nel momento che  aveva scelto non per morire, ma per vivere. Vivere per urlare, sbraitare, correre, fottere, ridere, bersi qualche birra, scrivere, raccontare il mondo…

e Morendo in quel modo viene consegnato all’eternità, non l’eternità  che il mondo disprezza a cui rivolge sono fragorose pernacchie, ma l’eternità di chi se ne frega  della morte perchè sa che tanto solo i porci muoiono.

Di  sicuro   i codardi e i malavitosi che  uccidono come bestie, come  sciacalli, peggio delle bestie, peggio degli sciacalli, perdendo nell’atto dell’uccidere   la loro dignità di uomini, loro non sono mai nati, sono zombi viventi, sono morti che camminano, loro sì morti che camminano perchè quando moriranno nessuno si accorgerà della loro scomparsa, se non per gioirne…

Questo giovane che per me rappresenta il meglio di ogni possibile gioventù, l’indomani della  suo morte, anzichè trovare lacrime e riconoscimenti,  si trova a dovere  competere  contro un fatto di cronaca estremamente   ridondante sotto il profilo politico ed  internazionale;  il ritrovamento del cadavere dell’onorevole Aldo  Moro che viene fatto scoprire dentro il bagagliaio di una macchina.

In quel  frangente,  del suo assassinio  si parla pochissimo, in sordina. Si dice che Peppino si sia suicidato. Si cerca di  archiviare il fatto come un incidente legato alla depressione.

Sarà poi la forza della madre e di chi l’aveva conosciuto ed amato, del suo stesso paese  e dei suoi stessi amici,  la forza della verità, a rendergli giustizia, a portare all’onore della cronaca e della storia questo semplice esempio di umanità e di poderosa  civile testimonianza.

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tempo di scomuniche

Da tanto tempo non si sentiva più parlare di scomuniche; da quando la Chiesa orribile e indegna perchè corrotta era quella cosa che ti faceva rigare dritto (nel senso ovviamente da lei inteso), che altrimenti erano guai…
Con i divorziati ci fu un atteggiamento rigido, del tipo “Togliamo loro il diritto della comunione”, che era sempre un fatto pesante per chi frequenta l’ambiente con abitudine; però questa della scomunica è un’altra cosa.
E’ il Capo della Chiesa cattolica che dice al mondo:”Tu sei sgradito, o ti penti o non considerarti dei nostri”.

E’ un messaggio forte, incisivo, chiaro ed inequivocabile.

E i mafiosi in carcere disertano la messa.
Giusto. Mi sembra giusto.
Che rimangano pure nelle loro celle impentiti e fieri di essere quello che sono.
Coerenza per coerenza.
Se poi qualcuno di loro si volesse pentire, che lo facesse sapere; la chiesa sarà felice di riabbracciarlo tra i peccatori consapevoli del loro stato.

Ma poi in processione in un bel paesino di terra di ndrangheta, il corteo che porta in giubilo la Madonna si ferma davanti alla casa del boss per onorarlo e dirgli ” Ave Cesare di questo nostro paese, che senza di te noi non saremmo…”
Gia, una volta i Cesari erano i Cesari, potenti, unici e indiscussi come la Storia li ha fatti; in questi paesi sottosviluppati i Cesari sono solo mafiosi, cioè malavitosi, cioè seminatori di morte, cioè feudatari moderni che non solo ti tolgono la terra ma anche il sangue e tutto il resto, se ti permetti di fare di testa tua e di crederti un cittadino di un Paese normale che si chiama Italia.

In parte questo è ancora il nostro sud.
E anche per questo la mafia resiste e trionfa.
Dico anche perchè ovviamente non è solo colpa di chi sta in basso, ma soprattutto di chi sta dentro i Palazzi e protegge questo stato di cose.
Forse il Papa dovrebbe chiaramente passare alla scomunica anche i colletti bianchi di questa politica malsana.

Un paese colpevole

Un paese che non si cura dei suoi cittadini

che ruba rubando al suo prossimo

che mente mentendo a se stesso

che tace  quando dovrebbe urlare

che giudica  quando dovrebbe cercare di capire

che assolve quando dovrebbe condannare senza mezzi termini

che  non offre lavoro ai suoi giovani

che non offre garanzie nemmeno sulle cose più sacre

che detiene i suoi detenuti come nemmeno gli animali andrebbero gestiti

che lascia soli quando dovrebbe fare quadrato

che si mercifica quando dovrebbe prendere le distanze

che insozza il nemico perchè viene facile

che convive allegramente con la corruzione

che scarica di prassi  le proprie  colpe addosso agli altri

che parla parla parla senza mai fare i fatti,

io lo chiamo

un   paese colpevole

Questo paese siamo noi.

27 GENNAIO 1945

Immagine2La mappa della morte

In questo giorno il mondo occidentale  scopriva alla luce   del mondo  uno degli orrori  assoluti  che un popolo abbia mai   commesso contro altri simili.

Odio pianificato, mistificato, perpetrato, banalizzato e negato.

Odio folle che incrocia l’incomprensibile e il non spiegabile.

Odio che non si lascia dimenticare, diversamente da    altri che invece possiamo confinare  dentro qualche vecchio scatolone.

Non ne voglio mostrare le sconcezze, che tutti noi già abbiamo ben veduto e continueremo a vedere,  perché  tutte le immagini dei crimini commessi non basterebbero a descriverlo.

Il dolore mai superabile  e mai vincibile  lo tiene in vita, lo tiene eterno, lo tiene nuovo e rinnovabile,  lo tiene talmente attuale e presente che si teme che un simile strazio  si possa ancora ripetere.

E purtroppo è una paura assolutamente vera e giustificata.

Perché gli uomini non imparano dagli errori degli altri?

Forse perché sono proprio degli altri. Ma se diventassero i nostri?

E  se solo avessimo  avuto qualcuno di questi mostri che fecero quel che fecero e che avessero  saputo ammettere e denunciare la propria personale colpa su quei terribili giorni…ci sono stati  al massimo solo suicidi, qualche processo, qualche patibolo, ma non  un barlume di ravvedimento.

Il male ha ucciso se stesso ma non è sparito. E’ rimasto vivo nelle sue ceneri.

Abbiamo potuto udire i lamenti dei sopravvissuti, degli spettatori inermi e inconsapevoli, dei testimoni,  ma loro, gli assassini?  Dov’è questo popolo di donne e uomini e a volte   anche bambini  che mentre gli altri venivano torturati, loro quasi   ridevano? Chi,  cosa, quale bestia feroce ha potuto  trasformare persone  normali in una macchina di tortura assoluta?

Questo popolo potrebbe tornare, in qualunque momento, in qualunque spazio.

Cominciare con piccole cose quasi impercettibili ma che nelle mani di qualche nuovo personaggio disturbato e indisturbabile  potrebbero trasformarsi in atrocità  assolute.

Questo popolo ieri è stato quello tedesco, ma oggi potrebbe essere quello …..ognuno ci metta il suo pensiero, la sua idea.

Io un’idea ce l’avrei; questo popolo siamo proprio noi stessi, che quando vediamo un’ingiustizia facciamo finta di non vederla per non avere problemi. Tutto comincia da questo. Dal far finta di non avere visto e di non sapere. Perché abbiamo paura. Siamo fondamentalmente  solo degli opportunisti.

Per questo è doveroso e utile ricordare, ricordare sempre, ricordare ovunque.

Ricordando quanto siamo fragili e imperfetti , a rischio di imbrattamento, a rischio di impudicizia, a rischio di disonore, a rischio di crudeltà.

Nel nome dei vivi, nel nome dell’umanità che è in noi  e   che per la nostra dignità   non può essere messa al silenzio.

Lo sapeva bene  Primo Levi,  che non ce l’ha fatta a superare la morte dell’anima, ma è rimasto vivo per sempre con il suo testamento d’amore.

Shema’

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.         (Primo Levi, 10 gennaio 1946)

IL SIG. ENNE

Molti  uomini semplici  pensano    che basta comportarsi bene per avere in cambio cose buone; pensano  che basta essere onesti per non avere nulla da temere dalla vita e dalla legge; pensano   che come ci dicevano i nostri vecchi,  “se male non fai, paura non avrai…”.

La  ben triste   storia di   Ambrogio Mauri  purtroppo smentisce questa  santa solidità, questa  solo  prudenziale   ovvietà. E se solo si trattasse della sola storia o di una vicenda isolata e sporadica,  ci si potrebbe comunque rallegrare, ma   purtroppo   non è la sola, non si tratta  di  un caso isolato e sporadico.

I numerosi suicidi degli ultimi mesi, ma potremmo dire degli ultimi anni, causati da i dissesti economici   e da corruzioni  politiche ed amministrative  che hanno messo  e che mettono in ginocchio  piccole e medie  imprese   produttrici  e preziose per il territorio e  per il paese,  ci raccontano esattamente il contrario.

La vicenda Mauri è stata  a tempo debito  egregiamente  celebrata dalla bravissima  Milena Gabanelli   che  quando c’è  da smuovere  le coscienze  non fallisce mai un colpo.

Restando nel campo delle ingiustizie  commesse dallo Stato,  mi viene puntualmente  a memoria  la più celebre  strage  che ha mandato a morire  alcuni  dei nostri migliori  figli,  Falcone e Borsellino;  avrebbero dovuto essere protetti e difesi, ritenuti preziosi come la vita stessa  della repubblica  e della democrazia,  e invece sono stati lasciati soli, orrendamente  condannati alla morte  perchè ritenuti scomodi.

Lo stesso è accaduto  al buon cittadino sopra citato, potremmo chiamarlo il sig.  enne, enne come nessuno,   che voleva solo fare il proprio dovere, che voleva solo migliorare il tessuto economico  ed ambientale, che voleva solo mettere al servizio della  collettività il proprio   spirito  creativo e geniale,  ostinatamente  fiducioso, contro ogni  logica di  violenza e di  prevaricazione,   nella  forza morale  della  legge  sana  e  dello Stato giusto.

Ma la legge si è rivelata insana, costruita ad hoc per stritolare ed indurre al suicidio, e se non al suicidio,  allo sfinimento e all’abbandono  di ogni speranza; così  il  sistema corrotto  ha prodotto la sua vittima di turno.

Lo   Stato si è rivelato  ingiusto,  non volendo difendere  i suoi uomini di valore, non sapendo  proteggere gli onesti e i semplici,  semplici  di spirito  e non certo  di  ragioni, perchè è la Ragione a stare   dalla loro parte, perchè è la Verità  a  splendere  sui loro corpi morti.

Non vorrei seminare sconforto   là dove di certo  di esso  non ne abbiamo bisogno,  ma è così;  la solitudine appartiene  a chi non si mescola  con  la massa  becera  e grondante  di  esibizionismi e pretese,  una  massa  ordinaria, scontata,  prevedibile e manovrabile, una  massa  che  è  quello che noi sconciatamente  siamo o dimostriamo  di condividere.

Certo che tra la capacità  o   l’ esasperazione  di compiere gesti di protesta  come quelli di altri  nostri  concittadini  che si sono dati fuoco  per manifestare   contro un sistema  fiscale e bancario  incivile ed indegno di un paese  evoluto,   ed il lasciarsi  banalmente  corrompere dal ritornello  “Così fan tutti e dunque solo il furbo  vince”,  ci può stare un’ immaginabile e salvifica via di mezzo.

Ci vorrebbero dieci cento mille  Ambrogio Mauri,  in tutte le città, in tutti i comuni, in tutti i paesi, in ogni rione, in ogni cortile, in ogni  famiglia…  Sarebbe più bello guardarsi in faccia  la mattina, e l’aria  sarebbe meno irrespirabile.

Prima  di spararsi un colpo al cuore perchè stanco di lottare per nulla, il sig. enne  scrisse queste parole alla sua famiglia e alla nostra  società:

“Auguro, a chi continua a resistere, di avere maggiore fortuna di me. Potrà sembrare un atto di egoismo. Non è così, sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza. Come tanti, ho cercato di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre. Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà, saranno anche onesti. C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza. Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile. P.S. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e sofferto molto”.