Se trent’anni fa ci avessero detto che avremmo dovuto tutelarci dal pericolo di vivere troppo a lungo, ci saremmo messi a ridere; oggi questo problema è una realtà schiacciante e da non sottovalutare.
Purtroppo gli strumenti tecnologici possono prendere, come spesso accade, il sopravvento, e possiamo rischiare di finire prigionieri di un tubo che ci vuole tenere in vita a qualunque costo, a qualunque condizione, per un tempo indefinito…Contro tutto questo la Chiesa valdese in questi giorni ha avviato il cosidetto Registro dei testamenti biologici.
Oltre alle ragioni etiche avanzate dalla stessa chiesa valdese, ci sono le ragioni etiche di qualunque essere umano che si trova oggi a vivere prigioniero di una legge che li ignora, li disconosce, li usa come corpi senz’ anima; considererei la conquista del diritto di morire in modo naturale al pari di quelle che sono state nel nostro recente passato la conquista del divorzio, piuttosto che la conquista dell’aborto.
Certo, per un cattolico parlare di divorzio o di aborto come conquiste è un agire che richiede molta attenzione, molti distinguo, una profonda necessità di riflessione sul perchè e sul per come una donna abbia e debba avere la facoltà di decidere sia se divorziare, sia se diventare madre.
E’ stato proprio il clima di intolleranza estrema della Chiesa verso questi temi, dagli anni cinquanta fino a tutti i secoli passati, che ha determinato questa spiccata volontà umana e diremmo giovanile di riappropiarci dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, della nostra libertà fin troppo a lungo negata.
Tra il dire il corpo è mio e me lo gestisco io e tra il dire che comunque la donna deve potere avere, all’interno di determinati dettami e condizioni, l’ultima parola in merito alla propria maternità o in merito alla propria felicità, c’è un passo che detta la differenza di questo pensiero…
Per una coppia, ma soprattutto per una donna, l’evento della maternità è un fatto straordinario per quanto naturale, che se vissuto in modo consapevole, trasforma in meglio e radicalmente la vita; lo stesso dicasi per una coppia che decide di sposarsi perchè vuole coronare il proprio sogno di vita con un gesto sacro. Questi due eventi entrambi speciali e fondamentali non possono trasformarsi in realtà invivibili, dove il matrimonio si riduce in un lugo di tortura e di sofferenza psicologica senza fine.
Credo che molti matrimoni finiscano per colpa di entrambi i coniugi, ma ce ne sono di altri in cui sostanzialmente uno dei due partner gioca il ruolo della vittima e l’altro il ruolo del carnefice. E’ per questi casi problematici che si può soprattutto considerare il divorzio una conquista ed una liberazione, non certo per coloro che vanno a contrarre un vincolo con estrema leggerezza e superficialità. Infatti per coloro che invece vanno a stipulare un contratto così serio per ragioni affatto serie, il divorzio non è che ginnastica, come dire, una delle tante pratiche aggiuntive a quelle già esistenti, dove sostanzialmente sono mancate alla fonte le scelte personali di fare cose positive, quanto gli intenti sociali di costruire famiglie che poi saranno gli anelli portanti del nostro tessuto sociale.
Per tornare al testamento biologico, la legge deve ancora fare tutto il suo corso e prima o poi arriveremo a tutelare la qualità della morte, altrettanto importante quanto la qualità della vita.
Ovviamente questo discorso non vuole minimamente scadere nella liberatoria dell’eutanasia che rimane inaccettabile sotto il profilo non solo cattolico ma potrei anche dire etico, visto che non è moralmente giusto legalizzare il suicidio inteso come morte dolce.
in fotografia un’immagine di Eluana Englaro, lasciata libera di morire dopo un’estenuante e disumana agonia